DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI INDIANI DI RITO
MALABARESE E MALANKARESE
IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"
Castelgandolfo, 29 agosto 1980
Venerabili e cari fratelli nel nostro Signore Gesù Cristo.
1. Vi sono molto grato per la vostra visita oggi; è davvero con grande gioia che rivolgo un affettuoso saluto a tutti voi che, insieme con il Cardinale Joseph Parecattil, Arcivescovo di Ernakulam e presidente della commissione pontificia per la revisione del codice orientale di diritto canonico, siete venuti da diverse parti dell’India per questa visita “ad limina” e per il vostro incontro collegiale.
2. In voi sento qui la presenza di tutta la Chiesa siro-malabarese, questa Chiesa orientale ed autenticamente indiana che per secoli è stata un esempio meraviglioso di testimonianza cristiana nella fedeltà alla sua fede primitiva e alle sue legittime tradizioni. Di qui il mio saluto va oggi a tutta la vostra Chiesa: ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai membri degli istituti secolari, ai giovani, agli anziani, ai padri e alle madri di famiglia, ai lavoratori, ai bambini e a tutti i fedeli, specialmente coloro che sono nel dolore e nella malattia.
I miei saluti ed auguri vanno anche ai fedeli e ai pastori delle altre Chiese che vivono accanto a voi nelle diverse parti del Kerala e nel resto dell’India, come pure ai fratelli delle comunità cristiane che non sono ancora in piena comunione con noi. Vanno inoltre a tutti i membri delle religioni non cristiane.
3. In questa visita collegiale desidero esprimere ufficialmente la mia gratitudine per le diligenti relazioni che avete messo a mia disposizione e a disposizione dei miei collaboratori nella santa Sede, per una maggior conoscenza delle vostre “eparchie”, con il loro numeroso clero e i loro religiosi. Queste “eparchie” abbondano di attività pastorali e missionarie; le loro attività si manifestano anche nel campo della cultura attraverso collegi e scuole, nel campo dell’assistenza caritativa e sociale attraverso ospedali e dispensari e dovunque sia necessario lavorare per il progresso umano, sociale e spirituale delle nostre comunità o di ciascuno senza distinzione di fede, di razza o di rito. Ho notato il vostro impegno, pieno di dedizione e di amore per tutti. Questo è un amore e un dovere per tutta la Chiesa cattolica ed è anche il compito della vostra Chiesa. È sempre stato così e soprattutto oggi questo impegno rifulge di una nuova luce. Sono felice di rendere testimonianza al vostro zelo.
4. Questa prospettiva di apertura a tutta la gente senza distinzione è una sfida al mio servizio apostolico, che è descritto dalla “Lumen Gentium” con queste parole: “universo caritatis praesidet, legitimas varietatis tuetur et simul invigilet ut particularia, nedum unitati noceant, ei potius inserviant” (Lumen Gentium, 13).
Ho desiderato questo incontro con voi e voglio ringraziarvi per la lodevole responsabilità con cui avete accettato l’invito della sacra congregazione a partecipare ad un incontro di studio sulla riforma della sacra liturgia nella vostra Chiesa. È un incontro dal quale sembra giusto attendersi i risultati più positivi in merito a una chiara disciplina liturgica e un rinnovamento liturgico secondo le direttive e lo spirito del Concilio Vaticano II. Potete essere sicuri che il successore di Pietro in ogni occasione, come in questo incontro fraterno, ha un solo desiderio e proposito, quello di essere ciò che il Concilio ha chiamato: “unitatis tum Episcoporum tum fidelium multitudinis, perpetuum ac visibile principium et fundamentum” (Lumen Gentium, 23).
5. A che cosa è volto fondamentalmente questo nostro incontro e la vostra riunione collegiale con la competente congregazione della santa Sede se non alla realizzazione di una perfetta comunione “in vinculo pacis”? La liturgia manifesta e realizza l’unità in modo del tutto speciale. “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma sono celebrazione della Chiesa che è “sacramento di unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo della Chiesa; lo manifestano e lo implicano” (Sacrosanctum Concilium, 26).
Oltre a dichiarare con tale vigore questo fondamentale concetto teologico generale, il Concilio richiama l’attenzione su altri principi di grandissima importanza: la Chiesa desidera rispettare e favorire in modo speciale “le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nei costumi dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se è possibile, lo conserva inalterato, e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito liturgico” (Sacrosanctum Concilium, 37). Inoltre la “Lumen Gentium” afferma: “Per divina provvidenza è avvenuto che varie Chiese, poste in vari luoghi dagli apostoli e loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti i quali, salva restando l’unità della fede e l’unica divina costituzione della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un patrimonio teologico e spirituale proprio... Questa varietà di Chiese locali tendenti all’unità, dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa” (Lumen Gentium, 23).
Ma nello stesso tempo il Concilio desidera che queste Chiese siano fedeli alla loro tradizione: “È infatti intenzione della Chiesa cattolica che rimangano salve e integre le tradizioni di ogni Chiesa o rito particolare, e parimenti essa vuole adattare il suo tenore di vita alle varie necessità dei tempi e dei luoghi” (Orientalium Ecclesiarum, 2). Lo stesso decreto dichiara anche: “Sappiano, e siano ben certi tutti gli orientali, che possono sempre e devono conservare i loro legittimi riti e la loro disciplina, e che non si devono introdurre mutazioni, se non per ragione del proprio organico progresso” (Ivi, 6).
Perché raggiungano il loro scopo è necessaria una rigorosa e severa applicazione delle direttive conciliari sulla fedeltà alle tradizioni del proprio rito: “Pertanto tutte queste cose devono essere con somma fedeltà osservate dagli stessi orientali, i quali devono acquistarne una coscienza sempre più profonda e un uso più perfetto e, qualora per circostanze di tempo o di persone fossero indebitamente venuti meno ad esse, procurino di ritornare alle avite tradizioni” (Ivi). Non mancheranno difficoltà nel ritornare alle origini autentiche del proprio rito. Si tratta tuttavia di difficoltà che vanno affrontate “viribus unitis” e “Deo adiuvante”.
Il rinnovamento liturgico è quindi l’elemento fondamentale della vita sempre feconda della vostra Chiesa: un rinnovamento fondato sulla fedeltà alle vostre genuine tradizioni ecclesiali e aperto alle necessità del vostro popolo, alla vostra cultura e a possibili cambiamenti dovuti al vostro organico progresso. Sarete utilmente guidati dai principi fondamentali esposti nella lettera “Dominicae Cenae”, che vi aiuteranno a non sbagliare in una questione così importante e delicata.
6. Dopo queste riflessioni sulla liturgia, sono lieto di parlare del “memorandum” che avete voluto farmi conoscere tramite la sacra congregazione per le Chiese orientali. Il contenuto di questo documento, nonostante la brevità ad esso imposta dalle circostanze, mi invita a riflettere sulla storia della vostra gloriosa Chiesa, che nel mondo libero, è la più numerosa e fiorente Chiesa orientale, quella con il maggior numero di sacerdoti, di religiosi e religiose, di seminaristi e di laici.
Come potremmo non rilevare con gioia e con vera soddisfazione il contributo della vostra Chiesa alla causa delle missioni, non solo in India ma anche altrove, alla promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, alle attività dell’insegnamento e dell’assistenza caritativa, ecc...? Non si tratta di sottovalutare i numerosi fattori umani che influenzano questi fenomeni, ma piuttosto notare come questi fattori hanno anche un debito verso la fede cristiana delle vostre famiglie siro-malabaresi, che sono sempre disposte a dare i loro figli alla causa della Chiesa universale, anche oltre i confini della vostra Chiesa particolare. Desidero esprimere la mia sincera gratitudine a voi Vescovi, ai vostri sacerdoti, ai religiosi, ai membri degli istituti secolari, ai seminaristi e alle generose famiglie per ciò che avete fatto e continuate a fare per la Chiesa universale. Ciò che un tempo i missionari dell’Europa o dell’America fecero e stanno ancora facendo in “auxilium orientalium”, voi avete fatto e state facendo in “auxilium Ecclesiae latinae”. Vi ringrazio di cuore. Tutto questo è in perfetta armonia con lo spirito del Concilio, il quale vuole che le Chiese particolari sentano nel loro cuore la responsabilità per le altre Chiese e per la Chiesa universale.
7. Dopo uno sguardo alla vostra Chiesa i miei pensieri si rivolgono ai “desiderata” che avete presentato. L’importanza di ciò che avete esposto, come pure le implicazioni canoniche, ecclesiologiche, pastorali, dottrinali e pratiche spiega perché non è possibile in questa occasione dare una risposta immediata e completa alle vostre richieste.
Quando si tratta di problemi che riguardano tutta la Chiesa e la creazione di strutture sovra-episcopali in cui sono implicati gli interessi di diversi Vescovi e di Chiese particolari, la santa Sede adotta serie e prudenti procedure che sono confermate dalla pratica di molti secoli. Desidero assicurarvi di quanto sono felice nel vedere che state cercando di affermare e approfondire la vostra identità come Chiesa orientale particolare. Sono lieto di citare qui i pensieri del mio grande predecessore Paolo VI nel suo discorso conclusivo al Sinodo dei Vescovi del 1974: “Eodem tamen tempore exoptamus, ut sedulo caveatur ne altior pervestigatio essentialis huius aspectus rerum, quae Ecclesiae sunt, ullo modo noceant firmitati “communionis” cum ceteris particularibus Ecclesiis et Petri successore, cui Christus Dominus, grave, perenne atque amoris plenum hoc officium commisit, ut agnos et oves pasceret (Gv 21,13-17), ut fratres confirmaret (Lc 22,32), ut fundamentum esset et signum unitatis Ecclesiae” (Paolo VI, Allocutio ad terminum Synodi Episcoporum 1974 habita, die 26 oct. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 1008).
Riferendomi ad alcune frasi del vostro “memorandum”, vorrei ricordare un aspetto dell’insegnamento collegiale del Concilio Vaticano II: “Romanus enim Pontifex Pastoris habet in Ecclesiam, vi numeris sui, Vicari scilicet Christi et totius Ecclesiae Pastoris, plenam, supremam et universalem potestatem, quam semper libere exercere valet” (Lumen Gentium, 22). In occasione del suddetto Sinodo Paolo VI aggiunse: “unum potius adest propositum, quo videlicet omnes - pro suo quisque numere succepto fideliterque impleto - Dei voluntati respondeant, maxima impulsi dilectione” (Ivi). Desidero comunque assicurarvi che ogni cosa sarà fatta, compatibilmente con il bene della Chiesa universale e con la necessaria gradualità.
Nello stesso ordine di idee vi è anche il problema dell’assistenza ai vostri fedeli al di fuori delle vostre “eparchie”. Da una parte il mio indimenticabile predecessore Giovanni Paolo I nel suo breve pontificato ebbe l’opportunità e la gioia di poter nominare l’Arcivescovo Antony Padiyara visitatore apostolico per i fedeli malabaresi che vivono in diverse regioni dell’India fuori dei territori appartenenti alla giurisdizione orientale. L’Arcivescovo ha cercato con sollecitudine esemplare di adempiere al compito a lui affidato e desidero esprimergli la mia gratitudine “coram vobis”.
Dall’altra parte sono anche implicati in questa questione il rappresentante papale in India e gli ordinari cattolici di quei luoghi in cui questi fedeli malabaresi vivono. Posso assicurarvi che saranno messi a disposizione di questi fedeli tutti gli aiuti che le leggi della Chiesa prevedono, in particolare con le prescrizioni, che voi stessi avete citato, del decreto “Christus Dominus”. Si sa bene che, dopo il Concilio, la Chiesa ha voluto rivedere la costituzione apostolica “Exul Familia” ed il mio predecessore Paolo VI nella “Pastoralis Migratorum Cura” non trascurò alcuno sforzo per mettere ogni aiuto spirituale a disposizione degli emigranti. La comune sollecitudine dei Vescovi dei luoghi d’origine degli emigranti e dei Vescovi delle loro nuove patrie richiede un’armonia di rapporti ed uno spirito di collaborazione fraterna. È il mio più vivo desiderio, ed è mia convinzione che le conferenze episcopali, sia quella indiana che quelle regionali, troveranno un giusto modo di provvedere a questa necessità.
In questo sforzo di aiutare i fratelli bisognosi, sia spiritualmente che materialmente, i Vescovi malabaresi troveranno nella santa Sede un aiuto sincero e una forza vivificante che, in una prospettiva ecclesiale che abbraccia i bisogni delle singole Chiese particolari ed il bene comune di tutta la Chiesa, cerca di creare un clima di reciproca conoscenza e stima tra i popoli, specialmente tra i fedeli di diverse razze, nazioni e riti.
Vorrei aggiungere ancora una parola riguardo alle vostre “eparchie”. Non penso alla vostra Chiesa solo in termini di numeri, di statistiche e delle attività principali di ogni vostra “eparchia”, ma contemplo la ricca vita spirituale che esiste in esse.
Penso ai vostri sacerdoti, così numerosi e generosi. Penso ai religiosi che sono membri degli istituti orientali come pure degli ordini e delle congregazioni di origine latina, i quali sono docili alla chiamata di Cristo e all’avanguardia della vita della Chiesa. Penso al gran numero di religiosi di vita attiva e contemplativa, la cui oblazione consacrata riflette quella di Maria e diventa il fondamento di un servizio disinteressato che rispecchia la preoccupazione materna di tutta la Chiesa, soprattutto per i piccoli, per i deboli, i poveri e i sofferenti.
Penso ai giovani e in particolare ai seminaristi: ciascuno di voi ha un seminario minore per i candidati al sacerdozio e vi sono due seminari maggiori - il seminario pontificio di Alwaye e il seminario apostolico di Kottayan - oltre alle scuole delle carmelitane di Maria Immacolata, con due facoltà teologiche e una terza già in progetto. A questo proposito vale la pena di richiamare l’attenzione sulla seguente esortazione: “La formazione dei futuri sacerdoti dovrebbe essere considerata uno dei compiti più importanti in una diocesi e, sotto alcuni aspetti, uno dei più urgenti. Infatti, l’azione dell’insegnamento unisce strettamente il professore all’azione del nostro Signore e maestro, che ha preparato i suoi apostoli ad essere testimoni del Vangelo e dispensatori dei misteri di Dio” (Sacrae Congragationis pro Institutione Catholica De Institutione Theologica futurorum presbyterorum, IV,1,3).
Concludendo, offro alla vostra riflessione un desiderio profondo del mio cuore: Voi siete qui uniti a Pietro “communione fraternae caritatis atque studio permoti universalis missionis Apostolis traditae” (Christus Dominus, 36). Questa è un’occasione favorevole per richiamare il tema supremo dell’unità: l’unità fraterna fra i Vescovi e i religiosi, fra il Vescovo, i sacerdoti e i laici, fra i poveri e i benestanti. L’unità che in questi giorni di grazia avete cercato nei campi liturgico e pastorale deve essere il primo frutto di questa particolare esperienza di armonia e collaborazione.
I miei pensieri vanno ai Vescovi degli altri riti i quali lavorano nello stesso territorio e devono essere non solo fratelli che coesistono con voi, ma che vi vivono accanto in profonda comunione ecclesiale con voi e con tutta la Chiesa. I miei pensieri vanno anche ai vari gruppi e alle comunità dei fratelli separati che guardano con sincera ammirazione al vostro legame con il successore di Pietro.
La mia ultima parola è una parola di speranza e di preghiera a Maria Madre della Chiesa. Possa ella proteggervi sempre e attraverso la sua intercessione possano le vostre “eparchie” continuare ad avere una grande fioritura di vocazioni e una grande santità di vita. Possa ella rendere tutti noi capaci di fissare costantemente il nostro sguardo su suo Figlio, Gesù Cristo, il grande sommo sacerdote e primo pastore della Chiesa di Dio.
Ed ora una parola ai Vescovi malankaresi, che sono uniti al gruppo dei prelati malabaresi da un vincolo di fraternità.
Desidero estendere un saluto particolare a voi, dal momento che quest’anno è l’anniversario di un evento straordinario nella vostra Chiesa. Voi state celebrando il cinquantenario di quel movimento spirituale di cui lo stimato Mar Ivanios fu un pioniere e che portò in piena comunione con Roma lo stesso Ivanios, altri prelati e le comunità che egli fondò: i fratelli dell’Imitazione di Cristo e le sorelle di Betania.
Come segno della mia partecipazione a questo giubileo, sono felice di annunciare la mia decisione di inviare come mio rappresentante e portatore del mio messaggio il Cardinale Wladyslaw Rubin, prefetto della sacra congregazione per le Chiese orientali, il quale sarà presente alle solenni celebrazioni che sono fissate per il prossimo 26-28 dicembre.
Vi assicuro le mie preghiere, la mia benedizione e il mio affetto fraterno in Cristo Gesù nostro Signore.
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