The Holy See
back up
Search
riga

I CENTO ANNI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA

(KLEMENS STOCK S.I.)

 

Nell’ultimo anno del suo pontificato Leone XIII fondò la Pontificia Commissione Biblica (PCB) con la lettera apostolica Vigilantiae, del 30 ottobre 1902 [1]. Questa, indicando lo scopo, i compiti e la composizione della Commissione, la presenta come “un nuovo strumento, in aiuto della nostra autorità” e, riguardo al lavoro degli esegeti cattolici, ritiene “utile che i loro studi comuni siano sostenuti e organizzati, sotto la direzione della Sede Apostolica” [2]. Per questi motivi, aggiunge il documento, “sembra opportuno istituire un Consiglio o, in altre parole, una Commissione di esperti, che si assumano il compito di curare con ogni mezzo e di far sì che la parola di Dio abbia quella ricerca scientifica richiesta dai tempi e venga studiata in profondità soprattutto dai cattolici, e sia preservata integra, non solo da qualsiasi errore, ma anche da ogni opinione sconsiderata” (n. 139). Appaiono qui i due compiti principali: favorire uno studio aggiornato e profondo della parola di Dio ed escludere qualsiasi errore.

Il Papa poi precisa la realizzazione di questi compiti. Circa la giusta impostazione del lavoro, gli esegeti “non ritengano estraneo al loro indirizzo di studio le nuove scoperte della moderna ricerca: anzi siano solleciti ad assumere senza indugio i moderni contributi nel campo dell’esegesi biblica e a divulgarli negli scritti” (n. 140). Menziona specialmente gli studi filologici e le altre discipline affini e la conoscenza delle lingue orientali. Dice esplicitamente: “Il metodo critico è senza dubbio molto utile per comprendere più a fondo il pensiero degli agiografi e, col nostro pieno consenso, deve essere portato avanti dai nostri” (n. 142). Ricorda anche che “Dio non ha affidato le Scritture al privato giudizio degli studiosi, ma, per la loro interpretazione, le ha consegnate al Magistero della Chiesa”; e trae la conclusione: “Quindi l’esatto senso della Scrittura non potrà essere in nessun modo trovato fuori dalla Chiesa” (n. 141).

Dopo aver descritto il tipo di studio che dev’essere portato avanti dalla Commissione il Papa determina in modo concreto e pratico che cosa essa debba fare; fra l’altro deve “regolare in modo onorevole e dignitoso le principali questioni che sorgono tra gli studiosi cattolici. Per arrivare ad una soluzione la Commissione a volte darà un suo parere chiarificatore, altre volte interverrà di autorità” (n. 144). Come si mostra in seguito, questa sarà l’attività più significativa della Commissione, in un primo periodo. Connettendo l’attività della Commissione con quella della stessa Santa Sede, il Papa aggiunge subito una speranza: “Come vantaggio da questo ne conseguirà anche che si potranno dare alla Sede Apostolica gli elementi per dichiarare, con maturo giudizio, quello che deve essere integralmente ritenuto, quello che ha bisogno di una ricerca più approfondita e quello che deve essere lasciato al parere dei singoli”.

Un anno dopo la fondazione, il compito di favorire gli studi biblici viene concretizzato, in quanto il Papa successivo, san Pio X, con la lettera apostolica Scripturae Sanctae (23 febbraio 1904) istituisce “i gradi accademici di licenza e dottorato in Sacra Scrittura, che dovranno essere conferiti dalla Commissione Biblica” (n. 151). Indica poi come i programmi di studio e gli esami devono essere organizzati. Questa lettera è la sua prima iniziativa in campo biblico, scritta con l’intento di dare un ulteriore stimolo alla promozione degli studi biblici.

Nella summenzionata lettera apostolica Vigilantiae, Leone XIII, dopo aver definito lo scopo e i compiti della Commissione ne determina anche la composizione: “Vogliamo che questa Commissione sia composta da alcuni cardinali di Santa Romana Chiesa, che nominiamo di autorità; ad essi intendiamo aggiungere alcuni studiosi di fama, preparati in sacra teologia e soprattutto negli studi biblici: essi avranno, come negli altri Consigli romani, il titolo e il compito di consultori” (n. 145). La Commissione ha dunque una struttura analoga a quella delle Congregazioni della Santa Sede e costituisce un organo del Magistero ecclesiastico. Questo carattere viene ribadito nel Motu Proprio Praestantia Scripturae Sacrae di Pio X (18 novembre 1907), che si rifà alla lettera Vigilantiae: “Con il presente atto dichiariamo ed espressamente decretiamo, che tutti sono tenuti in coscienza a sottomettersi alle decisioni della Pontificia Commissione Biblica, sia a quelle finora già emanate, sia a quelle che saranno emanate nel futuro, allo stesso modo che ai decreti delle Sacre Congregazioni riguardanti la dottrina approvati dal Pontefice” (n. 271). Infatti, alla fine di tutte le risposte e istruzioni della PCB si menziona sempre l’udienza in cui il Santo Padre ha approvato il documento e ne ha ordinato la pubblicazione.

I primi membri della Commissione furono i cardinali Rampolla (Segretario di Stato), Parocchi, Satolli, Segna, Vives y Tutó. Furono nominati anche 41 consultori provenienti da vari Paesi e di diverse tendenze; fra gli altri M.-J. Lagrange, F. Prat, R. Cornely, F. von Hummelauer. All’inizio si pensava di usare la Revue Biblique come organo ufficiale della Commissione; poi, dal 1909 (anno della loro fondazione), si utilizzano gli Acta Apostolicae Sedis (n. 281).

Prima di descrivere lo sviluppo delle attività della Commissione facciamo un accenno alle radici e all’ambiente in cui nacque l’iniziativa di Leone XIII. Già nella prima frase della lettera apostolica Vigilantiae il Papa rimanda alla sua enciclica Providentissimus Deus del 1893 e presenta poi la Commissione come un nuovo strumento per la promozione e l’ordinamento degli studi biblici, che egli aveva più ampiamente esposto nell’enciclica. Non c’è dubbio: la fondazione della Commissione è radicata in questa enciclica. Essa, da parte sua, è la prima enciclica nella storia della Chiesa che si occupi degli studi biblici e appartiene alle nuove iniziative che caratterizzano il pontificato di Leone XIII, mediante le quali il Papa vuole accogliere positivamente le sfide del suo tempo. Egli vive in un periodo di grandi tensioni e cambiamenti. È il primo Papa eletto in una Roma occupata dai piemontesi e diventata capitale d’Italia. Vuole rinnovare gli studi filosofici e teologici nella Chiesa e perciò indica come punto di riferimento l’opera di san Tommaso [3]. Vive in un tempo che ha un immenso interesse per la storia; apre nel 1881 l’Archivio vaticano a tutti i ricercatori. L’evento viene considerato così importante che in seguito si fondano una serie di Istituti storici nazionali a Roma. Vive nel tempo dell’industrializzazione e dei grandi problemi sociali e cerca di mostrare alcune vie per la soluzione di questi problemi nella sua enciclica Rerum novarum [4]. Mostra anche una seria comprensione per la liturgia e i riti delle Chiese orientali e apre una nuova era nei rapporti con esse. Questi sono soltanto alcuni aspetti dell’ambiente di apertura e di rinnovamento all’interno del quale viene concepita l’enciclica biblica e la fondazione della Commissione.

Prima fase della Commissione: le risposte

Lo sviluppo delle attività della Commissione può essere suddiviso in tre fasi. La prima è caratterizzata dalle famose risposte (Responsa) e comprende i pontificati di Pio X, Benedetto XV e Pio XI (1903-39). La seconda fase è dominata dall’enciclica Divino Afflante Spiritu e riguarda i pontificati di Pio XII e Giovanni XXIII (1939-63). Da Paolo VI la Commissione riceve nuovi statuti e un carattere diverso: non è più costituita da cardinali e non è più un organo del Magistero ecclesiastico, ma è composta da “studiosi di scienze bibliche, provenienti da varie scuole e nazioni” (n. 727), e diventa un organo consultivo al servizio del Magistero. Il lavoro della nuova Commissione costituisce la terza fase, da Paolo VI fino a oggi.

In un primo periodo, dal 1905 al 1915, la Commissione è particolarmente attiva e pubblica 16 testi di cui due hanno un carattere amministrativo (n. 281: l’organo ufficiale; nn. 344-382: l’ordinamento degli esami per i gradi accademici conferiti dalla PCB). Gli altri 14 riguardano problemi di esegesi. Il primo — “Sulle citazioni implicite contenute nella S. Scrittura” (n. 160) — e il secondo (“Narrazioni solo apparentemente storiche”: n. 161) sono del 1905 e si occupano di aspetti generali della critica storica; questi testi rispondono non solo con sì o no, ma, nonostante la grande cautela, danno una risposta più aperta. Come esempio, si può leggere il n. 161. Una risposta del 1909 riguarda, in particolare, il carattere storico dei tre primi capitoli della Genesi (nn. 324-331) e utilizza soltanto sì e no. Altre 10 risposte si occupano di singoli libri biblici ed esprimono posizioni strette fisse sull’autore, sul tempo della composizione, sulla verità storica del racconto [5].

Nel resto della fase che abbiamo indicato, dal 1915 al 1939, la Commissione pubblica soltanto 4 testi, di cui due esaminano problemi di esegesi. Il primo — “Sulla falsa interpretazione di due testi biblici (1933) (nn. 513-514) — riguarda la spiegazione di Sal 15,10-11 e quella di Mt 16,22; Lc 9,25 ed è molto breve. Il secondo (1934) rifiuta il libro di Friedrich Schmidtke, Die Einwanderung Israels in Kanaan, Breslau, 1933 (nn. 515-519), rifacendosi a due delle prime risposte del 1905 e 1906 (nn. 161 e 181-184) e sottolineando il carattere vincolante di tutte le decisioni della Commissione (cfr n. 271).

L’ultimo caso esemplifica i limiti molto precisi e stretti imposti agli esegeti cattolici a causa delle risposte della Commissione. Ci sono giudizi severi su questa situazione. Nel suo commentario al documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa J. A. Fitzmyer dice: “Per noi oggi è difficile renderci conto in un modo realistico della nube scura di atteggiamento reazionario che pendeva sopra l’interpretazione cattolica della Bibbia nella prima metà del ventesimo secolo” [6]. E aggiunge: “Nel tempo intermedio tra le encicliche dei Papi Leone XIII e Pio XII c’era anche l’attività della Commissione Biblica che funzionava come cane da guardia. Le sue risposte, date durante più di trenta anni, creavano paura e sospetto riguardo a tutto ciò che era connesso con la Bibbia…”[7].

Non si può negare che questo periodo fosse molto difficile per gli esegeti cattolici: c’era un grande contrasto tra l’esegesi possibile all’interno della Chiesa cattolica e quella praticata fuori di essa. Ma vale la pena anche di conoscere un po’ la situazione storica nella quale la Commissione cominciò la sua attività. Gli anni antecedenti alla prima guerra mondiale sono segnati nella Chiesa cattolica dalla crisi modernista. Parallelamente alle prime risposte della PCB, il Sant’Uffizio pubblica il decreto Lamentabili sui “Principali errori del riformismo o modernismo” (4 luglio 1907) (nn. 190-256). Elenca gli errori in 65 proposizioni, in gran parte desunte dai libri dell’esegeta Alfred Loisy [8]. Poco dopo il decreto del S. Uffizio, Pio X pubblica l’enciclica Pascendi (8 settembre 1907) (nn. 257-267) sulle dottrine dei modernisti.

In una maniera abbreviata e approssimativa la problematica di fondo si può sintetizzare in questo modo. Il periodo di cui parliamo era caratterizzato dallo storicismo e dal razionalismo, da un positivismo storico scarsamente attento al rapporto tra continuità e sviluppo nella storia e dal dominio completo della ragione umana. Nell’esegesi non cattolica era centrale la ricerca sul Gesù storico, contrapposto alla fede tradizionale in Gesù Cristo Figlio di Dio, Verbo incarnato di Dio Padre. Il magistero della Chiesa cattolica era consapevole del proprio compito di conservare e difendere la fede trasmessa dagli Apostoli e custodita e spiegata dalla Chiesa attraverso i secoli. Riguardo alla Sacra Scrittura c’è specificamente la fede nella sua origine divina e perciò nella sua completa verità: Dio, mediante l’ispirazione degli autori sacri, ha comunicato la sua parola. Nei secoli anteriori nei quali si sapeva poco della storia antica del Prossimo Oriente e quasi niente sul processo della formazione degli scritti biblici, l’ispirazione e la verità potevano essere concepite in una maniera piuttosto globale e semplice. Ma il secolo XIX e la sua scienza storica e letteraria aumentavano in misura enorme queste conoscenze anche riguardo alla Sacra Scrittura. Esse non permettevano più l’accennata concezione globale e semplice dell’ispirazione e della verità degli scritti biblici. La domanda era se queste nuove conoscenze contraddicessero l’origine divina della Sacra Scrittura o se potessero essere conciliate con l’ispirazione e la verità di quest’ultima.

In tale situazione il magistero della Chiesa decise risolutamente per l’origine divina, per l’ispirazione e per la verità della Sacra Scrittura, trascurando in parte le nuove conoscenze storiche e letterarie, perché non riusciva a salvare tutte le esigenze insieme. Questa decisione portava con sé molte difficoltà per gli esegeti cattolici, ma preservava anche la singolare dignità e l’inestimabile valore della base del loro lavoro, cioè della Sacra Scrittura. Era necessario un lungo, faticoso e doloroso processo di riflessione, discernimento e chiarimento per concepire in modo nuovo l’ispirazione e la verità della Sacra Scrittura, modo che tiene conto delle conoscenze storiche e letterarie. Questo processo porta i suoi frutti proprio nella successiva fase di attività della PCB.

Seconda fase: prima e dopo la “Divino Afflante Spiritu

Nel secondo periodo di attività la PCB pubblica 10 testi di cui 4 riguardano direttamente l’esegesi: una lettera del 1941 indirizzata agli arcivescovi e vescovi d’Italia (nn. 522-533); una lettera del 1948 “Sulle fonti del Pentateuco e sul valore “storico” di Gn 1-11” inviata all’arcivescovo di Parigi, card. Suhard (nn. 577-581); la condanna di un libro di Bernhard Bonkamp [9] (1953); l’istruzione Sancta Mater Ecclesia del 1964 su “La verità storica dei Vangeli”, che costituisce l’ultima pubblicazione dell’antica PCB e che nelle sue idee principali viene inserita nella costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina rivelazione (nn. 644-659) [10].

La lettera inviata agli arcivescovi e vescovi d’Italia si occupa, come si dice nell’introduzione, di “un opuscolo anonimo intitolato: “Un gravissimo pericolo per la Chiesa e per le anime. Il sistema critico-scientifico nello studio e nell’interpretazione della Sacra Scrittura, le sue deviazioni funeste e le sue aberrazioni” (n. 522). L’autore era don Dolindo Ruotolo, un sacerdote che utilizzava pure lo pseudonimo di Dain Cohenel. In 13 volumi aveva pubblicato un commento all’Antico Testamento, dalla Genesi all’Ecclesiastico, dal titolo “La Sacra Scrittura. Psicologia-Commento-Meditazione”, molto pio, privo di ogni scienza storica e non raramente difettoso dal punto di vista teologico. Il S. Uffizio aveva messo questo commentario all’indice “donec corrigatur”, finché non fosse corretto (20 novembre 1940). L’attacco all’esegesi scientifica era anche una difesa del proprio metodo [11].

Per caratterizzare lo scritto di Ruotolo la lettera della PCB afferma: “L’opuscolo vuole essere una difesa di una certa esegesi detta di meditazione; ma è soprattutto una virulenta accusa dello studio scientifico delle Sacre Scritture: esame filologico, storico, archeologico, ecc. della Bibbia altro non sono che razionalismo, naturalismo, modernismo, scetticismo, ateismo, ecc.; a capir bene la Bibbia, bisogna lasciare libero corso allo spirito, quasi che ognuno fosse in personale comunione con la divina Sapienza, e ricevesse dallo Spirito Santo speciali lumi individuali, come pretesero i primitivi protestanti” (n. 523). Contro le accuse del Ruotolo la PCB insiste specialmente sulla necessità irrinunciabile di determinare il senso letterale, ridimensiona un significato esagerato della Vulgata, giustifica la critica testuale e raccomanda lo studio delle lingue orientali e delle scienze ausiliarie, vuole cioè che siano adoperate tutte le capacità delle scienze moderne per la comprensione della Sacra Scrittura. Come risposta a un determinato attacco la lettera ha i suoi naturali limiti, ma la sua impostazione fa, d’altra parte, presagire quella dell’enciclica biblica di Pio XII Divino Afflante Spiritu, che segue la lettera due anni dopo.

L’enciclica (30 settembre 1943) (nn. 538-569) naturalmente non è un documento della PCB, ma, come abbiamo detto, costituendo il centro attorno al quale si sviluppano le attività della PCB, merita qualche parola. Secondo il sottotitolo essa vuol indicare “il modo più opportuno di promuovere gli studi biblici”. Si rifà esplicitamente alla Providentissimus Deus di Leone XIII: “Di quell’enciclica, che va tenuta come la magna charta degli studi biblici, è ben giusto che si celebri il compiersi del cinquantesimo anno dalla pubblicazione” (n. 538). Contiene una parte storica, in cui descrive l’impegno di Leone XIII e dei suoi Successori per gli studi biblici (nn. 539-545), e una parte dottrinale nella quale espone i criteri ermeneutici per lo studio della Sacra Scrittura (nn. 546-569).

Circa la soluzione delle difficoltà del periodo che stiamo esaminando, accenniamo soltanto all’esortazione che il Papa rivolge all’esegeta: “Faccia pure prudente uso di questo mezzo, di cercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall’agiografo possa condurre alla retta e genuina interpretazione”. E il Papa continua: “Con l’accennata conoscenza ed esatta valutazione dei modi ed usi di parlare e di scrivere presso gli antichi, si potranno sciogliere molte obiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture” (n. 560). Nella conclusione il Papa riprende una parola di sant’Agostino rivolgendola agli esegeti: “Preghino per intendere” (n. 569).

La lettera della PCB al card. Suhard (16 gennaio 1958) (nn. 577-581) si riferisce alle fonti del Pentateuco e al valore “storico” dei primi 11 capitoli del libro della Genesi; cita l’enciclica Divino Afflante Spiritu e riprende tre risposte precedenti (nn. 161.181-184.324-331) nelle quali questi problemi erano già stati esaminati. Va oltre le risposte e, secondo i princìpi dell’enciclica, invita “gli studiosi cattolici a studiare questi problemi senza alcun partito preso, alla luce di una sana critica e dei risultati delle altre scienze coinvolte in queste materie” (n. 580).

Rimaneva ancora qualche incertezza ed esitazione quanto alle altre risposte. L’enciclica aveva esposto i princìpi di interpretazione, ma non aveva menzionato o modificato le risposte. La lettera al card. Suhard si riferiva soltanto a tre di esse. Ma quale era la validità delle altre, che furono emesse con tanto vigore e avevano imposto limiti tanto stretti al lavoro degli esegeti cattolici? Nel 1954 la PCB pubblicò una seconda edizione dell’Enchiridion Biblicum, che contiene i documenti ecclesiastici sulla Sacra Scrittura; naturalmente lì c’erano anche le risposte. Nell’anno seguente questa edizione fu presentata e anche commentata dal segretario della PCB, il benedettino Athanasius Miller [12], in lingua tedesca e dal sottosegretario, il francescano Arduin Kleinhaus [13], in lingua latina. Riguardo ai decreti della PCB, ambedue dicono in un passo identico, e ovviamente concordato, che l’esegeta può proseguire le sue ricerche scientifiche con piena libertà per quanto riguarda le affermazioni di questi decreti che non concernono verità di fede e di morale. Si accenna pure al contesto storico che ha dato origine a questi testi al tempo di un liberalismo e razionalismo virulenti.

Questi commenti furono accolti con grande attenzione e sollievo. Nello stesso anno, per esempio, il benedettino J. Dupont li cita ampiamente in un suo articolo [14]. Anch’egli ricorda il contesto storico e osserva: “Bollare di meschinità i decreti della Commissione Biblica proverebbe semplicemente che l’autore di un tale giudizio è privo di senso storico. I decreti furono emessi in un periodo particolarmente difficile e pericoloso per la vita della Chiesa, quando essa doveva affrontare allo stesso tempo sia gli attacchi che venivano dall’esterno sia una attività corrosiva, interna ad essa, da parte del modernismo. Situazione tanto più pericolosa in quanto la scienza biblica cattolica era poco preparata a superare questi ostacoli. C’era lo stato d’assedio. A una situazione eccezionale corrispondono misure eccezionali”.

Veniamo all’ultimo documento approvato dalla PCB composta da cardinali. Si tratta dell’istruzione Sancta Mater Ecclesia sulla verità storica dei Vangeli (21 aprile 1964) (nn. 644-659). Essa fa riferimento diverse volte alla Divino Afflante Spiritu. Poi stabilisce esplicitamente: “Ove convenga, sarà lecito all’esegeta esaminare gli eventuali elementi positivi offerti dal “metodo della storia delle forme” per servirsene debitamente per una più profonda intelligenza dei Vangeli” (n. 647). Esorta l’esegeta a badare “con diligenza ai tre stadi attraverso i quali l’insegnamento e la vita di Gesù giunsero a noi” (EB 648) e menziona i tre livelli dell’attività di Gesù che fu accompagnato dai discepoli che ha scelto (n. 649), della predicazione degli Apostoli che si verifica “con quella più piena intelligenza da essi goduta […] in seguito agli eventi gloriosi del Cristo e alla illuminazione dello Spirito di verità” (n. 650) e degli autori sacri che hanno elaborato i quattro Vangeli (n. 651). La costituzione dogmatica Dei Verbum inizia il suo paragrafo sul carattere storico dei Vangeli con le parole iniziali della Sancta Mater Ecclesia (n. 698) e utilizza le precisazioni ivi apportate. Questa costituzione, nella quale il Concilio Vaticano II manifesta la sua visione della rivelazione di Dio e del significato della Sacra Scrittura per essa, costituisce la nuova magna charta dell’esegesi cattolica. Si può considerare una felice e fruttuosa conclusione dell’impegno dell’antica PCB di aver contribuito in modo notevole a questa costituzione.

Terza fase: la nuova Commissione

Come abbiamo già accennato, con il Motu Proprio Sedula cura (27 giugno 1971) Paolo VI diede un nuovo carattere alla PCB (nn. 722-739). Nella lettera apostolica il Papa indica 15 norme secondo le quali la Commissione deve essere riordinata. Ne ricordiamo le più significative. Riguardo al compito, si afferma che essa “continua a promuovere rettamente gli studi biblici e a offrire il suo valido contributo al magistero della Chiesa nell’interpretazione della Sacra Scrittura” (n. 725). Il cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è allo stesso tempo presidente della Commissione Biblica. I membri, non più di 20, sono studiosi di scienze bibliche e provengono da varie scuole e nazioni. Sono nominati dal Papa per un quinquennio su proposta del presidente, il quale consulta le Conferenze episcopali. La Commissione si raduna almeno una volta all’anno. Riguardo alla materia del lavoro si dispone che “le questioni e gli argomenti da studiare sono designati dal Sommo Pontefice o dal presidente della Commissione, su proposta o della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, o del Sinodo dei vescovi, o delle Conferenze episcopali, o della stessa Commissione biblica dietro suggerimento dei suoi membri, o anche delle università cattoliche e società bibliche” (EB 733). I risultati del lavoro sono da sottoporre al Papa e da mettere a disposizione della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Si prevede anche che “la medesima Commissione deve essere consultata prima che siano emanate nuove norme in materia biblica” (n. 737) ed essa “continua a conferire titoli accademici in materia biblica” (n. 738). Il nuovo statuto della PCB è analogo a quello della Commissione Teologica Internazionale, che Paolo VI aveva fondato due anni prima (11 aprile 1969) secondo una proposta del Sinodo dei vescovi. La prima assemblea plenaria della nuova Commissione si radunò nel 1974; c’erano da rinnovare i programmi degli esami per il conferimento dei gradi accademici [15].

Conclusione

Con diverse velocità abbiamo percorso i 100 anni che sono passati dalla fondazione della PCB. Se in uno sguardo retrospettivo vogliamo caratterizzare il modo di agire dei due tipi di Commissione, possiamo dire: l’antica Commissione si occupava piuttosto di singoli problemi, attuali e molto circoscritti, parlava come organo del Magistero ecclesiastico e si pronunciava talvolta dopo lunghi tempi di interruzione. La nuova Commissione studia temi più ampi, anche essi strettamente collegati con la vita della Chiesa, funziona come organo consultivo e ha un ritmo piuttosto regolare di lavoro e di testi pubblicati. Il compito però rimane sempre quello determinato da Leone XIII: promuovere gli studi biblici e salvaguardare la verità della fede cristiana (cfr n. 145), con lo scopo, espresso da Paolo VI, di aprire cioè sempre più ampiamente “ai fedeli le incommensurabili ricchezze della parola di Dio” (n. 722). Possiamo concludere con una parola di san Girolamo, patrono degli esegeti, che, circa il compito dell’esegeta, dice: “Vivere tra queste cose, queste meditare, non altro conoscere, non altro cercare, non vi pare che sia un’oasi di paradiso già qui in terra?” (n. 569).

NOTE

[1] Nove mesi più tardi il Papa morì, dopo un pontificato durato 25 anni (20 gennaio 1878 - 20 luglio 1903).

[2] LEO PP. XIII, Litterae apostolicae Vigilantiae quibus Consilium instituitur studiis Sacrae Scripturae provehendis, in Enchiridion Biblicum (EB), Bologna, EDB, 1993, n. 139 (d’ora in poi i numeri indicati nel testo si riferiscono a questo volume).

[3] Si veda in proposito LEONE XIII, Lettera enciclica Aeterni Patris (4 agosto 1879), in Civ. Catt. 1879 III 513-550 (serie X, vol. XI).

[4] Cfr ID., Lettera enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891), ivi 1891 II 641-675 (s. XIV, vol. X).

[5] Vengono prese in considerazione tre opere dell’Antico Testamento: “Sull’autenticità mosaica del Pentateuco” (1906) (nn. 181-184); “Indole e autore del libro di Isaia” (1908) (nn. 276-280) e “Autori e tempo di composizione dei Salmi” (1910) (nn. 332-339). Per quanto riguarda il Nuovo Testamento vengono trattati i seguenti temi: “Autore e verità storica del quarto Vangelo” (1907) (nn. 187-189); “Autore, tempo di composizione e verità storica del Vangelo secondo Matteo” (1911) (nn. 383-389); “Questioni sui Vangeli secondo Marco e secondo Luca” (1912) (nn. 390-398); “Sulla questione sinottica” (1912) (nn. 399-400); “Questioni sul libro degli Atti degli Apostoli (1913) (nn. 401-406); “Questioni sulle lettere pastorali dell’apostolo Paolo” (1913) (nn. 407-410); “Questioni sulla lettera agli Ebrei” (1914) (nn. 411-413). Un’ultima risposta di questa serie non riguarda più un singolo libro biblico ma un argomento: “La parusia nelle lettere di san Paolo” (1915) (nn. 414-416).

[6] J. A. FITZMYER, The Biblical Commission’s document “The interpretation of the Bible in the Church”. Text and commentary, Roma, PIB, 1995, 19.

[7] Ivi, 20, nota 10.

[8] Significativi per il contenuto sono i titoli intermedi: “Sull’emancipazione dell’esegesi dal magistero della Chiesa”, “Sull’ispirazione e inerranza della Sacra Scrittura”, “Sul concetto della rivelazione e del dogma”, “Sul Cristo”, “Sui sacramenti”, “Sull’istituzione della Chiesa”, “Sull’immutabilità delle verità religiose”. Si notano subito i campi importanti e i problemi gravi esaminati.

[9] Cfr B. BONKAMP, Die Psalmen nach dem hebräischen Grundtext, Freiburg i. Br., 1949; riguardo a questa opera si dispone anche “che non deve essere introdotta nei seminari e nei collegi religiosi” (n. 62).

[10] Gli altri testi di questa fase riguardano “Gli esami per il dottorato” (1939) (n. 521) e “Gli esami per la licenza” (1942) (n. 534); “Le versioni della Sacra Scrittura nelle lingue vive” (1943) (nn. 535-537); “L’uso del nuovo Salterio latino fuori dalle ore canoniche” (1947) (n. 576); “L’insegnamento della Sacra Scrittura nei seminari ecclesiastici e nei collegi dei religiosi” (1950) (nn. 582-610; “Associazioni bibliche e convegni biblici” (1955) (nn. 622-633).

[11] Cfr J. LEVIE, La Bible. Parole humaine et message de Dieu, Paris - Louvain, DDB, 1958, 157.

[12] Cfr Benediktinische Monatschrift 31 (1955) 49 s.

[13] Cfr Antonianum 30 (1955) 63-65.

[14] Cfr “A propos du nouvel Enchiridion Biblicum”, in Revue Biblique 62 (1955) 414-419.

[15] Per caratterizzare il lavoro della Commissione elenchiamo i temi da essa studiati: “Il ruolo della donna nella società e nell’attività religiosa secondo la Sacra Scrittura” (1975-76); “L’uso della Sacra Scrittura negli scritti che riguardano la teologia della liberazione” (1977); “L’acculturazione nella stessa Sacra Scrittura”. Il discorso che Giovanni Paolo II tenne in questa occasione e le relazioni dei membri della Commissione furono pubblicati in Fede e Cultura alla luce della Bibbia. Atti della Sessione Plenaria 1979 della Pontificia Commissione Biblica, Leumann (TO), 1981. Dal 1980 al 1983 la Commissione studia il “Problema ermeneutico e cristologia” ed elabora un testo comune, poi pubblicato insieme a nove relazioni di singoli membri in Bible et Christologie, Paris, Cerf, 1984. Il tema successivo, indagato dal 1985 al 1988, fu “Rapporti tra Chiese locali e universalità dell’unico Popolo di Dio”. Di nuovo si pubblica un testo comune, insieme a 20 studi personali, sotto il titolo Unité et diversité dans l’Eglise, Città del Vaticano, 1989. Arriviamo così alle due ultime tematiche approfondite dalla Commissione. Dopo l’inizio dello studio nel 1989, la Commissione pubblica nel 1993 il documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, anche per celebrare i 100 anni della Providentissimus Deus e i 50 anni della Divino Afflante Spiritu. Lo studio seguente termina con la pubblicazione del documento Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana nel 2001.

 

top