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VISITA-PELLEGRINAGGIO
DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI
A LISIEUX

CONFERENZA DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

La famiglia cristiana soggetto di evangelizzazione

Lisieux
Domenica, 11 luglio 2010

 

1. Dopo Città del Messico 2009 e prima di Milano 2012

Il Pontificio Consiglio per la Famiglia svolge innanzitutto una attività ordinaria: rapporti con i Vescovi e le Conferenze Episcopali; rapporti con le associazioni per la famiglia e per la vita; rapporti con gli organismi della Santa Sede e con molti altri soggetti ecclesiali e civili; organizzazione di Convegni e Seminari di studio; partecipazione a Convegni organizzati da altre istituzioni.

In seguito al VI Incontro Mondiale delle Famiglie a Città del Messico, è emersa l’opportunità di mettere in cantiere due progetti: uno sul versante più direttamente ecclesiale, “La famiglia cristiana soggetto di evangelizzazione”, e l’altro piuttosto sul versante civile, “La famiglia una risorsa per la società”.

Il primo progetto, “La famiglia cristiana soggetto di evangelizzazione”, vorrebbe essere un servizio alla comunione ecclesiale e alla pastorale familiare. In molti Paesi si stanno attuando esperienze pastorali assai belle e fruttuose, che valorizzano le famiglie come soggetti responsabili di evangelizzazione nella loro vita quotidiana, nelle relazioni con l’ambiente, nelle attività ecclesiali e sociali. Vorremmo avviare un processo prolungato nel tempo di raccolta e messa in circolazione, dopo adeguato discernimento, delle esperienze che saranno ritenute più significative e più idonee a stimolare e ispirare nuove esperienze. Abbiamo già tenuto un Seminario internazionale di studio a Roma nello scorso settembre e terremo un più ampio Convegno nel prossimo novembre ancora a Roma con Veglia di preghiera conclusiva presieduta dal Santo Padre nella Basilica di San Pietro il giorno 29. Quindi metteremo in circolazione un primo lotto di esperienze come inizio di un nostro particolare servizio alla comunione e alla comunicazione tra le Chiese. I capitoli di maggior rilievo, ai quali le esperienze si riferiscono, sono la preparazione al matrimonio e l’accompagnamento delle famiglie. Su queste due tematiche il Dicastero ha iniziato anche ad elaborare un Vademecum coinvolgendo molti soggetti ecclesiali di vari Paesi.

Il secondo progetto, “La famiglia una risorsa per la società”, si articola in due parti: a) lo studio accurato dei numerosi dati statistici già disponibili per mettere in risalto che la famiglia tradizionale, quando è sostanzialmente sana, anche se non perfetta, produce importanti benefici per la società, mentre le cosiddette nuove forme di famiglia comportano danni per la società; b) una nuova ricerca sociologica per verificare se, secondo le opinioni e le aspirazioni della gente, la famiglia tradizionale sia ancora ritenuta la maggiore risorsa sociale e perciò meritevole del sostegno necessario a superare gli ostacoli e a compiere la sua missione. Questo studio e questa ricerca vengono proposti alle Conferenze Episcopali di alcuni Paesi, scelti come campione, in modo da poter presentare i risultati al VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano nel 2012.

L’obiettivo del progetto è sensibilizzare l’opinione pubblica dei paesi coinvolti con il linguaggio eloquente dei fatti e incoraggiare i cristiani laici e le associazioni a proseguire la loro azione a favore delle famiglie con metodo analogo, anche in altri Paesi.

I due progetti, di cui ho parlato, hanno suggerito anche i temi da trattare nelle mie due conferenze in Francia. Oggi svolgo il tema del primo progetto “La famiglia cristiana soggetto di evangelizzazione”.

 

2. Lo spirito missionario della famiglia Martin

Se essere missionari significa in definitiva “rivelare e comunicare” agli altri “la carità di Dio” (cfr Concilio Vaticano II, Ad Gentes, 10), Luigi e Zelia Martin furono innanzitutto meravigliosi missionari nella loro casa nei confronti delle figlie, prima con il loro essere e poi con il loro agire. La loro vita santa irradiava la forza e la bellezza dell’amore di Dio. A partire dall’esperienza vissuta accanto a questi genitori, “più degni del cielo che della terra”, Teresa (e con lei le sue sorelle) si sentiva raggiunta dalla tenerezza della paternità divina, che le faceva esclamare: “E’ così bello chiamare Dio nostro Padre!”.

Luigi e Zelia Martin, come erano generosi nel soccorrere i poveri, così erano pieni di sollecitudine per la conversione dei peccatori e l’evangelizzazione dei popoli. Desideravano ardentemente avere un figlio sacerdote e missionario ad gentes; per vari anni nella preghiera lo chiedevano insistentemente al Signore. Non furono esauditi; ma in compenso le loro figlie imparavano presto a pregare e a fare sacrifici per la conversione dei peccatori. La famiglia era coinvolta nell’Opera della Propagazione della Fede e nell’Opera della Santa Infanzia e si teneva informata sull’attività dei missionari attraverso le riviste.

Lo spirito missionario penetrò soprattutto in Teresa, la figlia minore. Ancora adolescente, avendo conosciuto la tragica vicenda di un certo Pranzini, condannato a morte per un triplice omicidio, sprezzante e refrattario ad ogni pentimento, tanto pregò e fece penitenza, che ottenne per lui la grazia della conversione, manifestata dai ripetuti baci dati al Crocifisso prima della esecuzione capitale. In monastero Teresa si sentiva sorella spirituale dei missionari e in particolare di un giovane sacerdote martire in Vietnam, Teofano Vénard, che lei chiamava il suo “santo preferito”, sebbene non fosse ancora canonizzato. Secondo la spiritualità della “piccola via”, per vari aspetti collegata all’esperienza familiare di Teresa, per essere santi e per cooperare con Cristo Salvatore alla salvezza del mondo, non occorre fare grandi cose; basta vivere l’amore nelle ordinarie situazioni di ogni giorno, riconoscere la propria povertà e il proprio nulla e consegnarsi con ferma fiducia all’infinita misericordia di Dio. Infine, per solidarietà con i peccatori, Teresa veniva introdotta in una abissale esperienza di desolazione, di angoscia, di apparente assenza di Dio; diventava la sorella dei senza Dio, per intercedere a loro favore, come Gesù Crocifisso e misteriosamente abbandonato dal Padre.

Teresa giustamente è stata proclamata patrona delle missioni; ma la sua vocazione missionaria è germogliata nel terreno di una famiglia appassionatamente missionaria. Significativamente i coniugi Luigi e Zelia Martin sono stati beatificati nella domenica della giornata missionaria mondiale il 19 ottobre 2008. Attraverso di loro giunge anche alle famiglie cristiane di oggi l’appello ad essere santi e missionari, ad evangelizzare con la parola, con l’azione, con tutta la vita.

 

3. Eclissi di Dio in Europa

L’Europa di oggi si presenta come il continente più secolarizzato. Molto scarsa è la partecipazione alle celebrazioni religiose (in particolare la Messa della Domenica). La religione da moltissima gente viene considerata poco rilevante per la vita. Si diffondono ateismo e nihilismo, negazione di Dio e della dignità trascendente dell’uomo (cfr. Fides et Ratio 90). La chiesa è accusata di essere antimoderna, nemica del progresso, della libertà e della gioia di vivere, perché disapprova i rapporti sessuali fuori del matrimonio, la contraccezione, l’aborto, il divorzio, l’omosessualità.

Alla crisi religiosa si associa un pesante degrado etico: individualismo e soggettivismo, egoismo proteso al profitto, al potere e al piacere, menzogna, conflittualità, violenza, disordine economico, corruzione politica, esercizio esclusivamente ludico della sessualità, dilagante crisi della famiglia (divorzio, convivenze irregolari, aborto, contraccezione, denatalità, carenza educativa).

La sfida indubbiamente è dura e pericolosa; ma può offrire l’opportunità di una scelta di fede e di vita cristiana più personale, consapevole, libera, controcorrente, coraggiosa. Di fatto vediamo una fioritura di movimenti, associazioni, nuove comunità, nuclei impegnati di cristiani e di famiglie cristiane in moltissime parrocchie. Sono un dono dello Spirito Santo, rispondente alle necessità del nostro tempo, e un forte motivo di speranza per il futuro, energie nuove per la nuova evangelizzazione. Costituiscono un valido riferimento per i cristiani mediocri, per le famiglie in crisi e per i non credenti.

Del resto, malgrado la secolarizzazione, rimane nella gente un diffuso bisogno di spiritualità e la devozione popolare continua a prosperare in vari Paesi d’Europa: lo indicano eloquentemente i pellegrinaggi ai santuari, più affollati che mai.

In un tempo di crisi delle ideologie e di sfiducia nelle dottrine, il fascino della santità vissuta rimane intatto. Nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte a conclusione del grande Giubileo, Giovanni Paolo II affermava: “Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro vedere” (NMI, 16). In questa prospettiva egli additava, come prioritaria e decisiva, la testimonianza delle famiglie cristiane esemplari. “Ogni famiglia è una luce! (…) Nella Chiesa e nella società questa è l’ora della famiglia. Essa è chiamata a un ruolo di primo piano nell’opera della nuova evangelizzazione” (Discorso all’Incontro Mondiale delle Famiglie, 8.10.1994, n. 6). “Chiesa santa di Dio, tu non puoi compiere la tua missione nel mondo, se non attraverso la famiglia e la sua missione!” (Discorso alle famiglie neocatecumenali, 30.12.1988).

 

4. La Chiesa segno e presenza di Cristo Salvatore

Gesù Cristo ha voluto la Chiesa come luce del mondo, città sul monte, luce sul candelabro, sale della terra (cfr. Mt 5, 13-14), suo corpo (cfr. 1Cor 12, 27), cioè sua espressione visibile, per continuare a manifestare la sua presenza nella storia e attrarre a sé gli uomini e disporli alla salvezza eterna.

Gli uomini si avvicinano a lui e alla sua Chiesa in diversa misura e in varie modalità, secondo la storia personale di ognuno. Anche quando non arrivano alla piena comunione, invisibile e visibile, possono entrare in qualche forma di appartenenza. Solo Dio conosce il cuore delle persone. Alla Chiesa è chiesto solo di dare la sua cooperazione con la preghiera, il sacrificio, la testimonianza, l’annuncio del Vangelo, l’animazione cristiana delle realtà terrene. E’ chiesto di essere sacramento di salvezza.

La visione della Chiesa più adeguata e più conforme al Concilio Vaticano II è quella sacramentale, mentre parziale e fuorviante sarebbe quella sociologica. La Chiesa infatti è una comunità di uomini convocata e vivificata da Cristo risorto per essere la sua espressione visibile, il suo corpo nella storia. “Comunicando il suo Spirito, egli costituisce misticamente suo corpo i fratelli, che raccoglie da tutte le genti” (Lumen Gentium, 7). Si tratta di una misteriosa realtà, spirituale e sociale, invisibile e visibile nello stesso tempo (cfr. LG 8), sacramento, cioè segno e strumento, “per rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutte le genti” (Ad Gentes 10).

La Chiesa coopera con Cristo Salvatore, trasmettendo l’amore e manifestando la presenza di lui in molti modi: con la Parola creduta e annunciata, con l’Eucaristia e i sacramenti, con il ministero dei pastori e la varietà dei carismi, con la vita santa dei credenti, con la preghiera, il servizio e il sacrificio, con la comunione fraterna, con il rinnovamento delle realtà terrene coerente con il Vangelo. La sua sacramentalità comprende sia la santità oggettiva dei beni salvifici sia la santità soggettiva dei credenti, nella misura in cui questi accolgono l’amore di Cristo, lo vivono, lo portano e lo manifestano agli altri.

Primariamente la Chiesa è opera di Dio Padre mediante Cristo nello Spirito Santo e solo secondariamente è opera dei credenti, in quanto cooperano con la grazia divina. Noi siamo Chiesa nella misura in cui siamo uno con Cristo in modo spirituale e visibile, cioè nella misura in cui accogliamo la verità della fede e la professiamo, in cui facciamo nostra la carità divina e la manifestiamo nell’amore reciproco e verso tutti, nelle relazioni, attività, istituzioni, opere. Noi siamo Chiesa in misura maggiore o minore, secondo i doni di Dio e la nostra risposta, scendendo dai grandi santi fino ai peccatori che sono ancora inseriti nella Chiesa mediante legami parziali di comunione. Non tutto ciò che è nella Chiesa è Chiesa, ma solo la grazia offerta, accolta, vissuta e manifestata. Invece i peccati dei credenti sono nella Chiesa, ma non sono Chiesa, né sono della Chiesa.

E’ vero che gli uomini sono tutti in qualche misura peccatori e che i peccati dei cristiani offuscano e deturpano la Chiesa; ma la Chiesa, parlando con linguaggio propriamente teologico, non è peccatrice, “è agli occhi della fede indefettibilmente santa” (Vaticano II, LG 39). Come spiega Paolo VI nel cosiddetto Credo del Popolo di Dio: “Essa è santa, pur comprendendo nel suo seno i peccatori, perché non possiede altra vita se non quella della grazia, e, appunto vivendo la sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini che impediscono l’irradiazione della sua santità” (Paolo VI, Solenne Professione di fede, 19).

Santa in se stessa, la Chiesa “che comprende nel suo seno i peccatori”, è continuamente “bisognosa di purificazione” (LG 8). Si fa carico dei peccati dei suoi figli, per essi prega, fa penitenza, domanda perdono a Dio e agli uomini. Ma i peccati non le appartengono; sono antiecclesiali e la offendono. Per questo il perdono di Dio passa attraverso la riconciliazione con la Chiesa nel sacramento della Penitenza. La Chiesa non è un’associazione a peccare; è santa e santificatrice. Con una felice formula suggerita dal famoso teologo francese Ives Congar potrebbe essere definita “Santa Chiesa dei peccatori”. La sua santità, malgrado i peccati e i limiti umani dei suoi figli, risplende in molti suoi membri, nella misura in cui accolgono la grazia e consentono a Cristo di agire in loro e attraverso di loro nel mondo. I santi più sono tali e più manifestano la vita e la fecondità della Chiesa, quella vita e fecondità che essa riceve da Cristo.

Nella prospettiva della Chiesa sacramento di salvezza si comprende che “ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione” e che “il vero missionario è il santo” (Redemptoris Missio, 90). Si comprende che “si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa” (RMi 23). Per questo al termine del grande Giubileo Giovanni Paolo II ha fortemente raccomandato di sviluppare una spiritualità della comunione con Cristo e tra i cristiani più consapevole, più intensa, più concreta. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo” (NMI 43). Si tratta di rendere ogni comunità ecclesiale, a cominciare dalle parrocchie, sempre più famiglia, con un clima di fraterna amicizia, di perdono, di servizio reciproco, di valorizzazione dei molteplici carismi sotto la guida dei pastori. Nello stesso tempo si tratta di rendere ogni famiglia cristiana sempre più una piccola Chiesa (FC 49). Allora l’evangelizzazione avverrà per irradiazione, più ancora che per iniziative specifiche, secondo la parola di Gesù: “che tutti siano una cosa sola (…) perché il mondo creda” (GV 17, 21).

In una visione sacramentale della Chiesa, non è essenziale il numero sociologicamente quantificabile dei cristiani e delle famiglie cristiane, ma il vivere intensamente l’unione con Cristo e tra i credenti, il condividere il suo amore salvifico per tutti gli uomini e per tutto ciò che è autenticamente umano, il sentirsi ogni giorno inviati da lui in missione per procurare, secondo le proprie possibilità, il bene di tutti, temporale ed eterno. L’esperienza storica (di ieri e di oggi) conferma che la via migliore per arrivare ai mediocri e ai lontani è costituita dalla testimonianza e dall’impegno attivo dei cristiani esemplari. Di qui l’esigenza di una formazione differenziata secondo la disponibilità delle persone, in modo da avere nelle parrocchie nuclei di cristiani e di famiglie cristiane di solida spiritualità e di sincera responsabilità apostolica, che siano un prezioso riferimento per tutti. Se si vuole illuminare e riscaldare, la prima cosa da fare è accendere il fuoco.

 

5. La famiglia cristiana evangelizzata ed evangelizzante

Dentro il sacramento generale della salvezza, che è la Chiesa, la famiglia cristiana è sacramento particolare della comunione con Dio e tra gli uomini.

Secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, la famiglia, già come realtà semplicemente naturale, trova la sua sorgente e il suo modello nella Trinità divina. “L’immagine divina si realizza non soltanto nell’individuo, ma anche in quella singolare comunione di persone che è formata da un uomo e da una donna, uniti a tal punto nell’amore da diventare una sola carne. E’ scritto infatti: a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò (Gen 1, 27)” (Messaggio per la giornata della pace 1994, n. 1). “Il noi divino costituisce il modello eterno del noi umano; di quel noi innanzitutto che è formato dall’uomo e dalla donna, creati a immagine e somiglianza di Dio” (Giovanni Paolo II, Gratissimam Sane, 6). Dunque ogni comunione di persone fondata sull’amore è in qualche modo un riflesso di Dio amore, uno e trino. Ma la famiglia lo è in modo specifico, tanto da meritare la qualifica di sacramento primordiale della creazione. Fin dall’inizio della storia “si costituisce un primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall’eternità. E’ questo il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente” (Catechesi 20.02.1980, n. 3).

Il matrimonio, già realtà sacramentale in virtù della stessa creazione, è stato elevato da Gesù Cristo a sacramento della nuova ed eterna alleanza (cfr. Giovanni Paolo II, FC 19), “rappresentazione reale (…) del suo stesso rapporto con la Chiesa” (FC 13). Il Signore Gesù, sposo della Chiesa, comunica ai coniugi il suo Spirito, il suo amore per la Chiesa, maturato fino al sacrificio supremo della croce (cfr. FC 19), in modo che il loro amore reciproco sia alimentato dal suo stesso amore sponsale, sia elevato a carità coniugale e prefiguri le nozze eterne dell’amore e della gioia, quando Dio sarà “tutto in tutti” (1Cor 15, 28). Nella famiglia cristiana il sacramento della nuova alleanza porta a compimento il sacramento primordiale della creazione; perfeziona la partecipazione e la manifestazione della comunione trinitaria.

La famiglia cristiana “piccola Chiesa” (o chiesa domestica) non è un modo di dire, una metafora, per suggerire una vaga somiglianza. Si tratta, invece di una attuazione della Chiesa, specifica e reale; di una comunità salvata e salvante, evangelizzata ed evangelizzante come la Chiesa. Ascoltiamo ancora Giovanni Paolo II “(I coniugi) non solo ricevono l’amore di Cristo, diventando comunità salvata, ma sono anche chiamati a trasmettere ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando comunità salvante” (FC 49).

Come la Chiesa, anche la famiglia cristiana evangelizza innanzitutto con quello che è e poi con quello che fa e dice; prende parte alla missione evangelizzatrice impegnando “se stessa nel suo essere e agire, in quanto intima comunità di vita e di amore” (FC 50). Il suo essere in Cristo comunità di vita e di amore si ripercuote in tutto il suo agire: prestazione di aiuto reciproco, procreazione generosa e responsabile, educazione dei figli, contributo alla coesione e allo sviluppo della società, impegno civile, servizio caritativo, impegno di apostolato e partecipazione alle attività ecclesiali (cfr. FC 17).

La famiglia cristiana è stata da sempre la prima via di trasmissione della fede e anche oggi ha grandi possibilità di evangelizzazione. Può evangelizzare nella propria casa con l’amore reciproco, la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la catechesi familiare, l’edificazione scambievole. Può evangelizzare nel suo ambiente mediante le relazioni con i vicini, i parenti, gli amici, i colleghi di lavoro, la scuola, i compagni di sport e divertimento. Può evangelizzare in parrocchia mediante la fedele partecipazione alla Messa domenicale, la collaborazione al cammino catechistico dei figli, la partecipazione a incontri di famiglie, movimenti e associazioni, la vicinanza alle famiglie in difficoltà, l’animazione di itinerari di preparazione al matrimonio. Può evangelizzare nella società civile dandole nuovi cittadini, incrementando le virtù sociali, aiutando le persone bisognose, aderendo alle associazioni familiari per promuovere una cultura e una politica più favorevole alle famiglie e ai loro diritti (cfr. FC 44).

Per evangelizzare non basta essere battezzati; non basta neppure essere praticanti della domenica, se non si ha uno stile di vita coerente col Vangelo. Occorre una robusta spiritualità. “Le sfide e le speranze che sta vivendo la famiglia cristiana – dice Giovanni Paolo II – esigono che un numero sempre maggiore di famiglie scopra e metta in pratica una solida spiritualità familiare nella trama quotidiana della propria esistenza” (Discorso, 12.10.1988). La solida spiritualità, di cui parla il papa, va intesa come rapporto vivo con Cristo vivo e presente, in virtù dello Spirito; rapporto coltivato con l’ascolto della Parola, la partecipazione all’Eucaristia, la frequenza al sacramento della penitenza; rapporto vissuto concretamente nelle relazioni e attività quotidiane, sia all’interno che all’esterno della famiglia, in atteggiamento permanente di conversione; rapporto da cui attingere un di più di amore e unità, generosità e coraggio, sacrificio e perdono, gioia e bellezza.

Per avere famiglie di “solida spiritualità”, evangelizzate ed evangelizzanti, occorre una seria preparazione al matrimonio, come cammino teorico e pratico di sequela del Signore Gesù e di conversione. “La preparazione al matrimonio – dice Giovanni Paolo II – va vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa, infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima e una immediata” (FC 66), rispettivamente destinate a bambini e adolescenti, ai fidanzati, ai prossimi sposi. Inoltre Giovanni Paolo II auspica che la preparazione prossima, quella dei fidanzati, tenda sempre più a diventare “un itinerario di fede” (FC 51) simile a “un cammino catecumenale” (FC 66). Questa indicazione merita di essere presa in seria considerazione, cercando di offrire almeno opportunità differenziate, corsi brevi o itinerari prolungati, secondo il bisogno e la disponibilità delle coppie. Si potranno così avere famiglie più stabili (la appropriata preparazione al matrimonio abbassa del 30% le probabilità di divorzio), famiglie capaci di testimoniare la fede, di svolgere servizi a favore di altre famiglie, di animare le attività catechistiche, caritative, culturali, sociali.

Benedetto XVI nel discorso all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (8.2.2010) ha ulteriormente sviluppato le indicazioni del suo predecessore riguardo alla preparazione al matrimonio nelle sue tre distinte fasi. “La preparazione remota riguarda i bambini, gli adolescenti e i giovani. Essa coinvolge la famiglia, la parrocchia e la scuola, luoghi nei quali si viene educati a comprendere la vita come vocazione all’amore, che si specifica, poi, nelle modalità del matrimonio e della verginità per il Regno dei Cieli, ma è sempre vocazione all'amore. In questa tappa, inoltre, dovrà progressivamente emergere il significato della sessualità come capacità di relazione e positiva energia da integrare nell’amore autentico. La preparazione prossima riguarda i fidanzati e dovrebbe configurarsi come un itinerario di fede e di vita cristiana, che conduca ad una conoscenza approfondita del mistero di Cristo e della Chiesa, dei significati di grazia e di responsabilità del matrimonio (cfr FC 66). La durata e le modalità di attuazione saranno necessariamente diverse secondo le situazioni, le possibilità e i bisogni. Ma è auspicabile che si offra un percorso di catechesi e di esperienze vissute nella comunità cristiana, che preveda gli interventi del sacerdote e di vari esperti, come pure la presenza di animatori, l’accompagnamento di qualche coppia esemplare di sposi cristiani, il dialogo di coppia e di gruppo e un clima di amicizia e di preghiera. Occorre, inoltre, porre particolare cura perché in tale occasione i fidanzati ravvivino il proprio rapporto personale con il Signore Gesù, specialmente ascoltando la Parola di Dio, accostandosi ai Sacramenti e soprattutto partecipando all’Eucaristia. Solo ponendo Cristo al centro dell’esistenza personale e di coppia è possibile vivere l’amore autentico e donarlo agli altri: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” ci ricorda Gesù (Gv 15,5). La preparazione immediata ha luogo in prossimità del matrimonio. Oltre all’esame dei fidanzati, previsto dal Diritto Canonico, essa potrebbe comprendere una catechesi sul Rito del matrimonio e sul suo significato, il ritiro spirituale e la cura affinché la celebrazione del matrimonio sia percepita dai fedeli e particolarmente da quanti vi si preparano, come un dono per tutta la Chiesa, un dono che contribuisce alla sua crescita spirituale. E’ bene, inoltre, che i Vescovi promuovano lo scambio delle esperienze più significative, offrano stimoli per un serio impegno pastorale in questo importante settore e mostrino particolare attenzione perché la vocazione dei coniugi diventi una ricchezza per l’intera comunità cristiana e, specialmente nel contesto attuale, una testimonianza missionaria e profetica”.

Una seria preparazione al matrimonio è necessaria, ma non è sufficiente. Giovanni Paolo II raccomandava anche l’accompagnamento delle coppie dopo il matrimonio, “la cura pastorale della famiglia regolarmente costituita” (FC 69). Anche questa indicazione deve entrare sempre più nella pastorale ordinaria delle comunità ecclesiali mediante una varietà di iniziative: proposta della preghiera in famiglia con sussidi adatti per ascoltare insieme e vivere la Parola di Dio; incontri periodici tra famiglie per costruire una rete di amicizia e solidarietà, umanamente e spiritualmente significativa; piccole comunità familiari di evangelizzazione; coinvolgimento sistematico delle famiglie nel percorso di iniziazione cristiana dei figli dal battesimo, alla cresima, alla comunione eucaristica; promozione delle associazioni, dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali, realtà preziose per la formazione spirituale, l’apostolato e la stessa pastorale ordinaria; sostegno alle associazioni familiari di impegno civile (cfr. FC 22).

 

6. Conclusione

Ha scritto il Cardinale Ratzinger: “La Chiesa di massa (come era nel passato) può essere qualcosa di bello, ma non è necessariamente l’unico modo di essere della Chiesa. La Chiesa dei primi tre secoli era piccola (…) ma sentiva una grande responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, nei confronti di tutti”. Anche se le comunità ecclesiali sono numericamente piccole, hanno un dinamismo universale, proteso verso tutti gli uomini; possono disporre alla salvezza in vario modo anche quelli che sulla terra non arrivano alla piena adesione a Cristo e rimangono fuori dei confini visibili della Chiesa. Certo il Signore vuole la cooperazione dei suoi discepoli alla salvezza di tutti gli uomini; ma egli solo è il Salvatore e conosce le vie da percorrere. “La missione non si fonda sulle capacità umane, ma sulla potenza del Risorto” (RMi 23). Valorizzate da lui come suo segno e strumento, le comunità ecclesiali e le famiglie cristiane possono avere un’efficacia molto più ampia di quanto sia empiricamente verificabile. La prospettiva sacramentale implica l’evangelizzazione intesa come irradiazione e consente di mantenere ferma la fiducia nonostante le difficoltà e gli apparenti insuccessi. “La notte è buia – ha detto Paolo VI – ma non bisogna aver paura della notte, finché ci sono fuochi accesi che illuminano e riscaldano”.

 

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