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Card. Victor Manuel Fernández
Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede

 

Il posto della poesia nel pensiero di Papa Francesco

Intervento del Prefetto nella presentazione del libro “Viva la poesia!”,
Salone del Commendatore, Roma, 21 marzo 2025

 

Vorrei ringraziare padre Antonio Spadaro per l’introduzione al libro di Papa Francesco Viva la poesia! (Edizioni Ares). È una buona sintesi che aiuta a cogliere i diversi aspetti del rapporto esistenziale di Papa Francesco con la letteratura. Comunque, sono lieto di condividere qualcosa dal mio punto di vista.

Uno dei temi che mi ha legato a Jorge Bergoglio sin da quando ho iniziato a parlare con lui è stato proprio il gusto per la lettura e l’apprezzamento della poesia come modo di esprimere ciò che altri linguaggi non possono dire.

Per cominciare, quando Bergoglio ha dovuto scegliere un nome con il quale sarebbe stato chiamato come Pontefice, ha scelto quello di un santo, Francesco d’Assisi, la cui vita è una poesia in tutti i sensi.

Nel cuore del mondo

So che in alcuni momenti difficili della vita di Bergoglio la poesia è stata un’oasi, una luce che si accende tra le tenebre. La stessa cosa è successa anche a me. Lo sguardo realistico di Francesco, capace di dare voce alle ferite profonde delle persone, gli permette di dire queste parole: “Quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima, un buon libro ci aiuta almeno a passare la tempesta [...] e forse quella lettura ci apre nuovi spazi interiori” (Sul ruolo della letteratura nella formazione).

Affidarsi alla poesia non significa fuggire, né entrare in un mondo parallelo; significa, invece, ritrovare questo stesso mondo in un modo più profondo, riscoprendolo sotto altri riflessi.

Così io che leggo posso ricordare che, accanto al dramma che vivo, ci sono tanti piccoli dettagli carichi di vita. Papa Francesco, per parlare del Cuore di Cristo, fa uscire dal baule questi ricordi:

“Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta. Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro. Come questo della forchetta, potrei citare migliaia di piccoli dettagli che compongono le biografie di tutti: far sbocciare sorrisi con una battuta, tracciare un disegno al controluce di una finestra, giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita. Tutti questi piccoli dettagli, l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi. Perché la forchetta, le battute, la finestra, la palla, la scatola di scarpe, il libro, l’uccellino, il fiore... si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore” (Dilexit nos 20).

Sono sicuro che nell’ultimo mese di malattia questa poesia della vita ha portato conforto al suo cuore.

Tutta la poesia

Vorrei sottolineare che la raccolta di questo bellissimo libro, così variegata, aiuta a esprimere la nozione ampia di “cultura” di Papa Francesco, molto presente in America Latina, che non è la cultura di una piccola élite, ma un modo di vivere l’esistenza che si esprime nei modi più diversi.

Proprio per questo, trovo molto prezioso che il libro includa il riferimento di Francesco ai “poeti sociali”. È significativo notare che, quando parla di coloro che si impegnano nei movimenti in difesa dei diritti sociali, li chiama “poeti”, perché con la loro stessa esistenza trasmettono qualcosa che non può essere espresso in altro modo, neanche negli ambienti in cui si utilizzano solo i linguaggi di una visione del mondo limitata, insensibile, egoista. Questa gente sofferente che difende i propri diritti – che vista insieme appare come una marea umana di mamme con i bambini in braccio, anziani che li accompagnano, sedie a rotelle, tanti colori, musica, e anche canti e balli – descrive una poesia che ci permette di vedere ciò che nelle nostre giornate normali non riusciamo a percepire.

Allo stesso modo, apprezzo molto l’inclusione delle poesie presenti in Querida Amazonia, perché lì Francesco ricorre a poeti popolari, alcuni dei quali si trovano solo su internet perché non sono riusciti a pubblicare libri. Sono poeti che vivono nella giungla, che la respirano, dove la poesia germoglia quasi come un fiore tropicale.

Poesia e pensiero

Il pensiero ha bisogno della poesia per non zoppicare. San Tommaso d’Aquino amava dire che la teologia può essere fatta sì in modo speculativo e sistematico, facendo uso della logica e di un certo modo di argomentare, ma si può fare anche con le metafore. A quel tempo si poteva pensare che quel metodo fosse per i meno istruiti, per la gente semplice. Ma oggi diciamo di più. La forma fa parte del contenuto, e ci sono contenuti che possono essere comunicati solo in modo poetico, e mai senza poesia.

San Bonaventura, più poeta di san Tommaso d’Aquino, diceva che la teologia è per diventare più buoni, e a volte proponeva di applicare un principio metodologico: se nelle discussioni teologiche non si sa con quale opinione essere d’accordo, bisogna chiedersi: quale di esse suscita il desiderio maggiore, l’attrazione più forte, quale muove meglio il cuore alla bontà e alla bellezza.

Ma, attenzione, non per un effetto meramente psicologico, ma perché quella proposta teologica mette in contatto con una verità che altrimenti non si potrebbe raggiungere. San Bonaventura chiamava questo procedimento: argomento “ex pietate”. Tutto questo certamente non accade senza un po’ di poesia. Ecco perché quando il grande mistico San Giovanni della Croce ha voluto insegnarci il più alto grado della vita spirituale, ha rinunciato ad elaborare un trattato e ha scritto il Cantico Spirituale, con il quale ci accompagna nella avventurosa ricerca di Dio: “Dove ti sei nascosto, Amato...?”.

Alcuni esempi preziosi

A tal proposito, vorrei sottolineare un dettaglio della recente enciclica di Papa Francesco sul Sacro Cuore, dove lui applica in un modo concreto questo principio. Lui ha sempre parlato della necessità di evitare il proselitismo, ma allo stesso tempo ha chiesto il coraggio di annunciare Cristo per non privare gli altri di questa bellezza. Come spiegare allora che non possiamo evitare di parlare di Cristo senza che ciò appaia come proselitismo? Per farlo trovò un modo: la poesia.

Egli si è rifatto non ad un poema religioso, ma ad un poema di Dante scritto per la sua amata. Lei provava fastidio e gli aveva chiesto con fermezza di non cercare di convincerla inviandole poesie. Dante, allora, trovò una via d’uscita: scrisse una poesia alle donne che sanno per esperienza cosa sia l’amore (“donne che avete intelletto d’amore”), e chiese loro il permesso di raccontare della sua amata. È lì che intona queste parole su Beatrice che Papa Francesco cita con piacere nella Dilexit nos (n. 209):

“Io dico che pensando il suo valore
Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s’io allora non perdessi ardire,
farei parlando innamorar la gente”.

Vedete, la poesia di Dante gli permette di esprimere con rispetto e con tenerezza quella sintesi che altrimenti non riusciva a trovare.

Ricordo che, quando insegnavo il trattato sulla Grazia di Dio, mi piaceva intrattenermi spiegando perché la parola “grazia” veniva usata per parlare di Dio pieno di bellezza che si dona, che ci illumina, che ci invita all’amicizia con Lui. Perché, dunque, si usa proprio la parola “grazia” invece di altre? E ho trovato un grande aiuto nella prima poesia d’amore di Pablo Neruda. Lì, riferendosi alla donna che amava, non si accontenta delle parole “bellezza”, “splendore” o “fascino”. Aveva bisogno di qualcosa che esprimesse ciò che ci trascende, ciò a cui non si arriva mai del tutto, ciò che è ammirazione ma anche desiderio inappagato, ciò che ci fa sentire piccoli di fronte a tale dono. Ecco perché sceglie la parola “grazia”:

“Persisterò nella tua grazia,
la mia sete, la mia ansia senza limite...
dove la sete eterna continua,
e la fatica continua,
e il dolore
infinito...”

Il poeta trova nella parola “grazia” la possibilità di includere misteriosamente quel senso di sconfinatezza, di sete eterna, di infinito, che la parola “bellezza” non riesce a tradurre.

Aggiungo un secondo esempio: mi commuove il valore che la Chiesa attribuisce ad ogni persona umana, al di là del suo sviluppo e delle sue capacità. È sempre una dignità immensa, anche se gli altri non la riconoscono. Ma lo sguardo dell’amore la vede sempre. Per esprimere quello sguardo capace di vedere oltre in una persona, c’è una poesia di Pablo Neruda che mi sembra perfetta, che riassumo:

“Ve n’è di più alte di te,
ve n’è più belle di te.
Ma tu sei la regina.

Quando vai per le strade
nessuno vede
il tappetto d’oro rosso
che si estende dove passi.
Nessuno ascolta
che scuotono il cielo le campane
e un inno empie il mondo.

Tu sola ed io, amor mio,
l’udiamo”.

Chi vede di più?

Quel “maestrillo

Non possiamo valutare adeguatamente l’immenso contributo di Papa Francesco, senza includere questo aspetto del linguaggio simbolico, poetico, evocativo e anche gestuale, perché altrimenti non potremmo capirlo. Non bastano i suoi documenti.

In effetti, c’è stato un periodo della sua giovinezza in cui ha apprezzato molto un compito che gli era stato assegnato: quello di essere “maestrillo”, cioè “piccolo maestro” di letteratura. E lo faceva con la stessa passione e generosità con cui oggi fa il Papa. Questa dedizione alla letteratura gli ha permesso di sviluppare il gusto per la lettura, il piacere e l’avventura di entrare nel mondo di un’opera letteraria. Allo stesso tempo gli ha permesso di percepire quanto si può imparare da questa penetrazione in quell’universo che un romanzo o una poesia dischiude.

In tal senso ha compreso che per formare un essere umano e un cristiano è importante che si raccolga questa sfida. La poesia ci insegna a dialogare con altri mondi, a interpretarli a partire dalla pelle e dal cuore. Comunque, al di là di tutto questo, la poesia stessa ci dona qualcosa che non sempre appare bello, ma che è vero, è anche parte della verità che vogliamo conoscere.

Per questo ringrazio di cuore per la pubblicazione di questo libro e auspico che venga letto da tutti coloro che intendono interpretare Papa Francesco in modo integrale.

Víctor Manuel Card. Fernández