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XVII SESSIONE PLENARIA DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Martedì, 3 maggio 2011

 

La diplomazia pontificia e la libertà religiosa

1. Introduzione

Sono grato alla Prof.ssa Mary Ann Glendon, al co-organizzatore Prof. Hans Zacher e al Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, S.E. Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, per avermi invitato a questa Sessione Plenaria dedicata ad approfondire l’importante e attuale tema dei “Diritti universali in un mondo diversificato. La questione della libertà religiosa”. A loro, agli altri Accademici e a tutti i presenti il mio deferente e cordiale saluto, accompagnato dall’augurio per il pieno successo dei lavori della sessione.

Desidero esprimere il mio vivo compiacimento per la scelta della tematica, perché in tal modo la Vostra Accademia mostra di aver colto una delle sfide più rilevanti nel mondo contemporaneo e, allo stesso tempo, può così offrire un prezioso contributo di riflessione ed approfondimento intorno ad un aspetto molto importante della Dottrina Sociale della Chiesa, secondo le finalità che sono proprie di questa prestigiosa istituzione. Anzi, questo approfondimento del tema dei diritti universali e soprattutto di quello di libertà religiosa si colloca in una profonda sintonia con il magistero del Santo Padre Benedetto XVI e dei suoi predecessori.

Fra essi non possiamo oggi, a due giorni dalla cerimonia della sua beatificazione, non menzionare soprattutto il Beato Giovanni Paolo II, che durante il suo Pontificato fece del tema della libertà religiosa uno dei contenuti più rilevanti del suo insegnamento e dell’azione sua e della Santa Sede. Egli riconosceva nella libertà religiosa un diritto che, stando “alla radice di ogni altro diritto e di ogni altra libertà”[1], può senz’altro considerarsi “uno dei pilastri che sorreggono l’edificio dei diritti umani”[2] o, ancor più precisamente, la sua “pietra angolare”[3]. Un diritto che “esiste in ogni persona ed esiste sempre, anche nell’ipotesi che non venga esercitato o sia violato dagli stessi soggetti cui inerisce”[4].

Mi è stato affidato il tema “La diplomazia pontificia e la libertà religiosa”, perché compito del Segretario di Stato e della Segreteria di Stato è proprio quello di guidare l’azione svolta dalla Santa Sede in campo internazionale, che, come vedremo, ha fra i suoi fini appunto la promozione di tale diritto fondamentale.

Ovviamente, a motivo della sua vastità, potrò solo accennare ad alcuni aspetti del tema assegnatomi, compatibilmente col breve spazio di un intervento. Ulteriori elementi sull’argomento li fornirà la Prof.ssa Fumagalli Carulli, che si soffermerà su uno degli atti tipici “prodotti” dalla diplomazia pontificia, cioè i concordati e gli altri tipi di accordo internazionale che la Santa Sede conclude con altri soggetti di diritto internazionale.

2. Il ruolo ecclesiale della diplomazia pontificia

La diplomazia è uno strumento di cui si servono gli Stati per perseguire i loro fini ed interessi nel contesto delle relazioni internazionali. Essa è una realtà con i propri organi di responsabilità e con le proprie regole, che sono in parte definite dalle consuetudini e in parte fissate dalle convenzioni sul diritto diplomatico e dalle norme di diritto interno: ciò costituisce la base comune per l’esercizio dell’attività diplomatica. Infatti, a tali regole si attiene anche la Santa Sede, che, del resto, ha attivamente partecipato anche alla loro formulazione.

Quindi, la Santa Sede ha assunto e usa lo strumento della diplomazia, e lo fa non solo per perseguire i suoi fini propri, che sono diversi da quelli delle entità statuali, ma, secondo la sua natura peculiare, dà una sostanza ed un senso differente a tale strumento.

Infatti, la diplomazia pontificia è anzitutto uno strumento di coesione intraecclesiale, perché appartiene ad una comunità che è sparsa in tutto il mondo e che ha il suo centro di unità nell’ufficio petrino. In realtà, la diplomazia pontificia ha la sua prima ragion d’essere nella collaborazione al compito singolare affidato a Pietro e ai suoi successori. Riordinando l’ufficio dei Rappresentanti del Romano Pontefice dopo il Vaticano II, Paolo VI richiamava perciò anzitutto le verità dogmatiche circa il ruolo del Papa nella Chiesa: “Il Vescovo di Roma... in virtù del suo ufficio, ha su tutta la Chiesa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente[5], essendo essa ordinaria e immediata[6]; egli inoltre, come successore di Pietro è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi, sia della moltitudine dei fedeli[7]; e pertanto ha come funzione precipua nella Chiesa il tenere unito e indiviso il Collegio episcopale[8]. Con l'affidare al suo Vicario la potestà delle chiavi e con il costituirlo pietra e fondamento della sua Chiesa (Cfr Mt 16, 18), il Pastore eterno gli attribuì pure il mandato di confermare i propri fratelli (Cfr Lc 22, 32): ciò si avvera non solo col guidarli e tenerli uniti nel suo nome, ma anche col sostenerli e confortarli, certamente con la sua parola, ma in qualche modo anche con la sua presenza”[9]. Si colloca qui tanto la motivazione dell’invio dei Rappresentanti Pontifici quanto il primo compito che essi devono svolgere. Il vigente Codice di Diritto Canonico afferma infatti che “il compito principale del Legato pontificio è quello di rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità che intercorrono tra la Sede Apostolica e le Chiese particolari” (can. 364).

La diplomazia pontificia realizza così un’esigenza che la Chiesa ha sempre avvertito, ancor prima che sorgesse la diplomazia nella forma attuale che conosciamo a partire dal secolo XV, e prima che i Pontefici facessero proprio tale strumento. In questo senso uno dei maggiori esperti della storia della diplomazia della Santa Sede, il gesuita Pierre Blet, parlava più precisamente di storia della “rappresentanza pontificia”, comprendendo in tale concetto figure come i vicari apostolici, gli apocrisarii, i legati, i collettori, ecc., che precedono quella dei nunzi apostolici.

Ma da questo radicamento ecclesiologico si comprende anche come la diplomazia pontificia assuma un carattere unico nella sua azione, in quanto ciò le apre campi d’azione preclusi di per sé alla diplomazia civile. I Rappresentanti del Papa non sono solo Ambasciatori come gli altri, perché non sono degli “estranei” là dove operano, soprattutto per le Chiese particolari del Paese a cui vengono inviati.

3. Il ruolo “ad extra” della diplomazia pontificia

Oltre a questa missione intraecclesiale, la diplomazia della Santa Sede è al servizio del rapporto fra la comunità civile e quella ecclesiale. Questo compito, che è quello che più l’avvicina alla diplomazia civile, la pone al servizio delle relazioni fra la Santa Sede e gli Stati e, più in generale, con l’intera comunità internazionale.

Ci dobbiamo però chiedere a che cosa mirano queste relazioni, avvicinandoci così al tema di questa relazione. Infatti, in estrema sintesi, si potrebbe dire che la diplomazia pontificia, nell’esercizio delle sue funzioni rispetto agli altri soggetti di diritto internazionale, ha fra i suoi scopi principali quello di difendere e promuovere la libertà religiosa, soprattutto quella dei membri della comunità cattolica in tutto il mondo.

Dal punto di vista storico, va osservato che le diverse tipologie assunte da quella che con il Blet denominiamo “rappresentanza pontificia” e quindi anche la diplomazia pontificia hanno avuto fra i loro scopi quello di assicurare il rispetto della “libertas Ecclesiae”, cioè di garantire alla Sede Apostolica e alla Chiese particolari con i loro Pastori la necessaria autonomia di organizzazione e azione rispetto al possibile intervento limitante o di controllo da parte dell’autorità civile nella vita interna della comunità ecclesiale. Quest’esigenza si fa sentire subito, già negli anni che seguono la fine delle persecuzioni, con l’Editto di Milano (313). Fu soprattutto a partire dal secolo XI che il termine “libertas Ecclesiae” indicò espressamente la rivendicazione di indipendenza del potere ecclesiastico rispetto ad ogni potere statale (lotta per le investiture). Nella dichiarazione del Concilio Vaticano II “Dignitatis Humanae” si afferma che “la libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società civile”[10].

D’altra parte, soprattutto dalla seconda metà del secolo scorso ed in particolare con il Concilio Vaticano II, l’insegnamento e l’azione della Chiesa e della Santa Sede pongono in luce l’importanza del rispetto del diritto di libertà religiosa, impegnandosi ad ottenerla non solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini, in quanto diritto fondamentale della persona umana.

A questo punto si pone ineludibilmente la questione se tale “libertas Ecclesiae” sia coincidente con la libertà religiosa. Se esse non coincidono, in che cosa si differenziano? Vi può essere contraddizione fra loro?

Di fatto si trovano posizioni che affermano che la “libertas Ecclesiae” altro non sarebbe che la libertà religiosa riconosciuta alla Chiesa in quanto realtà collettiva. Altri, invece, sostengono che permane una distinzione fra queste due libertà. Infine, rimangono alcuni per i quali alla base della rivendicazione della “libertas Ecclesiae” sta la convinzione che il cristianesimo è l’unica vera religione e la Chiesa cattolica l’unica vera Chiesa, mentre l’attuale impegno per la libertà religiosa favorirebbe una caduta nell’indifferentismo e nel relativismo religioso.

La verità è stata proclamata solennemente dal Concilio Vaticano II che afferma: “vi è… concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili”[11].

4. “Libertas Ecclesiae” e libertà religiosa

Ma, appunto, concordia non significa identità: siamo cioè di fronte a due realtà distinte, anche se non opposte. Cerchiamo perciò di indicare gli elementi che contraddistinguono ciascuna di esse.

a) Anzitutto, quando si parla di libertà religiosa ci si riferisce ad una realtà che è propria dell’ordine naturale, conoscibile cioè attraverso la ragione umana. Per questo di libertà religiosa si può parlare, discutere e convenire con tutti gli uomini, indipendentemente dal loro credo religioso, purché seguano i dettami della retta ragione.

Quando invece si parla di “libertas Ecclesiae”, si fa riferimento ad una realtà – la Chiesa - che è di ordine soprannaturale e, quindi, conoscibile a partire dalla Rivelazione e dalla fede: tale libertà costituisce una caratteristica voluta da Gesù Cristo, divino Fondatore della Chiesa stessa. “È questa, infatti, - afferma il Vaticano II - la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio”[12].

Tuttavia come tra fede e ragione, così fra queste due libertà non vi è contraddizione, e “la Rivelazione… fa… conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di una tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra cui si fonda la dottrina”[13] circa la libertà religiosa.

b) Libertà religiosa e “libertas Ecclesiae” si distinguono reciprocamente, anche perché mentre la prima, nell’accezione della “Dignitatis humanae”, è un concetto prevalentemente di tipo negativo, cioè è il “diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa”[14], la “libertas Ecclesiae”, che è la libertà della Chiesa “necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani”[15], esprime un concetto più positivo.

c) Ancora, nel concetto di libertà religiosa il titolare di tale diritto è la persona umana, considerata sia singolarmente sia all’interno di una formazione sociale (famiglia, associazione…), la quale rivendica tale libertà nei riguardi dello Stato.

Invece, la “libertas Ecclesiae” ha come soggetto titolare la Chiesa in quanto istituzione che si pone di fronte allo Stato. Si tratta di quella libertà che permette il realizzarsi dell’indipendenza e autonomia di cui godono rispettivamente la Chiesa e lo Stato[16], che sono entrambi ordinamenti giuridici primari. Questa libertà richiede che la società civile rispetti l’identità propria della Chiesa stessa e le consenta di svolgere la missione che le è propria.

D’altra parte, rientra già nel diritto di libertà religiosa che va riconosciuto alle persone “quando agiscono in forma comunitaria”, cioè a quelli che la “Dignitatis humanae” chiama “gruppi religiosi”:

- “il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione”;

- “il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati;

- “il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto” ;

- il diritto di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività”[17]. Vi è quindi un’ampia convergenza di contenuti fra queste due libertà.

Questo breve confronto fra libertà religiosa e “libertas Ecclesiae” lascia, penso, intravedere come la distinzione fra i due concetti si accompagni appunto alla “concordia” fra essi, di cui parla il Concilio Vaticano II. Per questo la diplomazia pontificia s’impegna a conseguire entrambe queste libertà, posto che non vi è contraddizione fra di esse.

5. Gli odierni attentati alla libertà religiosa nel mondo

Se questo è a grandi linee quello che la diplomazia della Santa Sede intende perseguire con la sua azione diplomatica, occorre però guardare al quadro concreto in cui essa si trova ad agire nelle diverse situazioni e nelle varie parti del mondo.

Nel discorso indirizzato al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede lo scorso 10 gennaio 2011 il Santo Padre Benedetto XVI ha tracciato un’ampia panoramica della situazione della libertà religiosa e soprattutto delle sue violazioni e negazioni, specialmente per quanto riguarda le comunità cattoliche nei vari Paesi. Come ha scritto in occasione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, il Santo Padre ha rilevato che “in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale”, mentre “in altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi”[18].

Da parte mia non farò però riferimenti ad aree e Paesi concreti, quanto piuttosto cercherò di enucleare le diverse modalità in cui si manifesta quella che Sua Santità definisce la “grave ferita inferta contro la dignità e la libertà dell’homo religiosus”.

Vi è anzitutto la violenza aperta che uccide e ferisce e distrugge i luoghi di culto di comunità, persone e luoghi che normalmente appartengono alle minoranze religiose di un Paese. Si crea così un contesto che fa sentire i membri di tali minoranze come cittadini di seconda classe, non protetti dalle pubbliche autorità e, quindi, spinti spesso a lasciare la loro stessa terra in cerca di migliori condizioni di vita.

Un ruolo particolare nel garantire o meno il rispetto della libertà religiosa lo svolge l’ordinamento giuridico dello Stato. Vi sono situazioni in cui la legislazione e la prassi che ne consegue riducono la libertà religiosa alla sola possibilità di celebrare il culto, “per di più con delle limitazioni”, oppure pongono ostacoli a che la comunità religiosa abbia le necessarie strutture per radunarsi e per agire. Addirittura si può arrivare ad avere leggi che tutelano talmente una determinata religione da mettere in pericolo il libero esercizio delle altre (pensiamo a certe norme anti-blasfemia). Come ha detto il Santo Padre, “il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi”.

Altre volte non è la predominanza di una religione, ma l’ispirazione ideologica dello Stato e dei suoi governanti a condurre ad una mancanza di rispetto della libertà religiosa. Anche se a livello costituzionale tale diritto viene sancito, nella prassi e nella vita i credenti non ne godono veramente. Vi sono, infatti, situazioni in cui “la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria, perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società”. Tale monopolio impedisce così “alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione”.

Vale per tutte queste situazioni il monito del Santo Padre: “L’ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale e internazionale, quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, viene meno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuovere la giustizia e il diritto di ciascuno”[19].

Secondo Papa Benedetto XVI, soprattutto nei Paesi occidentali, si assiste al fenomeno di una crescente marginalizzazione della religione, ritenuta “un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante”. Sulla base di una tale visione si arriva a pretendere che “i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza”. L’emarginazione della religione si manifesta anche nella volontà di “bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi”.

Se grazie alla libertà religiosa le comunità religiose operano “nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo”, risulta preoccupante che, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, si cerchi di “creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica”. Sempre in ambito educativo e con riferimento ai diritti dei genitori, il Santo Padre ha evidenziato “un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie”, quando cioè viene “imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”[20].

Come si può notare da questa veloce panoramica, sono davvero molteplici le problematiche e le sfide che la difesa e la promozione della libertà religiosa pongono all’attività diplomatica della Santa Sede. Le suaccennate violazioni di tale diritto si presentano con diverse gradazioni e combinazioni e si differenziano in base alla concreta situazione storica, economica, politica e culturale di ogni singolo Paese. Per questo la diplomazia pontificia deve, allo stesso tempo, mantenere una visione complessiva della problematica, e misurarsi e agire nella concretezza delle singole situazioni particolari.

6. attori e Mezzi della diplomazia pontificia

Quali sono gli attori e mezzi attraverso i quali la diplomazia della Santa Sede adempie alla sua missione e, quindi, anche all’impegno per conseguire un rispetto sempre maggiore e più pieno del diritto di libertà religiosa?

Anzitutto va notato che la natura spirituale della Chiesa fa sì che essa non disponga di grandi mezzi umani in termini economici o militari. La sua forza è quella del suo messaggio e della sua testimonianza dipendenti dal Vangelo. Come ha ricordato il Santo Padre nel secondo volume dedicato alla figura di Gesù di Nazareth, il regno di Cristo è un regno diverso da quelli umani, ed è un regno essenzialmente di verità.

Allo stesso tempo, la cattolicità, cioè l’universalità, della Chiesa stessa le dà una capacità di azione e di influsso che è certamente singolare, anzi unica, rispetto agli altri soggetti della vita internazionale. Per questo non è solo la Santa Sede che parla e opera, ma vi sono anche le Chiese particolari, gli istituti di vita consacrata, le associazioni e i movimenti laicali, tutti e singoli i fedeli, i quali condividono con la preghiera, la parola e l’azione quella che impropriamente viene chiamata “la politica della Santa Sede” a favore della libertà religiosa.

Vi è quindi come il paradosso, da una parte, della debolezza di chi può solo cercare di convincere delle sue buone ragioni e, dall’altra, della forza di un popolo che è diffuso da un confine all’altro della terra, che è presente con numeri più o meno grandi in tutti i Paesi della terra.

Vorrei indicare ora brevemente i tre principali attori dell’azione diplomatica della Santa Sede a sostegno della libertà religiosa.

a) Il primo e principale attore è lo stesso Pontefice, che si spende in molteplici forme perché alla Chiesa e ad ogni uomo sia garantita la libertà di credere. Pensiamo ai suoi incontri, ai viaggi apostolici, ai suoi interventi magisteriali. E consideriamo quanto nel mondo si guardi al Successore di Pietro, il quale sempre più viene considerato, anche da chi non appartiene alla Chiesa, come colui che dà voce ai grandi problemi e sofferenze dell’umanità, anche a quelli dimenticati, e che offre un orientamento morale sicuro.

b) Fra i Dicasteri della Curia Romana, ha un particolare ruolo per ciò che riguarda il tema della libertà religiosa la Segreteria di Stato, che è il centro di un intensissimo scambio di informazioni e che fa da organo propulsore e coordinatore di tante iniziative a favore della libertà religiosa. E con la Segreteria di Stato collaborano anzitutto le Congregazioni e i Pontifici Consigli, i quali, ciascuno secondo le rispettive competenze, si interessano ai vari aspetti e contenuti della libertà religiosa.

c) Anche “l’attività dei Rappresentanti Pontifici presso Stati ed Organizzazioni internazionali è ugualmente al servizio della libertà religiosa”[21]. Infatti, come ho sopra ricordato, occorre un’attenzione ad ogni singolo Paese, ma, allo stesso tempo, va rilevato come sempre più il rispetto della libertà religiosa sia legato all’azione delle Organizzazioni e le Conferenze internazionali. A quest’ultimo livello la Santa Sede si avvale anche del contributo delle Organizzazioni non-governative (ONG), specialmente quelle di ispirazione cattolica.

7. Esigenze attuali della promozione della libertà religiosa

Cosa chiede nell’attuale contesto la Santa Sede ai suoi interlocutori, soprattutto a coloro che hanno in mano il governo delle nazioni, a proposito dell’effettivo rispetto della libertà religiosa?

Mi sembrano illuminanti al riguardo alcuni principi dell’azione della Santa Sede a livello multilaterale – ma analogamente anche a quello bilaterale -, che il Santo Padre Benedetto XVI ha enucleato nel già citato discorso agli Ambasciatori presso la Santa Sede.

a) “In primo luogo… non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni”. Fino ad un recente passato si è prestata - giustamente - molta attenzione a fenomeni di discriminazione o persecuzione verso gli appartenenti all’ebraismo e all’islam. I fatti recenti, nei quali appaiono i già accennati modi in cui è violato oggi il diritto di libertà religiosa, hanno fatto e devono far comprendere sempre più che purtroppo gli atti discriminatori e persecutori si dirigono anche e in misura assai rilevante contro i cristiani. Come ha scritto Benedetto XVI nel Messaggio per l’ultima Giornata della Pace: “I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede”[22]. Per questo l’azione della diplomazia pontificia è volta richiamare l’attenzione su tale realtà, che con termine sintetico è stata denominata “cristianofobia”, riaffermando che la libertà dev’essere davvero un diritto universalmente riconosciuto a ogni uomo e ad ogni comunità religiosa.

b) Il Santo Padre ha pure messo in guardia dalla tendenza ad instaurare un contrasto “tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, dimenticando o negando così il ruolo centrale del rispetto della libertà religiosa nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo”[23]. La Santa Sede non si stanca di ribadire che “questo diritto dell’uomo… è il primo dei diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore”. Non è dunque da credere che gli altri diritti saranno meglio affermati e riconosciuti se si negherà quello alla libertà religiosa, né l’esercizio corretto di quest’ultimo può in alcun modo ostacolare o impedire la fruizione degli altri diritti. Infatti, come ha ribadito il Santo Padre, “una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro”[24].

c) La vostra Sessione plenaria si è opportunamente soffermata anche sulla problematica dei “nuovi diritti”. Come ha ricordato il Santo Padre, essi vengono “attivamente promossi da certi settori della società e inseriti nelle legislazioni nazionali o nelle direttive internazionali”. In realtà tali diritti sono “l’espressione di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana”[25]. E’ sotto gli occhi di tutti quanto la diplomazia pontificia si spenda soprattutto nei fori internazionali, ma anche a livello nazionale, per contrastare una pseudo-cultura che propugna tali supposte esigenze fondamentali, che sono in realtà in contrasto con una concezione antropologica adeguata. Ed è pure palese come ciò susciti spesso una non troppo celata e diffusa ostilità verso la Chiesa, il Papa e la Santa Sede, soprattutto quando interferiscono sui temi di vita, matrimonio e famiglia.

d) Ho sopra ricordato come la proclamazione teorica della libertà religiosa inserita nelle leggi fondamentali di uno Stato non basti di per sé a garantirne l’effettivo riconoscimento. Papa Benedetto XVI ha ribadito che “questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede”[26]. La capillare presenza della diplomazia pontificia permette alla Santa Sede di rilevare queste discrepanze fra il dettato astratto e la realtà quotidiana e di operare perché appunto nei fatti non vi siano forme di discriminazione religiosa.

8. Conclusione

Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, dedicato proprio al tema della libertà religiosa, il Santo Padre faceva rilevare: “Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri. Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane”[27]. Tutto ciò non può non indurre a comprendere quanto sia errato o dannoso eliminare o discriminare la religione o anche una specifica religione.

Per questo la diplomazia pontificia, nel suo quotidiano impegno per la libertà religiosa di tutti e ovunque, mira certamente a garantire alla Chiesa sparsa su tutta la terra condizioni di vera libertà per svolgere la sua missione, ma, in tal modo, essa lavora anche per il vero bene dell’umanità, che, come già ricordato, non si potrà conseguire, dimenticando, negando o ostacolando il fondamentale legame che intercorre fra Dio e la creatura umana. “L'uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna”[28].


[1] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al IX Colloquio internazionale romanistica canonistico organizzato dalla Pontificia Università Lateranense, 11 dicembre 1993, n. 3.

[2] Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Società Paasikivi, 5 giugno 1989, n. 2.

[3] Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata della Pace 1991, n. 5.

[4] Giovanni Paolo II, Discorso ad un gruppo di studiosi partecipanti al V Colloquio giuridico, 10 marzo 1984, n. 5.

[5] Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 22.

[6] Cfr. Concilio Vaticano I, Pastor aeternus, cap. III.

[7] Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 23.

[8] Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 18

[9] Paolo VI, Motu proprio Sollicitudo omnium Ecclesiarum, introduzione.

[10] Cfr. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 13.

[11] Ibid.

[12] Ibid.

[13] Idem, n. 9.

[14] Ibid.

[15] Idem, n. 13.

[16] Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 76: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo”.

[17] Cfr. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae n. 4.

[18] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2011, n. 1.

[19] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2011, n. 8.

[20] Benedetto XVI, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 10 gennaio 2011.

[21] Ibid.

[22] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2011, n. 1.

[23] Benedetto XVI, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 10 gennaio 2011.

[24] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2011, n. 3.

[25] Benedetto XVI, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 10 gennaio 2011.

[26] Ibid.

[27] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLIV Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2011, n. 7.

[28] Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 76.

 

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