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VISITA PASTORALE IN SVIZZERA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Parco di "La Poya" (Friburgo)
Mercoledì, 13 giugno 1984

 

Cari fratelli e sorelle.

1. È il Signore che ci raduna qui, come nel giorno della Pentecoste, qualunque sia la nostra origine, la nostra lingua, la nostra nazione. Davanti a lui, “voi non siete più degli stranieri o gente di passaggio”. Egli vi riunisce in una sola famiglia, per santificarvi e mandarvi a tutte le nazioni, al servizio di tutti gli uomini. Ed egli mi ha affidato oggi questo ministero in mezzo a voi, per voi.

La mia gioia è grande nel vedervi tutti qui riuniti, da tanti Paesi del mondo, compresa la Polonia, mia patria, e alcuni vengono da molto lontano in condizioni di grande difficoltà, penso specialmente al Sud-Est asiatico. Tanto tempo fa godevo di venire a pregare con voi, in questa città che conosco bene e che amo molto. Il mio saluto e il mio grazie vanno a ciascuno di voi. Sono particolarmente sensibile alla presenza dei bambini che hanno preparato questo incontro e che sono accorsi da tutta la Svizzera romanda. Saluto ancora gli altri cristiani, i nostri fratelli ortodossi e i membri delle Chiese e comunità nate dalla Riforma; essi nutrono con noi un’immensa speranza: che il Signore ci faccia una cosa sola, “affinché il mondo creda” (Gv 17,21).

Saluto di cuore anche i fedeli di lingua tedesca che vengono dalla diocesi di Friburgo e dalle diocesi vicine. Insieme a tutti noi siete testimoni del fatto che la molteplicità delle lingue nella comune lode a Cristo può essere un arricchimento per la vita della Chiesa nel vostro Paese.

2. “Benedite il Dio dell’universo, che compie in ogni luogo grandi cose” (Sir 50,22). Così si esprime nel libro del Siracide il saggio, evocando le grandi opere di Dio nella natura e nella storia. E voi, aprite gli occhi, guardate con stupore la natura, guardate le vostre montagne e i vostri laghi. Guardate i vostri fratelli e sorelle: Dio dà alla loro vita la sua dignità fin dalla nascita (cf. Sir 50,22). Tutto l’universo canta la gloria di Dio, il Creatore del mondo e dell’uomo. Adoratelo. Beneditelo. Rendetegli grazie per la gioia del cuore, per la dignità, per la pace, per la libertà, di cui voi godete in questo Paese. Anche il lavoro delle vostre mani, le ricchezze della vostra cultura - che richiedono la vostra partecipazione laboriosa - sono anche questi dono di Dio. Soprattutto rendete grazie al Redentore, pieno di amore, di tenerezza, di pietà (cf. Sal 145): egli ha fatto di voi dei figli e delle figlie di Dio; vi ha mostrato così spesso, come al popolo dell’alleanza, la sua fedeltà, la sua misericordia, il suo perdono. Egli vi ha fatto il dono della sua parola (cf. Gv 17,14) e quello della vostra fede; egli vi fa partecipare alla sua vita, nella sua Chiesa, facendo di voi un tempio santo nel Signore (cf. Ef 2,21). Sì, possiamo noi dire con il salmista: “Ti voglio benedire ogni giorno!” (Sal 145,2). Una tale azione di grazie, con l’umile sentimento d’indegnità, forma il nucleo della preghiera cristiana di ogni giorno, il nucleo dell’Eucaristia.

3. “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (Gv 17,18). Ecco come si esprime Cristo Gesù davanti a suo Padre, nel momento di lasciare questo mondo. Un apostolo è un “inviato”; ogni discepolo di Cristo è anch’egli chiamato a essere suo testimone attivo, il testimone di Cristo venuto nel mondo “a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito” (Gaudium et Spes, 3). È come se il Cristo vi dicesse: “Ho bisogno di te, delle tue mani, delle tue labbra, del tuo sguardo, del tuo cuore, per portare il mio messaggio fino ai confini del mondo, e fino alle profondità più segrete dell’uomo. I "talenti" che tu hai ricevuto, devi metterli a servizio degli altri”.

Il cuore di Cristo è aperto a tutte le nazioni. Allo stesso modo, il cuore del suo discepolo non può limitare il proprio orizzonte a quello dei suoi vicini, del suo villaggio, della sua città, del suo ambiente, del suo Paese, ma deve cercare la salvezza e il progresso di tutti gli esseri umani. Egli deve avere la passione del regno di Dio perché esso venga su tutta la terra; il mondo sarà così “ripieno della conoscenza del Signore, come le acque colmano il mare” (Is 11, 9).

4. Ora, la vita eterna è che essi conoscano lui, il solo vero Dio, e Gesù Cristo, il suo inviato (cf. Gv 17, 3). La missione comprende dunque anzitutto la proposta a ogni creatura della Buona Novella dell’amore di Dio, inseparabile dalla testimonianza vissuta al servizio del regno di Dio. Questo regno è legato alla fede, e alla predicazione in vista di suscitare la fede (cf. Mc 1, 15; 16, 15. 20). So che il Cantone di Friburgo conta numerosi missionari, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che hanno compreso questa chiamata. E proprio qui, all’università, o alla “Ecole de la foi”, voi volete formare uomini e donne capaci di aprirsi e rispondere a loro volta ai bisogni religiosi di tutti i loro fratelli in tutto il mondo.

Il regno di Dio è anche il regno della giustizia, dell’amore, della pace, e la missione deve essere accompagnata dall’instaurazione, nel mondo intero, specialmente nei Paesi che ne sono sprovvisti, delle condizioni che permettano agli abitanti di vivere nella dignità e di svilupparsi sotto ogni punto di vista. Come vi hanno detto i vostri vescovi a Friburgo, “sviluppate il senso della missione universale della Chiesa promuovendo, sì, tra di voi l’aiuto fraterno e caritativo, ma anche favorendo la presa di coscienza delle responsabilità dell’Occidente di fronte ai Paesi del Terzo Mondo, al fine di combattere qui da noi le ingiustizie che rendono quei Paesi sempre più poveri” (Orientations pastorales, febbraio 1983, 1.3).

5. L’universalità del mondo, infatti, trova proprio qui una certa realizzazione. Il vostro vescovo ha ricordato poco fa più di sessanta nazioni rappresentate in questa città, con un numero di stranieri almeno uguale a quello degli svizzeri nati in questo Paese. Sì, Friburgo è una città di incontri, una città internazionale, un microcosmo, e mi auguro con voi che essa viva sempre più la sua vocazione universale, la sua apertura a tutti quei fratelli e sorelle dell’universo che sono suoi ospiti. Così, non vi contenterete di dare un sostegno materiale e spirituale ai vostri missionari partiti per Paesi lontani, e neppure di destinare generosamente una parte delle vostre ricchezze materiali e culturali ai “Paesi della fame”, ma realizzerete qui stesso uno stile di vita quotidiana e di relazioni tali che lo straniero si trovi come in famiglia, integrato nella costruzione del popolo di Dio.

6. Ma quale sarà l’originalità di questa missione universale, di questa testimonianza? “Avrete la forza dello Spirito Santo e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Ciò che Cristo ci chiede di portare agli altri, di testimoniare, non è anzitutto una ricchezza esterna a noi stessi; non è il surplus di una superiorità acquisita da noi stessi o grazie a un insieme di concomitanze storiche. È lo spirito che attingiamo al cuore di Cristo e che, per grazia, è già all’opera nella nostra propria vita. È in questo senso che Gesù ha pregato per i suoi apostoli, nel momento del suo sacrificio, del suo dono supremo: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi . . . Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno . . . Consacrali nella verità . . . Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17, 11.15.17.19).

Cari fratelli e sorelle, voi siete stati santificati, consacrati dal Battesimo. Siete divenuti membri di Cristo; siete per mezzo di lui, con lui e in lui offerti a Dio Padre, voi avete ricevuto lo Spirito Santo che mette in voi i sentimenti del Figlio unico e vi dona di annunciarlo al mondo. Laici cristiani, vivete di questo Battesimo. Lasciate penetrare in voi, giorno per giorno, questa santificazione mediante lo Spirito di Cristo, per essergli testimoni in modo verace. Fortificate la vostra fedeltà a Cristo. Cercate la sua verità, non la vostra.

Dio vi ha fatti nascere in mezzo al mondo. In città o in campagna, studenti o apprendisti, fidanzati o sposati, operai, forse disoccupati, impiegati, datori di lavoro, al servizio dello Stato o del vostro esercito, agricoltori, commercianti, industriali: è questo il vostro mondo, nel quale Dio vi ha messi e vuole che restiate: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo”. Ma non lasciatevi sedurre dai falsi dèi di questo mondo, da tutti i “paradisi artificiali”. Eliminate dalla vostra vita ciò che viene dal Maligno, ciò che fa ostacolo alla trasparenza evangelica. Allora potrete servire gli uomini come testimoni di Cristo. Allora si realizzerà ciò che abbiamo domandato all’inizio di questa messa: che “la potenza del Vangelo come un fermento trasformi il mondo” e che, cercando sempre lo Spirito di Cristo, voi possiate lavorare all’avvento del suo regno adempiendo i vostri compiti umani (cf. Oratio missae).

7. Il suo regno è inseparabile dallo spirito di servizio, dall’unità, dalla ricerca della verità, quali Cristo li intende.

Lo esprimo nell’enciclica Redemptor Hominis (Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis, n. 21): “La partecipazione alla missione regale di Cristo (è) il fatto di riscoprire in sé e negli altri quella particolare dignità della nostra vocazione che si può definire “regalità”. Questa dignità si esprime nella disponibilità a servire, secondo l’esempio di Cristo, che "non è venuto per essere servito, ma per servire" . . . si può veramente "regnare" soltanto "servendo" . . . il "servizio" esige una tale maturità spirituale che bisogna proprio definirlo un "regnare"”. Il termine “servizio” torna più di cento volte nei testi del Concilio Vaticano II a proposito della missione della Chiesa e dei suoi membri. Mettetevi al servizio gli uni degli altri. Servite il vostro prossimo. Servite gli stranieri. Servite i più poveri. Voi ben sapete, cari fratelli e sorelle di Svizzera, che avete fama per la vostra ospitalità, che cosa comporta questo servizio: è accogliere l’altro come un dono di Dio, come un fratello in Cristo, con la sua sete di vita, di amore, di dignità; è rispettarlo, cercare di comprenderlo, stimare il suo valore e i suoi bisogni, fargli un posto nel nostro piccolo universo procurargli l’aiuto reciproco necessario e accettare il suo. Questo suppone l’umiltà, paragonabile a quella dei laghi delle vostre montagne che, come dicono i vostri poeti, “hanno scelto il punto più basso per riflettere il cielo”. Questo suppone la dolcezza, l’amore, la pazienza, il perdono. Ciascuno può domandarsi con san Paolo: “I miei vicini sono forse per me degli stranieri, gente di passaggio che appena saluto, o sono veramente miei fratelli e sorelle, membri della stessa famiglia di Dio?”.

8. Questo spirito di servizio va congiunto con la ricerca instancabile dell’unità tra di voi, non un’unità qualsiasi, fatta di una tranquilla prossimità che potrebbe essere rispetto nell’indifferenza, ma quest’unità profonda, misteriosa tra battezzati, che riflette qui in terra l’unità del Padre e del Figlio: “Che essi siano una cosa sola come noi!”. Per il Battesimo, “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi . . . edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti . . . anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2, 19. 20. 22). È san Paolo che ve lo dice oggi.

E io lo ripeto a voi, cattolici - cittadini svizzeri e lavoratori o rifugiati venuti dall’estero - che sentite la diversità delle vostre origini, dei vostri ambienti, dei vostri Paesi di provenienza, delle vostre razze.

Lo dico a voi tutti, cristiani che portate coraggiosamente e dolorosamente senza dubbio lo scandalo della divisione dei discepoli del Cristo; occorre progredire perché, riconoscendo in Gesù l’unico Signore e Salvatore, l’unico fondatore della loro Chiesa, i cristiani giungano a vivere in una comunione di fede e di carità piena e visibile, aspirando a condividere lo stesso pane di vita. È un ordine di Cristo, “affinché il mondo creda”. “In lui sono state abolite tutte le divisioni” (Oratio Eucharistica pro reconciliatione).

Allargando la mia preghiera, auguro anche a tutti voi, uomini e donne di questo Paese, di costruire la città terrestre in solidarietà tra di voi e con il resto del mondo, in una fraternità universale in cui ciascuno ha il suo posto. Possiate essere illuminati e stimolati dall’esempio dei credenti come nei primi secoli della Chiesa: “Vedete come si amano!”. Sì, “l’unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall’unità della famiglia dei figli di Dio fondata sul Cristo” (Gaudium et Spes, 42).

9. Fratelli e sorelle, vi ho detto queste cose affinché abbiate in voi la gioia di Cristo e ne siate ricolmi (cf. Gv 17, 13). Ricordiamo l’ultima preghiera di Gesù al Padre: “Consacrali nella verità, la tua parola è verità”. Lo spirito di servizio e l’unità sono i segni dai quali si vede che gli uomini sono santificati nella verità di Cristo. Questa grazia di santificazione Gesù ce l’ha acquistata con l’offerta di sé sulla croce e con la sua risurrezione, rese presenti da questa Eucaristia: “Io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”. Con lui, noi potremo allora concorrere alla santificazione dell’uomo (cf. preghiera sulle offerte).

Accostiamoci a lui nella verità, nell’amore, per ricevere il suo Spirito di santità e di unità, come Maria e gli apostoli alla Pentecoste. A me, che ho ricevuto il mandato dell’apostolo Pietro per confermarvi nella fede e radunarvi attorno al Cristo, la pietra angolare (cf. Ef 2, 20; 1 Pt 2, 4), e a ciascuno di voi, cari fratelli nell’episcopato o nel sacerdozio, religiosi, religiose e laici battezzati o confermati, Cristo domanda: “Sei pronto a dare la tua vita, a "consacrarla", per il servizio di tutti gli uomini, perché il Vangelo di salvezza giunga a tutte le nazioni?”.

Amen.


Devo esprimere la nostra profonda gratitudine comune ai nostri fratelli e soprattutto al metropolita ortodosso e agli altri che hanno vissuto con noi la grandezza delle celebrazioni alle quali noi sempre leghiamo il desiderio, il nostro profondo desiderio, di poterci unire attorno alla mensa eucaristica.

La stessa gratitudine agli altri fratelli e sorelle delle comunità cristiane che hanno qui in Svizzera il loro centro. Ieri ho avuto il privilegio di visitare questo centro del Consiglio mondiale delle Chiese cristiane e anche il Centro ortodosso di Chambésy. Dopo aver salutato ancora i partecipanti alla celebrazione il Papa dice.

Fratelli miei e amici miei,

il fatto vero è che Giovanni Paolo II vi vuole bene e voi lo amate molto. Allora, grazie ancora una volta. La mia gratitudine profonda a nostro Signore che ci ha radunato. Egli ci riunisce sempre e dovunque. Ci fa sempre più quel popolo di Dio che noi siamo. È una grande fortuna essere in Svizzera, appartenere a questo popolo grandioso, ma voglio dire che è una fortuna ancora più grande appartenere al popolo di Dio.

 

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