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Card. Victor Manuel Fernández
Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede
 

Sinodalità: perché no e perché sì

Relazione per il Corso di formazione per i Vescovi di recente nomina

(6 settembre 2025)

 

Di fronte al nuovo Papa, alcuni auspicavano che rallentasse un po’ con questa storia della sinodalità. Invece, Papa Leone ha espresso un forte desiderio di continuare sulla via della sinodalità. Ad esempio:

“La sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire” (alla CEI, 17 giugno 2025).

“…desidero assicurare la mia intenzione di proseguire l’impegno di Papa Francesco nella promozione del carattere sinodale della Chiesa Cattolica” (Ai rappresentanti di altre chiese e comunità ecclesiali e di altre religioni, 19 maggio 2025).

Ma quando è emerso questo speciale interesse? La questione della sinodalità ha preso più forza dalla Evangelii gaudium, anche se papa Francesco aveva menzionato il tema solo molto brevemente lì. Torniamo pertanto alla Evangelii gaudium, ed è importante notare che lo stesso Papa Leone, nel suo già citato discorso ai vescovi della CEI, ha dichiarato: “Innanzitutto, è necessario uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede. Si tratta di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium”. E parlando al collegio cardinalizio, il 10 maggio, si riferiva “alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cf. n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cf. n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cf. n. 33)….”.

Ma in realtà nella Evangelii gaudium, Papa Francesco ha detto poco sulla sinodalità. Solo che possiamo imparare dai nostri fratelli e sorelle orientali "la loro esperienza di sinodalità" (246). Va chiarito che in questo caso si tratta proprio di un riferimento alla sinodalità strettamente episcopale, tra Vescovi. Tuttavia, questo brevissimo riferimento alla sinodalità ha suscitato una serie di iniziative verso una riforma sinodale di tutta la Chiesa.

È vero che molti laici hanno accolto con entusiasmo la proposta della sinodalità come cammino di partecipazione, di un "camminare insieme", dove i laici hanno più voce. Ma in molti sacerdoti sorgono dubbi, domande, disinteresse e rifiuto rispetto alla proposta della sinodalità. Alcuni gruppi trovano delle cattive intenzioni dietro questo processo sinodale e lo rifiutano categoricamente. Ecco perché è bene separare il grano dalla pula. Per fare questo, è meglio iniziare prendendo sul serio le critiche e la diffidenza.

Per questa ragione ora vedremo prima perché dire “no” alla sinodalità, perché è comprensibile che venga rifiutata, e poi vedremo perché diciamo di “si” alla sinodalità, unendoci al sì che il nostro Papa Leone ha con forza ribadito.

La sinodalità. Perché no.

Nel tempo si è accesa una polemica sul tema della sinodalità perché ci sono proposte di sinodalità che in realtà non rappresentano ciò di cui la Chiesa ha bisogno per avere più vitalità e più forza evangelizzatrice. Di questo si tratta. Vediamo quali sono queste proposte che stravolgono la vera sinodalità. Ne metto in evidenza sette:

1) Sinodalità dottrinale

Molti hanno pensato che ciò che la sinodalità cerca di fornire sia una sorta di meccanismo rapido per modificare la dottrina morale e sacramentale della Chiesa. È vero che alcuni gruppi danno questa impressione e cercano di far credere che la loro opinione rappresenti la maggioranza dei cattolici, ma molte volte queste minoranze diventano ossessionate da qualche questione che non rientra per nulla tra le grandi preoccupazioni e le urgenze della maggioranza dei fedeli.

In realtà, questo rischio non si verifica nella maggior parte delle diocesi del mondo. In generale, la sinodalità include il desiderio di una maggiore partecipazione che dia alle comunità una nuova vitalità. Non si tratta di ascoltare tutti per portare avanti una revisione democratica della dottrina e della morale, come è avvenuto in alcuni gruppi di anglicani. Se prestiamo veramente attenzione ai segni dei tempi, dobbiamo riconoscere che sono cresciuti gruppi che non si aspettano debolezza e confusione, che non vogliono una Chiesa light. Anche quando la Chiesa cambia certe cose, in generale si spera che questo non sia un capriccio di alcuni, ma che si basi su una solida riflessione.

A questa forma distorta di sinodalità, che vuole un cambiamento democratico della dottrina, dobbiamo dire no, riconoscendo che è solo la pretesa di alcuni gruppi minoritari e ideologizzati.

2) La sinodalità come democrazia elitaria

Un altro modo di fraintendere la sinodalità, collegato al precedente, è quello di cercare di sostituire la monarchia clericale con un'oligarchia laica. In alcuni luoghi ci sono gruppi di laici che vogliono imporre il loro stile e le loro scelte a tutti gli altri laici. Se il prete o il vescovo non fanno quello che loro pensano, dicono che i chierici sono contro la sinodalità. Ignorano che ci sono anche molti altri laici che non condividono le loro preferenze o i loro gusti.

La comunione che il ministro ordinato deve garantire non si realizza cedendo l'autorità a un gruppo (una parte del Popolo di Dio). Ciò non assicurerebbe la comunione concreta e finirebbe per distruggere la sinodalità.

3) La sinodalità come braccio della gerarchia

Andiamo verso l’altro estremo. Siamo già cresciuti molto nel comprendere il valore proprio di ogni carisma e di ogni ministero, e oggi non diciamo più che i laici sono “le braccia” della gerarchia. Tuttavia, questa idea riappare in modo sottile. Viene offerta una pseudo-partecipazione, ma in realtà si deve fare ciò che dice la gerarchia. Ci sono consultazioni e si crea l’impressione di apertura, ma in pratica tutto è orientato secondo l'interesse del Vescovo o di alcuni sacerdoti. Essi stessi organizzano le consultazioni, interpretano i risultati e diffondono una "sintesi" che non li danneggia, che non modifica lo “status quo”.

Ciò è aggravato dal fatto che in alcuni luoghi i laici non si fidano di loro stessi e preferiscono eseguire ciò che decide il sacerdote: “Meglio decida Lei padre, Lei sa”. Pertanto, con un sano realismo, è consigliabile iniziare trovando persone diverse e appartenenti a gruppi diversi che abbiano creatività, iniziativa, audacia, anche se ci creano problemi; solo così può sorgere un clima di vera partecipazione.

4) Sinodalità endogama

C'è una sinodalità dove non interviene un solo gruppo di laici, ma vari movimenti, rappresentanti di settori diversi, però tutti si caratterizzano per far parte di strutture ecclesiastiche, cioè non rappresentano il Popolo di Dio e nemmeno gli altri laici che sono impegnati nella sfera pubblica e non nelle comunità ecclesiali. Si tratta di una sinodalità con buone intenzioni, ma che non interpreta il sentimento popolare e i megatrend del luogo. Si tratta di una sinodalità che non è né inculturata né espansiva, non ha imparato il dialogo con la società.

5) Sinodalità metodologica

Arriviamo così alla successiva deformazione della sinodalità, che è quella metodologica.  Consiste nel confondere la sinodalità con una metodologia. Neanche le lunghe indagini fanno sì che si raggiunga il grande Popolo di Dio. Non si può pensare che sia sufficiente un'indagine per cogliere il "sensus fidelium".  Allora la domanda è: come attivare canali di ascolto e di partecipazione che possano essere accolti con piacere da tutto il Popolo di Dio o almeno da cerchie più ampie? Questo va indubbiamente ben oltre le preferenze espresse in un’indagine e suppone una rinnovata pastorale popolare. Ci vuole apertura, vicinanza, capilarità pastorale, ecc.

Solo così la sinodalità sarà molto più di una "struttura" e diventerà una "cultura". Ma c'è una sinodalità che diventa più un espediente metodologico che altro, con un sovraccarico di riunioni e sotto-riunioni, fogli di calcolo, analisi della realtà, schemi, discussioni senza fine, alle quali la maggioranza non avrà alcun interesse a partecipare. La situazione peggiora se una certa metodologia viene sacralizzata come se fosse l'unico modo per essere sinodali. E già san Tommaso d'Aquino raccomandava nel suo Trattato sulla nuova legge di non moltiplicare norme che rendono la vita gravosa per i fedeli.

6) La sinodalità come peso inutile, apparenza da mostrare

C'è un'altra sinodalità che non serve a nulla ed è quella che si fa "per compiere un dovere". Viene fatto un lavoro minimo per poterlo citare nel rapporto delle visite ad limina. A volte questo non significa che si fa poco, si può fare molto, a lungo, ma senza decisioni concrete che ci facciano sentire che stiamo andando avanti, migliorando la pastorale concreta. Questo all'inizio diverte, dà il sentimento della fraternità e del dialogo, ma non cambia nulla e alla fine stanca i sacerdoti e può deludere i laici. Per questo alcuni preferiscono le Assemblee ai Sinodi lunghi, perché sentono che si sottrae tempo alla pastorale ordinaria e si finisce per essere stanchi senza produrre miglioramenti concreti.

È vero che molti parroci oggi non prestano più attenzione alle Giornate proposte dalla Santa Sede o dalle Conferenze episcopali, perché si sentono oberati di richieste formali che si aggiungono e si aggiungono, e che tolgono tempo alla già fitta agenda della pastorale ordinaria. In questo contesto, non valorizzeranno le proposte sinodali che richiedono tempo e fatica e non riusciranno a raggiungere risultati veramente utili per migliorare l'evangelizzazione.

7) Omogeneizzazione universale

Infine, un'altra forma distorta di sinodalità è quella di imporre una forma universale di sinodalità che ignora le differenze locali. Papa Francesco ha detto in una risposta al cardinale Burke che trasformare una forma di sinodalità in "norma e canale obbligato per tutti" porterebbe solo a "congelare" il cammino sinodale ignorando le varie caratteristiche delle diverse Chiese particolari e la variegata ricchezza della Chiesa universale. Dato che l’autentica sinodalità implica il rispetto per le Chiese locali, nel suo esercizio ci dovrebbe essere ben poco che si impone dall'alto, e molta libertà per ogni luogo di trovare i suoi cammini di sinodalità. Ma attenti: non si tratta di sostituire la centralizzazione romana con altre forme di centralizzazione più locali, che possono diventare anche oppressive. Le stesse Conferenze episcopali corrono il rischio di diventare strutture grandi e gravose che determinano eccessivamente le Chiese locali, imponendo loro un modo concreto di realizzare la sinodalità. È un rischio che non risponderebbe alla struttura essenziale della Chiesa come l'ha voluta Gesù Cristo.

***

Se ci si avvicina alla sinodalità in uno di questi sette modi, ovviamente diciamo "no". Le persone che capiscono che la sinodalità è una di queste caricature reagiscono negativamente o la ignorano, e questo è comprensibile. A volte bisogna capire che non si tratta di un rifiuto ideologico, ma di una reazione ragionevole a qualcosa che non è autentica sinodalità.

Adesso vediamo perché diciamo “sì” alla sinodalità.

La sinodalità. Perché si.

C'è un altro modo di intendere la sinodalità che ci fa davvero bene e che aiuta a mettere in moto una Chiesa più viva ed evangelizzatrice? Certo. Un cammino "sinodale" significa prima di tutto che tutti i membri della Chiesa siano coinvolti nell'evangelizzazione, in modo da formare una comunione partecipativa. Non si tratta solo di tenere incontri fraterni, ma di partecipare e contribuire tutti perché una Diocesi possa essere feconda nella sua missione. Nessuno negherebbe il valore di questa proposta. Solo che una cosa è non negarlo e un'altra è realizzarlo pienamente.

Questo lo spiegava anche Papa Francesco nella sua risposta ai Dubia del cardinale Burke:

"La Chiesa è un mistero di comunione missionaria, ma questa comunione non è solo affettiva o eterea, implica necessariamente una partecipazione reale: che non solo la gerarchia, ma tutto il Popolo di Dio in modi diversi e a diversi livelli possa far sentire la propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa. In questo senso possiamo dire che la sinodalità, come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa".

Si noti che l'insistenza in questo paragrafo è sulla partecipazione dell'intero Popolo di Dio. Insomma, si deve lavorare perché l'intero Popolo di Dio si senta non solo destinatario, ma parte attiva della Chiesa, dove la sua voce è ascoltata. Non si tratta di un'élite di laici al potere, un'oligarchia. Si tratta di cercare le varie vie perché tutta la Chiesa possa essere veramente vissuta come popolo. Sembra utopico, ma si dovrà cercare un modo affinché tutto il Popolo di Dio, in diversi livelli, partecipi alla guida della Chiesa. Non solo, che partecipi per assicurare alla Chiesa una comprensione integrale di sé stessa.

Non dobbiamo pensare che la sinodalità sia necessariamente una metodologia, al fine di organizzare un Sinodo o una struttura pastorale. Ciò ne è una parte. Ma è soprattutto un modo di essere e di agire che deve caratterizzare tutta la Chiesa, dalla più sperduta cappella di campagna sino alla Chiesa universale. E consiste nel camminare insieme, nel dare a tutti un posto perché in modi diversi ognuno possa offrire il suo contributo e tutti possano dare un'opinione sulle grandi questioni della Chiesa, ascoltandosi a vicenda.

San Giovanni Crisostomo diceva che "Sinodo è il nome della Chiesa", un cammino che facciamo insieme. Perciò la Chiesa deve essere come un coro in cui i membri hanno un rapporto reciproco e ordinato, e sono uniti dall'amore al di là delle differenze.

C'è una sinodalità speciale come le assemblee diocesane, e c'è una sinodalità abituale che viene portata avanti da ognuno con il proprio carisma e il proprio tempo nella missione della Chiesa, ma riconoscendo sempre che anche gli altri hanno il diritto di dare il loro contributo e ascoltandoli. Si tratta di un dinamismo di ascolto e di accompagnamento, che deve caratterizzare non solo la vita di una Diocesi in generale, ma ogni singola comunità. Infatti, alcune parrocchie hanno la sana abitudine di riunirsi di tanto in tanto in assemblea per analizzare insieme – ma invitando pure coloro che non assistono spesso a Messa – l'andamento della missione nel proprio quartiere.

Questa sinodalità è illuminata, fecondata e rinvigorita dalla proclamazione del kerygma che provoca un'intensa esperienza dell'amore di Cristo vivo, e che alla fine dà vita a nuovi processi. È inevitabile che ci chiediamo come questo annuncio missionario possa penetrare nel nostro lavoro sinodale, perché una grande sfida di un Sinodo è quella di collocare tutto in quel quadro decisamente "missionario". Altrimenti potrebbe suonare solo come l'imposizione di un grande programma tecnico, asettico, insipido o ideologico, ma in definitiva non sarebbe altro che una bella forma astratta senza contenuto missionario in una Chiesa che non cresce più. Il kerygma fa possibile la conversione, o la rivitalizzazione dei credenti morti, e dunque la crescita della Chiesa. Senza il keryma la sinodalità non sarà missionaria e diventerà il rifugio di un gruppo chiuso in sé stesso, senza novità o nuovi stimoli.

Perché la sinodalità può arricchire il ministero ordinato

Papa Francesco si è chiesto cosa il sacerdote non possa delegare ad altri. E ha chiarito che "la risposta sta nel sacramento dell'Ordine sacro”, nel carattere ricevuto nell'Ordine, perché “tale carattere esclusivo ricevuto nell’Ordine abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile. " (QA 87). Chi non ha questo carattere è impossibile che possa presiedere l’Eucaristia. Ma altri compiti non richiedono necessariamente che sia un sacerdote a svolgerli. Ricordava pure che in certi posti “le donne hanno un'influenza reale ed efficace sull'organizzazione, sulle decisioni più importanti e sulla guida delle comunità" (QA 103).

Non si tratta di un ministero sacerdotale ed episcopale meno intenso, al contrario, si propone l'esercizio di un ministero che promuova la diversità dei carismi e delle funzioni nella comunione ecclesiale. In questo modo, il ministro ordinato si arricchisce grazie all’apporto di comunità vive, piene di dinamismo, di ricchezza e di varietà. E può elevare tutto nell'Eucaristia. Il suo ministero si svolge in un contesto di pienezza di doni e di prospettive. Allora il suo potere non si indebolisce. Al contrario, la sua forza si amplia allo stesso tempo attraverso l'assunzione del discernimento comunitario.

Si tratta allora di una sinodalità autentica vissuta con gusto, convinzione, ricchezza, audacia. Diventa una conversione con la scelta di essere Vescovo in mezzo a una comunità viva, partecipativa, creativa, dinamica, dove tutti i carismi possono fiorire, anche se a volte sono in conflitto tra loro. Se sono doni dello Spirito, ognuno ha il diritto di svilupparli e di viverli fruttuosamente.

L'opposto è una pastorale povera, noiosa, ripetitiva, incapace di affrontare le sfide. Allo stesso tempo, è una Chiesa di un settore, di pochi, che risponde a uno stile ma è incapace di raggiungere tutti. Questo vogliamo? Ebbene, questo è proprio l’opposto della sinodalità.

In questo contesto, il ministero episcopale non ha sale, è impoverito, è privato della gioia e della fecondità, è lasciato esso stesso senza stimoli per crescere. Pertanto, non è così che viene preservata la sua autorità. Al contrario, in questo modo la sua autorità viene indebolita. Rimane solo come leader o gerarca, ma muore come padre e pastore, e scompare come evangelizzatore e promotore di vita.

Certo, il sacerdote presiede l'Eucaristia, che è fonte di vita, ma può far perdere alla stessa Eucaristia la sua fecondità, quando non crea più intorno a sé le disposizioni perché le persone si aprano sempre di più all'azione dell'Eucaristia. Annuncia la Parola e insegna la verità, ma può fallire nel motivare i cuori a lasciarsi trasformare da quella Parola. Può avere il suo gruppo, ma rimane un gruppo di mantenimento, che non apre la Chiesa, non la rinnova, non la rivitalizza, non la lascia crescere, e per questo è veramente solo. Invece chi vive e lavora sinodalmente nella sua comunità, ha migliaia di amici diversi dai quali riceve molteplici stimoli per sviluppare un ministero pieno di ricchezza, che rifletta l'inesauribile ricchezza del Vangelo e l'inesauribile fecondità della grazia divina. Allora, sì, l’Eucaristia che celebra è segno e fonte di vita e di comunione.

In questa prospettiva, riconosciamo che la chiamata alla sinodalità è un segno dei tempi, che dobbiamo sostenere con convinzione perché è un bene per la Chiesa. Il rischio più grande è quello di perdere l'occasione di realizzare un vero rinnovamento, un rinnovamento di cui tutta la Chiesa ha bisogno per non scomparire. Affinché la sinodalità significhi davvero un passo verso una Chiesa più evangelica e fedele a Gesù Cristo, dovremmo smettere di sentirla come un obbligo e assumerla come una grande sfida di cui innamorarci, come un orizzonte luminoso per il futuro del nostro ministero.

Prestiamo attenzione alla nostra vita sacerdotale e vediamo come la proposta della sinodalità arricchisca questa nostra vita sacerdotale. Promuovere una vita comunitaria ricca, con laici che abbiano una certa autorevolezza e crescita, e che trovino pure un luogo dove esprimere la propria opinione e dialogare con il sacerdote, è sempre uno stimolo per il sacerdote. Se i Vescovi sottolineassero di più questo criterio, esorterebbero i sacerdoti a evitare quei circoli ristretti che, quando smettono di sostenerlo, lo lasciano alla deriva. Un respiro pastorale più ampio è sempre molto più sano di uno ristretto e fornisce maggiore contentezza e ricchezza.

Il ritorno agli aspetti essenziali e specifici del sacerdozio ministeriale, collocati nel contesto di una grande varietà di ministeri e carismi laicali, può permettere un'esperienza del ministero che riempie di vitalità il sacerdote invece di distruggerlo e caricarlo di tensioni. In sintesi, le caratteristiche di “un ministero sacerdotale sinodale”, propriamente focalizzato sull'essenziale e aperto agli altri carismi, potrebbero essere le seguenti:

1. Una vita tutta dedicata al ministero, con il sapore di un'attività che può essere preparata e svolta con serenità, in modo umano e umanizzante, dato che ci sono altri che si occupano di tante cose che non deve fare per forza il sacerdote.

2. Una maggiore disponibilità a vivere una spiritualità dell'azione e non porsi ai margini di essa: una spiritualità che consiste nel contemplare con gioia l'azione di Dio e la sua bellezza nell'esercizio stesso del ministero.

3. Lo sviluppo di atteggiamenti più autentici e significativi di carità fraterna (pastorale) in un'accoglienza cordiale, vicina e aperta, in modo amichevole e senza fretta, dove le persone si sentono prese molto sul serio.

4. Un'esperienza più comunitaria dell'attività evangelizzatrice, meno solitaria e individualista, liberata dal terribile peso di dover fare tutto.

5. Maggiore arricchimento e gioia grazie allo sviluppo dei carismi altrui e grazie ad una vita comunitaria varia e feconda che nutre anche il sacerdote come cristiano.

6. La scomparsa delle permanenti scuse di mancanza di tempo che giustificano a volte uno svolgimento povero delle sue specifiche funzioni (la celebrazione dell'Eucaristia, il sacramento della Riconciliazione e l'Unzione degli infermi), che verrebbero invece vissute con profondità, serenità e fecondità.

Trasformazione missionaria verso i lontani

L'autentica sinodalità richiede la "conversione sinodale" della gerarchia, ma anche canali di partecipazione popolare che impongono di cambiare strutture e procedure. Ma l’obiettivo vero è la missione, non altro. La sinodalità se non è missionaria non realizza la natura della sinodalità, è un’altra cosa.

Questo implica mettere tutto al servizio del progetto di raggiungere la vita di ogni essere umano con l'annuncio centrale del Vangelo. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario «ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle comunità stesse» (EG 33). Ciò significa trovare cammini affinché la sinodalità sia anche effettiva, dia dei risultati concreti che conquistiamo insieme.

Si tratta semplicemente di mettere in secondo piano ciò che non serve molto direttamente a raggiungere tutti con il primo annuncio. Ecco perché è così importante la vicinanza misericordiosa, l'annuncio da persona a persona, corpo a corpo, piuttosto (o prima che) la preoccupazione per le strutture, l'organizzazione, gli incontri, le discussioni, le formalità, ecc. Evidentemente, ciò ha conseguenze pratiche e impedisce alla parrocchia "di diventare una struttura ordinata, separata dal popolo o un gruppo di eletti che guardano a sé stessi" (28). 

Chi sono i principali destinatari di questa vicinanza missionaria? Sono "quelli che sono lontani da Cristo" (EG 15). Non sono solo coloro che hanno sempre rifiutato Gesù Cristo o non Lo conoscono. Sono anche coloro che «non hanno un'appartenenza cordiale alla Chiesa e non sperimentano più la consolazione della fede» (14). Cioè, sono quelle persone che non si sentono più parte della Chiesa, che si sentono fuori da essa, e che non vivono più la loro fede con gioia, con piacere. Si sono trasferiti altrove. Le "periferie" che dobbiamo cercare sono quelle dove si trovano queste persone ed è a questo scopo che devono essere ordinate le nostre strutture pastorali se vogliono veramente essere missionarie.

"Tutti, tutti, tutti". La vicinanza missionaria è sempre carica di misericordia. Siamo invitati ad avere una grande intesa, una pazienza immensa e misericordiosa con le persone, perché nella Chiesa ci sia veramente posto per tutti.

È necessario accettare che non si può ottenere tutto in poco tempo e che la crescita delle persone è solitamente molto lenta, per fasi, passo dopo passo. Per questo, «dobbiamo accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si costruiscono giorno per giorno» (44). Francesco ci ricordava che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre le sue giornate senza affrontare grandi difficoltà» (44). Se qualcuno può fare almeno un po', non dovresti disprezzarlo per ciò che non può fare. Al contrario, bisogna trovargli un posto nella comunità: «Un cuore missionario conosce questi limiti [...] Non rinuncia al bene possibile, anche se corre il rischio di macchiarsi con il fango della strada (45).

Naturalmente tutti sono invitati a crescere, con la consapevolezza che ognuno ha il suo tempo. Chi è già maturato e cresciuto molto è capace di "fermare il passo, mettendo da parte l'ansia per guardarsi negli occhi e ascoltare, oppure rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è stato lasciato sul ciglio della strada" (46). Una Chiesa sinodale con un cuore missionario non è mai un giudice implacabile che sbarra la strada.

Questa apertura a tutti è essenziale in una vera "sinodalità", che allarga veramente la tenda della Chiesa, piuttosto che trasformarla nell’insieme di piccoli gruppi di potere.

Tutti in missione

Ma sinodalità non è solo arrivare a tutti, ma “con” tutti. Cioè, affinché la Chiesa raggiunga tutti, l’annuncio del Vangelo agli altri non può essere solo affare di alcuni. Né si dovrebbe avere un unico stile di annuncio. Per raggiungere ogni angolo e periferia, abbiamo bisogno di soggetti di ogni tipo, di agenti pastorali con carismi e caratteristiche diverse, con modi di essere e di esprimersi diversi. Devono essere missionari anche se sono imperfetti. In caso contrario, è impossibile raggiungere davvero tutti. Ciò presuppone audacia, pazienza, libertà interiore, fiducia nello Spirito. Devono essere missionari, anche se sono peccatori, e anche se hanno pochissima preparazione. Poi cresceranno, matureranno, e la stessa missione li spingerà a voler formarsi meglio. Questo è l'unico modo per arrivare a tutti e non rimanere chiusi in un gruppo di persone di un certo stile o categoria. Francesco diceva che «ogni cristiano è missionario nella misura in cui ha incontrato l'amore di Dio in Cristo Gesù» (120).

Seguendo la stessa linea di pensiero pastorale, si parla della diversità dei carismi. Per ogni esigenza di evangelizzazione, lo Spirito Santo effonde un carisma. Per raggiungere “i pazzi” riversa carisma in alcuni “pazzi”. Questi carismi sfuggono ad ogni controllo e a volte sono scomodi. Ma sono doni di Dio che permettono di raggiungere certi gruppi di persone "oltre al consueto lavoro pastorale che realizzano le parrocchie e i movimenti, secondo determinati schemi" (ChV 230). L'ossessione che si vede in alcuni posti per far sì che tutto diventi struttura, regola, rito, norma, non è fedele al libero dinamismo dello Spirito.

Papa Francesco si è riferito, ad esempio, alla “pastorale giovanile popolare” che stimola nei mondi giovanili “quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti” (ibid). Di fronte a loro quale sarebbe allora il compito dell’autorità sacerdotale? Secondo Papa Francesco “dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole” (ibid). Loro possono inventare una nuova evangelizzazione “che apra le porte e dia spazio a tutti e a ciascuno con i loro dubbi, traumi, problemi e la loro ricerca di identità, con i loro errori, storie, esperienze del peccato e tutte le loro difficoltà” (ChV 234).

Tali carismi possono essere orientati all’impegno laicale nel cuore del mondo, che è la chiamata principale che devono ascoltare i laici: e dunque all’impegno nella politica, nelle istituzioni e nelle organizzazioni della società dove bisogna far emergere il Regno di Dio. Ma altro posto privilegiato sono le periferie della stessa Chiesa, in un impegno missionario sempre più coraggioso e audace.

Questa ampiezza dei soggetti attivi nell'evangelizzazione è anche essenziale in una vera "sinodalità", camminando insieme.

Certo, una sinodalità che renda davvero fecondo il ministero sacerdotale ci chiama ad una vera conversione, e richiede tempo, tempo di formazione specifica, pratica, e non solo dottrinale, tempo di esercizio dei carismi laicali e di maturazione in questo esercizio. Ma se non incominciamo non ci arriveremo mai.

Card. Víctor Manuel Fernández