UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE
LITURGIA OGGI
EDUCARE IL DESIDERIO, CONSOLIDARE LA FEDE
Convegno Pastorale, Diocesi di Massa Carrara -
Pontremoli
Parrocchia SS. Annunziata, Bassagrande di Massa
Venerdì 15 settembre 2017
Inizia un nuovo anno pastorale e parliamo di preghiera? Dobbiamo
impostare il cammino della Diocesi e ci fermiamo a considerare la
liturgia? Può esserci utile ricordare un episodio raccontato nella
vita di Federico Ozanam, il fondatore delle conferenze di San
Vincenzo. Il futuro beato, allora giovane e in crisi di fede,
improvvisamente entrò, in cerca di conforto, in una chiesetta gotica
di Parigi e vide in ginocchio, nella penombra del luogo sacro, la
veneranda figura di un vegliardo. La esaminò attentamente e la
riconobbe: era Ampère, il famoso scienziato. Lo contemplò a lungo,
in muto raccoglimento, e quando uscì si mise sui suoi passi e lo
seguì fin nel suo studio. “In quale questione di fisica posso
esservi utile, giovanotto?” - domandò l'illustre uomo. “Io sono
studente di lettere e mi duole di essere un vero ignorante nelle
scienze. Vengo da lei, professore, per una questione di fede”. “Non
è il mio forte” - risponde umilmente lo scienziato -; “comunque,
sarei felice d'esservi utile”. “Mi dica professore, è possibile
essere così grande e pregare ancora?” Lo scienziato, un po' stupito
e con labbra tremanti di commozione, rispose: “Figliolo, io sono
grande solo quando prego!”.
D’altra parte non è casuale che il Concilio Vaticano II abbia
iniziato i suoi lavori proprio a partire dalla Liturgia. Ecco la
testimonianza che, al riguardo, lascia Benedetto XVI nella
prefazione al primo volume della sua “Opera omnia”, dedicato proprio
alla Liturgia: “Ciò che a prima vista potrebbe sembrare un caso, si
rivela, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della
Chiesa, come la cosa anche intrinsecamente più giusta. Cominciando
con il tema "liturgia", si mise inequivocabilmente in luce il
primato di Dio, la priorità del tema "Dio". Dio innanzitutto, così
ci dice l’inizio della costituzione sulla liturgia. Quando lo
sguardo su Dio non è determinante ogni altra cosa perde il suo
orientamento. Le parole della regola benedettina "Ergo nihil Operi
Dei praeponatur" (43, 3: "Quindi non si anteponga nulla all’Opera di
Dio") valgono in modo specifico per il monachesimo, ma hanno valore,
come ordine delle priorità, anche per la vita della Chiesa e di
ciascuno nella sua rispettiva maniera”.
Non è strano, di conseguenza, iniziare dalla Liturgia e dalla
preghiera, perché significa iniziare dalla fede e da Dio.
Senza ulteriori particolari preamboli vengo subito a ricordare il
testo magisteriale a cui, questa sera, intendiamo rivolgerci per
considerare il tema del vostro Convegno Pastorale annuale. Mi
riferisco alla lettera Enciclica
Lumen Fidei, primo documento
pubblicato da Papa Francesco e, come sappiamo, risultato dell’opera
congiunta dell’attuale Pontefice e di Benedetto XVI, che iniziò a
stenderlo prima delle sue dimissioni.
Al numero 40 della citata Enciclica leggiamo: “Per trasmettere
tale pienezza [la fede] esiste un mezzo speciale, che mette in gioco
tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo
mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa […]
Per questo, se è vero che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede,
si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale. Il
risveglio della fede passa per il risveglio di un nuovo senso
sacramentale della vita dell’uomo e dell’esistenza cristiana,
mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero
dell’eterno”.
Le fede, pertanto, trova un alimento insostituibile e necessario
nella liturgia e nella celebrazione dei Sacramenti, in specie
nell’Eucaristia. Non può esservi vitalità nella fede senza Liturgia.
Un antico proverbio cinese afferma: “L’amore è come la luna: se non
cresce, cala”. Così è anche della fede: se non cresce cala. E cresce
proprio in virtù della vita sacramentale e liturgica. La liturgia,
quindi, è questione di fede. E la perdita della fede è il grande
dramma del nostro tempo. Ecco perché è importante, lo riaffermiamo,
iniziare un anno pastorale dalla liturgia. Perché è necessario e
vitale ritrovare e riscaldare la fede.
Forse, adesso, capiamo di più la splendida testimonianza degli
antichi cristiani di Abitene, coraggiosi nell’affrontare il
martirio, pur di non venire meno alla Messa domenicale: “Senza la
Domenica non possiamo vivere”, essi affermarono all’autorità romana
che voleva loro impedire il raduno festivo. Così dovrebbe essere per
tutti noi!
In questo contesto mi piace fare memoria di un’esperienza vissuta
a Genova da giovane sacerdote con il mio Arcivescovo di allora, il
Cardinale Canestri, del quale sono stato per diversi anni segretario
personale. Quando gli arrivò, in forma ancora riservata, la notizia
che il Santo Padre aveva deciso di crearlo cardinale, disse
immediatamente: “Oggi la cosa più importante l’ho già fatta, perché
questa mattina ho celebrato la Messa”.
Quanto condividerò con voi, “cuore a cuore” – come amava
affermare il beato Card. Newman – è il frutto della personale vita
liturgica e sacramentale, degli studi fatti negli anni, della
vicinanza a due Papi che molto mi hanno insegnato con il loro stile
celebrativo e con il loro magistero. Di questo vi faccio partecipi
nella speranza che vi possa essere di aiuto per educare il desiderio
di Dio e consolidare la fede, come indica il titolo del vostro
Convegno pastorale.
Mi soffermo ora su alcune dimensioni del mistero di Dio e della
fede che vengono educate e trovano consolidamento nella vita
liturgica, alle quali la vita liturgica dona la linfa necessaria per
crescere e fruttificare.
1. La presenza di Cristo
Afferma la
Sacrosanctum Concilium:
“Per realizzare un’opera così grande [l’opera della salvezza],
Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle
azioni liturgiche” (7). Con queste semplici parole, la costituzione
conciliare sulla sacra liturgia sottolinea con chiarezza che il
primo e principale protagonista di ogni celebrazione liturgica è il
Signore.
Ciò che si è realizzato nella storia, ovvero il mistero pasquale,
il mistero della nostra salvezza, si rende oggi presente nella
celebrazione liturgica della Chiesa. In tal modo il Salvatore non è
un ricordo del tempo passato, ma è il Vivente che continua la sua
azione salvifica nella Chiesa, comunicando la sua vita divina. In
questo senso è tanto pregnante la parola “oggi” così spesso usata in
Liturgia.
Nella stessa celebrazione eucaristica, l’assemblea radunata
risponde al “Mistero della fede”, successivo alla consacrazione, con
le parole tanto significative: “Annunziamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. In
questa formulazione della liturgia romana ritroviamo descritti i tre
momenti propri di ogni celebrazione sacramentale: ovvero, la memoria
del passato evento salvifico, la presente azione di grazia nella
celebrazione, l’anticipazione della gloria futura.
In tal modo, la Chiesa, convocata per la celebrazione liturgica,
rinnova ogni volta l’esperienza della verità di quanto affermato
nella Lettera agli Ebrei: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e
sempre” (Eb 13, 9). Come di recente ha ricordato il Santo
Padre Francesco: “La liturgia è viva in ragione della presenza viva
di Colui che «morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a
noi la vita» (Prefazio pasquale I). Senza la presenza reale del
mistero di Cristo, non vi è nessuna vitalità liturgica” (Discorso
ai Partecipanti alla 68ma Settimana Liturgica Nazionale, 24
agosto 2017).
La liturgia della Chiesa ha una modalità discreta e al contempo
chiara di ricordare al popolo di Dio, radunato per la celebrazione
dei divini misteri, la presenza fondamentale del grande
Protagonista. Ricordiamo che, come afferma il poeta tedesco
Holderlin, anche per la Liturgia vale che “il grandissimo spesso si
rivela nel piccolissimo”. Lo vedremo più volte nel corso di questa
conversazione. Ora mi riferisco al saluto liturgico “Il Signore sia
con voi”, che più volte ricorre, ad esempio nella Messa. Questo
saluto è scambiato tra celebrante e fedeli all’inizio della
celebrazione, più avanti ritorna al momento della proclamazione del
vangelo, ancora lo ritroviamo all’inizio della preghiera eucaristica
e, infine, prima della benedizione finale e del congedo. Ogni volta
viene così augurata e manifestata la presenza del Signore.
All’inizio una tale presenza è invocata e affermata nella comunità
radunata e, in un modo peculiare, nella persona del sacerdote a
motivo del sacramento dell’ordine; al vangelo si ricorda la presenza
del Signore nella sua parola proclamata e si chiede che diventi
anche presenza radicata nel cuore dei fedeli; più tardi,
introducendo la preghiera eucaristica, si annuncia la reale presenza
di Cristo nel suo Corpo dato e nel suo Sangue sparso, presenza
implorata per la vita di tutti; infine, prima della benedizione e
del congedo, si invoca la presenza del Signore nella vita quotidiana
dei suoi discepoli.
Si pensi anche alle grandi processioni presenti nel Rito: quella
d’ingresso, quella al Vangelo, quella all’offertorio. Tutte hanno un
preciso riferimento cristologico. Quella inziale “trasfigura”
l’ingresso del Signore nel mondo; quella al Vangelo ci conduce alla
Sua parola; quella all’offertorio ci porta all’altare dove ci
nutriamo del Suo corpo e del Suo sangue, presenti realmente in virtù
del sacrifico eucaristico.
Il Signore Gesù è l’oggi, il presente vivo di ogni celebrazione
liturgica, a cominciare dalla Messa, che mai dobbiamo perdere di
vista. Lui Salvatore, Lui Redentore, Lui Amore, segno dell’infinito
amore di Dio per il mondo.
In proposito può aiutare la nostra riflessione un episodio
raccontato da un autore spirituale. Un giorno stavo parlando con uno
studente nel mio studio e, sul cavalletto, avevo appena finito di
dipingere un volto di Cristo di grandi dimensioni. Ho chiesto allo
studente: “Secondo te, chi guarda Gesù?” “Guarda me”. Poi gli ho
detto di alzarsi, di continuare a guardare Gesù e, passo passo,
lentamente, venire dalla mia parte. Gli ho chiesto di nuovo: “Adesso
sei da solo, hai la testa piena di pensieri cattivi, violenti. E
Gesù?”. “Mi guarda”, risponde. Al passo successivo gli dico: “Sei
con i tuoi amici, ubriaco, di sabato sera. E Gesù?”. 'Mi guarda',
risponde ancora. Ancora un altro passo e gli chiedo: 'Ora sei con la
tua fidanzata, e vivi la sessualità nel modo in cui hai parlato, che
ti turba la memoria. E Gesù?'. “Mi guarda con una grande
compassione”. Ecco - gli dico - quando sentirai addosso in tutte le
circostanze della tua vita questo sguardo compassionevole e
misericordioso di Gesù, sarai una persona veramente spirituale,
sarai di nuovo completamente integro, vicino a ciò che possiamo
chiamare pace interiore, serenità dell'anima, felicità della vita”.
La liturgia, pertanto, educa il desiderio di Cristo e consolida
la fede riconducendoci sempre al centro del mistero della nostra
salvezza che è Cristo, volto misericordioso di Dio.
2. L’azione della Chiesa
“Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo
sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per
eccellenza” (Sacrosanctum Concilium,
n. 7). E’ sempre il Concilio Vaticano II, con queste parole, a
ricordarci che la liturgia è azione del Cristo totale e, dunque,
anche della Chiesa.
Ricordava il Santo Padre Francesco nel discorso sopra citato:
“Come ricordano tante preghiere liturgiche, è l’azione che Dio
stesso compie in favore del suo popolo, ma anche l’azione del popolo
che ascolta Dio che parla e reagisce lodandolo, invocandolo,
accogliendo l’inesauribile sorgente di vita e di misericordia che
fluisce dai santi segni” (Ibidem).
Dall’affermazione che la liturgia è azione della Chiesa derivano
alcune considerazioni di non poca importanza. In effetti, quando si
dice che la Chiesa è soggetto agente si fa riferimento alla Chiesa
tutta, in quanto soggetto vivente che attraversa il tempo, che si
realizza nella comunione gerarchica, che è insieme realtà ancora
pellegrinante sulla terra e realtà già approdata sulle rive della
Gerusalemme celeste.
Celebrare la liturgia significa sempre entrare nel “noi” della
Chiesa che prega. Si pensi a tutte le preghiera liturgiche. Questo
“noi” ci parla di una realtà, la Chiesa appunto, che va al di là dei
singoli ministri ordinati e dei singoli fedeli, delle singole
comunità e dei singoli gruppi. Perché lì la Chiesa si manifesta e si
rende presente nella misura in cui si vive la comunione con la
Chiesa intera, quella Chiesa che è cattolica, universale, di una
universalità che raggiunge tutti i tempi, tutti i luoghi, in
comunione con l’eternità.
Non è pensabile, quindi celebrare la liturgia senza vivere con
singolare intensità il “sentire con la Chiesa” (sant’Ignazio di
Lojola), ovvero il desiderio di condividere la vita della Chiesa e
quel rito liturgico mediante il quale si rinnova in lei e per lei il
mistero della salvezza.
Il sacerdote, ad esempio, vive della vita della Chiesa, si pone
al servizio della sua celebrazione, non pretende di essere
protagonista e di porsi al centro del rito, ma assolve con gioia il
compito di tradurre nella “ars celebrandi” il mistero celebrato. Lo
stesso vale per quanti si pongono al servizio della celebrazione,
siano essi ministri o gruppi liturgici o animatori del rito.
Nulla è più contrario alla buona “ars celebrandi” dell’abitudine
a modificare testi e riti. Di questi testi e di quei riti siamo
servitori e non padroni. La nostra gente ha il diritto di vivere la
celebrazione della Chiesa, non quella inventata da noi.
La liturgia non è l’occasione data a chi presiede o anima e
organizza per esprimersi davanti a un’assemblea radunata. Chi
presiede, in verità, è chiamato quasi a nascondersi perché possa
emergere il vero protagonista della celebrazione: il Signore Gesù,
sommo ed eterno sacerdote. In questo nascondimento, ogni sacerdote,
ogni ministro e ogni operatore dovrebbe poter trovare la propria
gioia, sull’esempio di san Giovanni Battista.
A titolo esemplificativo, e per entrare in un dettaglio
celebrativo, trovo sempre molto educativo il modo in cui il Santo
Padre Francesco vive la celebrazione liturgica. Si capisce bene il
suo desiderio di non essere al centro dell’atto rituale, ma di
aiutare tutti a volgere lo sguardo del cuore verso il Signore Gesù.
Si pensi, in particolare, a come il Papa incede nella processione
sia iniziale che finale, alla sua volontà di evitare ogni applauso e
manifestazione di festa rivolta alla sua persona durante la Messa.
La liturgia, pertanto, educa il desiderio del “noi” che è la
Chiesa e consolida la fede rendendoci fedeli e appassionati al
mistero della Chiesa.
3. L’adorazione
Nella liturgia l’opera di Cristo e l’azione della Chiesa si
intrecciano vitalmente. Ed è qui che si inserisce il tema della
partecipazione, di quella partecipazione piena, consapevole e attiva
raccomandata dal Concilio Vaticano II (cf.
Sacrosanctum Concilium,
n. 14).
Ci domandiamo: Che cosa è l’opera di Cristo? E’ quell’atto
pregato mediante il quale il Signore offre la vita al Padre per la
salvezza del mondo.
Ma che cosa avviene in quell’atto pregato del Signore, in quel
suo atto che è preghiera? In quell’agire gli elementi della terra
vengono accolti e trasformati nel suo corpo e nel suo sangue, così
che il nuovo cielo e la nuova terra vengono anticipati. In
quell’agire si compie il gesto di adorazione supremo che riconduce
alla verità del proprio essere l’umanità tutta e la creazione
intera: ogni realtà ritrova la sua ragione d’essere in Dio e nella
dipendenza da lui.
Così la liturgia è adorazione in quanto rende presente in modo
sacramentale il sacrificio della croce nel quale Gesù ha reso gloria
al Padre con il suo sì, segno di un amore condotto “fino alla fine”,
adorazione radicale di Dio e della sua volontà. La liturgia è
preghiera in quanto preghiera di Cristo rivolta al Padre nello
Spirito, perché accolga il suo sacrificio.
Ecco perché la liturgia cristiana è atto che conduce
all’adesione, ovvero alla riunificazione dell’uomo e della creazione
con Dio, all’uscita dallo stato di separazione, alla comunione di
vita con Cristo. Afferma il Santo Padre Francesco: “Il culto
liturgico non è anzitutto una dottrina da comprendere, o un rito da
compiere; è naturalmente anche questo ma in un’altra maniera, è
essenzialmente diverso: è una sorgente di vita e di luce per il
nostro cammino di fede” (Omelia nella S. Messa della III Domenica di Quaresima,
Parrocchia romana di Ognissanti, 7 marzo 2015).
Tutto questo è quanto la Chiesa, Sposa di Cristo, vive nella
celebrazione della liturgia. In effetti, ciò che risulta essenziale
per la liturgia è che coloro che vi partecipano preghino per
condividere lo stesso sacrificio del Signore, il suo atto di
adorazione, diventando una solo cosa con lui, vero corpo di Cristo.
In altre parole, ciò che è essenziale è che alla fine venga superata
la differenza tra l’agire di Cristo e il nostro agire, che vi sia
una progressiva armonizzazione tra la sua vita e la nostra vita, tra
il suo sacrificio adorante e il nostro, così che vi sia una sola
azione, ad un tempo sua e nostra. Quanto affermato da san Paolo non
può che essere l’indicazione di ciò che è essenziale conseguire in
virtù della celebrazione liturgica: “Sono stato crocifisso con
Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,
19-20). A ragione, pertanto, alcuni parlano di “azione partecipata”,
come preferibile al termine “partecipazione attiva”, per meglio
sottolineare la necessità di un coinvolgimento esistenziale con il
mistero di Cristo celebrato. Quanto è pregnante e decisiva la parola
“Amen”! E’ il segno della nostra adorazione e a adesione al mistero
celebrato.
Favorire la “partecipazione attiva” significa aiutare
l’assemblea, perché davvero tutti possano unirsi coralmente, con il
cuore, la voce, il gesto alla celebrazione. D’altra parte rimane
vero che anche momenti di solo ascolto, pensiamo ad alcune parti
cantate, potranno favorire una piena partecipazione, quando
l’ascolto non sarà fine a se stesso, ma orientato a “innalzare le
menti a Dio attraverso la partecipazione interiore” (Musicam Sacram,
2, 15).
La partecipazione attiva, pertanto, non si risolva
semplicisticamente in un coinvolgimento dei singoli nel gruppo, né a
un attivismo del “fare per fare”. Neppure la liturgia deve riempirci
di contenuti (pensiamo ad esempio, alle didascalie). Piuttosto è
chiamata ad aprirci a un’esperienza: quella dell’incontro con
Cristo. Per questo si dice che la liturgia educa celebrando. Ma
occorre acquisire il metodo della mistagogia.
Ritengo importante ritrovare sempre più il senso pieno della
partecipazione attiva, alla quale si perviene sia prendendo parte
effettiva al rito, sia anche ascoltando e guardando con attenzione
di fede un rito che per la sua nobiltà è capace di favorire
l’ingresso nel mistero celebrato per via di commozione interiore,
emozione spirituale; nel senso più alto del termine, per via di
cuore.
Con grande equilibrio e saggezza siamo chiamati a percorrere le
vie di una partecipazione attiva e davvero piena, grazie alla quale
ogni componente della persona che prega - intelligenza, volontà,
affetti, sentimenti - possa essere aiutata a entrare nel grande
atto di adorazione di Cristo al Padre. E’ l’umanità tutta intera che
deve trovare accoglienza ed espressione nell’atto liturgico, mente e
cuore devono sentirsi interpellati.
E’ tanto bella, da questo punto di vista, la dossologia che
conclude la grande preghiera eucaristica. Dopo il silenzio orante e
adorante, tutti facciamo esplodere il cuore nell’adesione convinta e
gioiosa a quanto è risuonato in noi, nel segreto della nostra
interiorità.
Mi raccontava, un giorno, un mio amico missionario in Africa che
in una chiesetta africana, durante la raccolta dei doni
all'Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di
vimini. Nell'ultima fila di sedie della chiesa era seduto un
ragazzino, che guardava con aria pensosa il paniere che passava di
fila in fila. Quando vide che quasi tutti i fedeli mettevano nella
cesta monete e persino banconote il ragazzino si allarmò. Si infilò
le mani in tasca e le ritirò deluso: contenevano solo qualche
granello di sabbia. “Io non ho proprio niente da offrire al
Signore”, sospirò. Sempre più preoccupato, osservava con apprensione
crescente la ragazza con il cesto sempre più vicina all'ultima fila.
Il paniere arrivò davanti a lui. La gentile signorina gli sorrise.
Allora, in mezzo allo stupore di tutti, il ragazzino si alzò e si
sedette sul paniere, con aria soddisfatta come volesse dire: “E'
tutto quello che ho e lo dono al Signore”.
Ecco la partecipazione attiva! Ecco l’azione partecipata! La
liturgia pertanto, educa il desiderio dell’adesione adorante e
consolida la fede come adesione sempre più decisa alla volontà del
Signore.
4. L’orientamento a Dio della vita
La liturgia della Chiesa, che ha senza dubbio il carattere della
storicità in quanto radicata negli eventi della storia della
salvezza, rimane pur sempre anche in relazione alla liturgia
cosmica, riferibile alla creazione e alla natura. Vi è infatti,
nella liturgia della Chiesa, tutta la novità unica della realtà
cristiana; e tuttavia essa non ripudia la ricerca della storia delle
religioni, ma accoglie in sé tutti gli elementi portanti delle
religioni naturali, mantenendo in tal modo un significativo legame
con loro.
E’ riscontrabile, pertanto, un legame inscindibile tra creazione
e alleanza, ordine cosmico e ordine storico di rivelazione.
La liturgia cristiana, che porta in sé tutta la novità della
salvezza in Cristo, conserva e raccoglie ogni espressione di quella
liturgia cosmica che ha caratterizzato la vita dei popoli alla
ricerca di Dio per il tramite della creazione. Nell’Eucaristia
trovano approdo di salvezza tutte le espressioni cultuali antiche.
E’ quanto mai significativa e istruttiva, anche da questo punto di
vista, la Preghiera eucaristica I o Canone romano, là dove ci si
riferisce ai “doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo,
nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech,
tuo sommo sacerdote”.
Come non ritrovare in questo passaggio della grande preghiera
della Chiesa un riferimento ai sacrifici antichi, al culto cosmico e
legato alla creazione che ora, nella liturgia cristiana, non solo
non è rinnegato, ma anzi è assunto nel nuovo ed eterno sacrificio di
Cristo Salvatore?
D’altra parte, in questa stessa prospettiva, non si può che
guardare ai molteplici segni e simboli cosmici dei quali la liturgia
della Chiesa, insieme ai segni e ai simboli tipici dell’alleanza, fa
uso al fine di dare forma al nuovo culto cristiano. Si pensi alla
luce e alla notte, al vento e al fuoco, all’acqua e alla terra,
all’albero e ai frutti. Si tratta di quell’universo materiale nel
quale l’uomo è chiamato a rilevare le tracce di Dio. E si pensi
ugualmente ai segni e ai simboli della vita sociale: lavare e
ungere, spezzare il pane e condividere il calice.
L’intero cosmo, nella liturgia, è assunto nella grande preghiera
del Signore e ritrova il suo vero orientamento: le altezza dei
Cieli, Dio.
Vivendo la liturgia si ha la grazia di partecipare a questa
redenzione della terra. Pensiamo all’invito della Chiesa che sta al
cuore del rito, all’inizio della Preghiera eucaristica: “sursum
corda” – “in alto i cuori”. Alla liturgia è affidato lo
straordinario compito di introdurre gli uomini riuniti in preghiera,
qui e ora, in questo luogo e in questo tempo, nella comunione con
Cristo; alla liturgia è affidato l’esaltante servizio di portare
un’assemblea orante e l’intera creazione verso l’Alto, verso
l’altezza di Dio, verso l’altezza che è Dio e che in Cristo tocca la
terra, l’attira e la eleva a sé. Si pensi al Cristo Pantocratore di
alcune antiche basiliche.
Per meglio capire e custodire nel cuore, ci viene in aiuto un
simpatico racconto dei Padri del deserto: “Un monaco ne incontra un
altro e gli chiede: Perché dunque ce ne sono tanti che abbandonano
la vita monastica? Perché dunque? E l'altro monaco risponde: La vita
monastica è come un cane che insegue una lepre. Corre dietro alla
lepre abbaiando; molti altri cani, sentendo il suo abbaiare, si
uniscono a lui e corrono dietro alla lepre tutti insieme. Ma dopo un
po' tutti i cani che corrono senza vedere la lepre si chiedono: Ma
dov'è che stiamo andando? Perché corriamo? Si stancano, si perdono e
smettono di correre uno dopo l'altro. Solo i cani che vedono la
lepre continuano a rincorrerla fino alla fine, fino a quando
l'acchiappano”. Così è per la liturgia: se i nostri occhi e il
nostro cuore non sono fissi su Gesù, se Lui non è il nostro centro
amato, desiderato, abbracciato, seguito con ardore siamo destinati a
smarrire il vero cuore di ogni celebrazione sacramentale.
La liturgia, pertanto, educa il nostro desiderio di orientamento
a Dio e consolida la fede riconducendo ogni realtà umana e temporale
al suo significato e fine reale che è Dio.
5. L’evangelizzazione
Quella tra Messa e missione è una relazione ricca e necessaria,
perché ricca e necessaria è la relazione tra Chiesa e missione.
Ricorda il Santo Padre Francesco: “La Chiesa è davvero viva se,
formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è
materna, è missionaria, esce incontro al prossimo” (Ibidem).
Laddove la dimensione “missionaria” è da intendere soprattutto con
riferimento a un orientamento ricorrente nel recente magistero
pontificio, sia di Papa Benedetto che di Papa Francesco, secondo il
quale la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione (cfr.
Evangelii Gaudium, 14).
La Chiesa che celebra la liturgia, infatti, rimane gioiosamente
“attratta”, conquistata dalla bellezza dell’amore di Dio, che in
Gesù si rivela come volto di misericordia infinita; e nell’incontro
con il Signore diviene, a sua volta, “attraente”, realmente
missionaria perché capace di comunicare al mondo la Misericordia che
salva e dona vita. “La via della bellezza”. Come sottolinea
l’attuale Pontefice: “L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza
nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il
bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della
Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività
evangelizzatrice e fonte di rinnovato impulso a donarsi” (Evangellii
Gaudium, n. 24).
Sarebbe riduttivo immaginare la bellezza e la gioia come il
semplice prodotto di un impegno umano. La bellezza e la gioia di cui
si parla sono anzitutto un dono che viene dall’Alto e che comunica
una vita di Cielo alla terra abitata dagli uomini. Eppure noi ne
siamo il tramite. La bellezza di un luogo, l’armonia dei movimenti,
l’accoglienza che dona calore al cuore, la semplicità nobile che
comunica maestà e tenerezza, i fiori, le luci, i profumi. Una volta,
nella cattedrale di Genova, un bambino al termine della Messa ebbe a
dire: “Che meraviglia!”. Si pensi all’esperienza che ebbe
sant’Agostino a Milano, dopo aver ricevuto il Battesimo, da lui
raccontata nelle Confessioni: “Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che
risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti
fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi
un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene (Confessioni,
9, 6, 15).
Come ebbe a scrivere G.K. Chesterton: “Il mondo non perirà certo
per mancanza di meraviglie, piuttosto per mancanza di meraviglia”. E’ proprio questa
“meraviglia” che è necessario custodire e conservare con straordinaria cura. La
Chiesa è custode di una meraviglia che le è stata consegnata. Le meraviglie,
prodotto della fantasia umana, hanno vita corta e presto perdono la loro
capacità attrattiva. La meraviglia, invece, che si è rivelata nel volto di
Cristo ed è meraviglia di amore e di misericordia, è sempre nuova e non perde
mai la sua freschezza. Quella meraviglia non smette di attrarre il mondo degli
uomini, perché è la meraviglia di Dio, l’unica in grado di placare la sete di
una terra altrimenti destinata a una mortale aridità. La Chiesa, nella
celebrazione eucaristica, si immerge nella meraviglia di Dio, nella meraviglia
che è Dio. E ne esce capace di meravigliare il mondo, introducendolo
nell’amicizia del Signore. Così possiamo dire che la liturgia evangelizza
celebrando nella bellezza l’amore infinito di Dio che risplende sul volto di
Gesù e della Sua sposa.
La liturgia, pertanto, educa il desiderio della vera bellezza che è Dio e
consolida la fede animando lo slancio missionario della nostra vita.
6. L’eredità eterna
In stretta relazione alla meraviglia del mistero celebrato sta il richiamo
dell’eternità, come tipico della celebrazione liturgiche. Basterebbe passare in
rassegna l’eucologia della Messa o le celebrazioni nelle loro diverse parti. Mi
limito a ricordare quanto il celebrante dice nella preghiera dell’embolismo,
subito dopo il Padre nostro: “Nell’attesa che si compia la beata speranza e
venga il nostro salvatore Gesù Cristo”.
Per essere breve vi racconto un fatto accaduto in una parrocchia.
Una vecchietta serena, sul letto d'ospedale, parlava con il parroco,
che era venuto a visitarla. “Il Signore mi ha donato una vita
bellissima. Sono pronta a partire”. “Lo so” mormorò il parroco. “C'è
una cosa che desidero. Quando mi seppelliranno voglio avere un
cucchiaino in mano”. “Un cucchiaino?”. Il buon parroco si mostrò
autenticamente sorpreso. “Perché vuoi essere sepolta con un
cucchiaino in mano?”. “Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e
alle cene delle feste in parrocchia. Quando arrivavo al mio posto
guardavo subito se c'era il cucchiaino vicino al piatto. Sa che cosa
voleva dire? Che alla fine sarebbero arrivati il dolce e il gelato”.
“E allora?”. “Significava che il meglio arrivava alla fine! E'
proprio questo che voglio dire al mio funerale. Quando passeranno
vicino alla mia bara si chiederanno: 'Perché quel cucchiaino?'.
Voglio che lei risponda che io ho il cucchiaino perché sta arrivando
il meglio”.
Ecco, la liturgia educa il desiderio dell’eternità e consolida la
fede tenendo ben viva la memoria della meta luminosa del nostro
pellegrinaggio terreno.