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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Il denaro serve ma la cupidigia uccide

Lunedì, 21 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 242, Lun.21-Mart.22/10/2013)

 

I soldi servono per realizzare tante opere buone, per far progredire l’umanità, ma quando diventano l’unica ragione di vita, distruggono l’uomo e i suoi legami con il mondo esterno. È questo l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dal brano liturgico del vangelo di Luca (12, 13-21) durante la messa celebrata stamane, lunedì 21 ottobre, a Santa Marta.

All’inizio della sua omelia il Santo Padre ha ricordato la figura dell’uomo che chiede a Gesù di intimare al proprio fratello di dividere con lui l’eredità. Per il Pontefice, infatti, il Signore ci parla attraverso questo personaggio «del nostro rapporto con le ricchezze e con i soldi». Un tema che non è solo di duemila anni fa ma si ripresenta ancora oggi, tutti i giorni. «Quante famiglie distrutte — ha commentato — abbiamo visto per problemi di soldi: fratello contro fratello; padre contro figli!». Perché la prima conseguenza dell’attaccamento ai soldi è la distruzione dell’individuo e di chi gli sta vicino. «Quando una persona è attaccata ai soldi — ha spiegato il vescovo di Roma — distrugge sé stessa, distrugge la famiglia».

Certo, il denaro non va demonizzato in senso assoluto. «I soldi — ha precisato Papa Francesco — servono per portare avanti tante cose buone, tanti lavori, per sviluppare l’umanità». Quello che va condannato, invece, è il loro uso distorto. A questo proposito il Pontefice ha ripetuto le stesse parole pronunciate da Gesù nella parabola dell’«uomo ricco» contenuta nel vangelo: «Chi accumula tesori per sé, non si arricchisce verso Dio». Da qui il monito: «Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia». È questa infatti «che fa male nel rapporto con i soldi»; è la tensione costante ad avere sempre di più che «porta all’idolatria» del denaro e finisce con il distruggere «il rapporto con gli altri». Perché la cupidigia fa ammalare l’uomo, conducendolo all’interno di un circolo vizioso nel quale ogni singolo pensiero è «in funzione dei soldi».

Del resto, la caratteristica più pericolosa della cupidigia è proprio quella di essere «uno strumento dell’idolatria; perché va per la strada contraria» a quella tracciata da Dio per gli uomini. E in proposito il Santo Padre ha citato san Paolo, il quale ricorda «che Gesù Cristo, che era ricco, si è fatto povero per arricchire noi». C’è dunque una «strada di Dio», quella «dell’umiltà, dell’abbassarsi per servire», e un percorso che va nella direzione opposta, dove conducono la cupidigia e l’idolatria: «Tu che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità».

Per questo motivo, ha aggiunto il Pontefice, «Gesù dice cose tanto dure e tanto forti, contro l’attaccamento al denaro»: per esempio, quando ricorda «che non si possono servire due padroni: o Dio o il denaro»; o quando esorta «a non preoccuparci, poiché il Signore sa di cosa abbiamo bisogno»; o ancora quando «ci porta all’abbandono fiducioso verso il Padre, che fa fiorire i gigli del campo e dà da mangiare agli uccelli del cielo».

L’atteggiamento in netta antitesi a questa fiducia nella misericordia divina è proprio quello del protagonista della parabola evangelica, il quale non riusciva a pensare ad altro che all’abbondanza del grano raccolto nelle campagne e dei beni accumulati. Interrogandosi sul da farsi, ha spiegato Papa Francesco, «poteva dire: darò questo a un altro per aiutarlo». Invece «la cupidigia lo ha portato a dire: costruirò altri magazzini e li riempirò. Sempre di più». Un comportamento che, secondo il Papa, cela l’ambizione di raggiungere una sorta di divinità, «quasi una divinità idolatrica», come testimoniano gli stessi pensieri dell’uomo: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti».

Ma è proprio allora che Dio lo riconduce alla sua realtà di creatura, mettendolo in guardia con la frase: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita». Perché, ha concluso il vescovo di Roma, «questa strada contraria alla strada di Dio è una stoltezza, porta lontano dalla vita. Distrugge ogni fraternità umana». Mentre il Signore ci mostra la vera strada. Che «non è il cammino della povertà per la povertà»; al contrario «è il cammino della povertà come strumento, perché Dio sia Dio, perché Lui sia l’unico Signore, non l’idolo d’oro». Infatti «tutti i beni che abbiamo, il Signore ce li dà per far andare avanti il mondo, per far andare avanti l’umanità, per aiutare gli altri».

Da qui l’auspicio che «rimanga oggi nel nostro cuore la parola del Signore», con il suo invito a tenersi lontani dalla cupidigia, perché «anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

 



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