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Card. Victor Manuel Fernández Prefetto del
Dicastero per la Dottrina della Fede
**IL SIGNIFICATO E IL VERO IMPATTO DEL KERYGMA
Il potere della sintesi
Conferenza del Cardinale Víctor M. Fernández al 34° Corso per i Vescovi del
Brasile
(Rio de Janeiro, 28 gennaio 2025)
La sfida che Papa Francesco ha proposto nel suo "programma", cioè nella
Evangelii gaudium, è quella di entrare in una fase marcatamente missionaria,
in uno "stato permanente di missione" (EG 25). Che cosa fa un missionario quando
arriva per la prima volta in un luogo? Lui guarda, ascolta, cerca di dare una
buona testimonianza. Il suo scopo però è quello di cercare di far risuonare il
primo annuncio, il kerygma di un Dio che ci ama e ci salva in Gesù
Cristo. Perché è necessario annunciare ciò che è decisivo e centrale. Pertanto,
non inizia a parlare di contraccettivi, o della verginità di Maria durante il
parto. Benedetto XVI lo diceva in quella famosa frase in cui si chiedeva come si
diventasse cristiani. E lui rispose che questo inizio non è frutto
dell'accettazione di un corpo di dottrina o di morale, ma dell'incontro vivo con
Qualcuno. Lui ha considerato questo l'"evento" fondante (cfr.
DCE, 1). Se non ci
sono tali fondamenta, tutto ciò che si fa è costruire sulla sabbia.
Ebbene, se entriamo in una tappa chiaramente missionaria, l'asse centrale
è questo annuncio, volto a provocare l'esperienza fondante della fede. Paolo
dice che "la fede viene dall'udire" (Rm 10,17). Ma una tappa missionaria è una
fase di sintesi, cioè più sintetica che analitica: questo significa
tornare al centro.
Il kerygma
È poi necessario specificare qual è l'annuncio centrale. Questa domanda è
fondamentale perché aiuta a comprendere meglio l'obiettivo. Non è l'annuncio di
tutte le dottrine del Catechismo, ma soprattutto del nucleo del Vangelo, il
primo annuncio, che noi chiamiamo kerygma. Vediamo come appare questa precisa espressione nel Nuovo Testamento.
Nella 2ª Lettera a Timoteo leggiamo: "Il Signore mi ha aiutato e mi ha
dato forza perché per mezzo mio il kerygma fosse pienamente annunziato e
i pagani lo ascoltassero" (2 Tm 4,17). E nella Lettera a Tito aggiunge
che Dio si è manifestato "per mezzo del kerygma che mi è stato affidato"
(Tt 1,3). In questi testi si nota che la parola kerygma esprime una
potenza, la forza di un evento, non la mera trasmissione di una dottrina.
Nella 1ª Lettera ai Corinzi troviamo una spiegazione del suo contenuto.
Lì Paolo parla della follia del kerygma (morías tou kerygmatos)
che proclama la Croce di Cristo, potente e luminosa: "Noi annunciamo (keryssomen)
Cristo crocifisso (...) potenza e sapienza di Dio" (1 Cor 1,23). E più avanti
aggiunge: "Se Cristo non è risorto, vano è il nostro kerygma" (1 Cor
15,14). In questi testi, dove Paolo usa l'espressione greca kerygma,
vediamo che tutto si concentra sulla Pasqua.
Il kerygma è l'annuncio (l’atto di annunciare) quel messaggio pasquale
che provoca l'irruzione di un evento nella persona e nella società (il Regno). È
un annuncio potente, che ha in sé il potere di provocare un'esperienza,
che a sua volta fonda una situazione nuova.
Come esprimerlo
Papa Francesco lo riassume dicendo che il suo contenuto è "la bellezza
dell'amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo, morto e risorto" (EG
36).
Il primo elemento dell'annuncio è l'amore di Dio. Ciò significa che tutto ciò
che diciamo e facciamo deve provocare la convinzione e l'esperienza
dell'incontro con un Dio che ama, per scoprire così che siamo amati, per
riconoscerci amati. Di conseguenza, vanno evitati i contenuti, o meglio: i modi
di esprimersi, che non aiutano a vivere l'esperienza di essere amati da Dio.
Più precisamente, questo amore si manifesta in modo concreto e supremo in Gesù
Cristo, specialmente nel suo mistero pasquale, con i suoi elementi inseparabili:
morto (ci ha amati fino alla fine) e risorto (Cristo è vivo). La morte di
Cristo implica sia il fatto abbagliante della sua Croce, la sua donazione
totale, senza limiti, ma anche il suo aspetto salvifico: Cristo salva e continua
a salvare. La risurrezione deve essere presentata sia nel suo aspetto
estetico, di gioia e gloria, sia nei suoi effetti: il Cristo vivente comunica la
vita, effonde in noi la sua grazia, è la sorgente dello Spirito Santo, che dà la
possibilità di un incontro personale, diretto e quotidiano con Lui.
Infine, va notato che l'intera frase è preceduta da una parola: bellezza.
Vale a dire, il kerygma deve essere sempre annunciato in modo tale -
con le parole appropriate, con le mediazioni più convincenti - che sia percepito
come bellezza, che commuova, che attragga. Questa è la grande questione
pastorale.
Altre volte,
Evangelii gaudium torna a parlare di questo annuncio
centrale con parole diverse. Ad esempio: "Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua
vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti,
per rafforzarti, per liberarti" (EG 164). In modo più esistenziale, parla dell’"amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la
sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo
cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai
scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che
devi comunicare agli altri" (EG 121).
Nella
Christus vivit, in cui Papa Francesco si chiede quale sia il
messaggio che i giovani hanno bisogno di ascoltare oggi, dedica l'intero
capitolo 4 a commentare il kerygma e dice: "Al di là di ogni circostanza,
a tutti i giovani voglio annunciare ora la cosa più importante, la prima cosa,
quella che non dovrebbe mai essere taciuta" (ChV 111).
Momenti di sintesi nella Bibbia
Il kerygma è la grande sintesi. È importante notare che una tappa
missionaria, quando ci si rende conto che la società si è scristianizzata e la
Chiesa perde fedeli, è "una fase di sintesi". In vari momenti nella Parola di
Dio troviamo iniziative per andare all'essenziale. Sono momenti di sintesi, di
ritorno al centro, da cui tutto il resto recupera il suo significato autentico.
Al contrario, quando il centro viene dimenticato o attenuato, le altre verità
corrono il rischio di essere comprese in modo non corretto e di perdere il loro
significato più autentico, la loro forza originale. Questo ritorno al
centro è necessario sia nella dottrina che nella morale. È importante notare che
c'è un kerygma teologico, così come un kerygma morale che
scaturisce immediatamente da esso.
Vediamo ora come nelle Scritture ci sono momenti di sintesi, momenti in
cui vogliamo dire: in mezzo a tante cose che insegniamo, riconosciamo con gioia
ciò che è essenziale, ciò che è più importante, ciò che è indispensabile.
Pertanto, questo è ciò che dovrebbe risuonare più forte e più spesso.
Già nell'Antico Testamento, quando la religiosità ebraica era piena di un numero
di precetti tali da essere impossibili da ricordare, a volte c'era bisogno di
uscire da questo soffocamento e riconoscere l'essenziale, il punto
centrale, il nucleo, ciò che non può mai essere trascurato, anche se altri
dettagli possono essere dimenticati. Ad esempio, in Michea è detto: "Ti è
stato rivelato, o uomo, ciò che è buono e ciò che il Signore richiede da te:
praticare la giustizia, amare la pietà e camminare umilmente con il tuo Dio"
(Mich 6:8).
Nel Libro di Tobia appare la regola d'oro, subito ripresa da Gesù: "Non
fare a nessuno quello che non vuoi che gli altri facciano a te" (Tb 4,15). Tale
regola si trova nell'ebraismo così come nel confucianesimo, nel buddismo e in
altre religioni. Gesù lo ha ripreso in senso positivo, più propositivo: "Tutto
quello che volete sia fatto a voi, fatelo agli altri" (Mt 7,15). E afferma che
in questo consistono la Legge e i Profeti.
La crisi dell'esilio babilonese – come ogni crisi – portò a uno sforzo di
sintesi. Nel popolo, purificato dal dolore e dal fallimento, riappare la
questione dell'essenziale. Non stupisce, quindi, che nel periodo post-esilico si
assista a una proliferazione di testi biblici che concentrano il giusto
comportamento sulla misericordia, la quale ha un potere salvifico. Per esempio:
"Riparate i vostri peccati con opere di giustizia e le vostre iniquità con
misericordia verso i poveri, affinché la vostra prosperità sia prolungata" (Dan
4,24).
"L'elemosina libera dalla morte e purifica da ogni peccato" (Tb 12,9).
"Come l'acqua spegne un fuoco ardente, l'elemosina perdona i peccati" (Sir
3,30).
Questa sintesi di tutta la moralità nell'amore fraterno riappare, in molte forme
diverse, in tutto il Nuovo Testamento:
"Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me" (Mt 25,40).
"Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate, e
non sarete giudicati, condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete
perdonati, date e vi sarà dato" (Lc 6:36).
Altri testi sono più espliciti quando dicono che tutta la legge divina si
riassume nell'amore per il prossimo:
"Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge (...). L'amore è l'adempimento della
legge" (Rm 13,8.10).
"Questo è l'unico comandamento di tutta la legge: amerai il prossimo tuo
come te stesso" (Gal 5,14).
Oppure si dice che senza questo amore tutto il resto non serve a nulla (cfr 1
Cor 13). Giacomo esorta anche i cristiani a conformarsi alla "legge
regale secondo la Scrittura: Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Gc 2,8).
Un altro testo presenta una sintesi che unisce la dimensione verticale e quella
orizzontale. Quando a Gesù viene chiesto: "In ultima analisi, che cosa devo fare
per ottenere la vita eterna?", Gesù risponde: "Amerai il Signore Dio tuo...
Amerai il tuo prossimo come te stesso. Fate questo e vivrete" (Lc 10,25-28).
Nella 1ª Lettera di Giovanni troviamo un altro testo che integra le due
dimensioni - anche se l'amore fraterno è il segno che conferma l'autenticità
dell'amore verso Dio: "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del
suo Figlio unigenito e che ci amiamo gli uni gli altri come egli ci ha comandato
(...) Sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i nostri
fratelli e sorelle. Se uno che possiede i beni di questo mondo vede suo fratello
nel bisogno e gli chiude il cuore, come può l'amore di Dio dimorare in lui?" (1
Gv 3,23. 14. 17).
Anche nella storia della Chiesa abbiamo grandi momenti di sintesi. Ad
esempio, il trattato di San Tommaso d'Aquino sulla Nuova Legge, la figura di San
Francesco d'Assisi, la spiritualità di Santa Teresa di Lisieux, "dottore della
sintesi", ecc.
Di nuovo il kerygma
Tuttavia, nel Nuovo Testamento appare soprattutto il kerygma, che va
oltre la morale, che va alla fonte della dottrina che insegniamo. Esso si
presenta soprattutto come un annuncio storico-salvifico, incentrato sulla
Pasqua. Ma in ogni caso, va fatta una precisazione importante, perché forse
abbiamo un'idea un po' schematica e rigida di cosa sia il kerygma. Questo
annuncio centrale, principale e fondamentale può esprimersi in modi diversi
nelle diverse situazioni concrete. Ci sono mille modi per esprimerlo: con le
parole, con i simboli, con le immagini, con i gesti, con i silenzi. C'è un modo
per dirlo a un bambino, altri modi per dirlo a un agnostico, un altro stile per
dirlo a un artista, un altro modo per dirlo a una persona malata, ecc.
Infatti, nel Nuovo Testamento il kerygma non appare sempre allo stesso
modo. A volte si evidenzia l'amore di Dio che ha inviato Gesù, altre volte
risalta la sua vita donata sulla croce, in altri testi si evidenzia che Gesù è
vivo con noi. Infatti, gli evangelizzatori mettevano in risalto un aspetto o
l'altro a seconda di ciò che sembrava loro più conveniente. Ad esempio, il
Vangelo di Giovanni lo esprime così: "Dio ha tanto amato il mondo da mandare
il proprio Figlio, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita
eterna" (Gv 3,16).
Negli scritti di Paolo, l'annuncio si concentra sulla potenza salvifica della
croce: "Gesù mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). "Tutti hanno
peccato e sono privi della gloria di Dio. Ma essi sono giustificati per il dono
della sua grazia, mediante la redenzione operata in Cristo Gesù" (Rm 3,23-24).
Negli Atti degli Apostoli vediamo che i discepoli sottolinearono
soprattutto l'annuncio della risurrezione: "Dio lo ha risuscitato dai morti e
noi ne siamo testimoni" (At 3,15). "Noi vi annunziamo che Dio ha adempiuto la
promessa fatta ai padri per noi, suoi figli, quando ha risuscitato Gesù" (At
13,32-33). Quando gli accusatori di Paolo riassunsero ciò che insegnava, dissero
che parlava di Gesù, "... che dice di essere vivo" (Atti 25:19). Così vediamo
che negli Atti è molto enfatizzato l'annuncio di Gesù vivente.
L'importanza pastorale della sintesi
Come abbiamo detto, una tappa missionaria è un momento di sintesi. Se perdiamo i
fedeli, non fermeremo la perdita né recupereremo quelli che se ne sono andati se
vogliamo dire tutto, se siamo ossessionati dal criticare ogni possibile
errore, facendo lunghe omelie, in cui vogliamo mettere tutto il Catechismo e
tutto il Denzinger. È indispensabile risalire al cuore del Vangelo, alla
fonte che produce l'esperienza fondante. I gruppi pentecostali sono spesso
efficaci grazie alla forza di questo primo annuncio. Ma se molti lasciano la
Chiesa perché diventano agnostici, non li recupereremo né li conserveremo con
mille argomenti filosofici, se non saremo capaci di affascinarli con il cuore
del Vangelo, in modo che si produca l'esperienza fondante. Chissà, forse hanno
studiato nelle nostre scuole e ricevuto i sacramenti, ma noi non siamo riusciti
a provocare in loro questa esperienza kerygmatica.
La storia delle religioni può aiutarci a comprendere l'importanza di arrivare a
questa sintesi che mostra la massima bellezza della proposta e che provoca
un'esperienza personale di fede, che è un incontro d'amore. Un caso
paradigmatico è quello dell'India. L'induismo antico era molto rigido, con una
dottrina ferrea e una morale del rispetto delle regole, dei riti eseguiti con
grande precisione. Quando nacque il buddismo, che attirava la gente con
la proposta di un'esperienza interiore di liberazione personale, l'induismo
iniziò a perdere seguaci in modo impressionante. Era come un fiume inarrestabile
di sangue. Ma l'induismo reagì in tempo: scoprì qualcosa che né l'induismo
antico né il nuovo buddismo offrivano al popolo: l'esperienza di una relazione
personale con un Dio d'amore. Così appare Krishna, che parla d'amore, offre un
rapporto di amicizia, tratta con affetto, comprende con misericordia, invita al
dialogo personale e intimo. Il fascino di questa trasformazione dell'Induismo
fece sì che molti di coloro che erano passati al Buddismo tornassero indietro, e
il Buddismo cominciò a declinare, confinandosi nelle parti settentrionali
dell'India, mentre l'Induismo raggiunse la sua massima fioritura. Qualcosa si
può imparare da questa storia.
La domanda per noi è: dato che questo è il primo annuncio, che dovrebbe
risuonare e toccare le fibre del cuore, quale potrebbe essere il kerygma
capace di attrarre i brasiliani di oggi? Quale aspetto dovrebbe essere
enfatizzato per raggiungere l'anima brasiliana, in modo che possa sentire che
questa è la risposta a ciò che cerca nella vita?
C'è una seconda domanda strettamente correlata a questa. Ricordiamoci che il
Papa dice che il contenuto del kerygma è la "bellezza dell'amore
salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo, morto e risorto" (EG 36). È un
annuncio che dovrebbe avere un impatto tale da catturare i cuori. La domanda è:
come percepiscono i brasiliani la bellezza? In quali situazioni vivono la gioia
di essere a contatto con la bellezza? Ci sono particolarità regionali o
differenze culturali che spiccano? Come mettere in contatto l'annuncio del
Vangelo con queste forme di bellezza?
L’asse permanente
Questa fondamentale azione missionaria è il paradigma di tutta l'azione
pastorale della Chiesa. Da qui si comprende che l'attività della Chiesa deve
trasformarsi alla luce di questo paradigma per diventare, nella sua totalità,
essenzialmente missionaria. Se è così, questo primo annuncio deve essere
costantemente rinnovato anche a coloro che sono già cresciuti nella fede. Noi
stessi, Vescovi, abbiamo bisogno di ascoltarlo di nuovo con il cuore. È il
nucleo vivo del Vangelo che deve ispirare tutto, costantemente.
In questo modo, capiamo quello che spiega Papa Francesco: il primo annuncio non
è qualcosa che si sente o si dice una sola volta, e poi si lascia alle spalle,
per passare a cose più importanti. Non va mai dimenticato, indebolito o
abbandonato come un passo già superato. Non è il “primo” nel senso che si
comunica e poi viene sostituito da cose più profonde. È vero che si deve partire
da esso e tutto il resto viene dopo, ma è il primo soprattutto perché è
l'annuncio principale e permanente. Spesso ci intratteniamo con molte
discussioni o dettagli e quest’annuncio finisce sepolto, perdiamo la gioia di
viverlo e l'entusiasmo di annunciarlo.
Per questo l’Evangelii gaudium ci ricorda che non tutte le verità della
dottrina della Chiesa hanno la stessa importanza. C'è una gerarchia delle
verità. Quello che nel Concilio era un principio del dialogo ecumenico, Papa
Francesco lo presenta come un criterio generale nella teologia e
nell'evangelizzazione. Il Vangelo ha prima di tutto un "cuore" (EG 34) o un
"nucleo fondamentale" (EG 36). Gli altri insegnamenti della Chiesa sono
collegati in modi diversi con questo "cuore" e quindi alcuni sono meno
importanti di altri. Questo fatto ha delle conseguenze pratiche: Papa
Francesco chiede che nella predicazione dei cristiani ci sia una proporzione
(EG 38). Questo ha a che fare con gli accenti che vengono posti, con i
temi su cui viene posta la massima enfasi.
L'importanza pastorale del kerygma morale
Torniamo ora al kerygma morale che riconosciamo nella Parola di Dio. Come
risposta al kerygma, la virtù principale è la carità o "la fede che opera
per mezzo della carità" (Gal 5,6). Il Papa ricorda che c'è pure "una gerarchia
delle virtù" (EG 37). Un atto di carità è sempre più importante di qualsiasi
altro atto. Perché "il Vangelo ci invita prima di tutto a rispondere a Dio che
ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da noi stessi per
cercare il bene di tutti". Questo "non va oscurato in nessuna circostanza! Tutte
le virtù sono al servizio di questa risposta d'amore" (EG 39). Ecco ciò che
potrebbe essere chiamato il kerygma morale, o il nucleo della morale
cristiana che scaturisce più direttamente dal kerygma.
Se riusciamo a concentrarci sulle cose più importanti e più belle, "la proposta
si semplifica (...) e così diventa più convincente e radiosa" (EG 35). Il
pericolo sarebbe che i cristiani realizzassero molte cose, ma dimenticassero di
amare Dio e il prossimo, che smettessero di essere generosi, gentili,
soccorrevoli, che smettessero di prendersi cura di coloro che soffrono. Perciò
"il rischio più grave" (EG 41) è quello di dire troppe parole giuste agli altri,
ma senza dar loro la sostanza attraverso la testimonianza della carità.
Il bene possibile
È vero che la morale cristiana deve essere proposta nella sua interezza.
Tuttavia, nella vicinanza missionaria si affrontano tutti i limiti e le miserie,
cosa che non accade quando ci si circonda solo di un gruppo selezionato e si
perdono le prospettive realistiche di un pastore incarnato. Di fronte a questa
realtà che rompe gli schemi, dobbiamo ricordare: "bisogna accompagnare con
misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle
persone, che si vanno costruendo giorno per giorno" (EG 44).
A volte, vorremmo vedere cambiamenti sorprendenti nella vita delle persone e
vediamo solo piccoli progressi. Tuttavia, "un piccolo passo, in mezzo a grandi
limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di
chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare grandi difficoltà" (EG 44). Se
qualcuno ci riesce anche solo un po', non va sottovalutato per quello che non
può. Al contrario, dovresti dargli un posto nella comunità e valorizzarlo, per
incoraggiarlo a continuare a crescere. Il pastore con cuore missionario gioisce
e ringrazia Dio per questi piccoli ma veri passi.
Dio realizza sempre la sua opera nelle persone che si aprono al suo amore, ma lo
fa a modo suo e con i suoi tempi, non con le nostre ansie. Se la perfezione non
è possibile, almeno questo piccolo passo è possibile: "Un cuore missionario è
consapevole di questi limiti (...) Non rinuncia al bene possibile, benché corra
il rischio di sporcarsi con il fango della strada" (EG 45). Ovviamente, tutti
sono invitati a crescere, ma sapendo che "per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di
decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una
immensa pazienza." (EG 171). E se qualcuno cade e ricade ancora, Papa Francesco
ci dice qual è il messaggio che dobbiamo trasmettergli: "Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta
dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore
infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con
una tenerezza che mai ci delude" (EG 3). In questo modo, il kerygma viene
costantemente annunciato, anche ai deboli e ai peccatori, purché vogliano
rispondere il meglio possibile con la loro vita. Tutti, tutti, tutti.
Crescita e catechismo
L'annuncio costante e rinnovato del kerygma non significa che dobbiamo
rinunciare alla crescita, alla maturazione, allo sviluppo della nostra risposta
a Dio, perché Dio merita sempre di più. Ne è un segno eloquente l'Esortazione
Gaudete et exsultate, dedicata a stimolare il desiderio di crescere verso la
santità. Il pericolo sta nel confondere la “crescita” con la mera "istruzione
religiosa".
La crescita di coloro che hanno ricevuto e accolto l'annuncio non consiste tanto
nell'accumulare conoscenze, ma nell'amare di più: "Non sarebbe corretto interpretare questo appello alla crescita esclusivamente o
prioritariamente come formazione dottrinale. Si tratta di «osservare» quello che
il Signore ci ha indicato, come risposta al suo amore, dove risalta, insieme a
tutte le virtù, quel comandamento nuovo che è il primo, il più grande, quello
che meglio ci identifica come discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). È evidente che
quando gli autori del Nuovo Testamento vogliono ridurre ad un’ultima sintesi
(!), al più essenziale, il messaggio morale cristiano, ci presentano
l’ineludibile esigenza dell’amore del prossimo" (EG 161).
Al tempo stesso, però, si tratta di tornare ancora una volta al primo annuncio e
di approfondirlo nella catechesi. Se il kerygma è trasversale,
allora la crescita di un cristiano consiste prima di tutto nell'approfondire
sempre di più questo primo annuncio, nel viverlo sempre più intensamente
attraverso la fede e l'amore. A volte si parla di una formazione "più solida",
come se conoscendo molti dettagli si diventasse più forti nella fede. Non c'è
infatti nulla di più saldo che essere convinti dell'amore del Signore, sempre
più grati per il dono di Gesù sulla croce, sempre più felici di sapere che è
risorto, sempre più consapevoli di essere vivi in ogni fratello e sorella: "Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente
e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto
l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre
meglio" (EG 165). Se il kerygma deve attraversare tutto, nella nostra
catechesi non è un tema qualsiasi, ma quello che deve permeare tutto, per essere
sempre più approfondito e vissuto sempre meglio.
Abbiamo bisogno di ascoltarlo di nuovo ed è per questo indispensabile che nelle
nostre comunità risuoni costantemente, in modi diversi e con parole diverse.
Ognuno può chiedersi se ha reso viva questa sintesi, se questo cuore del Vangelo
è il centro e il nucleo che struttura la propria esistenza. O se tutto ciò che è
stato aggiunto nel corso della vita, con apparenze di saggezza, non ha
finito per seppellire o offuscare questo centro, che dà senso a tutto. Se non
abbiamo questa sintesi, sarà difficile non solo per noi trasmetterla, ma anche
che essa possa incidere sulla nostra pastorale diocesana.
Non è un annuncio disincarnato
Da una parte, sappiamo che l'annuncio di Gesù Cristo risponde alle nostre
domande più profonde e siamo certi che il cuore umano ne ha bisogno. Per questo
lo annunciamo con convinzione, audacia, forza, in un annuncio diretto e molto
personale. Gli evangelici lo fanno senza timidezza e hanno risultati. Siamo
sicuri che il kerygma risponde alle domande ultime e più profonde del
cuore umano, anche quando quel cuore le ha sepolte o nascoste. L'angoscia non si
perde, ma la persona si distrae e cerca risposte in altre cose. D'altra parte,
questo mondo che va avanti a tutta velocità ha nascosto le grandi domande dietro
le urgenze quotidiane, in tanti errori e in ritmi di vita febbrili. Per questo
motivo la classe media, più colpita dal consumo e dalla velocità, è più
refrattaria ai gruppi evangelici, che attirano ai poveri, e invece cerca aiuto
nei consumi orientali, new age e altri orientati al benessere
spirituale (o psicologico). Sembra che in nessuno dei due casi la Chiesa
cattolica sia il luogo in cui possono trovare una risposta a ciò di cui hanno
bisogno. Tutto questo non ci insegna nulla?
Insegna che, insieme alle domande ultime, ci sono domande intermedie,
cioè domande che non sono le ultime, ma non sono neanche mera superficialità,
consumismo o stupidità. Perché preoccuparsi del futuro di un bambino non è
superficiale; nemmeno preoccuparsi di qualcosa che dà pace al cuore in
mezzo alle paure, alle angosce, alle fatiche di questa dura vita, è mera
superficialità; può essere importante anche l'amore per la vita che Dio
ci ha donato, il desiderio di vivere con maggiore dignità, come il buon Dio
vuole per noi. La Bibbia dice: "Figlio, tratta bene te stesso (...) Non privarti
di vivere una buona giornata" (Sir 14:11.14). E non dice forse che Dio "ci
provvede generosamente ogni cosa perché possiamo goderne" (1 Tim 6:17)?
Quindi, è legittimo che le persone abbiano domande che non sono le domande
ultime sul significato della vita e della vita eterna. Oggi abbiamo bisogno di
mostrare che la spiritualità cristiana può aiutarci a vivere meglio, a lottare
in pace, a vivere con gioia. Qui troviamo un altro aspetto della pastorale dei
neopentecostali, che non solo è coraggiosa e fervente nell'annunciare il
kerygma, ma offre anche qualche risposta a queste domande intermedie.
Qualcosa di simile, anche se meno religioso, appare nel buddismo, nel New Age,
e in altre proposte orientali che si rivolgono alla classe media.
È quindi importante che, insieme all'annuncio del kerygma, le persone
scoprano la nostra compassione per i loro legittimi desideri, sia attraverso la
nostra capacità di interpretarli, sia pregando per i loro bisogni, dando loro
qualche consiglio pratico o offrendo loro un aiuto concreto.
Ci chiediamo: oggi in Brasile quali sono questi grandi desideri quotidiani, ai
quali le persone sentono il bisogno di rispondere? Dove vanno per ottenere
sicurezza, intensità e completezza? Quali sono questi bisogni intermedi che
spesso si cerca di soddisfare nel modo sbagliato? Come sviluppare una pastorale
dell'annuncio che non ignori queste domande della gente?
Conversione pastorale
L'annuncio non è qualcosa di disincarnato, anche nel senso che non è slegato da
una struttura ecclesiale. Se si fa una missione e se la gente si avvicina alla
parrocchia, ma questa non è aperta, gli effetti della missione si perdono. La
domanda è: come rendere possibile una nuova tappa missionaria, come realizzare
una pastorale in cui l’annuncio missionario diventi una pratica costante e non
solo una riflessione senza conseguenze?
La riforma della Chiesa che il Papa propone consiste semplicemente nel
mettere in secondo piano ciò che non serve direttamente a raggiungere tutti con
il primo annuncio. Ecco perché la vicinanza misericordiosa e l'annuncio
persona a persona sono così importanti, più delle strutture,
dell'organizzazione, delle riunioni, delle formalità, ecc. Ciò implica che la
maggior parte del tempo di qualsiasi ministro o operatore pastorale
dovrebbe essere spesa in questi incontri da persona a persona, portando
audacemente il primo annuncio.
La parrocchia, per non essere una struttura obsoleta, deve essere davvero vicina
alle case ed evitare che "diventi una struttura prolissa separata dalla gente o
un gruppo di eletti che guardano a se stessi" (EG 28). Il kerygma è un
annuncio in uscita, alla ricerca di chi non l'ha accolto, e il compito di ogni
comunità, animata da questo accento missionario, si trasfigura e
trasforma tutto, e si colloca al di sopra del mantenimento di chi già vi è
dentro. Occorre apportare tutte le modifiche necessarie affinché "la pastorale
ordinaria, in tutte le sue istanze, sia più espansiva e aperta, che ponga gli
agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita" (EG 27). Ecco la
vera conversione pastorale.
Destinatari
Nel tentativo di ripensare la pastorale, non può mancare la domanda per i
destinatari: "coloro che stanno lontani da Cristo" (EG 15). Papa Francesco ha
detto, riprendendo ciò che ha detto san Giovanni Paolo II, che cercarli è "il
compito primo della Chiesa" (RM 34).
Chi sono gli "allontanati"? Non sono solo coloro che hanno sempre rifiutato Gesù
Cristo o non lo conoscono. Sono anche coloro che, essendo stati battezzati, non
vivono secondo il Battesimo che hanno ricevuto, "non hanno un'appartenenza
cordiale alla Chiesa e non sperimentano più la consolazione della fede" (EG 14).
Cioè, sono quelle persone che non si sentono più parte della Chiesa, che si
sentono fuori da essa e che non vivono la fede con gioia, con piacere. Nei Paesi
dell'America Latina, ad esempio, ci sono pochi atei e pochi che disprezzano Gesù
Cristo, ma sono molti quelli che non provano più la gioia e il gusto della fede
o che non si sentono più parte della Chiesa.
Sono le "periferie", che spesso dimentichiamo o trascuriamo, anche se sono
vicine a casa nostra. Senza andare troppo in giro, l'invito è quello di dare
la priorità a chi non fa parte delle nostre comunità. Non è necessario
andare in altri paesi o in quartieri lontani per raggiungere le "periferie".
Agenti
Ogni cristiano è chiamato a collaborare all'annuncio missionario facendo un
lavoro “corpo a corpo”. Questo vale per tutti. Un catechista non può dire che,
con la catechesi che insegna, tutto è fatto. Deve anche occuparsi di annunciare
l'amore del Signore a coloro che sono lontani. Può non avere il tempo di
impegnarsi a visitare le case della parrocchia, ma deve almeno avere il coraggio
di fare questo annuncio alle famiglie dei bambini che frequentano la sua
catechesi, ai vicini del suo quartiere, ai suoi amici, alle persone che
incontra. Questo vale per tutti. Se accettassimo questa sfida con coraggio,
allora la Chiesa potrebbe raggiungere tutti, come le radici di una pianta che si
diffondono sotto la terra, o le vene del corpo che arrivano in tutti i punti
dell'organismo, come la luce del sole che si diffonde ovunque. È il principio
della "capillarità" dell'azione missionaria.
Perché la Chiesa raggiunga tutti, coloro che annunciano il kerygma non
possono essere pochi. Ma non dovrebbero essere tutti dello stesso stile. Per
raggiungere tutti gli angoli e le periferie, c'è bisogno di agenti pastorali di
ogni tipo, con carismi e caratteristiche diverse, con modi diversi di essere e
di esprimersi. Tutti devono essere chiamati e incoraggiati ad essere missionari
a modo loro.
Ma questo sembra difficile da accettare perché pensiamo sempre ad agenti
perfetti, ben formati e che non commettono errori. Invece, il Papa insiste sul
fatto che devono essere missionari, anche se imperfetti. In caso contrario, è
impossibile raggiungere davvero tutti. Questo suppone audacia, pazienza, libertà
interiore, fiducia nello Spirito. Tutti devono essere missionari, anche se sono
peccatori, anche se hanno poca formazione, in modo da non essere limitati a un
gruppo di un certo stile o categoria. Basta che abbiano vissuto l'esperienza
fondante: "se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha
bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può
attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni
cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio
in Cristo Gesù" (EG 120). "Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai
scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che
devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev’essere una scusa" (EG 121). È sufficiente che la vita sia stata realmente toccata dal kerygma.
L'incontrollabile libertà dello Spirito in una pastorale "popolare"
Seguendo questa stessa linea di pensiero pastorale, Papa Francesco parla della
diversità dei carismi. Per ogni esigenza di evangelizzazione, lo Spirito Santo
effonde un certo carisma. Per esempio, per raggiungere i bambini, riversa dei
carismi in alcuni bambini. Per raggiungere persone molto sensibili, vi riversa
carismi. Per raggiungere i “pazzi”, riversa carisma su alcuni “pazzi”. Questi
carismi sono anche incontrollabili e a volte scomodi. Ma sono doni di Dio che ci
permettono di raggiungere certi gruppi di persone, che altrimenti non
raggiungeremmo. Per questo, Papa Francesco dice che "lo Spirito Santo, che
suscita questa diversità, può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo
in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione" (EG 131).
È necessario incoraggiare queste forme di evangelizzazione che scaturiscono
dalla gente, anche al di fuori del controllo e delle strutture ecclesiali. Così
riescono ad arrivare dove le nostre strutture pastorali non possono arrivare.
Non pensiamo a certi carismi appariscenti e insoliti, tipici di alcune élite
chiuse, ma ai carismi che abbondano nel Popolo di Dio, che crea spontaneamente
mille simboli e gesti che aiutano a trasmettere la fede. "Non coartiamo né
pretendiamo di controllare questa forza missionaria!" (EG 124). Si tratta,
piuttosto, di riconoscere, incoraggiare e provocare questi molteplici segni
cristiani che la cultura popolare cristiana può produrre. Alcuni inventeranno
canti, altri dipingeranno sui muri, altri organizzeranno feste giovanili, altri
creeranno processioni, altri ancora collocheranno oratori/immagini di Maria o
dei santi nei loro quartieri, e così si creeranno mille segni che parlano del
Signore in mezzo alla vita delle persone, fuori dalle chiese. Col tempo, questo
diventerà qualcosa di culturale, cioè qualcosa che fa parte dei sentimenti e
dell'esistenza del popolo, e tutto aiuterà a trasmettere la fede "in forme così
diverse che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle" (EG 129).
Ma tutto questo nasce e persiste se il kerygma trabocca dal nostro cuore:
"Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza
originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di
espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il
mondo attuale" (EG 11).
La dimensione sociale dell'annuncio
Se uno ama Gesù e non ama la gente, non avrà nemmeno la forza missionaria.
Perché "la missione è una passione per Gesù, ma allo stesso tempo è una passione
per il suo popolo" (EG 268). Il Papa ci mostra che Gesù stesso "ci introduce nel
cuore della gente" (EG 269) e "vuole che tocchiamo la miseria umana, che
occhiamo la carne sofferente degli altri" (EG 270). E "quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo
l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo"
(EG 270). Questa seconda esperienza fondante ci fa crescere: "Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il
loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del
Signore" (EG 272).
L'annuncio del Vangelo è comunitario e sociale, e se lo si comprende e lo si
trasmette solo come questione individuale (il mio rapporto con Gesù), tutto
inizia male. Per questo, il primo punto del capitolo 4 della
Evangelii gaudium si intitola Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma,
e si spiega così: "il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente
sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l'impegno
per gli altri" (EG 177).
Cristo è inseparabile dall'edificazione del suo Regno e così troviamo un'altra
sintesi nel Vangelo. Se qualcuno chiede: "Che cosa dobbiamo cercare come prima
cosa?", la risposta è: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e
tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Se non capiamo
questo fin dall'inizio, trasmetteremo l'idea sbagliata che la vita cristiana sia
solo un rapporto individuale con Gesù, senza comunità, senza fraternità, senza
generosità. Ma "tanto l'annuncio quanto l'esperienza cristiana tendono a
provocare conseguenze sociali" (EG 180).
Nel capitolo 4 della
Evangelii gaudium, il Papa si sofferma a spiegare
l'opzione per i poveri. Lì ci dà la spiegazione e il fondamento biblico di
questa opzione. Spicca il caso di San Paolo narrato in Galati 2. Quando
volle sapere se non correva inutilmente, andò a consultare gli Apostoli a
Gerusalemme. Gli dissero che andava tutto bene, ma chiesero a Paolo di non
dimenticare i poveri (Gal 2,10). Se i cristiani si ricordavano dei poveri, ciò
dimostrava che queste comunità paoline erano davvero uscite dal paganesimo e
avevano trovato Gesù. Come si vede, ritroviamo qui una sintesi per il discernimento.
Da un punto di vista pragmatico, c'è chi non capisce questa insistenza di papa
Francesco. Crede che sia più conveniente dedicarsi a persone che hanno potere,
sia esso politico, economico, intellettuale o mediatico. Non è interessato a
realizzare un grande progetto con gli scartati della società. Ma da un punto di
vista soprannaturale, noi crediamo agli effetti misteriosi di questa opzione che
il Vangelo ci chiede. Se non siamo convinti, ricordiamo ciò che disse Gesù:
"Quando date un banchetto, non invitate i vostri amici o i vostri vicini ricchi.
Invita il povero, lo zoppico, il cieco (...) che non può renderti il ripagato"
(Lc 14,12-14). Chiarissimo. Se li dimentichiamo, la nostra missione non avrà
tutta la potenza dello Spirito. È una questione di fede.
C'è un'attrattiva speciale nel messaggio cristiano quando è possibile unire
spiritualità e senso sociale. Quando queste due cose si separano, il messaggio
si snatura, perde la sua musica, il suo fascino specifico. Una dottrina,
teologica o morale, senza misticismo e senza significato sociale, diventa una
dottrina "filosofica", non un evento cristiano. Ma lo stesso accade con una
spiritualità senza significato sociale, o con un impegno sociale senza
spiritualità. Certo, non sarà una spiritualità se non ha un contenuto solido, ma
bisogna ricordare che non c'è nulla di più solido, più sicuro e più profondo del
kerygma sempre più approfondito.
Lo Spirito
Tutto questo ci porta allo Spirito Santo, perché l'azione missionaria dispone le
persone, ma è lo Spirito che realizza l'evento della fede.
Nel kerygma, lo Spirito Santo, più che un contenuto, è l'agente che
converte l'annuncio in un evento salvifico. Così si esprime Paolo nella 1ª
Lettera ai Corinzi, usando proprio l'espressione kerygma: "La mia
parola e il mio kerygma non erano discorsi persuasivi di sapienza, ma
dimostrazioni dello Spirito e della potenza" (1 Cor 2,4). Il nostro obiettivo
quindi non è quello di trasmettere un contenuto, ma di annunciare il kerygma
in modo tale che l'esperienza potente della fede sia provocata sotto
l'azione dello Spirito. Nella
Christus vivit, proprio dopo aver
annunciato il kerygma, il Papa parla ai giovani dello Spirito Santo: "È
Lui che sta dietro, è Lui che prepara e apre i cuori perché ricevano questo
annuncio, è Lui che mantiene viva questa esperienza di salvezza, è Lui che vi
aiuterà a crescere in questa gioia, se lo lasciate agire" (ChV, 130).
L'obiettivo, quindi, è quello di far apprezzare a tutti questo messaggio
centrale, di farlo accogliere, di provocare la gioia in esso, di raggiungere
ciascuno in modo tale che possa ammirarne la bellezza e sentirsi personalmente
attratto, lasciando agire la forza dello Spirito. Ciò che fa il predicatore è
parlare in modo tale che i cuori siano disposti, aperti liberamente
all'azione dello Spirito, che produce l'evento della fede. La domanda allora
diventa: quali sono le parole, i segni, le motivazioni, i gesti che oggi
potrebbero disporre meglio i brasiliani ad accogliere l'annuncio e ad aprire il
cuore al fuoco dello Spirito?
In ogni caso, per essere missionari felici e perseveranti, dobbiamo essere
convinti che la nostra dedizione all'annuncio del Vangelo porta sempre frutto,
al di là di ciò che vediamo, al di là di ciò che possiamo verificare, "in forme
molto diverse tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri
schemi" (EG 22). Non importa se non vediamo risultati, perché lo Spirito prende
i nostri sforzi e li rende sempre fecondi: il missionario sa bene che “la sua
vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la
sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore " (EG
279).
Questa proposta di sintesi è una sfida per noi stessi: ci propone una
conversione pastorale e missionaria che presuppone un rinnovamento personale.
Non possiamo mettere la nostra sicurezza in ciò che sappiamo e che gli altri,
ignoranti, non sanno o non comprendono: questo è comodo e ingeneroso. È
meglio riconoscere che, con uno stile comodo e poco audace, non possiamo andare
avanti e abbiamo bisogno di aprirci generosamente a una nuova Pentecoste
missionaria.
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