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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Non siamo né eterni né effimeri

Giovedì, 1 febbraio 2018

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.026, 02/02/2018)

La morte è «un fatto, un’eredità e una memoria» che ci ricorda che non siamo «padroni del tempo», né «effimeri» né «eterni», e ci salva dal rischio di restare «imprigionati nel labirinto egoistico del momento presente». Ma proprio lo sguardo sulla morte che aiuta a vivere bene la vita è il messaggio che Papa Francesco ha proposto nella messa celebrata giovedì 1° febbraio a Santa Marta.

«La prima lettura ci parla della morte: la morte del re Davide» ha subito fatto notare il Pontefice, riferendosi al passo tratto dal primo libro dei Re (2, 1-4.10-12). «I giorni di Davide si erano avvicinati alla morte» perché, ha aggiunto, anche «lui, il gran re, l’uomo che aveva consolidato proprio il regno deve morire, non è il padrone del tempo: il tempo continua e lui continua in altro stile di tempo, ma continua. È in cammino».

Del resto, ha spiegato Francesco, «noi non siamo né eterni né effimeri: siamo uomini e donne in cammino nel tempo, tempo che incomincia e tempo che finisce». E «questo ci fa pensare che è buono pregare e chiedere la grazia del senso del tempo per non diventare imprigionati dal momento che è sempre chiuso in se stesso». Così, ha affermato il Papa, «davanti a questo passo del primo libro dei Re», che racconta «la morte di Davide, vorrei proporre tre idee: la morte è un fatto, la morte è un’eredità e la morte è una memoria».

Anzitutto, ha chiarito il Pontefice, «la morte è un fatto: noi possiamo pensare tante cose, anche immaginarci di essere eterni, ma il fatto viene». Prima o poi essa arriva ed «è un fatto che tocca a tutti noi». Perché «noi siamo in cammino, non siamo girovaghi o uomini e donne in labirinto». No, siamo «in cammino, così dobbiamo fare». Ma, ha avvertito, «c’è la tentazione del momento che si impadronisce della vita e ti porta ad andare girando nel momento in questo labirinto egoistico del momento senza futuro, sempre andata e ritorno, andata e ritorno». E «il cammino finisce nella morte: tutti lo sappiamo». Per questa ragione, ha fatto presente il Pontefice, «la Chiesa ha sempre cercato di far riflettere su questo fine nostro: la morte». A questo proposito Francesco ha suggerito un ricordo personale: «Quando eravamo in seminario ci facevano fare l’esercizio della buona morte: un po’ spaventava perché sembrava un obitorio». Ma «c’è un esercizio della buona morte che ognuno può fare dentro se stesso: io non sono il padrone del tempo; c’è un fatto: io morirò. Quando? Dio lo sa». Ma sicuramente «morirò».

«Ripetere questo aiuta» ha detto il Papa, proprio perché è un dato «realistico puro» che «ci salva da quella illusione del momento di prendere la vita come una catena di anelli di momenti che non ha senso». Invece la realtà è che «io sono in cammino e devo guardare avanti».

Sempre dando spazio alla confidenza, Francesco ha condiviso il «ricordo» di quando «da bambino imparavo a leggere, avevo quattro anni. Una delle prime cose che ho imparato a leggere, perché la nonna me l’ha fatto leggere, era un cartello che lei aveva sotto il cristallo del comodino e diceva così: “Pensa che ti guarda Dio. Pensa che ti sta guardando. Pensa che morirai e tu non sai quando”». Quella frase il Papa ha confidato di averla ricordata fino a oggi «e mi ha fatto tanto bene, nei momenti di sufficienza, di chiusura, dove il momento era il re». Dunque «il tempo, il fatto: tutti noi moriremo». All’avvicinarsi della morte Davide — ha sottolineato il Papa riallacciandosi alla prima lettura — dice a suo figlio: «Io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra». E così è stato.

La seconda idea è «l’eredità». Spesso accade che quando, morendo, si ha a che fare con «un’eredità arrivano subito i nipoti a cercare quanti soldi lo zio ha lasciato a questo, a quello, all’altro». E «questa storia è tanto antica quanto la storia del mondo». In realtà conta «l’eredità della testimonianza: quale eredità lascio io?».

Ritornando al passo biblico odierno, «Davide quale eredità lascia?». Francesco ha avvertito che Davide è stato anche «un grande peccatore, ne ha fatte tante!». Ma è stato pure «un grande pentito» fino a essere «un santo» pur «con quelle grosse che ha fatto». E Davide è santo, ha spiegato il Pontefice, proprio «perché l’eredità è quell’atteggiamento di pentirsi, di adorare Dio prima di se stesso, di tornare su Dio: l’eredità della testimonianza». Ecco che è sempre opportuno domandarci «quale eredità lascerò ai miei?». Sicuramente «l’eredità materiale, buona perché è il frutto del lavoro». Ma, ha insistito il Papa, «quale eredità personale, di testimonianza? Come quella di Davide o quella vuota?». Perciò alla domanda «cosa ha lasciato?» non si deve rispondere solo indicando «le proprietà» ma anzitutto «la testimonianza di vita».

«È vero che se noi andiamo ad una veglia funebre — ha proseguito il Pontefice — il morto sempre era santo», tanto che «ci sono due posti per canonizzare la gente: piazza San Pietro e le veglie funebri, perché sempre è un santo e perché non ti minaccia più».

«L’eredità vera» è, dunque, la testimonianza di vita. Così è opportuno «domandarci quale eredità» lascio «se Dio oggi mi chiamasse? Quale eredità io lascerò come testimonianza di vita?». Questa «è una bella domanda da farci» ha incoraggiato Francesco, e così «prepararci perché tutti noi, nessuno di noi rimarrà “di reliquia”: no, tutti andremo su questa strada». Con la questione fondamentale: «Quale sarà l’eredità che io lascerò come testimonianza di vita?».

La terza idea — insieme al «fatto» e all’«eredità» — che il Papa ha suggerito riguardo alla morte è «la memoria». Perché, ha spiegato, «anche il pensiero della morte è memoria, ma memoria anticipata, memoria indietro». Dunque «memoria» e «anche luce in questo momento della vita». Ma, ha proseguito Francesco, la domanda da fare a se stessi è «quando io morirò, cosa mi sarebbe piaciuto fare oggi in questa decisione che io devo prendere oggi, nel modo di vivere di oggi?». E questa «è una memoria anticipata che illumina il momento di oggi». Si tratta, in sostanza, di «illuminare con il fatto della morte le decisioni che io devo prendere ogni giorno».

«È bello questo passo del secondo capitolo del primo libro dei Re» ha rilanciato in conclusione il Pontefice. «Se oggi avete tempo leggetelo, è bellissimo, vi farà bene» ha esortato. Invitando «anche pensare: io sono cammino, il fatto “io morirò”; quale sarà l’eredità che lascerò e come serve a me la luce, la memoria anticipata della morte, sulle decisioni che devo prendere oggi». Una meditazione, ha assicurato, che «ci farà bene a tutti».



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