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Card. Victor Manuel Fernández
Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede

 

**IL SIGNIFICATO E IL VERO IMPATTO DEL KERYGMA
Il potere della sintesi

Conferenza del Cardinale Víctor M. Fernández al 34° Corso per i Vescovi del Brasile
(Rio de Janeiro, 28 gennaio 2025)

 

La sfida che Papa Francesco ha proposto nel suo "programma", cioè nella Evangelii gaudium, è quella di entrare in una fase marcatamente missionaria, in uno "stato permanente di missione" (EG 25). Che cosa fa un missionario quando arriva per la prima volta in un luogo? Lui guarda, ascolta, cerca di dare una buona testimonianza. Il suo scopo però è quello di cercare di far risuonare il primo annuncio, il kerygma di un Dio che ci ama e ci salva in Gesù Cristo. Perché è necessario annunciare ciò che è decisivo e centrale. Pertanto, non inizia a parlare di contraccettivi, o della verginità di Maria durante il parto. Benedetto XVI lo diceva in quella famosa frase in cui si chiedeva come si diventasse cristiani. E lui rispose che questo inizio non è frutto dell'accettazione di un corpo di dottrina o di morale, ma dell'incontro vivo con Qualcuno. Lui ha considerato questo l'"evento" fondante (cfr. DCE, 1). Se non ci sono tali fondamenta, tutto ciò che si fa è costruire sulla sabbia.

Ebbene, se entriamo in una tappa chiaramente missionaria, l'asse centrale è questo annuncio, volto a provocare l'esperienza fondante della fede. Paolo dice che "la fede viene dall'udire" (Rm 10,17). Ma una tappa missionaria è una fase di sintesi, cioè più sintetica che analitica: questo significa tornare al centro.

Il kerygma

È poi necessario specificare qual è l'annuncio centrale. Questa domanda è fondamentale perché aiuta a comprendere meglio l'obiettivo. Non è l'annuncio di tutte le dottrine del Catechismo, ma soprattutto del nucleo del Vangelo, il primo annuncio, che noi chiamiamo kerygma. Vediamo come appare questa precisa espressione nel Nuovo Testamento.

Nella 2ª Lettera a Timoteo leggiamo: "Il Signore mi ha aiutato e mi ha dato forza perché per mezzo mio il kerygma fosse pienamente annunziato e i pagani lo ascoltassero"  (2 Tm 4,17). E nella Lettera a Tito aggiunge che Dio si è manifestato "per mezzo del kerygma che mi è stato affidato" (Tt 1,3). In questi testi si nota che la parola kerygma esprime una potenza, la forza di un evento, non la mera trasmissione di una dottrina.

Nella 1ª Lettera ai Corinzi troviamo una spiegazione del suo contenuto. Lì Paolo parla della follia del kerygma (morías tou kerygmatos) che proclama la Croce di Cristo, potente e luminosa: "Noi annunciamo (keryssomen) Cristo crocifisso (...) potenza e sapienza di Dio" (1 Cor 1,23). E più avanti aggiunge: "Se Cristo non è risorto, vano è il nostro kerygma" (1 Cor 15,14). In questi testi, dove Paolo usa l'espressione greca kerygma, vediamo che tutto si concentra sulla Pasqua.

Il kerygma è l'annuncio (l’atto di annunciare) quel messaggio pasquale che provoca l'irruzione di un evento nella persona e nella società (il Regno). È un annuncio potente, che ha in sé il potere di provocare un'esperienza, che a sua volta fonda una situazione nuova.

Come esprimerlo

Papa Francesco lo riassume dicendo che il suo contenuto è "la bellezza dell'amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo, morto e risorto" (EG 36).

Il primo elemento dell'annuncio è l'amore di Dio. Ciò significa che tutto ciò che diciamo e facciamo deve provocare la convinzione e l'esperienza dell'incontro con un Dio che ama, per scoprire così che siamo amati, per riconoscerci amati. Di conseguenza, vanno evitati i contenuti, o meglio: i modi di esprimersi, che non aiutano a vivere l'esperienza di essere amati da Dio.

Più precisamente, questo amore si manifesta in modo concreto e supremo in Gesù Cristo, specialmente nel suo mistero pasquale, con i suoi elementi inseparabili: morto (ci ha amati fino alla fine) e risorto (Cristo è vivo). La morte di Cristo implica sia il fatto abbagliante della sua Croce, la sua donazione totale, senza limiti, ma anche il suo aspetto salvifico: Cristo salva e continua a salvare. La risurrezione deve essere presentata sia nel suo aspetto estetico, di gioia e gloria, sia nei suoi effetti: il Cristo vivente comunica la vita, effonde in noi la sua grazia, è la sorgente dello Spirito Santo, che dà la possibilità di un incontro personale, diretto e quotidiano con Lui.

Infine, va notato che l'intera frase è preceduta da una parola: bellezza. Vale a dire, il kerygma deve essere sempre annunciato in modo tale - con le parole appropriate, con le mediazioni più convincenti - che sia percepito come bellezza, che commuova, che attragga. Questa è la grande questione pastorale.

Altre volte, Evangelii gaudium torna a parlare di questo annuncio centrale con parole diverse. Ad esempio: "Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti" (EG 164). In modo più esistenziale, parla dell’"amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri" (EG 121).

Nella Christus vivit, in cui Papa Francesco si chiede quale sia il messaggio che i giovani hanno bisogno di ascoltare oggi, dedica l'intero capitolo 4 a commentare il kerygma e dice: "Al di là di ogni circostanza, a tutti i giovani voglio annunciare ora la cosa più importante, la prima cosa, quella che non dovrebbe mai essere taciuta" (ChV 111).

Momenti di sintesi nella Bibbia

Il kerygma è la grande sintesi. È importante notare che una tappa missionaria, quando ci si rende conto che la società si è scristianizzata e la Chiesa perde fedeli, è "una fase di sintesi". In vari momenti nella Parola di Dio troviamo iniziative per andare all'essenziale. Sono momenti di sintesi, di ritorno al centro, da cui tutto il resto recupera il suo significato autentico. Al contrario, quando il centro viene dimenticato o attenuato, le altre verità corrono il rischio di essere comprese in modo non corretto e di perdere il loro significato più autentico, la loro forza originale. Questo ritorno al centro è necessario sia nella dottrina che nella morale. È importante notare che c'è un kerygma teologico, così come un kerygma morale che scaturisce immediatamente da esso.

Vediamo ora come nelle Scritture ci sono momenti di sintesi, momenti in cui vogliamo dire: in mezzo a tante cose che insegniamo, riconosciamo con gioia ciò che è essenziale, ciò che è più importante, ciò che è indispensabile. Pertanto, questo è ciò che dovrebbe risuonare più forte e più spesso.

Già nell'Antico Testamento, quando la religiosità ebraica era piena di un numero di precetti tali da essere impossibili da ricordare, a volte c'era bisogno di uscire da questo soffocamento e riconoscere l'essenziale, il punto centrale, il nucleo, ciò che non può mai essere trascurato, anche se altri dettagli possono essere dimenticati. Ad esempio, in Michea è detto: "Ti è stato rivelato, o uomo, ciò che è buono e ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia, amare la pietà e camminare umilmente con il tuo Dio" (Mich 6:8).

Nel Libro di Tobia appare la regola d'oro, subito ripresa da Gesù: "Non fare a nessuno quello che non vuoi che gli altri facciano a te" (Tb 4,15). Tale regola si trova nell'ebraismo così come nel confucianesimo, nel buddismo e in altre religioni. Gesù lo ha ripreso in senso positivo, più propositivo: "Tutto quello che volete sia fatto a voi, fatelo agli altri" (Mt 7,15). E afferma che in questo consistono la Legge e i Profeti.

La crisi dell'esilio babilonese – come ogni crisi – portò a uno sforzo di sintesi. Nel popolo, purificato dal dolore e dal fallimento, riappare la questione dell'essenziale. Non stupisce, quindi, che nel periodo post-esilico si assista a una proliferazione di testi biblici che concentrano il giusto comportamento sulla misericordia, la quale ha un potere salvifico. Per esempio:

"Riparate i vostri peccati con opere di giustizia e le vostre iniquità con misericordia verso i poveri, affinché la vostra prosperità sia prolungata" (Dan 4,24).

"L'elemosina libera dalla morte e purifica da ogni peccato" (Tb 12,9).

"Come l'acqua spegne un fuoco ardente, l'elemosina perdona i peccati" (Sir 3,30).

Questa sintesi di tutta la moralità nell'amore fraterno riappare, in molte forme diverse, in tutto il Nuovo Testamento:

"Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

"Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate, e non sarete giudicati, condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati, date e vi sarà dato" (Lc 6:36).

Altri testi sono più espliciti quando dicono che tutta la legge divina si riassume nell'amore per il prossimo:

"Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge (...). L'amore è l'adempimento della legge" (Rm 13,8.10).

"Questo è l'unico comandamento di tutta la legge: amerai il prossimo tuo come te stesso" (Gal 5,14).

Oppure si dice che senza questo amore tutto il resto non serve a nulla (cfr 1 Cor 13). Giacomo esorta anche i cristiani a conformarsi alla "legge regale secondo la Scrittura: Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Gc 2,8).

Un altro testo presenta una sintesi che unisce la dimensione verticale e quella orizzontale. Quando a Gesù viene chiesto: "In ultima analisi, che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?", Gesù risponde: "Amerai il Signore Dio tuo... Amerai il tuo prossimo come te stesso. Fate questo e vivrete" (Lc 10,25-28).

Nella 1ª Lettera di Giovanni troviamo un altro testo che integra le due dimensioni - anche se l'amore fraterno è il segno che conferma l'autenticità dell'amore verso Dio: "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del suo Figlio unigenito e che ci amiamo gli uni gli altri come egli ci ha comandato (...) Sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i nostri fratelli e sorelle. Se uno che possiede i beni di questo mondo vede suo fratello nel bisogno e gli chiude il cuore, come può l'amore di Dio dimorare in lui?" (1 Gv 3,23. 14. 17). 

Anche nella storia della Chiesa abbiamo grandi momenti di sintesi. Ad esempio, il trattato di San Tommaso d'Aquino sulla Nuova Legge, la figura di San Francesco d'Assisi, la spiritualità di Santa Teresa di Lisieux, "dottore della sintesi", ecc.

Di nuovo il kerygma

Tuttavia, nel Nuovo Testamento appare soprattutto il kerygma, che va oltre la morale, che va alla fonte della dottrina che insegniamo. Esso si presenta soprattutto come un annuncio storico-salvifico, incentrato sulla Pasqua. Ma in ogni caso, va fatta una precisazione importante, perché forse abbiamo un'idea un po' schematica e rigida di cosa sia il kerygma. Questo annuncio centrale, principale e fondamentale può esprimersi in modi diversi nelle diverse situazioni concrete. Ci sono mille modi per esprimerlo: con le parole, con i simboli, con le immagini, con i gesti, con i silenzi. C'è un modo per dirlo a un bambino, altri modi per dirlo a un agnostico, un altro stile per dirlo a un artista, un altro modo per dirlo a una persona malata, ecc.

Infatti, nel Nuovo Testamento il kerygma non appare sempre allo stesso modo. A volte si evidenzia l'amore di Dio che ha inviato Gesù, altre volte risalta la sua vita donata sulla croce, in altri testi si evidenzia che Gesù è vivo con noi. Infatti, gli evangelizzatori mettevano in risalto un aspetto o l'altro a seconda di ciò che sembrava loro più conveniente. Ad esempio, il Vangelo di Giovanni lo esprime così: "Dio ha tanto amato il mondo da mandare il proprio Figlio, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).

Negli scritti di Paolo, l'annuncio si concentra sulla potenza salvifica della croce: "Gesù mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,20). "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio. Ma essi sono giustificati per il dono della sua grazia, mediante la redenzione operata in Cristo Gesù" (Rm 3,23-24).

Negli Atti degli Apostoli vediamo che i discepoli sottolinearono soprattutto l'annuncio della risurrezione: "Dio lo ha risuscitato dai morti e noi ne siamo testimoni" (At 3,15). "Noi vi annunziamo che Dio ha adempiuto la promessa fatta ai padri per noi, suoi figli, quando ha risuscitato Gesù" (At 13,32-33). Quando gli accusatori di Paolo riassunsero ciò che insegnava, dissero che parlava di Gesù, "... che dice di essere vivo" (Atti 25:19). Così vediamo che negli Atti è molto enfatizzato l'annuncio di Gesù vivente.

L'importanza pastorale della sintesi

Come abbiamo detto, una tappa missionaria è un momento di sintesi. Se perdiamo i fedeli, non fermeremo la perdita né recupereremo quelli che se ne sono andati se vogliamo dire tutto, se siamo ossessionati dal criticare ogni possibile errore, facendo lunghe omelie, in cui vogliamo mettere tutto il Catechismo e tutto il Denzinger. È indispensabile risalire al cuore del Vangelo, alla fonte che produce l'esperienza fondante. I gruppi pentecostali sono spesso efficaci grazie alla forza di questo primo annuncio. Ma se molti lasciano la Chiesa perché diventano agnostici, non li recupereremo né li conserveremo con mille argomenti filosofici, se non saremo capaci di affascinarli con il cuore del Vangelo, in modo che si produca l'esperienza fondante. Chissà, forse hanno studiato nelle nostre scuole e ricevuto i sacramenti, ma noi non siamo riusciti a provocare in loro questa esperienza kerygmatica.

La storia delle religioni può aiutarci a comprendere l'importanza di arrivare a questa sintesi che mostra la massima bellezza della proposta e che provoca un'esperienza personale di fede, che è un incontro d'amore. Un caso paradigmatico è quello dell'India. L'induismo antico era molto rigido, con una dottrina ferrea e una morale del rispetto delle regole, dei riti eseguiti con grande precisione. Quando nacque il buddismo, che attirava la gente con la proposta di un'esperienza interiore di liberazione personale, l'induismo iniziò a perdere seguaci in modo impressionante. Era come un fiume inarrestabile di sangue. Ma l'induismo reagì in tempo: scoprì qualcosa che né l'induismo antico né il nuovo buddismo offrivano al popolo: l'esperienza di una relazione personale con un Dio d'amore. Così appare Krishna, che parla d'amore, offre un rapporto di amicizia, tratta con affetto, comprende con misericordia, invita al dialogo personale e intimo. Il fascino di questa trasformazione dell'Induismo fece sì che molti di coloro che erano passati al Buddismo tornassero indietro, e il Buddismo cominciò a declinare, confinandosi nelle parti settentrionali dell'India, mentre l'Induismo raggiunse la sua massima fioritura. Qualcosa si può imparare da questa storia.

La domanda per noi è: dato che questo è il primo annuncio, che dovrebbe risuonare e toccare le fibre del cuore, quale potrebbe essere il kerygma capace di attrarre i brasiliani di oggi? Quale aspetto dovrebbe essere enfatizzato per raggiungere l'anima brasiliana, in modo che possa sentire che questa è la risposta a ciò che cerca nella vita?

C'è una seconda domanda strettamente correlata a questa. Ricordiamoci che il Papa dice che il contenuto del kerygma è la "bellezza dell'amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo, morto e risorto" (EG 36). È un annuncio che dovrebbe avere un impatto tale da catturare i cuori. La domanda è: come percepiscono i brasiliani la bellezza? In quali situazioni vivono la gioia di essere a contatto con la bellezza? Ci sono particolarità regionali o differenze culturali che spiccano? Come mettere in contatto l'annuncio del Vangelo con queste forme di bellezza? 

L’asse permanente

Questa fondamentale azione missionaria è il paradigma di tutta l'azione pastorale della Chiesa. Da qui si comprende che l'attività della Chiesa deve trasformarsi alla luce di questo paradigma per diventare, nella sua totalità, essenzialmente missionaria. Se è così, questo primo annuncio deve essere costantemente rinnovato anche a coloro che sono già cresciuti nella fede. Noi stessi, Vescovi, abbiamo bisogno di ascoltarlo di nuovo con il cuore. È il nucleo vivo del Vangelo che deve ispirare tutto, costantemente.

In questo modo, capiamo quello che spiega Papa Francesco: il primo annuncio non è qualcosa che si sente o si dice una sola volta, e poi si lascia alle spalle, per passare a cose più importanti. Non va mai dimenticato, indebolito o abbandonato come un passo già superato. Non è il “primo” nel senso che si comunica e poi viene sostituito da cose più profonde. È vero che si deve partire da esso e tutto il resto viene dopo, ma è il primo soprattutto perché è l'annuncio principale e permanente. Spesso ci intratteniamo con molte discussioni o dettagli e quest’annuncio finisce sepolto, perdiamo la gioia di viverlo e l'entusiasmo di annunciarlo.

Per questo l’Evangelii gaudium ci ricorda che non tutte le verità della dottrina della Chiesa hanno la stessa importanza. C'è una gerarchia delle verità. Quello che nel Concilio era un principio del dialogo ecumenico, Papa Francesco lo presenta come un criterio generale nella teologia e nell'evangelizzazione. Il Vangelo ha prima di tutto un "cuore" (EG 34) o un "nucleo fondamentale" (EG 36). Gli altri insegnamenti della Chiesa sono collegati in modi diversi con questo "cuore" e quindi alcuni sono meno importanti di altri. Questo fatto ha delle conseguenze pratiche: Papa Francesco chiede che nella predicazione dei cristiani ci sia una proporzione (EG 38). Questo ha a che fare con gli accenti che vengono posti, con i temi su cui viene posta la massima enfasi.

L'importanza pastorale del kerygma morale

Torniamo ora al kerygma morale che riconosciamo nella Parola di Dio. Come risposta al kerygma, la virtù principale è la carità o "la fede che opera per mezzo della carità" (Gal 5,6). Il Papa ricorda che c'è pure "una gerarchia delle virtù" (EG 37). Un atto di carità è sempre più importante di qualsiasi altro atto. Perché "il Vangelo ci invita prima di tutto a rispondere a Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da noi stessi per cercare il bene di tutti". Questo "non va oscurato in nessuna circostanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta d'amore" (EG 39). Ecco ciò che potrebbe essere chiamato il kerygma morale, o il nucleo della morale cristiana che scaturisce più direttamente dal kerygma.

Se riusciamo a concentrarci sulle cose più importanti e più belle, "la proposta si semplifica (...) e così diventa più convincente e radiosa" (EG 35). Il pericolo sarebbe che i cristiani realizzassero molte cose, ma dimenticassero di amare Dio e il prossimo, che smettessero di essere generosi, gentili, soccorrevoli, che smettessero di prendersi cura di coloro che soffrono. Perciò "il rischio più grave" (EG 41) è quello di dire troppe parole giuste agli altri, ma senza dar loro la sostanza attraverso la testimonianza della carità.

Il bene possibile

È vero che la morale cristiana deve essere proposta nella sua interezza. Tuttavia, nella vicinanza missionaria si affrontano tutti i limiti e le miserie, cosa che non accade quando ci si circonda solo di un gruppo selezionato e si perdono le prospettive realistiche di un pastore incarnato. Di fronte a questa realtà che rompe gli schemi, dobbiamo ricordare: "bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone, che si vanno costruendo giorno per giorno" (EG 44).

A volte, vorremmo vedere cambiamenti sorprendenti nella vita delle persone e vediamo solo piccoli progressi. Tuttavia, "un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare grandi difficoltà" (EG 44). Se qualcuno ci riesce anche solo un po', non va sottovalutato per quello che non può. Al contrario, dovresti dargli un posto nella comunità e valorizzarlo, per incoraggiarlo a continuare a crescere. Il pastore con cuore missionario gioisce e ringrazia Dio per questi piccoli ma veri passi.

Dio realizza sempre la sua opera nelle persone che si aprono al suo amore, ma lo fa a modo suo e con i suoi tempi, non con le nostre ansie. Se la perfezione non è possibile, almeno questo piccolo passo è possibile: "Un cuore missionario è consapevole di questi limiti (...) Non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada" (EG 45). Ovviamente, tutti sono invitati a crescere, ma sapendo che "per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza." (EG 171). E se qualcuno cade e ricade ancora, Papa Francesco ci dice qual è il messaggio che dobbiamo trasmettergli: "Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude" (EG 3). In questo modo, il kerygma viene costantemente annunciato, anche ai deboli e ai peccatori, purché vogliano rispondere il meglio possibile con la loro vita. Tutti, tutti, tutti.

Crescita e catechismo

L'annuncio costante e rinnovato del kerygma non significa che dobbiamo rinunciare alla crescita, alla maturazione, allo sviluppo della nostra risposta a Dio, perché Dio merita sempre di più. Ne è un segno eloquente l'Esortazione Gaudete et exsultate, dedicata a stimolare il desiderio di crescere verso la santità. Il pericolo sta nel confondere la “crescita” con la mera "istruzione religiosa".

La crescita di coloro che hanno ricevuto e accolto l'annuncio non consiste tanto nell'accumulare conoscenze, ma nell'amare di più: "Non sarebbe corretto interpretare questo appello alla crescita esclusivamente o prioritariamente come formazione dottrinale. Si tratta di «osservare» quello che il Signore ci ha indicato, come risposta al suo amore, dove risalta, insieme a tutte le virtù, quel comandamento nuovo che è il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). È evidente che quando gli autori del Nuovo Testamento vogliono ridurre ad un’ultima sintesi (!), al più essenziale, il messaggio morale cristiano, ci presentano l’ineludibile esigenza dell’amore del prossimo" (EG 161).

Al tempo stesso, però, si tratta di tornare ancora una volta al primo annuncio e di approfondirlo nella catechesi. Se il kerygma è trasversale, allora la crescita di un cristiano consiste prima di tutto nell'approfondire sempre di più questo primo annuncio, nel viverlo sempre più intensamente attraverso la fede e l'amore. A volte si parla di una formazione "più solida", come se conoscendo molti dettagli si diventasse più forti nella fede. Non c'è infatti nulla di più saldo che essere convinti dell'amore del Signore, sempre più grati per il dono di Gesù sulla croce, sempre più felici di sapere che è risorto, sempre più consapevoli di essere vivi in ogni fratello e sorella: "Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio" (EG 165). Se il kerygma deve attraversare tutto, nella nostra catechesi non è un tema qualsiasi, ma quello che deve permeare tutto, per essere sempre più approfondito e vissuto sempre meglio.

Abbiamo bisogno di ascoltarlo di nuovo ed è per questo indispensabile che nelle nostre comunità risuoni costantemente, in modi diversi e con parole diverse. Ognuno può chiedersi se ha reso viva questa sintesi, se questo cuore del Vangelo è il centro e il nucleo che struttura la propria esistenza. O se tutto ciò che è stato aggiunto nel corso della vita, con apparenze di saggezza, non ha finito per seppellire o offuscare questo centro, che dà senso a tutto. Se non abbiamo questa sintesi, sarà difficile non solo per noi trasmetterla, ma anche che essa possa incidere sulla nostra pastorale diocesana.

Non è un annuncio disincarnato

Da una parte, sappiamo che l'annuncio di Gesù Cristo risponde alle nostre domande più profonde e siamo certi che il cuore umano ne ha bisogno. Per questo lo annunciamo con convinzione, audacia, forza, in un annuncio diretto e molto personale. Gli evangelici lo fanno senza timidezza e hanno risultati. Siamo sicuri che il kerygma risponde alle domande ultime e più profonde del cuore umano, anche quando quel cuore le ha sepolte o nascoste. L'angoscia non si perde, ma la persona si distrae e cerca risposte in altre cose. D'altra parte, questo mondo che va avanti a tutta velocità ha nascosto le grandi domande dietro le urgenze quotidiane, in tanti errori e in ritmi di vita febbrili. Per questo motivo la classe media, più colpita dal consumo e dalla velocità, è più refrattaria ai gruppi evangelici, che attirano ai poveri, e invece cerca aiuto nei consumi orientali, new age e altri orientati al benessere spirituale (o psicologico). Sembra che in nessuno dei due casi la Chiesa cattolica sia il luogo in cui possono trovare una risposta a ciò di cui hanno bisogno. Tutto questo non ci insegna nulla?

Insegna che, insieme alle domande ultime, ci sono domande intermedie, cioè domande che non sono le ultime, ma non sono neanche mera superficialità, consumismo o stupidità. Perché preoccuparsi del futuro di un bambino non è superficiale; nemmeno preoccuparsi di qualcosa che dà pace al cuore in mezzo alle paure, alle angosce, alle fatiche di questa dura vita, è mera superficialità; può essere importante anche l'amore per la vita che Dio ci ha donato, il desiderio di vivere con maggiore dignità, come il buon Dio vuole per noi. La Bibbia dice: "Figlio, tratta bene te stesso (...) Non privarti di vivere una buona giornata" (Sir 14:11.14). E non dice forse che Dio "ci provvede generosamente ogni cosa perché possiamo goderne" (1 Tim 6:17)? Quindi, è legittimo che le persone abbiano domande che non sono le domande ultime sul significato della vita e della vita eterna. Oggi abbiamo bisogno di mostrare che la spiritualità cristiana può aiutarci a vivere meglio, a lottare in pace, a vivere con gioia. Qui troviamo un altro aspetto della pastorale dei neopentecostali, che non solo è coraggiosa e fervente nell'annunciare il kerygma, ma offre anche qualche risposta a queste domande intermedie. Qualcosa di simile, anche se meno religioso, appare nel buddismo, nel New Age, e in altre proposte orientali che si rivolgono alla classe media.

È quindi importante che, insieme all'annuncio del kerygma, le persone scoprano la nostra compassione per i loro legittimi desideri, sia attraverso la nostra capacità di interpretarli, sia pregando per i loro bisogni, dando loro qualche consiglio pratico o offrendo loro un aiuto concreto.

Ci chiediamo: oggi in Brasile quali sono questi grandi desideri quotidiani, ai quali le persone sentono il bisogno di rispondere? Dove vanno per ottenere sicurezza, intensità e completezza? Quali sono questi bisogni intermedi che spesso si cerca di soddisfare nel modo sbagliato? Come sviluppare una pastorale dell'annuncio che non ignori queste domande della gente?

Conversione pastorale

L'annuncio non è qualcosa di disincarnato, anche nel senso che non è slegato da una struttura ecclesiale. Se si fa una missione e se la gente si avvicina alla parrocchia, ma questa non è aperta, gli effetti della missione si perdono. La domanda è: come rendere possibile una nuova tappa missionaria, come realizzare una pastorale in cui l’annuncio missionario diventi una pratica costante e non solo una riflessione senza conseguenze?

La riforma della Chiesa che il Papa propone consiste semplicemente nel mettere in secondo piano ciò che non serve direttamente a raggiungere tutti con il primo annuncio. Ecco perché la vicinanza misericordiosa e l'annuncio persona a persona sono così importanti, più delle strutture, dell'organizzazione, delle riunioni, delle formalità, ecc. Ciò implica che la maggior parte del tempo di qualsiasi ministro o operatore pastorale dovrebbe essere spesa in questi incontri da persona a persona, portando audacemente il primo annuncio. 

La parrocchia, per non essere una struttura obsoleta, deve essere davvero vicina alle case ed evitare che "diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi" (EG 28). Il kerygma è un annuncio in uscita, alla ricerca di chi non l'ha accolto, e il compito di ogni comunità, animata da questo accento missionario, si trasfigura e trasforma tutto, e si colloca al di sopra del mantenimento di chi già vi è dentro. Occorre apportare tutte le modifiche necessarie affinché "la pastorale ordinaria, in tutte le sue istanze, sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita" (EG 27). Ecco la vera conversione pastorale.

Destinatari

Nel tentativo di ripensare la pastorale, non può mancare la domanda per i destinatari: "coloro che stanno lontani da Cristo" (EG 15). Papa Francesco ha detto, riprendendo ciò che ha detto san Giovanni Paolo II, che cercarli è "il compito primo della Chiesa" (RM 34).

Chi sono gli "allontanati"? Non sono solo coloro che hanno sempre rifiutato Gesù Cristo o non lo conoscono. Sono anche coloro che, essendo stati battezzati, non vivono secondo il Battesimo che hanno ricevuto, "non hanno un'appartenenza cordiale alla Chiesa e non sperimentano più la consolazione della fede" (EG 14). Cioè, sono quelle persone che non si sentono più parte della Chiesa, che si sentono fuori da essa e che non vivono la fede con gioia, con piacere. Nei Paesi dell'America Latina, ad esempio, ci sono pochi atei e pochi che disprezzano Gesù Cristo, ma sono molti quelli che non provano più la gioia e il gusto della fede o che non si sentono più parte della Chiesa.

Sono le "periferie", che spesso dimentichiamo o trascuriamo, anche se sono vicine a casa nostra. Senza andare troppo in giro, l'invito è quello di dare la priorità a chi non fa parte delle nostre comunità. Non è necessario andare in altri paesi o in quartieri lontani per raggiungere le "periferie".

Agenti

Ogni cristiano è chiamato a collaborare all'annuncio missionario facendo un lavoro “corpo a corpo”. Questo vale per tutti. Un catechista non può dire che, con la catechesi che insegna, tutto è fatto. Deve anche occuparsi di annunciare l'amore del Signore a coloro che sono lontani. Può non avere il tempo di impegnarsi a visitare le case della parrocchia, ma deve almeno avere il coraggio di fare questo annuncio alle famiglie dei bambini che frequentano la sua catechesi, ai vicini del suo quartiere, ai suoi amici, alle persone che incontra. Questo vale per tutti. Se accettassimo questa sfida con coraggio, allora la Chiesa potrebbe raggiungere tutti, come le radici di una pianta che si diffondono sotto la terra, o le vene del corpo che arrivano in tutti i punti dell'organismo, come la luce del sole che si diffonde ovunque. È il principio della "capillarità" dell'azione missionaria.

Perché la Chiesa raggiunga tutti, coloro che annunciano il kerygma non possono essere pochi. Ma non dovrebbero essere tutti dello stesso stile. Per raggiungere tutti gli angoli e le periferie, c'è bisogno di agenti pastorali di ogni tipo, con carismi e caratteristiche diverse, con modi diversi di essere e di esprimersi. Tutti devono essere chiamati e incoraggiati ad essere missionari a modo loro.

Ma questo sembra difficile da accettare perché pensiamo sempre ad agenti perfetti, ben formati e che non commettono errori. Invece, il Papa insiste sul fatto che devono essere missionari, anche se imperfetti. In caso contrario, è impossibile raggiungere davvero tutti. Questo suppone audacia, pazienza, libertà interiore, fiducia nello Spirito. Tutti devono essere missionari, anche se sono peccatori, anche se hanno poca formazione, in modo da non essere limitati a un gruppo di un certo stile o categoria. Basta che abbiano vissuto l'esperienza fondante: "se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù" (EG 120). "Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev’essere una scusa" (EG 121). È sufficiente che la vita sia stata realmente toccata dal kerygma.

L'incontrollabile libertà dello Spirito in una pastorale "popolare"

Seguendo questa stessa linea di pensiero pastorale, Papa Francesco parla della diversità dei carismi. Per ogni esigenza di evangelizzazione, lo Spirito Santo effonde un certo carisma. Per esempio, per raggiungere i bambini, riversa dei carismi in alcuni bambini. Per raggiungere persone molto sensibili, vi riversa carismi. Per raggiungere i “pazzi”, riversa carisma su alcuni “pazzi”. Questi carismi sono anche incontrollabili e a volte scomodi. Ma sono doni di Dio che ci permettono di raggiungere certi gruppi di persone, che altrimenti non raggiungeremmo. Per questo, Papa Francesco dice che "lo Spirito Santo, che suscita questa diversità, può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione" (EG 131).

È necessario incoraggiare queste forme di evangelizzazione che scaturiscono dalla gente, anche al di fuori del controllo e delle strutture ecclesiali. Così riescono ad arrivare dove le nostre strutture pastorali non possono arrivare. Non pensiamo a certi carismi appariscenti e insoliti, tipici di alcune élite chiuse, ma ai carismi che abbondano nel Popolo di Dio, che crea spontaneamente mille simboli e gesti che aiutano a trasmettere la fede. "Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!" (EG 124). Si tratta, piuttosto, di riconoscere, incoraggiare e provocare questi molteplici segni cristiani che la cultura popolare cristiana può produrre. Alcuni inventeranno canti, altri dipingeranno sui muri, altri organizzeranno feste giovanili, altri creeranno processioni, altri ancora collocheranno oratori/immagini di Maria o dei santi nei loro quartieri, e così si creeranno mille segni che parlano del Signore in mezzo alla vita delle persone, fuori dalle chiese. Col tempo, questo diventerà qualcosa di culturale, cioè qualcosa che fa parte dei sentimenti e dell'esistenza del popolo, e tutto aiuterà a trasmettere la fede "in forme così diverse che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle" (EG 129).

Ma tutto questo nasce e persiste se il kerygma trabocca dal nostro cuore: "Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale" (EG 11).

La dimensione sociale dell'annuncio

Se uno ama Gesù e non ama la gente, non avrà nemmeno la forza missionaria. Perché "la missione è una passione per Gesù, ma allo stesso tempo è una passione per il suo popolo" (EG 268). Il Papa ci mostra che Gesù stesso "ci introduce nel cuore della gente" (EG 269) e "vuole che tocchiamo la miseria umana, che occhiamo la carne sofferente degli altri" (EG 270). E "quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo" (EG 270). Questa seconda esperienza fondante ci fa crescere: "Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore" (EG 272).

L'annuncio del Vangelo è comunitario e sociale, e se lo si comprende e lo si trasmette solo come questione individuale (il mio rapporto con Gesù), tutto inizia male. Per questo, il primo punto del capitolo 4 della Evangelii gaudium si intitola Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma, e si spiega così: "il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l'impegno per gli altri" (EG 177).

Cristo è inseparabile dall'edificazione del suo Regno e così troviamo un'altra sintesi nel Vangelo. Se qualcuno chiede: "Che cosa dobbiamo cercare come prima cosa?", la risposta è: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33). Se non capiamo questo fin dall'inizio, trasmetteremo l'idea sbagliata che la vita cristiana sia solo un rapporto individuale con Gesù, senza comunità, senza fraternità, senza generosità. Ma "tanto l'annuncio quanto l'esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali" (EG 180).

Nel capitolo 4 della Evangelii gaudium, il Papa si sofferma a spiegare l'opzione per i poveri. Lì ci dà la spiegazione e il fondamento biblico di questa opzione. Spicca il caso di San Paolo narrato in Galati 2. Quando volle sapere se non correva inutilmente, andò a consultare gli Apostoli a Gerusalemme. Gli dissero che andava tutto bene, ma chiesero a Paolo di non dimenticare i poveri (Gal 2,10). Se i cristiani si ricordavano dei poveri, ciò dimostrava che queste comunità paoline erano davvero uscite dal paganesimo e avevano trovato Gesù. Come si vede, ritroviamo qui una sintesi per il discernimento.

Da un punto di vista pragmatico, c'è chi non capisce questa insistenza di papa Francesco. Crede che sia più conveniente dedicarsi a persone che hanno potere, sia esso politico, economico, intellettuale o mediatico. Non è interessato a realizzare un grande progetto con gli scartati della società. Ma da un punto di vista soprannaturale, noi crediamo agli effetti misteriosi di questa opzione che il Vangelo ci chiede. Se non siamo convinti, ricordiamo ciò che disse Gesù: "Quando date un banchetto, non invitate i vostri amici o i vostri vicini ricchi. Invita il povero, lo zoppico, il cieco (...) che non può renderti il ripagato" (Lc 14,12-14). Chiarissimo. Se li dimentichiamo, la nostra missione non avrà tutta la potenza dello Spirito. È una questione di fede.

C'è un'attrattiva speciale nel messaggio cristiano quando è possibile unire spiritualità e senso sociale. Quando queste due cose si separano, il messaggio si snatura, perde la sua musica, il suo fascino specifico. Una dottrina, teologica o morale, senza misticismo e senza significato sociale, diventa una dottrina "filosofica", non un evento cristiano. Ma lo stesso accade con una spiritualità senza significato sociale, o con un impegno sociale senza spiritualità. Certo, non sarà una spiritualità se non ha un contenuto solido, ma bisogna ricordare che non c'è nulla di più solido, più sicuro e più profondo del kerygma sempre più approfondito.

Lo Spirito

Tutto questo ci porta allo Spirito Santo, perché l'azione missionaria dispone le persone, ma è lo Spirito che realizza l'evento della fede.

Nel kerygma, lo Spirito Santo, più che un contenuto, è l'agente che converte l'annuncio in un evento salvifico. Così si esprime Paolo nella 1ª Lettera ai Corinzi, usando proprio l'espressione kerygma: "La mia parola e il mio kerygma non erano discorsi persuasivi di sapienza, ma dimostrazioni dello Spirito e della potenza" (1 Cor 2,4). Il nostro obiettivo quindi non è quello di trasmettere un contenuto, ma di annunciare il kerygma in modo tale che l'esperienza potente della fede sia provocata sotto l'azione dello Spirito. Nella Christus vivit, proprio dopo aver annunciato il kerygma, il Papa parla ai giovani dello Spirito Santo: "È Lui che sta dietro, è Lui che prepara e apre i cuori perché ricevano questo annuncio, è Lui che mantiene viva questa esperienza di salvezza, è Lui che vi aiuterà a crescere in questa gioia, se lo lasciate agire" (ChV, 130).

L'obiettivo, quindi, è quello di far apprezzare a tutti questo messaggio centrale, di farlo accogliere, di provocare la gioia in esso, di raggiungere ciascuno in modo tale che possa ammirarne la bellezza e sentirsi personalmente attratto, lasciando agire la forza dello Spirito. Ciò che fa il predicatore è parlare in modo tale che i cuori siano disposti, aperti liberamente all'azione dello Spirito, che produce l'evento della fede. La domanda allora diventa: quali sono le parole, i segni, le motivazioni, i gesti che oggi potrebbero disporre meglio i brasiliani ad accogliere l'annuncio e ad aprire il cuore al fuoco dello Spirito?

In ogni caso, per essere missionari felici e perseveranti, dobbiamo essere convinti che la nostra dedizione all'annuncio del Vangelo porta sempre frutto, al di là di ciò che vediamo, al di là di ciò che possiamo verificare, "in forme molto diverse tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi" (EG 22). Non importa se non vediamo risultati, perché lo Spirito prende i nostri sforzi e li rende sempre fecondi: il missionario sa bene che “la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore " (EG 279).

Questa proposta di sintesi è una sfida per noi stessi: ci propone una conversione pastorale e missionaria che presuppone un rinnovamento personale. Non possiamo mettere la nostra sicurezza in ciò che sappiamo e che gli altri, ignoranti, non sanno o non comprendono: questo è comodo e ingeneroso. È meglio riconoscere che, con uno stile comodo e poco audace, non possiamo andare avanti e abbiamo bisogno di aprirci generosamente a una nuova Pentecoste missionaria.