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Unicità di Cristo e della Chiesa

+ Luis F. Ladaria, S.I.
Segretario

Incontro delle Commissioni dottrinali europee
(Esztergom, 13 gennaio 2015)

  

Abbiamo proposto questo tema non per dire molto di nuovo su un argomento di per sé ormai ben conosciuto, ma perché nel lavoro quotidiano della Congregazione la questione si ripropone spesso, soprattutto in relazione a diverse correnti teologiche sviluppatesi in molti paesi di tutti i continenti. In un certo senso, questi problemi si sentono più acutamente in altri continenti, forse l’Europa è stata in qualche modo risparmiata, ma la situazione di pluralismo religioso che diventa anche nei nostri paesi ogni giorno più normale, impone un ripensamento sempre più approfondito di certe questioni fondamentali. Sono le diverse religioni dell’umanità, che propongono valori universalmente ammirati, vie di salvezza? Qual è il senso dell’annuncio di Cristo a chi non lo conosce? Non sono in fondo uguali tutte le religioni? Nella situazione culturale che viviamo, in cui la questione della verità viene spesso dimenticata o forse anche negata, il ruolo unico di Cristo e della Chiesa è un punto fondamentale della nostra fede che va affermato anche nel nostro mondo in cui, senza dubbio, siamo chiamati a collaborare con seguaci di altre religioni, dialogare con essi, e mostrare il massimo rispetto per le loro tradizioni in cui volentieri riconosciamo dei valori.

Parlare di unicità di Cristo o della Chiesa vuol dire, nel nostro contesto, attribuirgli un ruolo unico nella salvezza del mondo intero. Unicità significa anche universalità. Evidentemente l’unicità di Cristo e della Chiesa non si collocano allo stesso livello; in primo luogo perché la significazione di quest’ultima dipende assolutamente da quella di Gesù e solo in relazione a questi possiamo attribuirle un posto unico. Per chiarezza dunque parleremo in primo luogo della dimensione cristologica del problema di cui ci stiamo occupando, per poi fare alla fine qualche riflessione ecclesiologica, con una breve menzione ad alcuni problemi particolari[1].

Unica mediazione di Cristo nella creazione e nella salvezza

Secondo il Nuovo Testamento Cristo ha un ruolo unico in relazione a tutto quanto esiste. Si arriva a questa conclusione perché Gesù appare come centro e fondamento dell’economia della salvezza; ma questa, secondo la convinzione dei cristiani dei primi tempi della Chiesa, ha ripercussioni in tutta la storia, da essa riceve l’ultimo senso, tutto ciò che esiste, che viene da Cristo e cammina verso di Lui. L’inno della lettera ai Colossesi abbraccia in un solo sguardo tutto l’arco della storia, dalla creazione alla risurrezione finale, che ha come punto focale Gesù Cristo morto e risorto, l’unico Signore e salvatore (cf. Col 1,13-20).

È dunque il disegno del Padre e la sua volontà di salvezza universale il punto di riferimento essenziale per parlare del ruolo centrale e del carattere unico di Gesù Cristo. Un ruolo unico che inizia con la creazione, realizzata per mezzo di Cristo e in lui, e che trova nello stesso Cristo la finalità ultima. Nulla sfugge a questo primato cristologico. L’idea della mediazione di Cristo nella creazione si trova, come è ben noto, in altri testi neotestamentari (cf. 1 Cor 8,6; Eb 1,1; Gv 1,3.10); sono invece proprie di questo inno le aggiunte “in lui” e “in vista di lui”. C’è un evidente parallelismo fra la mediazione creatrice e quella salvifica della quale si parla alla fine di questo stesso brano. Ugualmente la finalità della creazione trova una precisa corrispondenza con la finalità della riconciliazione che il Padre realizza “eis auton”. Questa riconciliazione di tutto mediante Cristo e verso Cristo dà alla creazione il suo senso definitivo. Infatti, i versetti 15-17, che trattano della creazione, si trovano inseriti in un contesto soteriologico. Soteriologica è l’introduzione all’inno, come soteriologico è il suo finale. La creazione, pur mantenendo il proprio senso e la propria consistenza, rimane de facto inserita in un ambito che la sorpassa. Tutto quanto fa Dio trova nel mistero di Cristo il suo senso definitivo: Cristo, che è allo stesso tempo l’Eterno e l’Incarnato morto e risorto, Dio e uomo. Tutto punta verso la salvezza che trova nella sua opera la definitiva realizzazione, una salvezza già preparata dalla creazione che il Padre ha realizzato mediante il Figlio che si farà uomo alla pienezza dei tempi.

Abbiamo già fatto riferimento alle affermazioni sulla mediazione creatrice del Verbo nel prologo del quarto vangelo. Dobbiamo anche tener presente le parole del primo versetto del vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo”. Fin dai tempi antichi ci si rese conto che con queste espressioni si alludeva a Gn 1,1: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Un’allusione che approfondisce la nozione del “principio”: Non si tratta del primo istante del tempo ma del principio trascendente della creazione stessa, il Verbo che da sempre esiste presso Dio ed è Dio. Egli è la “Parola” che nel primo capitolo della Genesi è intravista da lontano quando si ripete: “Dio disse” (Gn 1,3.6.9…). Nella sua prima omelia sul libro della Genesi Origene notò questa coincidenza:

In principio fece Dio il cielo e la terra (Gn 1,1). E quale è questo principio se non nostro Signore e Salvatore di tutti (1 Tm 4,10), Gesù Cristo, primogenito di ogni creatura (Col 1,15). In questo principio, cioè, nel suo Verbo, Dio fece il cielo e la terra […]. Non parla dunque di un qualsiasi principio temporale, ma dice che in principio, cioè, nel Salvatore furono fatti i cieli e la terra e tutte le cose che furono create.

La relazione fra la creazione e la salvezza diventa molto esplicita in questo testo in quanto si applica a Gesù, “principio”, il titolo di Salvatore. In quanto tale egli è il principio della creazione. Diventa dunque chiaro che la funzione cosmica di Gesù Cristo, la sua mediazione nella creazione, trova il significato più profondo nella sua mediazione unica della vita divina agli uomini e a essa va orientata. Il primato di Cristo unifica, nell’eterno disegno di Dio, l’inizio e la fine.

Sia l’ordine della prima creazione sia quello della resurrezione finale poggiano su Gesù Cristo, due volte primogenito, nella creazione e nella risurrezione dei morti (cf. Col 1,15.18; cf. anche Rom 8,29; Ap 1,5).

L’idea della ricapitolazione di tutto in Cristo si trova nell’inno della lettera agli Efesini (cf. Ef 1,3-14), parallelo in molti aspetti a quello di Colossesi al quale ci siamo già riferiti. Prima della creazione eravamo già scelti e predestinati a essere figli adottivi in Cristo, eravamo già benedetti in Cristo. In quest’ambito della benedizione paterna e della salvezza in Cristo si colloca l’opera della creazione. Questa non ha in se stessa il suo senso definitivo, ma cammina verso la riconduzione di tutte le cose a Cristo come unico capo. Non in vano Gesù è “erede di tutte le cose e mediante il quale [Dio] ha fatto anche il mondo (tous aiônas)” (Eb 1,2; cf. Rm 8,16). Con la sua risurrezione Gesù è stato costituito Signore (cf. At 9,36; Flp 2,11). Già con la risurrezione Dio ha sottomesso tutto a Cristo (cf. Ef 1,19-22) , ciò che accadrà alla fine dei tempi ha già consistenza in lui, anche se questo dominio non si è manifestato ancora in pienezza:

È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi (Sal 110,1). L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi (Sal 8,7). Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,25-28).

La sottomissione di tutto a Dio per opera di Cristo al quale tutte le cose sono state già sottomesse, significa l’adempimento pieno del disegno salvifico di Dio. La perfetta sottomissione a Cristo significa anzitutto che tutti gli uomini salvati partecipano della sua vita divina, sono uno con lui, formano il corpo del quale solo Gesù è il Capo. Tutti quelli che regneranno con Cristo formano il Regno che egli consegnerà al Padre per poter regnare insieme con lui. La ricapitolazione, la primogenitura fra i morti, la consegna del Regno al Padre, sono aspetti diversi della “pienezza dei tempi”, del secondo avvento del Signore in potenza e maestà. Il mediatore della creazione è quello che la porterà al suo destino finale. Nel centro si colloca il mistero della croce, che si trova prefigurata fin dall’inizio nell’intero cosmo. Afferma Ireneo di Lione:

Il vero autore del mondo è il Logos di Dio. E questi è il Signore nostro che si fece uomo nei tempi ultimi; è nel mondo perché conteneva invisibilmente tutte le cose create ed era crocifisso nella creazione intera come Verbo di Dio che tutto governa e dispone. E per questo è venuto invisibilmente a casa sua (cf. Gv 1,10-11) e si è fatto carne (cf. Gv 1,14) ed è stato appeso nel legno (cf. Dt 21,22-23) per ricapitolare in sé tutte le cose[2].

Il vero autore del mondo è il Logos, abbiamo ascoltato. L’affermazione ha un senso molto preciso. Di fronte alle dottrine gnostiche e marcionite, incapaci di collegare la creazione e la salvezza, Ireneo e gli autori ecclesiastici insisteranno sul fatto che uno solo e lo stesso è il Dio della creazione e della salvezza, il Dio giusto e il Dio buono. C’è infatti un solo Dio (cf. 1 Cor 8,6), che dal nulla ha dato vita a tutte le cose, tutte le ha costituite e perfezionate[3].

Nella morte in croce di Gesù, che non aveva conosciuto il peccato, Dio ha riconciliato a sé il mondo (cf. 2 Cor 5,19). In Gesù morto e risorto c’è la salvezza di tutti gli uomini secondo la convinzione del Nuovo Testamento. Egli è il vero agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1,29), ha dato la vita in riscatto per molti (cf. Mc 10,44) e per la salvezza del mondo è stato anche versato il suo sangue: “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati col suo sangue…” (Ap 1,5; 5,9). Non c’è salvezza se non in Cristo, “non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,14). Dio ha inviato il suo Figlio nel mondo perché questo si salvi per mezzo di lui (cf. Gv 3,16).

L’unicità e l’esclusività della mediazione di Cristo sono state esplicitate nel Nuovo Testamento in molteplici occasioni; forse la più chiara la troviamo in 1 Tm 2,3-6: “…Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (cf. anche 4,10; Eb 8,6; 9,15; 12,24). L’azione salvifica di Cristo nella sua morte e risurrezione, realizzata una volta per tutte, ha valore in eterno (cf. Eb 7,27; 9,12; 10,10). Con essa cambia il corso della storia. La tradizione cristiana non ha mai preso in considerazione la possibilità di una figura salvifica che si potesse collocare allo stesso livello di Cristo e potesse oscurare la sua mediazione unica e universale. In questa stessa scia il magistero recente, in formule molto sfumate, ci ha parlato di “mediazioni partecipate”, che hanno soltanto il loro senso all’interno della mediazione unica di Gesù Cristo e che non possono essere mai considerate in concorrenza con essa[4]. Si afferma così d’una parte il ruolo unico di Cristo, e dall’altra che il suo influsso salvifico può arrivare a tutti per diverse vie.

Il ruolo centrale di Cristo si fonda sull’evento dell’incarnazione, evento unico e irrepetibile, nel quale Dio si inserisce nella nostra storia. D’una parte il Figlio di Dio condivide la nostra condizione e vive e muore come uno di noi, d’altra parte però introduce nella storia umana un elemento trascendente; la storia di Gesù è la storia di Dio in mezzo a noi, e questo fatto dà un senso unitario a un percorso di singoli eventi che in se stesso sarebbe ambiguo e aperto sempre a nuovi sviluppi. Con lo sguardo nell’incarnazione e in tutta la vita possiamo considerare la storia come finalizzata all’adempimento che è già realtà nel Cristo risorto e del quale abbiamo già la primizia e la caparra. Il Concilio Vaticano II ha riassunto diversi temi della Scrittura e della tradizione in un significativo testo:

Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, perfetto uomo, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, “il punto focale dei desideri della storia e della civiltà”, il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni (cf. Paolo VI, allocuzione del 3 febbraio 1965). Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: “Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10) (GS 45).

Cristo è il centro del disegno divino poiché questo disegno è salvifico ed egli è la salvezza per tutti gli uomini. Egli è il Salvatore, e questo è il senso del nome di Gesù (cf. Mt 1,21), il nome che corrisponde al Figlio di Dio in quanto uomo. Dal punto di vista cristiano non ha senso parlare di una mediazione salvifica universale soltanto del Figlio eterno, “in quanto tale”, senza prendere in considerazione la sua incarnazione. “Caro salutis est cardo”, diceva già Tertulliano[5]. E Ireneo di Lione si esprimeva in questi termini:

E la conoscenza della salvezza era la conoscenza del Figlio di Dio che veramente è ed è chiamato la salvezza (salus), il Salvatore (Salvator) e colui che salva (salutare) […] È Salvatore perché è il Figlio e il Verbo di Dio; porta la salvezza perché è Spirito […] È la salvezza (salus) perché è carne[6].

Anche S. Agostino ha sottolineato il significato decisivo dell’umanità di Cristo per la sua azione salvifica[7].

Eliminare lo “scandalo” del Dio che assume la debolezza della carne umana è stata una tentazione tanto forte come quella di eliminare lo “scandalo” della passione e della morte. Infatti il primo è il presupposto del secondo[8]. Dai docetismi antichi si è passato nei tempi recenti all’ipotesi di un’azione salvifica universale del Figlio al margine o “aldilà” della sua incarnazione. Questa avrebbe dato luogo ad un’economia limitata a coloro che hanno conosciuto Gesù, e potrebbe e dovrebbe essere completata con altre economie, di più largo raggio anche se di inferiore “intensità”, aventi come punto di riferimento il Figlio eterno[9]. Come, ci si domanda, potrebbe un uomo, necessariamente limitato, abbracciare la totalità di Dio e rivelarlo in tutta la sua grandezza? Non è anche l’umanità di Gesù limitata, pur essendo l’umanità del Figlio? Non sarebbe più coerente riconoscere che ad una meta così alta non ci si può arrivare per un solo cammino?[10] Sono tentativi che cercano di ovviare uno dei punti nucleari della fede cristiana, che d’altra parte significa la speranza per tutta l’umanità. Il Figlio di Dio ha assunto l’umanità nella sua persona, nella sua umanità ha sofferto ed è morto per noi e in essa è risorto per dare a tutti la possibilità di entrare nella vita di Dio.

Vale sempre la pena ricordare il testo ben conosciuto del Sinodo di Quiercy dell’anno 853: “Come non c’è, non c’è stato e non ci sarà un uomo la cui natura non sia stata assunta in lui, così non c’è, non c’è stato né ci sarà un uomo per il quale Gesù Cristo non abbia sofferto” (DH 624). Il Sinodo ha ripreso l’antico insegnamento patristico dell’unione di Cristo con tutta l’umanità, fondamentale per capire l’efficacia salvifica universale della sua morte e risurrezione. Il Concilio Vaticano II si è fatto eco di questo insegnamento: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noir fuorché nel peccato” (GS 22).

Gesù Cristo, il Figlio incarnato, è il centro del disegno salvifico del Padre. Un disegno concepito fin dall’eternità, prima della creazione, e realizzato fin dal primo istante con la mediazione del Figlio che si doveva incarnare. La mediazione nella creazione e la mediazione nella salvezza, pur con le necessarie distinzioni, si trovano in intima relazione, perché di fatto non c’è stata un’altra creazione se non quella che doveva trovare in Cristo la sua pienezza. Sia H.U. von Balthasar che K. Rahner hanno parlato della creazione come “grammatica” dell’incarnazione[11], la grammatica cioè che Dio liberamente stabilisce per potersi esprimere, in un modo ancora infinitamente più libero, nella sua Parola sussistente in eterno e diventata uomo per noi.

Cristo unico centro della storia e il mistero trinitario

A. Il riferimento al Padre

Il ruolo centrale di Cristo nella storia della salvezza non può considerarsi indipendentemente dal mistero del Dio uno e trino che egli, nella sua vita, morte e risurrezione ci ha rivelato. Nell’esposizione precedente abbiamo parlato spesso del Padre, perché egli è il principio e l’origine del disegno di creazione e di salvezza. Gesù, in tutta la sua vita si sa riferito al Padre; specialmente il vangelo di Giovanni ne parla in ogni sua pagina: da Dio Padre è venuto e verso di lui torna (cf. Gv 13,3; 14,12); egli è il Figlio amato (cf. Mc 1,11par; 9,7par; Gv 15,6; 17,23-24.26; Col 1,13, etc.) che corrisponde a questo amore (cf. Gv 14,30); è venuto nel modo per fare la volontà del Padre che è nei cieli, questo è il suo “cibo” (cf. Gv 4,34; 6,38-39). Gesù, in quanto centro del disegno del Padre, ci rimanda a quest’ultimo. Fondati in queste o altre simili considerazioni , giuste di per sé, si è sviluppato in certi ambienti, il cosiddetto “teocentrismo” nell’ambito della teologia delle religioni: solo Dio si trova al centro, nessuna figura storica di mediazione può rivendicare per sé l’esclusività. Le diverse religioni sarebbero in questo modo complementari, ci farebbero conoscere aspetti diversi e sempre inadeguati del Dio misterioso che sta sempre al di là di ogni umana rappresentazione[12]. La tradizione teologica dell’apofatismo darebbe ragione a questo approccio, che garantirebbe l’assoluto rispetto per la trascendenza di Dio.

In relazione con il “teocentrismo” così concepito si potrebbe considerare il cosiddetto “regnocentrismo” che è stato anche propugnato. Gesù ha predicato il Regno di Dio, in questa ricerca della presenza di Dio nella storia possono confluire tutti i popoli, tutte le religioni e tutte le culture. Il Regno sarebbe in questo senso una realtà verso la quale tutti potrebbero confluire. Al servizio di questo regno ha vissuto Gesù, come anche può impegnarsi la Chiesa evitando ogni particolarismo[13].

Cosa dire di questi tentativi? C’è indubbiamente un teocentrismo cristiano che è, semplicemente, quello di Gesù (cf. Mt 11,25-27; Lc 10,21-22; Mc 14,36par; Gv 4,34, ecc). Come Gesù vive in ogni istante riferito al Padre, vuole che i suoi discepoli abbiano lo stesso atteggiamento (cf. Mt 5,44-48; Lc 10,21-22). Far conoscere il Padre è come il riassunto di tutta l’opera di Gesù: “Questa è la più grande opera del Figlio, farci conoscere il Padre”[14]. Dio Padre è il punto focale della vita di Gesù e conseguentemente è anche il nostro, ma possiamo arrivare a lui soltanto con la mediazione di Gesù, il Figlio unigenito. L’unicità di Dio e l’unicità del mediatore Cristo Gesù si trovano collegate nel Nuovo Testamento e rimandano l’una all’altra (cf. 1 Tm 2,5).

È un dato d’importanza somma che il punto di riferimento di Gesù sia il “Padre”. Gesù non ci rimanda a un Dio sconosciuto (agnostos Theos; cf. At 17,23), ma al Padre che Egli conosce e che ci vuole rivelare (cf. Mt 11,25-26; Lc 10,20-21). Il Padre e il Figlio sono inseparabili: “Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre” (1Gv 2,23). Insegna il Concilio IX di Toledo che quando nominiamo il Padre o il Figlio, l’altro, se non è nominato, è insinuato (cf. DH 532). Risulta dunque chiaro che fra il teocentrismo, il Padre come principio e meta di tutto, e il cristocentrismo che insiste nell’unica mediazione di Gesù non solo non c’è opposizione, ma si richiamano l’un l’altro. Se Gesù ci rimanda a Dio Padre, anche questi ci rimanda a Gesù: “Questi è il mio Figlio, l’amato. Ascoltatelo”.

Alla fine dei tempi Gesù consegnerà il Regno al Padre, perché quest’ultimo ha sottomesso a lui tutte le cose (cf. 1 Cor 15,24-28). Anche da questo punto di vista la mediazione di Gesù è essenziale. Fra Gesù e il Regno c’è una relazione intima, che arriva ad una quasi identificazione. Origene parlava dell’autobasileia[15] e l’identificazione del Regno con Gesù si trova anche nella tradizione latina[16]. Afferma S. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio: “Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazaret”[17]. Il Regno di Dio non può essere pretesto per oscurare la mediazione unica di Gesù. Le ultime parole degli Atti degli Apostoli sono molto eloquenti: “Paolo trascorse due anni interi […] annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù” (At 28,30-31). D’altra parte pensare Gesù come centro e culmine della storia non significa togliere al Padre alcun protagonismo. Anzi, ci permette di contemplare tutta la vita e l’opera di Cristo come la sua glorificazione, che a sua volta porterà con sé la glorificazione di Gesù: “Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo prima che il mondo fosse” (Gv 17,4-5). Il Padre e il Figlio, non essendo mai l’uno senza l’altro, non possono essere considerati se non nel loro mutuo rapporto.

B. Il ruolo centrale di Cristo e l’azione dello Spirito

Il Padre e il Figlio si trovano uniti nello Spirito Santo, amore dei due, “caritas procedens”[18], “amor unitivus”[19]. Il Figlio di Dio ha assunto l’umanità nella sua persona, l’ha fatta sua, l’ha unita secondo l’ipostasi. Il rapporto paterno filiale nello Spirito Santo è ormai con il Figlio incarnato: “Il rapporto del Padre al Figlio incarnato nella consumazione del dono dello Spirito è la stessa relazione costitutiva della Trinità”[20]. L’affermazione cristologica dell’assunzione dell’umanità secondo l’ipostasi da parte del Figlio, ha delle conseguenze per la pneumatologia. La missione dello Spirito Santo si trova collegata nel Nuovo Testamento al mistero della morte e risurrezione di Gesù: “Non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato” (Gv 7,39): “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire” (At 2,32-33). Niente fa pensare alla possibilità di una azione salvifica dello Spirito riferita unicamente a una missione da parte del Padre o del Figlio eterno senza relazione con l’incarnazione e il mistero pasquale. Lo Spirito Santo effuso nella Pentecoste è, inseparabilmente, lo Spiritus Dei et Christi (cf. Rm 8,9).

Malgrado questi e altri simili dati della Scrittura si è ipotizzata un’economia dello Spirito più larga o più universale di quella di Gesù[21], con base nelle affermazioni sull’universalità dell’azione dello Spirito: “Lo spirito del Signore riempie la terra” (Sap 1,7). Nel quarto vangelo Gesù compara lo Spirito Santo al vento che soffia dove vuole senza che noi possiamo sapere da dove venga o dove vada (cf. Gv 3,8). Sorge allora la domanda: non si fa lo Spirito troppo “dipendente” da Cristo o troppo “subordinato” a lui se la sua azione si considera in collegamento con quella di Gesù o in funzione di essa?

In realtà il dono e l’azione dello Spirito devono essere contemplati nell’ambito della mediazione universale di Gesù e in collegamento con essa; Gesù, dopo la sua risurrezione, “accese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose” (Ef 4,10). L’universalità dell’opera di Cristo corrisponde al disegno del Padre, che non fa niente senza il suo Figlio e lo Spirito Santo. Il collegamento fra Gesù e lo Spirito incomincia nel primo istante della sua incarnazione (cf. Mt 1,18.20; Lc 1,35). Nei vangeli sinottici si dice che lo Spirito scende su Gesù nel momento del battesimo nel Giordano (cf. Mc 1,9-11par). Il vangelo di Giovanni aggiunge ancora che, secondo la testimonianza del Battista, lo Spirito rimase su Gesù (cf. Gv 1,32-34). Alcuni passi lucani fanno riferimento al battesimo nel Giordano come “unzione” di Gesù (cf. Lc 4,18; At 10,38).L’azione dello Spirito su Gesù in diversi momenti della sua vita si trova sottolineata nei vangeli sinottici (cf. Mc 1,12par; Lc 4,14; 10,21; Mt 12,18.28). In virtù di uno Spirito eterno Gesù si offre al Padre nella sua passione (cf. Eb 9,14), ed è stato costituito Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti (cf. Rm 1,4). Gesù risorto dà lo Spirito ai suoi discepoli la sera stessa della Pasqua (cf. Gv 20,22). È appunto questa risurrezione e glorificazione del Signore che rende possibile il dono dello Spirito. A causa di questo intrinseco vincolo fra la Pasqua e la salita al Padre di Gesù (cf. anche Gv 14,16.26; 15,26; 16,7) lo Spirito Santo può essere chiamato Spirito di Gesù, di Cristo, di Gesù Cristo… (cf. At 16,7; Rm 8,9; Gal 4,6; Fil 1,19…). Gesù stesso, pieno di Spirito nella sua risurrezione, è diventato “Spirito che dà la vita” (1 Cor 15,45). Anche lo Spirito dei profeti veterotestamentari è lo Spirito di Gesù (cf. 1 Pt 1,11).

La teologia patristica ha insistito su questo collegamento. Per s. Ireneo lo Spirito Santo è la “comunicazione di Cristo che si trova nella Chiesa”[22]. Lo stesso vescovo di Lione sottolinea che lo Spirito rinnova gli uomini “a partire dalla vecchiaia per la novità di Cristo”[23]. E indica ancora che la nostra salvezza viene dalla sovrabbondanza dell’unzione che Cristo ha ricevuto: “ut de abundantia unctionis eius nos percipientes salvaremur[24]. La Dichiarazione Dominus Iesus afferma: “Nel Nuovo Testamento il mistero di Gesù, Verbo incarnato, costituisce il luogo della presenza dello Spirito Santo e il principio della sua effusione all’umanità, non solo nei tempi messianici (cf. At 2,32-36; Gv 7,39; 20,22; 1 Cor 15,45), ma anche in quelli antecedenti alla sua venuta nella storia (cf. 1 Cor 10,4; 1 Pt 1,10-12)”[25].

L’universalità del dono dello Spirito si trova in collegamento con il dominio di Cristo risorto su tutto e il fatto che egli riempie l’universo. Se è vero che nella tradizione si è insistito soprattutto nella presenza dello Spirito nella Chiesa, troviamo anche testi che indubbiamente allargano gli orizzonti. D’altronde, già negli Atti degli Apostoli troviamo l’episodio di Cornelio in cui la presenza dello Spirito prepara all’azione evangelizzatrice fra i pagani (cf. At 10,19). Perciò, quando si parla, anche nei documenti ufficiali della Chiesa, di un’azione universale dello Spirito, non si fa altro che tener presente il ruolo centrale di Cristo salvatore in tutta la storia degli uomini. In questo ambito, e non al margine di esso, si colloca l’azione dello Spirito che non conosce frontiere. Lo Spirito è nel mondo perché ha riposato su Gesù ed egli ce l’ha dato da parte del Padre. È la salvezza che Cristo ci porta e non un’altra quella che, con l’azione dello Spirito Santo, può raggiungere tutti gli uomini di ogni credo e di ogni nazione. Lo Spirito Santo, ci insegna il Concilio Vaticano II, dà a tutti gli uomini la possibilità di essere associati al mistero pasquale[26]. Lo Spirito attua “l’influsso salvifico del Figlio fatto uomo nella vita di tutti gli uomini, chiamati da Dio ad un’unica meta sia che abbiano preceduto storicamente il Verbo fatto uomo, sia che vivano dopo la sua venuta nella storia: di tutti loro è animatore lo Spirito del Padre, che il Figlio dell’uomo dona liberamente (cf. Gv 3,34)”[27].

Il dono dello Spirito e la sua effusione su tutti gli uomini non si colloca al di fuori o al margine della mediazione universale di Gesù e del suo ruolo centrale per la salvezza di tutti. Piuttosto ne è la manifestazione. Se lo Spirito può arrivare ovunque questo vuol dire che ovunque può arrivare l’influsso salvifico di Gesù che ne ha fatto dono alla Chiesa e al mondo. Lo Spirito Santo non è alternativo a Cristo né si fa presente nei luoghi che questi non potrebbe raggiungere[28].

Cristo e la Chiesa

La Chiesa è d’una parte il corpo di Cristo, dall’altra è la sposa di Cristo. Questo vuol dire che d’una parte Cristo e la Chiesa non possono separarsi, dall’altra che non possono confondersi. Si dà distinzione ma non separazione. Perciò quanto si è detto della mediazione unica di Cristo trova una corrispondenza analoga, non univoca, nella Chiesa. La mediazione di quest’ultima non può separarsi da quella di Cristo né viceversa, deriva da essa, ma non può confondersi con essa. Cristo, unico mediatore, è il salvatore di tutti. La mediazione della Chiesa, sempre in relazione a quella di Cristo, è più difficile da precisare. S. Giovanni Paolo II indica: “Per essi [coloro che non hanno la possibilità di conoscere il vangelo] la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale”[29]. Anche per essi “la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo sacramento (veluti sacramentum) ossia segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1).

Qui si apre un campo di studio e di ricerca davanti a noi: “Circa il modo in cui la grazia salvifica di Dio, che è sempre donata per mezzo di Cristo nello Spirito ed ha un misterioso rapporto con la Chiesa arriva ai singoli non cristiani, il Concilio Vaticano II si limitò ad affermare che Dio la dona «attraverso vie a lui note» (AG 7). La teologia sta cercando di approfondire questo argomento. Tale lavoro teologico va incoraggiato […] Tuttavia […] è chiaro che sarebbe contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via (una ex viis) di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, anzi sostanzialmente equivalenti ad essa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico”[30]. Come non può essere indifferente per nessuno in ordine alla salvezza la fede in Gesù Cristo, anche per nessuno può essere indifferente l’appartenenza alla Chiesa. Soltanto essa, nel suo legame con Cristo è “germe, segno e strumento” del Regno, indissolubilmente unita a esso come lo è a Cristo[31].

Cristo pienezza della rivelazione e ispirazione della Scrittura

La pienezza della rivelazione in Gesù Cristo è anche uno dei punti che sono stato oggetto di discussione e lo sono tutt’ora. La questione è in intimo rapporto con quanto abbiamo detto sull’azione dello Spirito in relazione a Cristo e alla Chiesa. “Deve essere fermamente creduta l’affermazione che nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), si dà la rivelazione in pienezza della verità divina”[32]. Questa verità è ampiamente attestata nel Nuovo Testamento (cf. Mt 11,27; Lc 10,20-21; Gv 1,18; Eb 1,1…). A questa pienezza di conoscenza ci porta lo Spirito Santo, che annuncerà ciò che ha udito da Gesù (cf. Gv 16,13-15). Il Concilio Vaticano II indica che Gesù con tutta la sua vita, compie, completa e conferma la rivelazione (revelationem complendo perficit ac testimonio divino confirmat)[33]. In Cristo Dio ci ha rivelato chi è, si è fatto conoscere dagli uomini nel modo più pieno. “Questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria”[34]. Non avrebbe dunque senso parlare di rivelazioni complementari[35], anche se il dialogo interreligioso può aiutare a scoprire i raggi della verità e i semi del Verbo che si trovano nelle tradizioni religiose dell’umanità e dunque a approfondire la propria identità[36].

In relazione con la pienezza della rivelazione in Cristo si deve considerare l’ipotesi del valore ispirato dei libri sacri di altre religioni. Anche se in essi si possono trovare raggi della verità che illumina tutti gli uomini, soltanto i libri canonici dell’Antico e del Nuovo Testamento sono considerati dalla Chiesa ispirati dallo Spirito Santo. “I libri sacri di altre religioni, che di fatto alimentano e guidano l’esistenza dei loro seguaci, ricevono dal mistero di Cristo quelli elementi di bontà e di grazia in essi presenti”[37].

Conclusione

Il ruolo centrale di Cristo nella storia e specialmente nella storia della salvezza, che dà alla storia intera il suo senso definitivo è stato riconosciuto fin dai primi tempi della Chiesa. Gesù è il Logos, unico mediatore nella creazione, nel quale tutto sussiste, verso il quale tutto cammina e nel quale tutto deve essere ricapitolato. Ma egli è il centro di tutto in quanto è il Figlio incarnato e in quanto è il Cristo, colui cioè che ha ricevuto l’unzione dello Spirito Santo e lo comunica agli uomini suoi fratelli. Egli è il Figlio, l’inviato del Padre, che compie la sua volontà, che ce lo fa conoscere e ci porta verso di Lui. La nostra pienezza consiste nella partecipazione alla filiazione divina di Cristo, alla configurazione con lui, il primogenito che ci porta al Padre. Se d’una parte la vita e l’opera di Gesù non si possono capire senza il riferimento al Padre, dall’altra Gesù porta a termine la sua opera di salvezza nello Spirito Santo, che ha guidato il suo cammino storico verso il Padre, e che effonde sulla sua Chiesa e sugli uomini perché essi possano diventare figli nel Figlio. Il ruolo centrale di Cristo non si comprende dunque senza un riferimento trinitario. Non si può mai “isolare” Cristo dal Padre e dallo Spirito. Le tre persone della Trinità sono inseparabili e operano pertanto inseparabilmente[38], afferma un principio classico della teologia, anche se si deve aggiungere che ciascuna delle persone agisce secondo la sua irrepetibile proprietà[39]. Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è soltanto nella sua relazione al Padre e allo Spirito Santo e perciò non si può considerare la sua opera senza tener presenti le altre due persone. Cristo stesso, nel suo ruolo centrale nella storia, ci rimanda al Padre che ha deciso di creare gli uomini ed elevarli alla vita divina, ha inviato Gesù nel mondo e gli ha dato ogni potere nel cielo e sulla terra (cf. Mt 28,18). Cristocentrismo e teocentrismo non costituiscono dunque una vera alternativa. E allo stesso tempo l’unicità della mediazione di Cristo non si può capire senza l’effusione dello Spirito nel quale, sempre mediante lo stesso Cristo, gli uomini hanno accesso al Padre (cf Ef 2,28). Soltanto alla luce del mistero trinitario riceve il suo senso la mediazione universale di Gesù. L’unica mediazione di Cristo manifesta e non nasconde che il mistero di Dio uno e trino è il centro della fede e della vita dei cristiani.


[1] Negli ultimi tempi il magistero si è occupato di questi problemi. Menzioniamo specialmente l’Enciclica Redemptoris Missio di S. Giovanni Paolo II (1990) e la Dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede (2000). La Commissione Teologica Internazionale si occupò anche della questione nel suo documento Il cristianesimo e le religioni (1996).

[2] S. Ireneo, Adv. Haer V 18,3.

[3] Ib. IV 20,2: “Primo omnium crede quoniam unus est Deus, qui omnia constituit et consummavit et fecit ex eo quod non erat ut essent omnia”.

[4] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus 14 che a sua volta rimanda alla Cost. dogm. Lumen gentium, n. 62, del Concilio Vaticano II, e all’Enciclica Redemptoris Missio, n. 5 di S. Giovanni Paolo II.

[5] De res. mort. VIII 2.

[6] Adv. Haer. III 10,3. Anche S. Ilario di Poitiers, In Mt. 4,4: “Così la sua corporalità e la sua passione sono la volontà di Dio e la salvezza del mondo”.

[7] Cf. De civ. Dei IX 15.

[8] Tertulliano, de carne Christi V 1-8: “Cos’è più indigna di Dio o di che cosa si deve vergognare di più, di nascere o di morire, di portare la carne o di portare la croce, di essere circonciso o di essere crocifisso, di essere messo in una culla o di essere messo in un sepolcro […] Non toccate l’unica speranza del mondo intero. Perché distruggere la necessaria vergogna della fede? Quel che a Dio non conviene, a me conviene: sono salvo se non sarò confuso a causa del mio Signore […] È stato crocifisso il Figlio di Dio: non mi vergogno perché c’è da vergognarsi. È morto il Figlio di Dio: è credibile perché da non credersi […] Ma tale cose come potranno essere vere in Cristo se Cristo stesso non è stato vero, se non ha avuto veramente in sé quello che avrebbe potuto essere appeso alla croce, morto, sepolto e risorto […]. E così l’origine della sua duplice sostanza ce lo mostra uomo e Dio, nato e non nato, carnale e spirituale, debole e fortissimo, morente e vivente […] Perché dimezzi Cristo con la menzogna? Tutto intero fu verità”.

[9] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, nn. 9-11.

[10] Relatio Symmachi praefecti urbis Romae (anno 384) 10 (CSEL 83/3,27): “Aequum est quicquid omnes colunt unum putari. Eadem spectamus astra, commune caelum est, idem nos mundus involvit; quid interest qua quisque prudentia verum requirat. Uno itinere non potest perveniri ad tam grande mysterium”.

[11] Cf. H.U. von Balthasar, Theologik II. Wahrheit Gottes, Einsiedeln 1985, 73.76; K. Rahner, Grundkurs des Glaubens. Einführung in den Begriff des Christentums, Freiburg-Basel-Wien 1976, 220-225.

[12] Botschaft des emeritierten Papstes Benedikt XVI. an die Päpstliche Universität Urbaniana anlässlich der Eröffnung der restaurierten Aula Magna (ottobre 2014): “Die Frage nach der Wahrheit, die die Christen ursprünglich vor allem bewegt hatte, wird hier ausgeklammert. Man setzt voraus, dass die eigentliche Wahrheit über Gott letztlich unerreichbar sei und dass nur in verschiedenen Symbolen allenfalls das Unaussprechliche vergegenwärtigt werden könne”.

[13] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 19; S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris Missio.

[14] S. Ilario di Poitiers, Trin. III 22: “Hoc maximum opus Filli fuit, ut Patrem cognosceremus […] Summa dispensationis est Filio, ut noveris Patrem”.

[15] Com. Mt 14,7.

[16] S. Cipriano, de dom. orat. 13; S. Ilario di Poitiers, In Mt. 12,17.

[17] Enc. Redemptoris Missio, n. 18.

[18] S. Agostino, Trin. XV 6,10.

[19] S. Tommaso d’Aquino, STh I 36,4.

[20] Commissione Teologica Internazionale, o.c., 201.

[21] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 12.

[22] Adv. Haer. III 24,1: “deposita est [in Ecclesia] communicatio Christi, id est Spiritus Sanctus”. Cf. anche Origene, Princ. I 3,7.

[23] Adv. Haer. III 17,1.

[24] Ib. III 9,3.

[25] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 12.

[26] Cf. Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.

[27] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 12.

[28] S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, n. 29: “Questo Spirito è lo stesso che ha operato nell’incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù e opera nella Chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Logos. Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per l’azione dello Spirito, «per operare lui, uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale» (Gaudium et spes, n. 45)”.

[29] Enc. Redemptoris missio, n. 10; cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 20.

[30] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 21.

[31] Cf. S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, n. 18; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 18.

[32] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 5.

[33] Cf. Cost. dogm. Dei Verbum, n. 5.

[34] S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, n. 5.

[35] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 6: “…la verità su Dio non potrebbe essere colta e manifestata nella sua globalità e completezza da nessuna religione storica, quindi neppure dal cristianesimo e nemmeno da Gesù Cristo […] Le parole, le opere e l’intero evento storico di Gesù Cristo, pur essendo limitate in quanto realtà umane, tuttavia, hanno come soggetto la persona divina del Verbo incarnato, «vero Dio e vero uomo», e perciò portano in sé la definitività e la completezza della rivelazione delle vie salvifiche di Dio, anche se la profondità del mistero divino in se stesso rimane trascendente e inesauribile”.

[36] Cf. S. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris missio, n. 56.

[37] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus, n. 8. Cf. tutto il paragrafo.

[38] Agostino, Trin. I 4,7: “Pater, filius et spiritus sanctus, sicut inseparabiles sunt, ita inseparabiliter operentur”; anche il Concilio XI di Toledo (DH 531): “Inseparabiles enim inveniuntur et in eo quod sunt et in eo quod faciunt”.

[39] Come segnala il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 258: “Ogni persona divina compie l’opera comune secondo la sua personale proprietà”. Cf. tutto il paragrafo.