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Ecclesia in Medio Oriente
Presentazione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale
da parte di Sua Eccellenza Mons. Nikola Eterović
Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi

Beirut, 14 settembre 2012

 

L’Esortazione Apostolica Postsinodale Ecclesia in Medio Oriente è il risultato dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che si è tenuta a Roma dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema La Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Accogliendo il voto dei Padri sinodali, il Santo Padre Benedetto XVI ha elaborato l’abbondante materiale sinodale, apportandovi il suo notevole contributo, proprio del carisma petrino. L’ha fatto all’inizio del terzo millennio, facendo una rilettura, in comunione con i Padri sinodali, della Prima Lettera che “all’alba della cristianità, san Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, ha scritto […] ad alcune comunità credenti dell’Asia Minore in difficoltà” (95).

Com’è indicato nel titolo, l’Esortazione Apostolica tratta della Chiesa in Medio Oriente sotto l’aspetto specifico della comunione e della testimonianza. Il Documento è diviso in tre parti, precedute dall’Introduzione e seguite dalla Conclusione. La prima parte situa il tema sinodale nel complesso contesto sociale ed ecclesiale del Medio Oriente. La seconda tratta prevalentemente della comunione all’interno della Chiesa Cattolica. La terza fornisce idee portanti per una ripresa dell’evangelizzazione nella Terra Santa.

Introduzione

La Chiesa in Medio Oriente che, dall’alba della fede cristiana, va pellegrinando su questa terra benedetta, continua oggi con coraggio la sua testimonianza, frutto di una vita di comunione con Dio e con il prossimo” (1). La frase iniziale del Documento riassume il contenuto dell’Esortazione Apostolica Postsinodale. La Chiesa Cattolica in Medio Oriente si esprime nelle sei venerabili Chiese Orientali cattoliche sui iuris: “la Chiesa patriarcale di Alessandria dei Copti; le tre Chiese patriarcali di Antiochia: dei Greco-melchiti, dei Siriaci e dei Maroniti; la Chiesa patriarcale di Babilonia dei Caldei e quella di Cilicia degli Armeni” (2). Alla Chiesa di rito latino bisogna poi aggiungere i presbiteri e i fedeli venuti dall’India, dagli Arcivescovati Maggiori di Ernakulam-Angamaly dei Siro-malabaresi e di Trivandrum dei Siro-malankaresi. Insieme, i membri di queste Chiese “testimoniano l’unità della fede nella diversità delle loro tradizioni” (2), delle espressioni teologiche, spirituali, liturgiche e canoniche, come pure nella varietà dei contesti geografici, religiosi, culturali, sociali e politici.

La comunione è “la vita stessa di Dio che si comunica nello Spirito Santo, mediante Gesù Cristo” (3).  Essa è il dono di Dio che interpella la libertà della persona umana, attendendo la sua risposta. Per potere manifestare pienamente la comunione a livello ecumenico e interreligioso, i cristiani la devono vivere in seno alla Chiesa Cattolica e all’interno di ciascuna delle Chiese particolari. In ciò sono invitati a seguire la prima comunità di Gerusalemme, nata il giorno di Pentecoste. Essa era fondata su quattro pilastri (cfr At 2, 42): l’insegnamento degli Apostoli, il servizio della carità, la frazione del pane e la preghiera personale e comunitaria. Mantenendo vivi la memoria e il dinamismo apostolico delle origini, l’attuale comunità cristiana è chiamata a rinnovarsi, “al fine di farne uno spazio di comunione per la testimonianza” (4).

Prima parte

Dopo aver fatto cenno al contesto mediorientale, l’Esortazione si sofferma sulla vita cristiana nei rapporti con l’ecumenismo e con il dialogo interreligioso, riflette sulla sana laicità e sul fenomeno del fondamentalismo, indicando pure l’urgenza della questione migratoria.

Il contesto. Il Medio Oriente è la “terra scelta in maniera particolare da Dio” (8), per rivelare il suo mistero nascosto da secoli, preparato per mezzo dei Patriarchi e dei Profeti e manifestato nella persona di Gesù Cristo, morto e risorto. È la terra degli Apostoli, di santi e numerosi Padri della Chiesa, crogiolo delle prime formulazioni dogmatiche della fede cristiana. “Tuttavia, questa terra benedetta e i popoli che vi abitano, sperimentano in maniera drammatica i travagli umani” (8), quali la paura, l’umiliazione, l’instabilità, il saccheggiamento, la violenza. “I cristiani sanno che solo Gesù, essendo passato attraverso le tribolazioni e la morte per risuscitare, può portare la salvezza e la pace a tutti gli abitanti di questa regione del mondo” (8). Egli può offrire la vera pace e riconciliare i popoli tra loro separati. “Il cristiano sa che la politica terrena della pace non sarà efficace se la giustizia in Dio e tra gli uomini non ne è l’autentica base, e se questa stessa giustizia non lotta contro il peccato che è all’origine della divisione” (10). Per tale motivo, la Chiesa desidera superare tutte le distinzioni tra gli uomini e incoraggiare “ogni sforzo in vista della pace nel mondo e nel Medio Oriente in particolare” (10). Pur essendo consapevole che la pace è primariamente frutto dello Spirito, essa non risparmia gli sforzi per promuoverla e consolidarla, anche per mezzo dell’arsenale giuridico internazionale. “Le posizioni della Santa Sede sui differenti conflitti che affliggono drammaticamente la regione, e quella sullo Statuto di Gerusalemme e dei luoghi santi sono largamente conosciute” (10) e, pertanto, l’Esortazione non si dilunga su tale tema.

La vita cristiana e l’ecumenismo. Oltre alla Chiesa Cattolica, in Medio Oriente sono presenti numerose e venerabili Chiese e comunità ecclesiali. Ciò esige uno sforzo costante per favorire l’unità dei discepoli di Gesù Cristo, per rafforzare la credibilità dell’annuncio e la testimonianza cristiana. “L’unità è un dono di Dio che nasce dallo Spirito e che occorre far crescere con una paziente perseveranza” (11). L’Esortazione ribadisce l’insegnamento del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo. In particolare mette in risalto l’importanza dell’“ecumenismo spirituale”, fondato sulla fede che si nutre della preghiera perseverante e della conversione in vista del raggiungimento della santità della vita. I martiri di ogni appartenenza ecclesiale sono testimoni viventi di tale unità senza frontiere nel Cristo glorioso, anticipazione della piena unità dei cristiani riconciliati nel Signore. “Converrebbe soprattutto che tutti ritornassero ancora maggiormente a Cristo stesso” (15).

Il consolidamento della comunione in seno alla stessa Chiesa Cattolica la aprirà a praticare maggiormente l’ecumenismo spirituale “nelle parrocchie, nei monasteri e nei conventi, nelle istituzioni scolastiche ed universitarie, e nei seminari” (12). In tale campo s’incoraggiano le ricerche dei teologi come pure l’attività di numerose Commissioni ecumeniche locali. La preghiera apre all’amicizia e alla fraternità, che favoriscono il pronunciamento “con una sola voce sulle grandi questioni morali a proposito della verità umana, della famiglia, della sessualità, della bioetica, della libertà, della giustizia e della pace” (13). La comunione, lungi dal portare a confusione, esige la ricerca della verità nell’umiltà “di colui che si riconosce peccatore davanti a Dio e al prossimo, la capacità di perdono, di riconciliazione e di purificazione della memoria, a livello personale e comunitario” (12). La comunione, poi esige un “ecumenismo diaconale” nei campi caritativo ed educativo tra i cristiani. Al riguardo, un ruolo significativo lo svolge il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che riunisce le Chiese delle diverse tradizioni cristiane presenti nella regione.

Il dialogo ecumenico è sollecitato anche dagli stretti vincoli con le Chiese d’Oriente che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica, dalle comuni origini religiose. Ciò richiede la promozione, ove possibile, di una pastorale ecumenica d’insieme anche per regolare, per esempio i matrimoni tra fedeli cattolici e ortodossi. In vista di una testimonianza comune si comprende bene “l’apertura conciliare verso una certa communicatio in sacris per i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi” (16), secondo le norme approvate dalle autorità ecclesiastiche. Sarebbe alquanto auspicabile trovare accordi “per una traduzione comune della Preghiera del Signore, il Padre Nostro, nelle lingue vernacolari della regione” (17). Sarebbe altrettanto utile promuovere insieme lo studio delle rispettive tradizioni spirituali, come pure dei Padri orientali e latini. Quanto al dialogo con le Comunità ecclesiali, sono possibili diverse iniziative congiunte: lettura comune della Bibbia, la sua diffusione, collaborazione nel campo della carità e dei valori della vita umana, della giustizia e della pace.

Il dialogo interreligioso. “La natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni” (19). In Medio Oriente s’impone il dialogo con gli ebrei e i musulmani, con i quali i cristiani hanno legami storici e spirituali. Pertanto, tale dialogo “poggia anzitutto su basi teologiche che interpellano la fede” (19), che derivano dalla Sacra Scrittura e sono definite nei Documenti del Concilio Vaticano II: Lumen gentium e Nostra aetate. “Ebrei, cristiani e musulmani credono in un Dio Uno, creatore di tutti gli uomini” (19). Se vissuta con un cuore puro, tale fede può contribuire notevolmente a riscoprirsi come fratelli ed offrire “la bella testimonianza della serenità e della convivialità tra figli di Abramo” (19). Si auspica che i fedeli delle tre religioni scoprano “uno dei desideri divini, quello dell’unità e dell’armonia della famiglia umana” (19).

Tra i cristiani e gli ebrei esistono numerosi legami, ancorati nel prezioso patrimonio spirituale comune: la fede in un Dio unico e creatore, la Bibbia quale Parola di Dio. Gesù e sua madre Maria ci invitano pure a riscoprire le radici giudaiche del cristianesimo, “di cui tutti i cristiani cono fieri e debitori al Popolo eletto” (20). Tuttavia, vi sono notevoli differenze, tra cui la Persona del Signore Gesù. “Se l’ebraicità del ‘Nazareno’ consente ai cristiani di assaporare con gioia il mondo della Promessa […], la persona e l’identità profonda dello stesso Gesù li separano, poiché i cristiani riconoscono in Lui il Messia, il Figlio di Dio” (20). Nella storia i rapporti tra le due comunità sono stati segnati dalle passioni umane: incomprensioni e diffidenze reciproche, inescusabili e condannabili le persecuzioni. Nonostante ciò, “gli apporti reciproci nel corso dei secoli sono stati così fecondi che hanno contribuito alla nascita e alla fioritura di una civiltà e di una cultura chiamata comunemente giudeo-cristiana […]. Questo legame che unisce, mentre li separa, giudei e cristiani, deve aprirli a una nuova responsabilità gli uni per gli altri, gli uni con gli altri” (22). I due popoli hanno ricevuto la stessa benedizione e promesse d’eternità che permettono di avanzare verso una vera fraternità.

Il rapporto tra i cristiani e musulmani è regolato dall’insegnamento del Concilio Vaticano II. Purtroppo, le differenze dottrinali, in particolare quella riguardante la divinità di Gesù, considerato dai musulmani come profeta, “sono servite come pretesto agli uni e agli altri per giustificare, in nome della religione, pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione” (23).  I cristiani condividono con i musulmani la stessa vita quotidiana in Medio Oriente; la presenza cristiana nella regione è storica. Nel corso dei secoli hanno vissuto e promosso, in una particolare simbiosi, i valori cristiani, inserendosi nella cultura circostante, rimanendo parte integrante del Medio Oriente. “Pertanto è giusto riconoscere il contributo ebraico, cristiano e musulmano nella formazione di una ricca cultura propria del Medio Oriente” (24). I cristiani, dunque,  “devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori” (25). Essi desiderano, come nel passato, partecipare pienamente alla vita della propria nazione, offrendo il loro specifico contributo al suo sviluppo, soprattutto nel campo dell’educazione e della sanità. A motivo della fede in Gesù, i cristiani sono sensibili alla dignità della persona umana, alla libertà religiosa e ai diritti fondamentali. Tali diritti, però, sono universali, connessi con la dignità di ogni persona, cittadino a pari diritto di un Paese.

La libertà religiosa è radicata nella dignità della persona umana. Essa è “il culmine di tutte le libertà. È un diritto sacro e inalienabile. Comporta sia la libertà individuale e collettiva di seguire la propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto. Include la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza” (26). I musulmani condividono la convinzione che “in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza” (26). La costrizione, che può assumere molteplici forme, “è contraria alla volontà di Dio” (26), che proibisce l’omicidio, anche quello dell’omicida. “È necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa” (27), che non porta al relativismo giacché “la verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà” (27).

In Medio Oriente esistono varie iniziative di dialogo islamo-cristiano, ebraico-cristiano, come pure dialogo trilaterale di intellettuali o di teologi. Occorre favorire il laboratorio di tali incontri e ricerche insieme con il dialogo della vita quotidiana che aiuterà poco a poco a migliorare la convivialità tra gli ebrei, i cristiani e i musulmani. “Possa questa regione mostrare che vivere insieme non è un’utopia e che la diffidenza e il pregiudizio non sono una fatalità. Le religioni possono mettersi insieme per servire il bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla edificazione della società” (28).

Due nuove realtà opposte: la laicità e il fondamentalismo. A differenza dalle forme talvolta estreme della laicità che diventa secolarismo e che nega al cittadino l’espressione pubblica della propria religione, la sana laicità “significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due” (29). Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza il reciproco rispetto tra politica e religione. Una sana antropologia indica il rapporto appropriato che deve sussistere in unità e distinzione tra lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), i quali sono chiamati a collaborare al bene comune, anche se nella loro necessaria distinzione.

Il fondamentalismo religioso, rifiuta il vivere insieme secolare. “Esso vuol prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche” (30). L’Esortazione invita tutti, ebrei, cristiani e musulmani ad adoperarsi in ogni modo, con l’insegnamento e con l’esempio, “al fine di sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni” (30).

I migranti. La realtà sociale in Medio Oriente, ricca per le sue diversità, è purtroppo spesso anche costrittiva e violenta. Ne risentono tutti gli abitanti della regione e, in modo particolare, i cristiani, situati in una posizione delicata, vittime designate dei disordini, nella morsa di incertezze e di conflitti. Non pochi scelgono cieli più propizi ove vivere in pace, in sicurezza e praticare la fede in libertà. Tale scelta lacerante “amputa le nazioni e contribuisce all’impoverimento umano, culturale e religioso medio-orientale. Un Medio Oriente senza o con pochi cristiani non è più il Medio Oriente, giacché i cristiani partecipano con gli altri credenti all’identità così particolare della regione. Gli uni sono responsabili degli altri davanti a Dio” (31). I dirigenti politici e i responsabili religiosi ne siano coscienti ed evitino strategie che privilegino una sola comunità a scapito della ricca realtà umana e storica della regione.

Le Chiese Orientali Cattoliche si vedono obbligate a sviluppare una pastorale dell’emigrazione, per assicurare l’assistenza spirituale a coloro che hanno lasciato il territorio tradizionalmente patriarcale. Conservando la loro identità religiosa, rimanendo fedeli a Dio e alle loro rispettive Chiese, nell’amore profondo verso i fratelli e sorelle di rito latino, “essi apporteranno all’insieme della Chiesa cattolica un grande beneficio” (32). Da parte loro, i Pastori delle comunità ecclesiali che accolgono i cattolici orientali, li ricevano con carità e stima. Il Vescovo di Roma esorta “a favorire i legami di comunione tra gli emigrati e le loro Chiese di provenienza, a dare la possibilità di celebrare secondo le proprie tradizioni ed a esercitare attività pastorali e parrocchiali, laddove è possibile” (32). Il Documento, inoltre, auspica che i Pastori esortino i propri fedeli “alla speranza, a restare nel loro paese e a non vendere i loro beni” (32). Tali fedeli il Vescovo di Roma incoraggia “a consolidare questa bella fedeltà ed a rimanere saldi nella fede” (35).

La Chiesa latina deve affrontare un altro problema, quello della “presenza nei paesi ad economia forte della regione di lavoratori di ogni sorta provenienti dall’Africa, dall’Estremo Oriente e dal subcontinente indiano” (33). Tali persone spesso affrontano una doppia precarietà:  “sono stranieri nel paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia” (33). Essi diventano spesso oggetto di forti pressioni e limitazioni religiose, vittime di infrazioni delle leggi locali e delle convenzioni internazionali. Il Documento esorta tutti i fedeli e i presbiteri cattolici, di tutte le Chiese d’appartenenza, “alla comunione sincera ed alla collaborazione pastorale col Vescovo del luogo, e quest’ultimo a una paterna comprensione verso i fedeli orientali” (34) che rimangono in contatto con le comunità di origine. I governanti di questi Paesi rispettino i diritti degli immigrati e permettano la loro libera espressione della fede. Secondo l’auspicio dei Padri sinodali, la libertà religiosa potrebbe essere oggetto di approfondito dialogo tra cristiani e musulmani.

Il Sommo Pontefice ricorda che per Dio non vi è che un solo popolo e per i fedeli una sola fede ed esorta tutti i fedeli cattolici a cercare di “vivere rispettosamente uniti e in comunione fraterna gli uni con gli altri, nell’amore e nella stima reciproci, per testimoniare in maniere credibile la vostra fede nella morte e risurrezione di Cristo!” (36).

Seconda parte

La comunione in seno alla Chiesa Cattolica -“un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32)-, interpella tutti i membri del Popolo di Dio: i Patriarchi, i Vescovi, i presbiteri, i diaconi, i seminaristi, le persone della vita consacrata, i laici, e in particolare la famiglia, i giovani e i bambini.

La comunione (koinonia) è un dono di Dio che tutti dovrebbero accogliere e ravvivare e una realtà da costruire senza sosta. “Essa dà consistenza e coerenza alla testimonianza ed esige una conversione permanente” (37). Per comprendere rettamente la natura della Chiesa Cattolica e la collocazione delle Chiese Orientali Cattoliche è importante precisare il rapporto tra l’universale e il particolare, la “mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiese particolari, che identifica e concretizza la cattolicità della Chiesa” (38). “La Chiesa universale è una realtà preliminare alle Chiese particolari, che nascono nella e dalla Chiesa universale” (38). Tale verità, esposta nel Concilio Vaticano II, permette alle Chiese particolari di arricchire l’unità cattolica con la diversità e legittimità dei doni, come pure di riscoprire la specificità e la ricchezza dell’identità cattolica in Medio Oriente.

I Patriarchi, Padri e Capi di Chiese sui iuris, “sono i segni visibili referenziali e i custodi vigilanti della comunione” (39). Sono uomini di comunione per propria identità e missione, servitori dell’unità ecclesiale e vigilanti sul gregge di Dio. La loro unione con il Vescovo di Roma è radicata nell’ecclesiastica communio che chiedono al Sommo Pontefice all’indomani dell’elezione canonica. Essi “rendono tangibili con questo vincolo particolare l’universalità e l’unità della Chiesa” (40). Sono invitati a rafforzare la comunione in seno al Consiglio dei Patriarchi cattolici d’Oriente e ai sinodi delle proprie Chiese patriarcali. Provvederanno “anche a promuovere tra le circoscrizione ecclesiastiche una reale solidarietà in una sana gestione del personale e dei beni ecclesiastici” (40). Effettueranno pure le visite pastorali, per testimoniare tra l’altro la carità fraterna e paterna verso i fedeli affidati alle loro cure patriarcali.

I Vescovi sono con i Patriarchi “i segni visibili dell’unità nella diversità della Chiesa intesa come Corpo di cui Cristo è il Capo” (41). Per l’ordinazione episcopale il Vescovo è costituito membro del Collegio episcopale e pastore di una comunità locale. Egli esercita il ministero di insegnamento, di santificazione e di governo, annunciando con coraggio la Parola di Dio e difendendo con fermezza l’integrità della fede. “Per promuovere la vita di comunione e di diakonia, è importante che i Vescovi lavorino sempre al proprio rinnovamento personale” (42). Avranno cura paterna per tutti i battezzati e, particolarmente, per i presbiteri, loro primi collaboratori. “La comunione in seno a ciascuna Chiesa locale è il primo fondamento della comunione inter-ecclesiale” (43). I Vescovi sono invitati a promuovere l’unità tra tutti i fedeli cristiani presenti nel territorio della loro giurisdizione, e a mostrare la loro solidarietà tra tutti gli uomini creati a immagine di Dio. Essi poi avranno particolare cura nell’assicurare “una gestione sana, onesta e trasparente dei beni temporali della Chiesa” (44), che devono servire all’evangelizzazione e alla carità. È necessario fare un elenco preciso distinguendo chiaramente tra i beni personali e quelli della Chiesa. I Vescovi assicurino ai presbiteri una giusta sussistenza perché si possano dedicare pienamente alla loro missione pastorale. Una eventuale alienazione dei beni della Chiesa “deve rispondere strettamente alle norme canoniche e alle disposizioni pontificie in vigore” (44).

I presbiteri, i diaconi e i seminaristi sono, ognuno a modo proprio, servitori della comunione. “L’ordinazione sacerdotale configura il sacerdote a Cristo e lo rende stretto collaboratore del Patriarca e del Vescovo, di cui diventa partecipe del triplice munus” (45). Pieni di zelo nella carità, i sacerdoti devono irradiare la santità alla quale sono chiamati tutti i battezzati; anzi il senso ontologico dell’ordine sacro deve far loro riscoprire “il sacerdozio come una fonte di santificazione per i battezzati, e per la promozione di ogni uomo” (47). La loro “testimonianza di comunione esige una formazione teologica e una spiritualità solida, che richiedono una rigenerazione intellettuale e spirituale permanente” (46). Ciò vale anche per i diaconi i quali, in comunione con il loro Vescovo e i presbiteri, devono servire il Popolo di Dio secondo il loro ministero proprio, negli incarichi specifici loro affidati. Quanto al celibato sacerdotale l’Esortazione ribadisce che si tratta di “un dono inestimabile di Dio alla sua Chiesa, che occorre accogliere con riconoscenza, tanto in Oriente quanto in Occidente, poiché rappresenta un segno profetico sempre attuale. Ricordiamo, inoltre, il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali” (48). Con le loro famiglie anch’essi sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero. La bellezza della vita sacerdotale susciterà nuove vocazioni da coltivare con guide esperte, capaci di aiutare i giovani a discernere la volontà del Signore, come pure con formatori idonei ed esemplari.

La vita consacrata, “contemplativa e apostolica, è un approfondimento della consacrazione battesimale” (52). Attraverso i consigli evangelici dell’obbedienza, della castità e della povertà, le persone consacrate seguono più radicalmente Cristo e servono il prossimo. Le comunità religiose, fondate sulla Parola di Dio, sulla comunione fraterna e sulla testimonianza della diaconia,  sono “segni profetici di comunione nelle loro Chiese e nel mondo intero” (52). Il monachesimo, nato in Medio Oriente, è all’origine di alcune Chiese e continua ad essere determinante nella vita presente. “Nella vita cenobitica, la comunità o il monastero ha per vocazione l’essere lo spazio privilegiato dell’unione con Dio e della comunione col prossimo” (52). Tutti gli istituti religiosi si mostrino “disponibili a collaborare, in spirito di comunione, con il Vescovo all’attività pastorale e missionaria” (53). “Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio, col prossimo e con se stessi” (54).

I laici sono per il battesimo pienamente membri del Corpo di Cristo ed incorporati alla missione della Chiesa. “Come apostoli nel mondo, essi traducono in azioni concrete il Vangelo, la dottrina e l’insegnamento della Chiesa” (55).  Sono invitati a testimoniare la loro fede con una condotta esemplare in famiglia e nella società, nel lavoro, nella politica e nella cultura, superando “le divisioni e ogni interpretazione soggettivistica della vita cristiana” (56).  Anche in ambienti in cui l’annuncio del Vangelo non è possibile o trova ostacoli, i fedeli devono essere testimoni di Gesù Cristo con una condotta di vita esemplare, perché le genti al vedere le loro opere buone diano gloria a Dio. A livello ecclesiale i laici vivono relazioni fraterne con i fedeli cattolici delle diverse Chiese patriarcali o latina nella regione ove si sovrappongono le diverse giurisdizioni. Il Medio Oriente è pertanto un laboratorio esemplare anche per la Chiesa universale, necessitando però di essere perfezionato e continuamente purificato (cfr 57).

La famiglia, “istituzione divina fondata sul matrimonio” (58), è uno strumento prezioso della presenza e della missione della Chiesa nel mondo che occorre accompagnare pastoralmente e sostenere nelle sue difficoltà di fronte alle gravi sfide poste da una certa cultura contemporanea. Contemplando sempre la Famiglia di Nazareth, l’Esortazione invita le famiglie cristiane nel Medio Oriente a rinnovarsi “con la forza della Parola di Dio e dei Sacramenti, per essere ancor più la Chiesa domestica” (59), aiutando i propri figli a crescere in sapienza, età e grazia davanti Dio e agli uomini. Il Santo Padre poi assicura “a tutte le donne che la Chiesa cattolica, collocandosi nella fedeltà al disegno divino, promuove la dignità personale della donna e la sua uguaglianza con l’uomo, di fronte alle forme più varie di discriminazione alle quali è sottomessa per il semplice fatto di essere donna” (60). Le donne devono essere più coinvolte nella vita pubblica ed ecclesiale. Nelle vertenze giuridiche, soprattutto in questioni di ordine matrimoniale, la voce della donna deve essere presa col dovuto rispetto, al pari di quella dell’uomo. “I cristiani dei paesi della regione devono avere la possibilità di applicare nel campo matrimoniale e negli altri campi il loro diritto proprio, senza restrizione” (61).

I giovani e i bambini sono invitati a coltivare l’amicizia con Gesù, soprattutto attraverso la forza della preghiera personale e comunitaria. Il Santo Padre si rivolge ai giovani direttamente: “Non abbiate paura o vergogna di testimoniare l’amicizia con Gesù nella sfera familiare e pubblica. Fatelo tuttavia rispettando gli altri credenti, ebrei e musulmani, con i quali condividete la credenza in Dio Creatore del cielo e della terra, e anche dei grandi ideali umani e spirituali” (63). Amando Cristo e la sua Chiesa, i giovani potranno discernere i valori utili della modernità, resistendo alla seduzione del materialismo e di certi social networks. La Chiesa e la società contano molto sui giovani, disposti a collaborare con i loro concittadini “per edificare il futuro dei vostri paesi sulla dignità umana, fonte e fondamento della libertà, dell’uguaglianza e della pace nella giustizia” (63).  Rivolgendosi ai bambini, “dono inaudito per il mondo” (64), affidati ai genitori, loro educatori nella fede, il Papa Benedetto XVI invita: “imparate fin da ora l’obbedienza a Dio con l’essere obbedienti ai vostri genitori, come Gesù bambino” (64). Da parte  loro, “i genitori, gli educatori e i formatori, le istituzioni pubbliche, hanno il dovere di rispettare il diritto dei bambini, a partire dal momento del loro concepimento” (64). “La famiglia cristiana è il luogo naturale dello sviluppo della fede dei bambini e dei giovani, la loro prima scuola di catechesi” (65).

Terza parte

La testimonianza cristiana, prima forma della missione, trova la sua anima e fonte nella Parola di Dio, nella liturgia e nella vita sacramentale, nella preghiera e nei pellegrinaggi. La Chiesa è chiamata a rinnovare la missione di evangelizzazione e di carità, come pure ad impegnarsi maggiormente nella catechesi e nella formazione cristiana.

Dopo un’approfondita riflessione, l’Ecclesia in Medio Oriente afferma che “comunione e testimonianza a Cristo costituiscono dunque i due aspetti di una stessa realtà, perché l’una e l’altra attingono alla stessa fonte, la santa Trinità, e poggiano sugli stessi fondamenti: la Parola di Dio e i Sacramenti” (66).

La Parola di Dio, anima e fonte della comunione e della testimonianza. La sacra Scrittura è opera dello Spirito Santo “nella quale possiamo sentire la stessa voce del Signore e conoscere la sua presenza nella storia” (69). Nel loro insegnamento, gli Apostoli hanno esplicitato “il rapporto della Chiesa con le Scritture della prima Alleanza, che trovano il loro compimento nella persona di Gesù Cristo” (68). La Chiesa intera è riconoscente alle scuole esegetiche di Alessandria, di Antiochia, di Edessa o di Nisibi per il grande contributo offerto all’intelligenza e alla formazione dogmatica del mistero cristiano nel IV e V secolo. Tali scuole concordavano su alcuni principi esegetici, comunemente ammessi in Oriente e in Occidente, tra cui occorre menzionarne due: “credere che Gesù Cristo incarna l’unità intrinseca dei due Testamenti e di conseguenza l’unità del disegno salvifico di Dio nella storia [...]. Viene poi la fedeltà ad una lettura tipologica della Bibbia, secondo la quale certi fatti dell’Antico Testamento sono una prefigurazione (tipo e figura) delle realtà della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, chiave di lettura di tutta la Bibbia” (70). Il Concilio Vaticano II ha ulteriormente precisato che, per scoprire il senso esatto dei testi scritturistici, “bisogna prestare attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto conto della Tradizione vivente di tuta la Chiesa e dell’analogia della fede” (70). Occorre promuovere una vera pastorale biblica, adoperandosi nella diffusione della Bibbia nelle famiglie e favorendo la sua lettura e meditazione (lectio divina). Bisogna servirsi anche dei moderni mezzi di comunicazione, spiegando la Bibbia in modo semplice. In tale modo “si contribuirà a dissipare molti pregiudizi o idee erronee su di essa, da cui derivano controversie inutili e umilianti” (72). Per favorire il dialogo interreligioso, sarebbe bene spiegare la differenza tra ispirazione e rivelazione. Per poter svolgere bene tale servizio è urgente formare personale specializzato dal punto di vista dottrinale, etico e tecnico. Per favorire una maggiore familiarità con la Parola di Dio si propone, secondo le condizioni pastorali di ogni paese mediorientale, eventualmente di proclamare “un Anno biblico, ed essere seguito, se ciò è opportuno, da una Settimana annuale della Bibbia” (74).

La liturgia e la vita sacramentale. “La liturgia testimonia in modo privilegiato la Tradizione degli Apostoli, continuata e sviluppata nelle tradizioni particolari delle Chiese d’Oriente e d’Occidente” (75). Per i fedeli mediorientali, essa è stata un elemento essenziale di comunione e di unità spirituale. Sarebbe opportuno, ove necessario, “intraprendere un rinnovamento dei testi e delle celebrazioni liturgiche […], per quanto possibile, in collaborazione con le Chiese che non sono in piena comunione, ma che sono co-depositarie delle stesse tradizioni liturgiche ” (75). Oltre che sulla Parola di Dio e sulla tradizione propria di ogni Chiesa, tale rinnovamento liturgico dovrebbe essere fondato sulle nuove acquisizioni teologiche e antropologiche cristiane. Un legame vitale esiste tra la liturgia “che fonda l’unità dell’episcopato e della Chiesa universale, e il ministero di Pietro che mantiene questa unità” (76) e che si esprime, in modo particolare nella celebrazione eucaristica, “celebrata in unione non solo con il Vescovo, ma prima di tutto con il Papa, con l’ordine episcopale, con tutto il clero e l’intero Popolo di Dio” (76).

Per il sacramento del Battesimo, il fedele è conformato a Cristo e incorporato nel Corpo di Cristo, la Chiesa, chiamato a vivere in comunione fraterna, aperto ad una reale solidarietà con tutti gli altri membri della famiglia umana. Mentre ribadisce stima per il battesimo validamente conferito, l’Esortazione auspica che “possa un accordo ecumenico sul mutuo riconoscimento del Battesimo vedere la luce al più presto tra la Chiesa Cattolica e le Chiese con le quali essa è in dialogo teologico” (78). Da ciò dipende in parte la credibilità della testimonianza cristiana in Medio Oriente.

L’Eucaristia “fonda la comunione ecclesiale e la conduce alla sua pienezza” (79). Soffrendo il dramma delle divisioni, “la Chiesa di Cristo spera ardentemente che sia vicino il giorno in cui tutti i cristiani potranno finalmente comunicare insieme allo stesso pane nell’unità di un solo corpo” (79). Celebrando l’Eucaristia, occorre riscoprire e approfondire la dimensione escatologica della fede cristiana e il senso cristiano della storia come cammino verso il suo compimento in Dio. “Pellegrini in cammino verso Dio, al seguito degli innumerevoli eremiti e monaci, cercatori di Assoluto, i cristiani che vivono in Medio Oriente sapranno trovare nell’Eucaristia la forza e la luce necessarie per testimoniare, spesso contro corrente e malgrado innumerevoli costrizioni, il Vangelo” (80).

Bisogna, poi, riscoprire l’importanza del sacramento del Perdono e della Riconciliazione che è un invito alla conversione del cuore. Esso rimette i peccati e guarisce, e la sua pratica aiuta a superare le paure e lottare contro la violenza. Il Papa Benedetto XVI esorta “i Pastori e i fedeli che sono loro affidati a purificare senza sosta la memoria individuale e collettiva, liberando gli animi dai pregiudizi, attraverso l’accettazione reciproca e la collaborazione con persone di buona volontà” (81). Come veri discepoli di Gesù Cristo, nello spirito delle beatitudini, i cristiani promuovano ogni iniziativa di riconciliazione e di pace, anche in mezzo alle persecuzioni.

La preghiera e i pellegrinaggi. “L’efficacia della missione evangelizzatrice, e dunque della testimonianza, trova la sua sorgente nella preghiera” (82). Aprendosi all’azione dello Spirito, essa è in grado di trasformare la vita delle persone e della Chiesa. Seguendo l’esempio e l’insegnamento del Signore Gesù, i cristiani devono pregare senza sosta, senza scoraggiarsi, anche nelle situazioni umane dolorose.

Occorre, inoltre, rivalutare il significato dei pellegrinaggi in Terra santa, terra della rivelazione biblica. Essi possono essere un’autentica sequela Christi nei luoghi santi. Bisognerebbe riscoprire l’intuizione iniziale del pellegrinaggio “improntato alla penitenza per la conversione e alla ricerca di Dio” (83). Esso offre la possibilità ai fedeli “di impregnarsi maggiormente della ricchezza visiva della storia biblica che delinea davanti a loro i grandi momenti dell’economia della salvezza” (83). Pur sapendo che la vera adorazione di Dio si fa in spirito e verità, senza essere vincolata ad un luogo santo, “la Chiesa, e in essa ogni battezzato, sente tuttavia il bisogno legittimo di un ritorno alle sorgenti” (84), per impegnarsi in un cammino di conversione e per ritrovare nuovo slancio. Il Papa auspica “che i fedeli del Medio Oriente possano farsi loro stessi pellegrini in questi luoghi santificati dal Signore stesso ed avere libero accesso senza alcuna restrizione ai luoghi santi” (84). Oltre alla possibilità di conoscere la ricchezza liturgica e spirituale della Chiese Orientali, i pellegrinaggi contribuiranno anche a sostenere le comunità cristiane rimaste con fedeltà e coraggio nella Terra di Gesù.

L’evangelizzazione e la carità: missione della Chiesa. “La trasmissione della fede cristiana è una missione essenziale per la Chiesa” (85). Per rispondere meglio alle sfide attuali, il Santo Padre invitato tutti i fedeli ad una nuova evangelizzazione. Essa “intende far prendere coscienza ad ogni fedele che la sua testimonianza di vita dà forza alla parola quando osa parlare di Dio apertamente e coraggiosamente per annunziare la Buona Novella della salvezza” (85). Anche la Chiesa in Medio Oriente è chiamata a tale opera, tenendo conto del contesto multiculturale e pluri-religioso in cui svolge l’attività pastorale. In primo luogo, si tratta di “una chiamata a lasciarsi evangelizzare di nuovo dall’incontro con Cristo” (85). Con l’approfondimento teologico la pastorale della nuova evangelizzazione “dovrà essere aperta alle due dimensioni, ecumenica e interreligiosa, inerenti alla vocazione e alla missione proprie della Chiesa cattolica in Medio Oriente” (86).

I movimenti ecclesiali e le nuova comunità, dono dello Spirito alla nostra epoca,  sono invitati a “mettere il proprio carisma al servizio del bene comune” (87). I loro membri diventino “artefici di comunione e testimoni della pace che viene da Dio, in unione con il Vescovo del luogo e secondo le sue direttive pastorali, tenendo conto della storia, della liturgia, della spiritualità e della cultura della Chiesa locale” (87). Con la loro integrazione esprimeranno la comunione nella diversità ed aiuteranno la nuova evangelizzazione.

Ogni Chiesa cattolica in Medio Oriente è chiamata “a rinnovare il suo spirito missionario con la formazione e l’invio di uomini e di donne fieri della loro fede in Cristo morto e risorto, e capaci di annunziare con coraggio il Vangelo, sia nella regione, sia nei territori della diaspora, ed anche in altri paesi del mondo. L’Anno della fede che si situa nel contesto della nuova evangelizzazione sarà, se vissuto con intensa convinzione, un forte stimolo per promuovere una evangelizzazione delle Chiese della regione, e per consolidare la testimonianza cristiana”(88).

Le istituzioni educative, sociali e caritative in Medio Oriente sono espressioni del Vangelo e della fede in Gesù Cristo il quale ha assicurato: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). In tali fratelli la Chiesa riconosce tutte le persone in necessità, “qualunque sia la loro religione, indipendentemente dai partiti e dalle ideologie, all’unico scopo di vivere sulla terra l’amore di Dio per gli uomini” (89). Il Vescovo di Roma esprime la riconoscenza per tutti coloro che consacrano la propria  vita “a servizio dell’accoglienza dei bambini nelle maternità e negli orfanotrofi, di quella dei poveri, delle persone disabili, dei malati e di ogni persona bisognosa, affinché sia sempre meglio inserita nella comunità umana” (90).

La Chiesa compie un lavoro impressionante nel campo dell’educazione con numerose scuole, istituti superiori e università cattoliche. Estranei ad ogni proselitismo, tali centri accogliendo giovani di altre Chiese e religioni dimostrano che anche nel Medio Oriente esiste “la possibilità di vivere nel rispetto e nella collaborazione, attraverso un’educazione alla tolleranza e una ricerca continua di qualità umana” (91). Una grande solidarietà tra le persone e con le istituzioni “permetterà di garantire a tutti l’accesso all’educazione, specialmente a quelli che sono sprovvisti delle risorse necessarie” (91). I responsabili politici sono invitati a sostenere tali istituzioni educative che collaborano al bene comune e alla costruzione di un futuro migliore nelle rispettive nazioni.

La catechesi e la formazione cristiana. La catechesi assicura la formazione dei fedeli che sono chiamati ad accogliere la fede, dono di Dio che deve ispirare tutta la loro vita, e a dare ragione, con dolcezza e rispetto, della speranza che è in loro (cfr Pt 3, 15-16). Per quanto possibile, tale catechesi si faccia “in una fraterna collaborazione tra le diverse Chiese” (92). I fedeli devono essere pure iniziati alla celebrazione dei santi Misteri, soprattutto dell’Eucaristia e all’ascolto della Parola di Dio. La liturgia “è una scuola di fede che conduce alla testimonianza” (93). La catechesi non mancherà di beneficiare del Catechismo della Chiesa Cattolica e del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, come pure dei grandi documenti del Magistero pontificio. La formazione, aiutata anche dalla diaconia della carità, dovrebbe avere una dimensione ecumenica, propria dell’ambiente mediorientale. Nella formazione è importante “l’accesso ai tesori dei Padri della Chiesa e dei maestri spirituali” (94). Una solida formazione spirituale dei cristiani rafforzerà il loro impegno nella Chiesa e nelle istituzioni civili.

Conclusione

Con le parole del Signore Gesù: “non temere, piccolo gregge” (Lc 12, 32), il Vescovo di Roma desidera “incoraggiare tutti i Pastori e i fedeli cristiani in Medio Oriente a mantenere viva, con coraggio, la fiamma dell’amore divino nella Chiesa e nei loro ambienti di vita e di attività” (95).). La necessità di mantenere integra la missione della Chiesa, voluta da Cristo, l’urgenza del momento presente e di tante situazioni drammatiche, richiedono “di unirsi per testimoniare insieme Cristo morto e risorto” (95), unendo nel Figlio tutti gli uomini e tutto l’universo. Il successore di Pietro, su cui Cristo ha edificato la Chiesa, affidandogli di pascere le sue pecorelle, è unito ai fratelli e sorelle che soffrono varie tribolazioni, in particolare in Medio Oriente e domanda “ai responsabili politici e religiosi delle società, non solo di alleviare queste sofferenze, ma di eliminare le cause che le producono” (96) e di adoperarsi nella promozione della pace. Le fondamenta della città santa di Gerusalemme sono “fatte di pietre differenti, colorate e preziose […]. Le venerabili Chiese orientali e la Chiesa di rito latino sono questi splendidi gioielli, che si fanno piccoli, in adorazione davanti al ‘fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello!’ (Ap 22, 1)” (97). Il Santo Padre invita “l’insieme dei fedeli cattolici a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio per consolidare maggiormente tra loro la comunione e viverla in una fraternità semplice e gioiosa” (98). Possano essi, insieme con altri cristiani del Medio Oriente, diventare lievito nella pasta nuova, offrendo con coraggio la testimonianza della fraternità e della comunione cristiana. “Possa la prova che vivono alcuni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle […] fortificare la fedeltà e la fede di tutti!” (99). I cristiani in Medio Oriente non sono soli: “l’insieme della comunità cristiana li incoraggia e li sostiene” (99).

Maria, Theotokos e Madre della Chiesa, il cui cuore è stato trafitto a causa delle opposizioni e dell’ostilità alla missione di Cristo e della Chiesa, suo Corpo mistico, ci offre il suo Figlio, presentandogli al tempo stesso le nostre necessità e suppliche. “Ascoltiamola perché ci apre alla speranza: ‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela!’ (Gv 2, 5)” (100).

    

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