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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 13 maggio 1970

 

Fede salda e carità operosa

Che cosa significa questa espressione, rimessa in uso dal linguaggio del Concilio: Chiesa pellegrina?
È un’espressione che ricorre spesso nei documenti del Concilio. La troviamo, ad esempio, nella Costituzione sulla sacra Liturgia, dove è detto della Chiesa che è «presente nel mondo e tuttavia pellegrina» (Sacrosanctum Concilium, 2); è detto, nella Costituzione Lumen gentium con una bella citazione di S. Agostino che «la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio» (Lumen gentium, 8; De Civit. Dei, 18, 51, 2; PL 41, 614);
è detto ancora che « tutto ciò che di bene il Popolo di Dio può offrire alla umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terrestre, scaturisce dal fatto che la Chiesa è l’universale sacramento della salvezza» (Gaudium et spes, 45).

LA CHIESA PELLEGRINA

Che cosa vuol dire questo pellegrinaggio? L’immagine del pellegrinaggio è chiara, e dice molte cose assai importanti, ma non certo semplici, né di facile comprensione. È: bene in ogni modo tenerle presenti. Dice questa immagine del pellegrinaggio che la Chiesa ha una duplice vita: una nel tempo, ch’è quella in cui noi ora ci troviamo, l’altra oltre il tempo, nell’eternità, quella verso cui è incamminato il nostro pellegrinaggio; e avere coscienza di questa realtà, che pone nella mobilità del tempo la esistenza della Chiesa, come quella d’ogni creatura, d’ogni singolo uomo, ci porta ad avere coscienza, una coscienza non solo speculativa, ma altresì pratica e quindi morale, della precarietà, della caducità di tutto ciò che forma il nostro mondo presente. Noi sappiamo che tutto è labile, che tutto passa e che noi stessi siamo effimeri e mortali, ma in pratica pensiamo e viviamo come se invece le cose e la vita fossero stabili e dovessero sempre rimanere; anche quando, assecondando la legge inesorabile del tempo, noi cerchiamo di muoverci verso qualche punto d’arrivo nel futuro, sempre pensiamo che quello sarà un punto d’arrivo, sarà un termine fisso, di riposo.

Questa è una delle illusioni abituali, dalla quale il Signore ci ha risvegliato continuamente; ad esempio, quando ci ammonisce: «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che resta per la vita eterna» (Io. 6, 27). Il Signore ci ha lasciato due lezioni fondamentali su questo enigmatico tema del tempo; e cioè quella, che dicevamo, della sua fugacità (nella storia dell’uomo ricco, tutto affaccendato ad accumulare i suoi beni economici, e subito perduto da una morte improvvisa (Cfr. Luc. 12, 20); «passa la scena di questo mondo» (1 Cor. 7, 31); etc.); e quella della sua preziosità («camminate mentre è giorno») (Io. 12, 35; cfr. Matth. 20, 6; etc.); ma preziosità in ordine ad un fine da raggiungere oltre il tempo; del tempo dobbiamo usare e con febbrile intensità, non godere con pigra indifferenza, o con ansioso edonismo («carpe diem»).
Qui si imporrebbe una difficile riflessione, sulla natura del tempo (Cfr. S. AUG., Confess. XI, 14; PL 32, 816); e su le idee generali che da questa riflessione derivano, come l’evoluzione, lo sviluppo, il progresso (Cfr. GUITTON, L’Existence temporelle, Aubier, 1949); ma ora a noi basta ricordare che Dio ha posto la creazione ed anche i destini umani nel divenire, e ha messo in questo fiume del cambiamento continuo anche l’umanità, anche la Chiesa: anche la Chiesa naviga nel tempo, naviga nella storia.

IL TRAGUARDO SICURO

Ecco un’altra parola magica, la storia, adesso molto di moda, anche nella teologia, nello studio della religione, tanto che tutta la religione cristiana si suole definire la storia della salvezza; cioè si considera ora il rapporto fra l’uomo, o meglio fra l’umanità e Dio come una vicenda che si è svolta nel tempo, nei secoli, come il compimento d’un disegno misterioso e divino (Cfr. Col. 1, 26; Eph. 1, 10; Gal. 4, 4; etc.), che si è reso palese in un momento determinato, la pienezza dei tempi, con la venuta di Cristo; e disegno non completo, perché esso conduce ad una seconda, futura venuta di Cristo, l’ultima, escatologica. La Chiesa vive in questo periodo: dal Cristo del Vangelo al Cristo dell’Apocalisse, vive nel tempo, come ogni altra istituzione umana, vive una sua storia, che chiamiamo pellegrinaggio. Chiesa pellegrina vuol dire Chiesa che passa nel tempo. Con questa duplice caratteristica, distintiva della sua storia: che ella, la Chiesa, porta con sé valori da custodire (valori che San Paolo chiama il depositum) (2 Tim. 1, 12; 1, 14), la fede, la grazia, il Cristo vivente nel mistero del suo Corpo mistico, che è la Chiesa stessa; cioè la Chiesa è viva ed ha in sé la garanzia divina, che tutte le avversità della storia non riusciranno a rovinarle l’esistenza (ricordiamo il vaticinio del Signore: portae inferi non praevalehunt) (Matth. 16, 18), e che questo avventuroso, ma invitto pellegrinaggio durerà «fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20). E la seconda caratteristica è data dalla sicurezza che il pellegrinaggio della Chiesa, attraverso i secoli, ha un traguardo sicuro, e cioè l’incontro ultimo, glorioso ed eterno con Gesù Cristo vivente alla destra del Padre, cioè in Dio, Dio Lui stesso, con lo Spirito Santo, nell’ineffabile mistero della Santissima Trinità; tale traguardo da dare alla Chiesa il senso ch’esso è vicino e quasi imminente e da infondere nell’affannato respiro della tribolata Pellegrina (Cfr. S. AUG., In Ps. 137; PL 37, 1781) l’invocazione suprema: «Amen. Vieni Signore Gesù!» (Apoc. 22, 20; cfr. JOURNET, L’Eglise, III, Essai de Théologie de l’Histoire du Salut, p. 102).

DIFFICILE EQUILIBRIO

Questa visione della Chiesa, oggi richiamata alla nostra attenzione dal titolo di pellegrina ripetutamente a lei attribuito, ci può insegnare molte cose. Sono cose difficili a comprendersi nel loro senso profondo (Cfr. MOUROUX, Le mystère du temps, Aubier, 1962), ma sono diventate moneta corrente nel discorso comune. La prima da comprendere è il senso della storia, non come puro succedersi delle vicende umane nel gioco cieco e inestricabile del divenire naturale e cosmico e della libertà umana, ma come processo evolutivo dell’umanità, guidato, noi crediamo, da un Pensiero dominante, che conduce ogni cosa verso un possibile e libero risultato di salvezza (Cfr. Rom. 8, 28); noi cristiani perciò non abbiamo paura della storia, cioè degli avvenimenti e dei cambiamenti, nei quali essa consiste, divorando e generando uomini e cose; non habemus hic manentem civitatem, non abbiamo dimora permanente, «ma cerchiamo quella che ha da venire» (Hebr. 13, 14); e perciò siamo sempre disponibili alle novità e al progresso, non perdiamo fiducia e coraggio qualunque cosa possa avvenire; siamo in cammino. Ma camminiamo nella storia, camminiamo nel mondo, e non come estranei e fuggiaschi, ma come partecipi della sua vita complicata e tumultuosa, lieta o triste che sia (Cfr. Gaudium et spes). Noi abbiamo, proprio come cristiani, una missione da svolgere nel mondo, noi abbiamo verso di esso una responsabilità, una carità da svolgere.

E qui si prospetta il grande problema dei rapporti di noi cristiani, e dobbiamo pur dire della Chiesa, col mondo, oggi trascinato nel vortice di trasformazioni imprevedibili. Due atteggiamenti si presentano: l’immobilismo e il relativismo, questo ultimo oggi particolarmente tentatore. Né l’uno, né l’altro deve essere esclusivo. Occorre trovare la linea di complementarietà: dobbiamo essere bravi nel mantenere ciò che per noi è ragione di vita e fonte di luce e di energia, il «deposito» dicevamo, la coerenza fedelissima con la tradizione, donde ci viene la vita cristiana nei suoi elementi insostituibili e immutabili; e dobbiamo essere altrettanto bravi a modellare le forme contingenti del costume ecclesiale e cristiano alle necessità della nostra moderna convivenza e ancor più della nostra missione secondo il mutare delle circostanze, dei luoghi e dei tempi. Questo si sa; ma in pratica è difficile l’equilibrio e la sintesi fra i due atteggiamenti: è questo il problema caratteristico del momento presente: ferma la fede, operosa la carità.
È questo il sentiero della Chiesa pellegrina: preghiamo S. Pietro, sulla cui tomba noi ora ci troviamo, a volercelo pastoralmente indicare.
A voi la Nostra Apostolica Benedizione.

Gli economi cattolici

Ci è caro porgere, come negli anni precedenti, un cordialissimo saluto agli Economi cattolici, che concludono oggi il X Convegno di studio, nel quadro della tradizionale iniziativa della «Settimana della Vita Collettiva», organizzata dal loro Centro Nazionale, il quale celebra il suo primo decennio di vita. Ci rallegriamo anzitutto per questa significativa data, per la preziosa opera di collaborazione offerta agli Economi cattolici di tutta Italia, e per le affermazioni che, con pazienza, tenacia, spirito di iniziativa e di organizzazione, il Centro medesimo ha saputo raggiungere in questi anni.
Desideriamo altresì rivolgere il Nostro augurio a voi, partecipanti al Congresso, che avete gravi e quotidiane responsabilità pratiche e amministrative di Enti ecclesiastici, di Comunità religiose, di organismi assistenziali cattolici. Dire Economi cattolici, vuol significare una precisa qualifica, che eleva su di un piano nobilissimo l’umile e tormentoso assillo delle preoccupazioni materiali: la vostra opera, a seconda della fisionomia e della destinazione dei vostri Enti, si rivolge a volta a volta ai vostri Confratelli e Consorelle delle rispettive famiglie religiose; all’infanzia degli Asili e degli Istituti; alla gioventù dei collegi, dei Seminari e delle Scuole cattoliche; alle persone anziane; ai degenti nelle Cliniche e negli Ospedali. È un quadro multiforme, che si apre allo sguardo.

E pur nella varietà delle incombenze, il comune denominatore che giustifica e definisce ed eleva incomparabilmente la vostra attività è dunque la carità, che sa vedere nel prossimo il proprio fratello, che nel fratello sa servire il Cristo, in quello spirito evangelico che deve continuamente animare ogni vostra funzione, che, diversamente, resterebbe svuotata di ogni significato e di ogni merito. La Liturgia di questo tempo pasquale, tutta dedicata all’approfondimento della carità, per cui Dio rimane in noi e noi in Lui, vi ha certo ispirato i propositi pratici - di sollecitudine, di dedizione, di servizio, di efficienza, di distacco - ai quali volete informare la vostra azione.
Ci ha fatto anche piacere l’apprendere che avete dedicato la vostra attenzione alla situazione dell’assistenza privata di fronte alla necessità di renderla sempre più aggiornata, con razionalità di metodo e provata competenza, tenendo conto dei vantaggi che l’odierno sviluppo economico e tecnico mettono a disposizione. È questo un preciso dovere per chi si fregia del nome di cattolico: anche a prescindere dalla mutata sensibilità odierna in tale settore, e dalle implicazioni della nuova situazione sociale e politica, il primo dovere dei vostri istituti sarà quello di assicurare e di promuovere, secondo i chiari principi della dottrina sociale cattolica, il benessere, il rispetto, la dignità della persona umana.
Vi segua in questa benemerita opera, i cui sacrifici sono noti solo a Dio, il conforto della Nostra preghiera e l’incoraggiamento della Nostra Benedizione.

Perfezionare gli ospedali

Sempre nell’ambito della VI Settimana di Vita Collettiva, si tiene quest’anno a Roma per la prima volta un Congresso internazionale di Ingegneria Ospedaliera, organizzato dal Centro Nazionale degli Economi Cattolici. Salutiamo i degni partecipanti, tra i quali le delegazioni ufficiali di Inghilterra, Francia, Germania, Svezia, Russia, Stati Uniti d’America, Canadà e Giappone; e auguriamo felici risultati allo studio veramente degno di interesse e di incoraggiamento, a cui attendono in questi giorni, allo scopo di perfezionare sempre più gli istituti ospedalieri esistenti, dotati di tutte le risorse della scienza e della tecnica, e renderli sempre più rispondenti alle accresciute esigenze dell’odierna civiltà. Sappiamo che l’oggetto principale delle vostre ricerche, che dà senso a queste sperimentazioni e a questi sforzi, è l’uomo: nella sua bivalenza di spirito e di corpo, nella sua dignità di creatura nobile e libera, nel suo bisogno di rispetto, di comprensione e di amore. Che anche la vostra specializzazione contribuisca all’avvaloramento dell’uomo, dei suoi valori di comunione, di solidarietà, di servizio reciproco : è l’augurio che amiamo formare, invocando sulle vostre persone e famiglie la particolare assistenza del Signore.

Gli enti di assistenza

Una parola di saluto vogliamo rivolgere ai membri della Unione Nazionale Enti di Beneficenza e Assistenza, riuniti in questi giorni a Roma, per approfondire il tema della «Famiglia nella programmazione assistenziale».
Voi ben sapete, carissimi figli, come noi abbiamo seguito, con viva partecipazione, fin dal suo nascere, la vostra provvida Istituzione, la quale ha come scopo precipuo quello di aiutare i minori, i giovani, gli anziani, tutti quelli cioè che, in qualunque modo, hanno bisogno di cure, di assistenza, di affetto.
È vero che gli Stati moderni, spinti in questo dai fermenti del messaggio cristiano, si sono adoperati e si adoperano per creare e perfezionare gli strumenti legislativi atti ad assicurare a tutti i cittadini una giusta e conveniente serenità, anche economica, ma bisogna purtroppo riconoscere che, per un complesso di circostanze, ancora molti vivono in condizioni di bisogno e di solitudine fisica e spirituale.

Noi intendiamo pertanto sottolineare che non si è per nulla esaurita la funzione sociale dell’opera caritativa della Chiesa, in tutte le sue forme ed esplicazioni, non solo presso i popoli ancora in via di sviluppo, ma anche nella cosiddetta «società del benessere», perché là dove c’è un uomo che ha fame e sete, o che ha bisogno di conforto, è lo stesso Gesù che tende la mano per chiedere il nostro aiuto, la nostra solidarietà, il nostro amore (Cfr. Matth. 25, 35-46).
Considerate pertanto in tale prospettiva evangelica le finalità ed i compiti del vostro Ente; e la vostra attività sia guidata e retta dalla dedizione, dal sacrificio, dal disinteresse, espressioni di quella carità che sa vedere Dio nel volto del fratello che soffre.
Con questi voti, volentieri impartiamo la propiziatrice Benedizione Apostolica a voi, ai vostri Dirigenti, all’Onorevole Avvocato Giovan Battista Migliori, che lascia la Presidenza, a tutte le vostre famiglie e alle persone care.

La solidarietà promossa dall’I.R.I.

Il nostro saluto si rivolge anche ai partecipanti all’«Ottavo Corso di perfezionamento per quadri tecnici di Paesi in via di sviluppo», organizzato dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale.
Siete venuti in Italia da tutte le parti del mondo, dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia, dall’Europa per perfezionare le vostre conoscenze tecniche. Tra poco ritornerete nelle vostre Nazioni, non solo per contribuire al loro migliore sviluppo, ma per portarvi quei sentimenti di unione e di solidarietà, che devono esistere fra tutti i popoli, al di là delle barriere di continente e di razza.
Vogliamo, in questa occasione, ricordare la nostra Enciclica «Populorum Progressio», nella quale abbiamo incoraggiato, con pressante appello, questi scambi tra popoli diversi, affinché tutti, nella giustizia, nella pace e nella libertà, possano partecipare ai beni che il Creatore ha paternamente elargito non per l’uso esclusivo ed egoistico di alcuni, ma per tutti gli uomini della terra.
Desideriamo pertanto, ancora una volta, esprimere il nostro compiacimento per la opportuna ed intelligente iniziativa, che da alcuni anni l’Istituto per la Ricostruzione Industriale promuove, mentre invochiamo sulle vostre persone, sulle vostre famiglie, sulle vostre nobili Nazioni, sui docenti e sul Presidente Professore Giuseppe Petrilli le più elette benedizioni dell’Altissimo.

 



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