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PONTIFICIO COMITATO
PER I CONGRESSI EUCARISTICI INTERNAZIONALI

 

L’Eucaristia:
comunione con Cristo e tra noi

 

Riflessioni teologiche e pastorali in preparazione
al 50° Congresso Eucaristico Internazionale

 

Dublino, Irlanda
10 - 17 giugno 2012

 

 

INDICE

Prima parte
Un’occasione straordinaria

I. Introduzione

Il cinquantesimo Congresso Eucaristico Internazionale
Cosa significa “comunione”?
L’importanza del tema
L’Eucaristia in Irlanda
Fratelli e sorelle in Cristo
Un Congresso Eucaristico per tutti

II. In cammino verso il Congresso Eucaristico del 2012

Promuovere l’ecclesiologia e la spiritualità di comunione
L’evangelizzazione
Sulle tracce dei discepoli di Emmaus

Seconda parte
Le parti della messa come guida al tema del Congresso

I. Riti d’introduzione: la comunione con Cristo presente nell’assemblea dei fratelli

Il Cristo crocifisso risorto ci raduna insieme
L’atto penitenziale e la “colletta”: solidali con il prossimo

II. Liturgia della Parola: la comunione con Cristo nella Parola

La mensa della Parola e del Pane di vita
Con la forza dello Spirito la Parola ci “cristifica” rendendoci un corpo solo
L’omelia, la professione di fede e la preghiera dei fedeli

III. Liturgia eucaristica: la comunione con Cristo nell’Eucaristia

Somiglianza con l’ultima cena
La preparazione dei doni: segni di amore, rendimento di grazie e comunione
La Preghiera eucaristica: la comunità rende grazie a Dio Padre

a. Epiclesi: riuniti insieme dallo Spirito Santo
b. Anamnesi: una “memoria” collettiva
c. Consacrazione: Gesù Cristo, fonte di comunione trasformante è realmente presente
d. La mensa del sacrificio: partecipiamo al sacrificio di Cristo che dona se stesso

IV. Riti di comunione: dire ‘Amen’ a ciò che noi siamo

Ricevere la santa Comunione
L’Eucaristia ci fa una cosa sola
La comunione spirituale

V. Riti di conclusione: diventati una sola cosa perché tutti possano essere uno

Il commiato
L’esempio di Gesù nella lavanda dei piedi

VI. Conclusione


 

Parte I
Un’occasione straordinaria

 

I. Introduzione

Il Cinquantesimo Congresso Eucaristico Internazionale

1. Il cinquantesimo Congresso Eucaristico Internazionale si svolgerà a Dublino, in Irlanda, nel mese di giugno del 2012. Per felice coincidenza nel 2012 si celebrerà anche il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II. Per questo il tema del Congresso Eucaristico di Dublino – «L’Eucaristia: comunione con Cristo e tra noi» – riprende quel concetto di comunione tanto importante nella visione del Concilio.

2. Il Concilio Vaticano II può essere definito un evento pentecostale che rimane ancora oggi bussola sicura per orientare il cammino della Chiesa. In un’epoca in cui l’umanità è entrata in una nuova fase della sua storia caratterizzata da rapidi e profondi mutamenti, [1] i lavori conciliari si sono preoccupati, in tutte le loro scelte, di manifestare Gesù Cristo affinché gli uomini del nostro tempo possano vederlo, ascoltarlo e incontrarlo vivente in mezzo a noi.

Lo Spirito Santo, quasi in risposta a questa preoccupazione, ha condotto il Concilio a promuovere una ecclesiologia di comunione. Per questo è significativo che il Congresso Eucaristico, in coincidenza con l’importante anniversario del Concilio, richiami la nostra attenzione sul tema della comunione.

3. Il Congresso ci offre una straordinaria opportunità per esaminare fino a che punto ci siamo lasciati influenzare dalla riforma conciliare in termini di comunione, sia per quanto riguarda la struttura interiore della vita ecclesiale, sia in riferimento all’apertura verso quanti camminano con noi sui sentieri della storia. Il concetto di comunione, infatti, è assai significativo per l’evangelizzazione che altro non è se non la comunicazione della Buona Novella di Gesù Cristo che vuole restare fra noi con la sua gioia e la sua libertà, l’amore ardente e la pace.

Le sorelle e i fratelli nella fede che, giunti dall’Asia, dall’Africa, dalle Americhe, dall’Oceania e dall’Europa si incontreranno a Dublino, arricchiranno la comprensione del tema del Congresso esprimendo l’unità e la diversità della comunione ecclesiale.

4. Sono passati ottant’anni da quando un altro Congresso Eucaristico Internazionale è stato celebrato in Irlanda per festeggiare il1500° anniversario dell’arrivo di san Patrizio sull’isola e la diffusione dell’amore all’Eucaristia da parte dei missionari irlandesi. Insieme a questi, molti altri motivi trasformarono il Congresso del 1932 in un avvenimento memorabile. Benché caratterizzato, secondo il nostro modo di pensare, da un certo trionfalismo, esso contribuì in maniera efficace a rimarginare le ferite della guerra civile che aveva lacerato l’Irlanda solo pochi anni prima. [2] Tuttavia, la fusione entusiastica del sentimento cattolico con l’orgoglio nazionale non si è rivelata, alla lunga, vantaggiosa come si pensava.

Da allora, in Irlanda, le cose sono profondamente cambiate. Il contesto odierno è assai diverso. Anche lo stile, gli obiettivi e le conseguenze dei Congressi Eucaristici si sono notevolmente modificati negli ultimi decenni.

Ora, il Congresso Eucaristico ha assunto le caratteristiche di una festa della fede, intessuta di conferenze, celebrazioni, momenti musicali, gruppi di studio, mostre. Per questo crediamo che il Congresso del 2012 sarà molto diverso da quello che si tenne ottant’anni or sono.

5. L’attuale scenario irlandese che costituisce lo sfondo del Congresso Eucaristico internazionale è ricco di luci ed ombre. Da un lato, consapevoli della “roccia” della fede dalla quale il nostro popolo, donne, uomini e bambini, è stato tagliato (cfr Is 51,1), siamo grati a Dio per il contributo generoso e spesso eroico dato alla Chiesa e all’umanità dalle generazioni passate di Irlandesi. [3]

Il processo di pace in Irlanda del Nord ha rappresentato in tempi recenti una storia positiva alla quale le Chiese hanno dato il loro contributo. Pur nelle attuali difficoltà economiche che oggi l’Irlanda soffre, si può riconoscere con soddisfazione che, in confronto con il 1932, l’isola ha avuto enormi miglioramenti socio-economici.

Nello stesso tempo, però, aprendo queste riflessioni teologiche e pastorali, bisogna riconoscere che oggi la Chiesa Cattolica irlandese sta compiendo un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione per gli abusi su bambini e giovani vulnerabili, commessi in particolare da sacerdoti e di religiosi.

Come i discepoli sulla strada di Emmaus anche i cattolici irlandesi si sentono in qualche modo disorientati da quanto è successo nella loro Chiesa. Il grido delle vittime degli abusi sessuali trafigge cielo e terra e richiede segni radicali di pentimento.

6. Il Congresso del 2012 può essere considerato come un ‘kairos’, nel senso biblico di un tempo opportuno e straordinario in cui, grazie all’intervento di Dio, può succedere qualcosa di speciale. Un momento nel quale la Chiesa, sia Irlanda che nel resto del mondo, può nuovamente beneficiare dell’ascolto di quanto lo Spirito Santo ha detto e continua a dire alla Chiesa attraverso il Concilio Vaticano II. È davvero un’occasione provvidenziale per radunarsi in comunione con Cristo e con gli altri per «riflettere sulle ferite inferte al corpo di Cristo, sui rimedi, a volte dolorosi, necessari per fasciarle e guarirle, e sul bisogno di unità, di carità e di vicendevole aiuto nel lungo processo di ripresa e di rinnovamento ecclesiale». [4]

Il Congresso può essere anche considerato una sorta di ‘statio’, cioè una pausa di impegno e di preghiera, una sosta nel cammino a cui la Chiesa irlandese invita la Chiesa universale. Un momento determinato del suo pellegrinaggio in cui la Chiesa universale è invitata a concentrarsi su un particolare aspetto dell’Eucaristia: quello della comunione con Cristo e con gli altri proposta dal tema del Congresso. Faremo ciò celebrando insieme, nel vincolo dell’unità e della carità. Raccogliendo i pellegrini provenienti da ogni parte del mondo, il Congresso diventerà per il mondo un segno autentico di comunione nella fede e nella carità.

Cosa significa «comunione»?

7. Proprio all’inizio di questo documento è necessario chiarire che cosa si intende con il concetto di comunione. I cattolici sono abituati a parlare di “fare la comunione” o di “ricevere la comunione” alla Messa. In realtà, il concetto teologico di comunione (‘koinonia’ nel testo greco del Nuovo Testamento) è assai più ampio e sfaccettato.

8. Proclamando il Regno di Dio Gesù è consapevole di essere stato inviato a «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,16-20). Con le sue parole e le sue opere forma una comunità messianica di discepoli che sperimentano la presenza del Regno di Dio nella sua persona.

I membri di questa comunità costruiscono relazioni con gli altri in un modo nuovo, caratterizzato dall’amore, dalla libertà e verità, dall’uguaglianza e reciprocità. Quelli che esercitano una responsabilità devono diventare servi. Il quarto Vangelo ci presenta Gesù che, la notte prima della sua passione, si rivolge al Padre con una preghiera nella quale è riassunta la sua missione: «…perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

La comunità non può essere altro che una condivisione della vita di Dio.

9. Il progetto messianico di Gesù sembra miseramente fallire con la sua morte in croce. Eppure la storia non finisce lì. Il Cristo risorto vince la morte. Dove c’era il peccato con il suo carico di oscurità, divisione e paura, abbondano ora la luce della grazia, la comunione e la libertà (cfr Rom 5,17-21).

Il Cristo crocifisso e risorto raduna di nuovo la sua comunità. I legami di discepolato si approfondiscono. Il Signore è vivo ed edifica la sua Chiesa con la proclamazione del Vangelo, la celebrazione dei sacramenti e specialmente dell’Eucaristia, il servizio di quanti hanno ricevuto l’ufficio sacerdotale, i doni dello Spirito e l’amore vicendevole: «Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42).

Come nel corso della sua vita terrena ma ora ancor più intensamente, quelli che seguono il Cristo non sono soli. Sono uniti in comunione con lui e con il prossimo da molti legami, specialmente attraverso l’Eucaristia.

10. L’apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi riflette sul significato dell’Eucaristia come presenza, banchetto di comunione e sacrificio (cfr 1Cor 10,16-22). La sua lettera è per una comunità ricca di doni e di ministeri ma nella quale vi sono anche gravi divisioni. Per ricordare che, per effetto dell’Eucaristia, siamo uniti in un solo corpo, san Paolo scrive: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane» (1Cor 10,16-17).

Partecipando all’Eucaristia tutti coloro che compongono la comunità cristiana diventano una cosa sola; comunicano così profondamente al corpo e al sangue di Cristo che, insieme, diventano il corpo di Cristo. Di conseguenza, è Gesù Cristo che dà significato ed armonia alla varietà di doni e di ministeri.

Le persone non appartengono semplicemente a Cristo come i membri di un’associazione o di una società fondata da Gesù ma in senso reale, attraverso l’Eucaristia, essi sono inseriti in una profonda unione personale con il Cristo risorto e tra di loro.

11. L’apostolo Paolo, consapevole della necessità di ri-evangelizzare la comunità di Corinto sul significato della comunione, ripropone il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, il più antico che sia giunto a noi (cfr 1Cor 11,17-33), quasi a sottolineare che nel mistero pasquale sacramentalmente anticipato nell’ultima cena si trova il codice genetico dell’identità della Chiesa come comunione.

Gesù ha offerto se stesso con la sua passione e morte donando salvezza all’umanità, e la salvezza può essere compresa come comunione con Cristo e tra noi. È l’Eucaristia che ora ci spinge a vivere questa comunione nella nostra vita. Tutto ciò porta con sé una logica di riconciliazione, di tolleranza e di donazione di sé agli altri.

«Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna… Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri»(1Cor 11,23-29. 33).

12. San Paolo era così convinto che la forza dell’Eucaristia trasforma radicalmente noi e le nostre relazioni vicendevoli, da restare sconvolto per l’indifferenza verso i poveri e per la diffusa mancanza di amore reciproco tra i cristiani di Corinto. Riferendosi alle divisioni che si manifestano in seno alla comunità da lui fondata, l’Apostolo arriva a dire che essi stanno condannando sé stessi perché con la loro vita contraddicono ciò che proclamano nel rito eucaristico.

L’Eucaristia non è un dovere morale: è prima di tutto una trasformazione realizzata da Gesù Cristo. Nella chiamata alla comunione con Cristo e nella risposta offerta con la nostra vita c’è la nostra dignità.

13. Come abbiamo accennato all’inizio di questo documento, il Concilio Vaticano II ha attirato ancora una volta la nostra attenzione sull’importanza del tema della comunione. La comunione tra i credenti in Cristo è basata sulla partecipazione alle «cose sante». C’è la comunione nella fede, la comunione nei sacramenti, la comunione nei carismi e, soprattutto, la comunione nell’amore.

La comunione si estende alla condivisione dei beni sia spirituali che materiali e non è limitata a quanti vivono sulla terra ma comprende anche coloro che ci hanno preceduto nella fede e specialmente i santi.

14. Negli ultimi decenni, il tema della comunione è stato oggetto di dialogo fra le Chiese cristiane. La Commissione Internazionale Anglicana-Cattolico Romana (ARCIC) così definisce il concetto di comunione:

«L’unione con Dio in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito è il cuore della “koinonia” cristiana. Tra i vari significati che la parola “koinonia” assume in diversi contesti del Nuovo Testamento ci limitiamo a quello che indica una relazione fra persone che viene dalla loro partecipazione ad un’unica realtà (cfr 1Gv 1,3). Il Figlio di Dio ha assunto la nostra natura umana ed ha effuso il suo Spirito che ci trasforma veramente in membra del corpo di Cristo, così che anche noi possiamo chiamare Dio “Abba, Padre” (Rom 8,15; Gal 4,6). Inoltre, poiché condividiamo lo stesso Spirito, diventiamo membra dell’unico corpo di Cristo e figli adottivi di un medesimo Padre; siamo anche legati vicendevolmente in una relazione completamente nuova. La “koinonia” tra noi nasce dalla nostra “koinonia” con Dio in Cristo. Questo è il mistero della Chiesa…. Per mezzo dell’Eucaristia tutti i battezzati entrano in comunione con la fonte della “koinonia”. Egli è colui che abbatte i muri che separano gli uomini tra di loro (Ef 2,14); egli è colui che è morto per radunare nell’unità tutti i figli di Dio che erano dispersi (cfr Gv11,52; 17,20ss)». [5]

15. La vita di comunione inizia già, come è stato detto, nella nostra vita terrena ma raggiungerà la sua pienezza quando appariranno i nuovi cieli e la nuova terra promessi da Gesù Cristo. L’Eucaristia è un anticipo e una promessa di quei cieli e terra nuova dove la vita di comunione sarà eterna.

Il grido conclusivo delle Scritture è «Amen! Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20). L’Eucaristia ci spinge ad orientare la nostra vita verso la comunione con gli altri, nell’attesa di questo futuro promesso non come una minaccia, ma come un invito. In un mondo in cui ci si preoccupa soprattutto del presente, l’Eucaristia ci invita ad aprire con speranza i nostri cuori verso il futuro che Dio ci promette. Per mezzo dell’Eucaristia possiamo anticipare con gesti e parole questo il tempo futuro e così la comunione definitiva si innesta già nel presente e noi possiamo vivere e gustare fin da ora ciò che diventeremo.

L’importanza del tema

16. Il tema della comunione parla al cuore della nostra identità e della nostra missione, soprattutto in questo tempo in cui si realizzano cambiamenti radicali nei mezzi della comunicazione e delle relazioni umane. Più i rapporti interpersonali e i legami sociali tradizionali si indeboliscono e più grande è la necessità di trovare nuovi modelli relazionali a livello locale, nazionale e mondiale. Questo fatto solleva domande sul modo in cui la Chiesa esprime la sua vita di comunione.

17. Nel progetto divino la Chiesa è il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. [6] Tertulliano, uno dei Padri della Chiesa antica, ricorda che «un cristiano da solo non è cristiano». Nell’Eucaristia scopriamo il codice genetico della comunione che sta nel cuore dell’identità ecclesiale.

È meditando sul significato della comunione eucaristica che noi comprendiamo quanto la frammentazione del corpo di Cristo ferisca profondamente la missione evangelizzatrice della Chiesa. La capacità della Chiesa di farsi ascoltare dalla società risulta fortemente compromessa quando si rendono evidenti le sue mancanze nell’esercizio della comunione; si pensi allo scandalo recato a tanti con forme di settarismo, abuso di potere, culto dell’istituzione, pregiudizi. Tutto ciò richiama ad un’attenzione continua al senso della comunione con Cristo e tra noi in tutti gli aspetti della vita. In particolare si rende necessario trovare modi nuovi per trasmettere la vita di comunione ai giovani del mondo occidentale, dove si giunge anche a negare l’ammissibilità della fede.

Mai come oggi si può davvero affermare che la grande sfida che ci sta davanti è quella di «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione» con tutto ciò che questo comporta anche per la riforma delle istituzioni. [7] Che possiamo diventare una cosa sola, perché il mondo creda (cfr Gv 17,21).

L’Eucaristia in Irlanda

18. Il Concilio Vaticano II definisce l’Eucaristia come «la fonte e il culmine della vita Cristiana» [8] e afferma che essa racchiude «tutto il bene spirituale della Chiesa». [9] Sin dal tempo di san Patrizio i cattolici in Irlanda hanno tenuto l’Eucaristia in grande considerazione. Essa è stata celebrata fedelmente nelle isole più remote, negli insediamenti monastici, nelle cattedrali e, più tardi, in tempi di persecuzione, sulle Mass rocks, larghe pietre poste in luoghi isolati intorno alle quali convenivano i fedeli per la Messa domenicale. Tanti tesori ci ricordano questo patrimonio d’amore per l’Eucaristia [10] .

Il più antico inno eucaristico latino conosciuto è il Sancti venite, conservato nell’Antifonario di Bangor, un testo monastico irlandese del VII secolo. [11] Una gran quantità di immagini eucaristiche si ritrovano tra le miniature del famoso Book of Kells. Nella storia irlandese più recente, l’immagine associata all’apparizione della Madonna di Knock include un elemento eucaristico. [12] Il Congresso Eucaristico del 1932, già citato sopra, e la visita pastorale di Giovanni Paolo II nel 1979 sono stati momenti straordinari che hanno testimoniato la venerazione degli irlandesi per l’Eucaristia.

La messa ha rivestito un’importanza centrale per le migliaia di missionari irlandesi che hanno portato la fede in Africa, in Asia e nelle Americhe  così come per molti irlandesi emigrati in varie parti del mondo. Anche oggi l’Irlanda conserva, in Europa, uno dei più alti tassi di partecipazione alla messa domenicale. E sono notevoli anche i numeri relativi alle persone che partecipano alla messa quotidiana. Significativa è la presenza dell’adorazione eucaristica nella vita ecclesiale irlandese. Assai popolare resta anche l’usanza di offrire la celebrazione della messa secondo intenzioni particolari. In questi ultimi tempi, poi, le celebrazioni dell'Eucaristia sono sempre più arricchite dalla presenza di nuovi immigrati.

19. La grande stima che gli irlandesi hanno conservato verso l’Eucaristia è un dono dello Spirito Santo. Forse essa fu preparata dagli antichi popoli che qui lasciarono importanti segni della loro ricerca di assoluto.

Per esempio, il monumento di Newgrange, nella Valle del Boyne, risalente dell’età della pietra (ca. 3200 a.C.), fu costruito per ricercare l’armonia profonda con l’unico evento sempre ripetuto: l’annuale rinascita del sole che rinnova la terra. Ciò che ogni anno si celebrava nel solstizio di inverno a Newgrange portava già in sé l’intuizione cosmica (forse incoraggiata dallo Spirito Santo) del mistero pasquale cristiano, mistero che parla di riconciliazione, di pace, di unità con Dio e gli altri.

Incontrandosi poi con il Vangelo di Gesù Cristo gli irlandesi scoprirono l’Eucaristia come il grande e vero tesoro che ci unisce a Dio (l’Unico che rimane) e agli altri per mezzo di Cristo, «Alfa e Omega» della storia umana (cfr Ap 1,8).

20. Negli ultimi tempi, tuttavia, anche nei confronti della messa gli atteggiamenti tradizionali sono assai cambiati. Molti dicono di non trovare più nella messa un dono vitale e lamentano che essa sembri separata dalla vita. Si dice che è noiosa. Che è venuto meno il senso del mistero.

Cresce, inoltre, la tendenza a cercare la propria realizzazione spirituale al di fuori della comunità riunita in assemblea eucaristica. La bassissima partecipazione giovanile preoccupa seriamente. Con la diminuzione del numero di sacerdoti è possibile che l’Irlanda debba presto confrontarsi, come tanti altri Paesi, con l’impossibilità della celebrazione domenicale dell’Eucaristia in molte comunità locali.

21. Molte sono, chiaramente, le ragioni che hanno condotto a questo cambiamento di atteggiamento nei confronti della messa. Non ultima una celebrazione trascurata e poco attraente della liturgia. Tuttavia, in un’epoca in cui per molti il senso di Dio è tramontato come il sole la sera, riportare l’Eucaristia al posto centrale nella vita della gente vuol dire riscoprire il vero volto del Dio Incarnato, del Dio che è amore, del Dio che è venuto fra noi: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

22. La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II dichiara che nel rinnovamento della liturgia, alla «piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura». [13] Papa Benedetto XVI ha sottolineato l’importanza di conoscere l’”arte di celebrare” la liturgia. Coloro che ricoprono ruoli specifici da svolgere nella celebrazione - sopratutto i sacerdoti ma anche i lettori, i cantori, i ministri straordinari dell’Eucaristia, quanti propongono le preghiere dei fedeli e sono coinvolti nel servizio all’altare o nella presentazione dei doni - devono prepararsi con cura.

Oggi cresce sempre più il numero dei gruppi parrocchiali che preparano insieme la liturgia domenicale. Alcuni commenti alla messa possono essere di aiuto e a questo proposito si veda, in particolare L’ordinamento generale del Messale Romano e L’ordinamento delle letture della Messa. Non ci si può limitare a partecipare alla messa come semplici spettatori. Tutti sono chiamati a parteciparvi attivamente entrando nel mistero dell’Eucaristia con attenzione e devozione, unendosi spiritualmente a ciò che viene celebrato e impegnandosi ad amare il prossimo. In verità si potrebbe dire che la partecipazione attiva alla messa deve iniziare molto prima della vera e propria celebrazione.

Il nostro impegno per vivere il Vangelo nelle concrete realtà della vita è la migliore preparazione per sintonizzarsi con tutto ciò che nell’Eucaristia viene celebrato.

23. Il Messale Romano pubblicato nel 1970 ha rappresentato uno dei frutti maturi del Concilio Vaticano II. Prima dello svolgimento del Congresso Eucaristico si prevede la pubblicazione della traduzione inglese della terza edizione del Messale Romano. La nuova traduzione rifletterà le linee guida proposte dall’Istruzione Liturgiam authenticam che chiede una traduzione più accurata dei testi del Messale latino. [14] Sarà questa nuova traduzione ad essere utilizzata nelle celebrazioni del Congresso.

Fratelli e sorelle in Cristo

24. Il Congresso Eucaristico Internazionale del 2012, mentre si richiama agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, vuole diventare un’occasione preziosa per condividere con le sorelle e i fratelli di altre Chiese e comunità ecclesiali, le intuizioni e la sapienza presenti nella loro esperienza ecclesiale e nelle loro strutture. [15] Con loro abbiamo in comune una gran parte della dottrina eucaristica. Molte Chiese e comunità ecclesiali, infatti, si comprendono come fraternità eucaristiche che celebrano il sacramento del Corpo e Sangue di Cristo.

25. Il Testo di Lima del 1982, Battesimo, Eucaristia e Ministero (=BEM) ebbe una calorosa accoglienza proprio perché sottolineava gli insegnamenti che le diverse Chiese hanno in comune. I numerosi dialoghi bilaterali sull’Eucaristia nei quali la Chiesa cattolica è impegnata, arricchiscono tutti ed aiutano i cattolici ad approfondire la loro fede.

Nel contesto del Congresso perciò è consigliabile uno studio comune intorno ai numerosi documenti prodotti da questi dialoghi. Tra i molti documenti ricordiamo qui, oltre al BEM, Il Mistero della Chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della Santa Trinità(Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, 1982); La dottrina eucaristica, (ARCIC, 1971), Dottrina eucaristica: spiegazioni (ARCIC, 1979), Chiarimenti su certi aspetti delle Dichiarazioni concordate su Eucaristia e Ministero (ARCIC, 1994); L’Eucaristia (Commissione luterano-cattolico, 1978); La presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo (Commissione Alleanza mondiale delle Chiese riformate-Chiesa cattolica, 1977).

L’Eucaristia è stata esplorata anche nel dialogo fra cattolici e metodisti con Il Rapporto di Dublino (1976) e La grazia che vi è stata data in Cristo (2006). [16]

26. In maniera crescente, grazie a contatti vicendevoli sempre più profondi e alla cooperazione reciproca, i cristiani sperimentano l’ardente desiderio di comunicare all’unica Eucaristia del Signore. Ma nonostante i molti e ricchi frutti del dialogo, le nostre Chiese non sono ancora giunte a quella piena comunione che permetterebbe di ritrovarsi insieme intorno stessa mensa Eucaristica.

È soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia che i cristiani sentono con maggiore intensità il peso delle loro divisioni. La sofferenza e il dolore di questa ferita devono essere riconosciuti. Il documento di Lima, Battesimo, Eucaristia e Ministero (n. 26), presenta questa situazione dolorosa con uno specifico riferimento alle conseguenze sulla testimonianza missionaria.

27. Il Concilio Vaticano II ha stabilito due principi fondamentali per regolare la partecipazione sacramentale. Il primo è la testimonianza dell’unità della Chiesa e il secondo riguarda la condivisione dei mezzi della grazia. Come regola generale, la testimonianza dell’unità della Chiesa non permette la condivisione eucaristica tra i membri delle Chiese che non sono in totale comunione con la Chiesa cattolica, ma la grazia che da questa deriva sollecita a volte questa pratica.

Non è sempre facile muoversi fra questi due principi che sono, in realtà, complementari e proprio per questo vanno sempre considerati insieme. Tuttavia è su queste basi che, per un bisogno spirituale oggettivamente serio e urgente, i membri di un’altra Chiesa che manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa nell’Eucaristia, possono ricevere la santa comunione in un’assemblea cattolica.

Esempi di tali circostanze (da giudicarsi tuttavia caso per caso) sono: l’ammissione alla comunione del genitore di un bambino che viene battezzato o cresimato nella messa o vi riceve la prima Comunione; l’ammissione del genitore di una persona cui vengono conferiti gli ordini sacri; l’ammissione dei parenti prossimi di un defunto ad un funerale.

28. Anche se la piena condivisione eucaristica di tutti i Cristiani non è ancora possibile, ci sono tuttavia altri atteggiamenti di comunione di cui occuparsi. [17] Nel nostro desiderio di unità non stiamo iniziando da zero. L’Eucaristia è la fonte e il culmine della vita cristiana ma intorno ad essa vi è un ampio spazio da esplorare più a fondo.

Da quando, con il battesimo, siamo stati inseriti nell’unica Chiesa di Cristo (Gal 3,28; 1Cor 12,13; Ef 4,4) vi sono molte “presenze” di Gesù Cristo che possono essere apprezzate e condivise, celebrate e vissute insieme. La nostra fede battesimale è la porta d’ingresso per molte forme di inter-comunione nel contesto di un dialogo di vita in cui si possono gettare le basi per diverse iniziative incentrate sulla comunione basilare con la Parola di Dio. Si pensi, ad esempio alla celebrazione della Liturgia delle ore, a progetti di pace, a pellegrinaggi ecumenici, ad impegni caritativi e all’aiuto dei poveri e degli emarginati, alla collaborazione in consigli pastorali locali, a progetti comuni di evangelizzazione, nonché all’aggregazione in nuove o già sperimentate comunità, associazioni, monasteri, ordini e movimenti religiosi.

29. La speranza è che il Congresso Eucaristico possa diventare spazio di crescita per percorsi di riflessione comune alla luce di tante esperienze positive che sono sorte a partire dal Concilio Vaticano II. E, insieme, possa diventare l’occasione per riconoscere con gratitudine il ruolo prezioso e pionieristico delle famiglie di mista confessione religiosa nello sviluppo della comunione con Cristo e con il prossimo fra cristiani appartenenti a Chiese diverse.

Preghiamo insieme perché il Congresso diventi spazio di una comunione di vita e amore sempre più grande, affinché entriamo in «quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito». [18]

Un Congresso Eucaristico per tutti

30. «Ecco che arrivano tutti». Si è talvolta ipotizzato che questa frase usata da James Joyce in una delle sue opere, faccia in qualche modo riferimento al concetto di cattolicità. Poiché l’Eucaristia contiene tutto ciò che Dio ha fatto e farà per l’intera umanità nel corso della storia della salvezza, un Congresso Internazionale sull’Eucaristia deve raggiungere tutti, le generazioni presenti e quelle future, non solo i battezzati.

Il Concilio Vaticano II ci insegna che, poiché Gesù Cristo è morto per tutti, «dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale». [19]

31. Certo, vi sono alcuni che trovano difficile persino varcare la soglia di una chiesa dopo quanto hanno sofferto a causa delle azioni di sacerdoti e religiosi o dell’inerzia dei loro superiori. Altri, per diverse ragioni, conservano solo un tenue legame con la Chiesa o la contattano soltanto in alcune occasioni speciali.

Si spera tuttavia che coloro che, per qualsiasi ragione, si sentono lontani dalla Chiesa prendano in considerazione la possibilità di ri-visitarla e, nell’occasione del Congresso, di considerare nuovamente il suo messaggio.

Potranno così scoprire una comunità che in anni recenti ha riconosciuto chiaramente le proprie colpe e i propri difetti e cerca ora, con spirito di pentimento e di riconciliazione, di rimarginare le ferite della memoria impegnandosi di nuovo ad essere e a proporre il messaggio vivificante di Gesù.

32. In linea con ciò che il Concilio Vaticano II auspica, oggi la Chiesa si mette in ascolto delle sorelle e dei fratelli con i quali procede nel suo pellegrinaggio terreno. [20] Ognuno può contribuire alla riforma della Chiesa secondo le parole del profeta Isaia: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (43,19).

II. In cammino verso il Congresso Eucaristico del 2012

33. Il Congresso Eucaristico non si limita solo alla celebrazione della settimana conclusiva che avrà luogo nel mese di Giugno 2012. Sia il periodo precedente il Congresso che quello successivo sono molto importanti. Il programma di guarigione, di rinnovamento e di riparazione legato allo scandalo degli abusi sessuali da parte di membri del clero resta una priorità.

Le indicazioni da seguire nel corso del tempo di preparazione sono fornite dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II. I punti che seguono, riuniti intorno ai temi della comunione e dell’evangelizzazione, sono semplicemente indicativi. Perché il Congresso Eucaristico è, anzitutto, un trampolino di lancio per gli stessi cattolici che desiderano impegnarsi nel cammino della nuova evangelizzazione.

Promuovere l’ecclesiologia e la spiritualità di comunione

34. Molte sono le attività che il tema del Congresso suggerisce. Ma prima di stilare dei programmi concreti, è necessario promuovere una spiritualità di comunione incentrata sull’incontro con la persona di Gesù Cristo. Come ha scritto Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, Deus Caritas Est. «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1).

Alla luce della ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II, incentrata sulla persona di Gesù Cristo, si potrebbe dire che oggi lo Spirito ispira alla Chiesa intera la promozione di una spiritualità di comunione che permetta di vedere ed incontrare Gesù Cristo. [21]

In quella che è forse una delle descrizioni più forti della comunione in termini di amore fraterno mai apparsa in un testo magisteriale offerto a tutta la Chiesa, papa Giovanni Paolo II ha spiegato i punti chiave della spiritualità di comunione che è alla base di ogni vocazione. [22] Tale spiritualità va esercitata nelle relazioni fra i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, fra i sacerdoti e i laici, fra gli ecclesiastici e i religiosi, fra le parrocchie e le associazioni o i movimenti ecclesiali.

35. Anzitutto “spiritualità di comunione” significa portare lo «sguardo del cuore sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”». Qui il papa evidenzia un nuovo modo di pensare e di sentire per condividere con il fratello «le sue gioie e le sue sofferenze… i suoi desideri e… i suoi bisogni». Questo significa offrire una vera e profonda amicizia.

36. “Spiritualità di comunione” è anche capacità «di vedere ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto». Giovanni Paolo II, poi, indica la necessità di «fare spazio» ai nostri fratelli e sorelle, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.

37. Infine Giovanni Paolo II conclude in maniera straordinaria il suo commento intorno alla “spiritualità di comunione” affermando: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz'anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita».

38. Su queste basi cerchiamo ora di discernere le implicazioni della ecclesiologia di comunione a tutti i livelli nella vita della Chiesa. Questo porta con sé, come proposto dal Vaticano II, una nuova attenzione alla Parola di Dio, un accresciuto senso di corresponsabilità nel servizio pastorale, un amore preferenziale per i poveri e le nuove generazioni, una riscoperta della dimensione carismatica della Chiesa e un maggiore apprezzamento della collegialità episcopale nella vita ecclesiale.

39. Preparandosi al Congresso, ci si può concentrare di nuovo sull’importanza della messa domenicale in termini di comunione con Cristo e tra noi. L’”obbligo” della messa domenicale è un impegno anzitutto per noi stessi tenendo conto che siamo parte di una comunità e che noi e la comunità soffriamo quando questa appartenenza è trascurata.

La Lettera apostolica, Dies Domini (31 Maggio 1998) costituisce una preziosa risorsa per esplorare i tanti e profondi aspetti della messa domenicale. La catechesi su questo tema può evidenziare come l’Eucaristia sia il mistero del Cristo che vive ed opera in seno alla Chiesa compresa come comunione. Tale catechesi può anche spiegare con chiarezza le ripercussioni sociali, etiche e culturali dell’Eucaristia.

40. La famiglia, considerata come «chiesa domestica», svolge un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa. Il donarsi reciproco dell’uomo e della donna crea una nuova realtà di comunione, di vita condivisa che si riversa nella società e nella Chiesa. La Chiesa ha spesso accennato al carattere nuziale dell’Eucaristia, il sacramento del Cristo sposo e della sua sposa.

Nella Esortazione apostolica di Benedetto XVI Sacramentum caritatis, si legge come «nella teologia paolina, l'amore sponsale è segno sacramentale dell'amore di Cristo per la sua Chiesa, un amore che ha il suo punto culminante nella Croce, espressione delle sue “nozze” con l'umanità e, al contempo, origine e centro dell'Eucaristia. Per questo la Chiesa manifesta una particolare vicinanza spirituale a tutti coloro che hanno fondato la loro famiglia sul sacramento del Matrimonio» (n. 27).

Il Congresso Eucaristico del 2012 rappresenta un’utile occasione per esaminare come, nella società contemporanea, si possa aiutare la famiglia a vivere pienamente la propria vita di comunione; a scoprire quello che la vita familiare nella varietà delle sue dimensioni può offrire alla più grande comunione ecclesiale. In questo contesto si può fare riferimento anche all’Esortazione Apostolica Familiaris consortio (1981) di Giovanni Paolo II e alla sua Lettera alle famiglie (1994).

41. Il contributo dell’amore coniugale e di una stabile vita familiare al bene comune è incalcolabile. Per questo tanto più grande è il dolore per i matrimoni falliti e le famiglie disgregate. La Chiesa desidera soccorrere i fedeli che si trovano in tali difficili circostanze con un attento discernimento delle diverse situazioni.

Il Congresso Eucaristico Internazionale del 2012 dovrebbe esaminare quanto si afferma in Sacramentum caritatis: «I divorziati risposati, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli» (n. 29).

La missione di evangelizzare

42. La Chiesa esiste per evangelizzare. Ha una buona notizia da portare. È chiamata a indicare la strada che conduce alla felicità e alla pienezza. Nel Vangelo leggiamo di alcuni greci che, durante il pellegrinaggio a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua, chiesero all’apostolo Filippo di «vedere Gesù» (Gv 12,21). Anche oggi sono molti quelli che lo vogliono vedere. Forse, più che mai, essi desiderano che i Cristiani non solo «parlino» di lui, ma che anche lo «facciano vedere».

43. L’Eucaristia ci introduce in una comunione che, per sua natura, è missionaria, evangelizzatrice. Se realizziamo le implicazioni dell’Eucaristia, noi manifestiamo Gesù Cristo nella nostra vita personale e comunitaria. Comunione ed evangelizzazione sono intimamente legate. Come scrive un autore contemporaneo «è di per sé evidente che soltanto un popolo di Dio, che si è lasciato radunare in unità e concordia, è in grado di convincere il mondo». [23]

Grazie ad un debito d’amore noi usciamo trasformati dalla celebrazione eucaristica per trasformare il mondo intorno a noi con l’amore che abbiamo incontrato. Con convinzione prolunghiamo l’opera di Gesù Cristo verso tutti per costruire comunione: «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,3).

44. Di conseguenza, il Congresso Eucaristico Internazionale del 2012 è l’occasione giusta per rivedere insieme il rapporto tra Eucaristia ed evangelizzazione.

Sulla base della ecclesiologia di comunione missionaria del Concilio, la missione evangelizzatrice della Chiesa è spesso presentata in termini di “cerchi di dialogo”. [24] Noi dialoghiamo gli uni con gli altri, con sorelle e fratelli cristiani e di altre religioni. Il dialogo si estende a tutte le persone di buona volontà, con o senza convinzioni religiose, impegnati nella costruzione di un mondo basato sulla dignità della persona umana e sui valori della giustizia e della libertà, della vita e della pace, della solidarietà con gli emarginati, dell’educazione, dell’attenzione verso i malati e i bisognosi.

Riconoscendo questo fatto il Congresso Eucaristico può trasformarsi in un evento di rispettosa proclamazione, di dialogo, di condivisione del Vangelo, di testimonianza. In questo senso è necessario rinnovare la nostra vocazione per essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Qui possiamo trarre ispirazione anche dalle profonde intuizioni del beato John Henry Newman sul rapporto tra fede e ragione.

45. Oggi la Chiesa ci invita a essere ricchi di immaginazione. Presenta il bisogno di una evangelizzazione che sia nuova per energia, metodo e comunicazione. Il Congresso Eucaristico dovrebbe integrare ed armonizzare le varie forme di devozione popolare legate all’Eucaristia nel solco della nuova evangelizzazione e secondo un’ecclesiologia eucaristica orientata verso la comunione.

46. Sembra opportuno che la preparazione per il Congresso comporti una qualche forma di riconoscimento, davanti a Dio e agli altri, delle colpe commesse dai membri della Chiesa. La purificazione della memoria è indispensabile sia per la comunione che per l’evangelizzazione.

47. Il mistero Eucaristico apre i nostri occhi sulle implicazioni sociali, culturali e politiche del Vangelo. È la «scuola dell’amore attivo verso il prossimo». [25] Possiamo pensare alle riflessioni della beata Teresa di Calcutta sul fatto che nella messa noi abbiamo Gesù sotto il segno del pane, mentre nelle baraccopoli vediamo e tocchiamo il Cristo nei bambini abbandonati e nei corpi sofferenti. Un’autentica partecipazione alla messa ci spingerà a rivedere le nostre relazioni personali, sociali e istituzionali con il nostro prossimo.

Il Congresso Eucaristico del 2012 è un’occasione per indagare, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa, l’influsso dell’Eucaristia sull’impegno della Chiesa nel promuovere la giustizia, la pace e la libertà. In particolare, in termini di comunione può essere analizzata la vita economica e politica alla luce dell’enciclica Caritas in Veritate (2009) di Benedetto XVI.

48. Difendere il creato secondo la logica della comunione rappresenta un altro percorso che può essere vantaggiosamente seguito in preparazione al Congresso.

È l’occasione per riflettere sulle minacce nei confronti dell’ambiente e sulla speranza cristiana che ci impegna a lavorare responsabilmente per proteggere il creato. L’Eucaristia ha un carattere universale e, per così dire, cosmico perché «perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l'Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso,sull'altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato». [26]

49. Infine, il Congresso Eucaristico Internazionale del 2012 ci aiuterà a riflettere sulle immense possibilità offerte dai mass-media e dalla tecnologia digitale per costruire la famiglia universale del genere umano.

Analizzando il messaggio dell’Eucaristia possiamo scoprire prospettive spirituali, teologiche e culturali che possono offrire spunti di riflessione su una migliore comprensione ed uso dei mass-media.

Sulle tracce dei discepoli di Emmaus

50. L’episodio dell’incontro del Risorto con i discepoli sulla strada di Emmaus (Lc 24,13-35) è particolarmente significativo per noi che cominciamo a camminare verso l’appuntamento del 2012. Il racconto è una parabola ispirativa. Parla di un fatto che si verifica «lungo la strada».

Due discepoli che hanno seguito Gesù stanno tornando a casa loro e discutono dei terribili e misteriosi avvenimenti che si sono verificati a Gerusalemme: la crocifissione di Gesù e la scoperta della tomba vuota. Uno sconosciuto si avvicina per condividere il loro cammino. Essi non lo riconoscono. Disillusi ed increduli i due discepoli camminano tristi senza riconoscere nel viandante il Signore crocifisso e risorto. Disorientati e scossi, non sanno vedere ciò che c’è di nuovo.

Ed ecco che lo sconosciuto entra nel loro dialogo. In quello che è quasi un racconto pasquale, i due discepoli raccontano la loro storia fino alla crocifissione. Manca solo la risurrezione! La morte di Gesù aveva soffocato la loro speranza di libertà. Avevano sperato che egli avrebbe inaugurato la venuta del Regno di Dio con la conseguenza di nuove relazioni con Dio e di nuovi rapporti all’interno della comunità messianica appena costituita. Invece alcuni dei loro capi lo avevano consegnato perché fosse condannato a morte. Le cose non erano andate come avevano sperato ed ora i discepoli, disorientati e rattristati, tornano a casa loro. Per la verità, erano circolate delle voci riguardanti la tomba trovata vuota da alcune donne che avevano seguito Gesù e che avevano annunciato la risurrezione, ma tutto ciò aveva provocato nei due discepoli solo un momentaneo moto di meraviglia.

51. A questo punto Gesù, che li aveva ascoltati attentamente, inizia a parlare. Egli è la Buona Novella che devono sperimentare! Anzitutto spiega loro quanto nelle Scritture può aiutarli a comprendere il mistero del Cristo. Sottolinea che la condizione fondamentale per entrare nella nuova vita con Dio passa attraverso la sua pasqua di morte e risurrezione.

Il cammino si conclude quando i due discepoli raggiungono la loro meta. Ma poiché ormai si è fatto sera, essi chiedono insistentemente al misterioso viandante di restare con loro. Come non leggere in questo invito una preghiera affinché Gesù resti con noi, nella nostra comunità, quando la notte oscura si avvicina?

52. «Ed egli entrò per rimanere con loro». Quando fu a tavola, Gesù si comportò come era previsto dal rituale ebraico del pasto serale. Nei suoi gesti, il lettore cristiano percepisce l’ombra dell’azione eucaristica. Gesù, come fosse il capofamiglia, condivide la mensa con i discepoli.

Questo ci ricorda che nell’Eucaristia i credenti sono invitati a sedersi alla mensa del banchetto celeste presieduto dallo stesso Risorto. E quando egli spezza il pane i due discepoli riconoscono chi è colui che ha camminato con loro sulla strada.

Tuttavia, appena riconosciuto, Gesù scompare dalla loro vista. Ora la sua presenza diviene «visibile», in modo nuovo, attraverso la fede. Diviene «visibile» negli stessi discepoli i cui occhi sono stati aperti dalle Scritture e dal gesto eucaristico. Tocca a loro, ormai, diffondere il Vangelo continuando la missione di Gesù. Egli resta in loro e con loro.

53. Nel racconto dei discepoli che vanno verso Emmaus l’evangelista Luca sottolinea che, prima di aprire i loro occhi, Gesù spiega loro le Scritture preparando così un autentico incontro personale nella fede. Luca nota anche che mentre Gesù parlava lungo la strada (Lc 3,16) i loro cuori ardevano nel petto per mezzo dello Spirito Santo che ridestava la loro la fede, forgiava una nuova relazione con il Risorto e li spingeva a diventare testimoni nel mondo. Una volta che Gesù è scomparso ai loro occhi, i due discepoli, secondo il racconto, tornano immediatamente a Gerusalemme anche se è notte.

È importante, infatti, tornare a quella comunione con quanti, in Cristo Gesù, costituiscono il nucleo della Chiesa primitiva. Lì essi odono la testimonianza degli undici: «Gesù è veramente risorto ed è apparso a Simone», cioè a Pietro. La testimonianza di Pietro e quella degli apostoli scelti da Gesù sarà di autorità per la fede nella resurrezione di Gesù. Ma i discepoli di Emmaus sono tornati a Gerusalemme anche per «evangelizzare»per raccontare quello che era accaduto sulla strada e cioè la spiegazione delle Scritture da parte di un viandante sconosciuto e il riconoscimento del Risorto nello «spezzare il pane». Il messaggio è chiaro.

Per la comunità cristiana le Scritture e l’Eucaristia sono lo spazio fondamentale per incontrare il Cristo risorto che ci fa crescere in comunione tra noi e poi, come “altri Cristo” ci manda a diffondere il Vangelo sulle strade del mondo.

 

Parte Seconda:
Le parti della messa come guida al tema del Congresso

 

54. Nella seconda parte di questo documento prendiamo in considerazione il tema del Congresso. Nessuna sintesi può adeguatamente presentare la ricchezza di significato e i riferimenti contenuti nell’Eucaristia.

Secondo le parole del Catechismo della Chiesa cattolica, «la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio, su cui si fonda la Chiesa, sono adeguatamente espresse e mirabilmente prodotte dall’Eucaristia». [27]

Nell’antifona O Sacrum Convivium [28] , san Tommaso di Aquino ci offre un meraviglioso riassunto dell’Eucaristia: «O sacro convito, in cui Cristo è nostro cibo, si perpetua il memoriale della sua passione; l'anima è colmata di grazia, e ci è dato il pegno della gloria futura».

55. La Messa è l’azione di quello che sant’Agostino chiama il «Cristo totale» cioè del Cristo risorto e, insieme, del suo corpo che è la Chiesa. Gesù Cristo è colui che presiede l’Eucaristia. È lui che ci ama per primo riunendoci in assemblea, parlando a noi, accogliendo le nostre preghiere ed offrendo se stesso al Padre a nostro favore con la forza dello Spirito. È lui che ci nutre con il pane del cielo, il pane della vita e della verità. L’Eucaristia ci proietta verso il ritorno glorioso di Cristo. La Chiesa dipende in tutto e per tutto da questa azione di Cristo. Il popolo di Dio prega ed offre se stesso al Padre per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità dello Spirito Santo.

Ogni comunità che si raduna per la messa, per quanto piccola essa sia, manifesta la Chiesa universale in questa grande azione liturgica. In quanto tale la messa è un rito pubblico e non un gesto privato o individuale. [29]

56. Per mettere a fuoco il tema del Congresso questa parte del documento sarà organizzata intorno alla struttura della celebrazione eucaristica. Un attento studio delle parti e dei testi della messa rivela molte cose dei tesori spirituali della Chiesa.

Le nostre riflessioni sul tema del Congresso Eucaristico Internazionale del 2012 saranno guidate dall’analisi delle diverse parti della messa.

In questo percorso scopriremo progressivamente che tre sono le comunioni correlate tra loro in ogni celebrazione eucaristica: la comunione con Cristo nell’assemblea dei fratelli, la comunione con Cristo nella Parola e la comunione nei segni sacramentali del pane e del vino. Una citazione del racconto dei discepoli di Emmaus aprirà la riflessione di ciascuna sezione.

 

I. Riti di introduzione:
la comunione con Cristo presente nell’assemblea dei fratelli

«In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste… Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro». (Lc 24,13-17. 28-29)

Il Cristo crocifisso e risorto ci raduna insieme

57. I discepoli sulla strada di Emmaus chiedono a Gesù di restare con loro. Accogliendo questa preghiera è come se egli diventasse il capofamiglia, radunandoli insieme per la mensa eucaristica. Prima che la messa abbia inizio i cristiani si radunano insieme in un luogo, raccolti dallo stesso Gesù Cristo.

58. Quando ci raduniamo insieme, è la Chiesa che si riunisce in un determinato luogo. Scrivendo intorno alla partecipazione alla Cena del Signore, san Paolo usa una frase («quando vi radunate in assemblea …» [1Cor 11,18. 20]) che riecheggia la parola greca ekklēsia (= Chiesa) e quella ebraica qahal (= la santa assemblea del popolo di Dio).

Gesù Cristo che sempre precede la Chiesa, colui che in maniera invisibile ma reale presiede la celebrazione, raduna il suo popolo sacerdotale (cfr 1Pt 2,9). Egli è lo sposo della Chiesa sua sposa, che ci invita a partecipare nuovamente al “banchetto memoriale” nel quale, l’evento di salvezza avvenuto una volta per sempre, si rende efficacemente presente. Il canto che il popolo di Dio innalza durante la messa fonde le voci di tutti in una sola voce e trasforma i presenti in un cuor solo ed un’anima sola che dà gloria al Padre.

59. In nostro convenire insieme per la messa ci sembra una cosa tanto ovvia che rischiamo di trascurare il valore dell’assemblea. Eppure, in un’epoca in cui l’incontro con gli altri - soprattutto nell’anonimato delle metropoli urbane - è veicolato dalla tecnologia della televisione, da internet e dai telefoni cellulari piuttosto che dall’incontro umano interpersonale, è importante riscoprire questa evidente caratteristica della messa: essa raccoglie insieme persone diverse per età, estrazione sociale ed interessi. Tanto che uno dei primi nomi utilizzati nell’antichità per identificare la celebrazione eucaristica fu proprio synaxis, cioè assemblea, riunione.

60. L’inizio della celebrazione è segnato dal gesto della processione. La processione – breve o lunga che sia - richiama il fatto che la nostra vita è un pellegrinaggio. Noi siamo impegnati insieme in un santo viaggio. Il popolo d’Israele camminò nel deserto verso la terra promessa (Es 19,4), quasi portato «su ali d’aquila», sotto la guida di Mosé, di Giosué ed altri ancora. Dio diede loro la manna come cibo per il viaggio.

Anche Gesù ha raccolto i suoi apostoli e con loro è salito a Gerusalemme. A un livello ancor più profondo Gesù ha interpretato come un viaggio la sua incarnazione e il passaggio da questo mondo a colui che egli chiamava Abbà, padre. Dopo la sua Pasqua, come si vede nel caso di Emmaus, il Risorto, riunisce nuovamente la comunità messianica sconvolta dall’apparente fallimento della sua missione. Trasforma i suoi discepoli in seguaci colui che ben presto sarebbe stato chiamato “la Via” (Cristo stesso, nel Vangelo di Giovanni [14,6], si definisce «la via, la verità e la vita»).

Ad ogni messa Gesù Cristo raduna l’assemblea dei battezzati per celebrare il grande memoriale della sua passione, morte e risurrezione. Questo memoriale ci unisce e ci rende partecipi della vittoria del nostro capo, il nuovo Giosué, che ci guida nel pellegrinaggio verso la terra promessa della comunione con lui e tra noi.

61. Nel saluto iniziale, quando il vescovo o il sacerdote, agendo nella persona di Cristo, dice «Il Signore sia con voi» e le persone rispondono «E con il tuo spirito» noi riconosciamo che il Cristo si rende presente in mezzo a noi realizzando il nostro desiderio di unità al di là di ogni nostra attesa. Egli ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

Ma quando diciamo che Gesù è in mezzo a noi, ricordiamo anche che egli vuole che noi siamo là dove egli abita per sempre: nel cuore di Dio.

62. Segnandoci con il segno della croce all’inizio della celebrazione, ricordiamo che non siamo in un edificio particolare a rendere culto ad un Dio lontano da noi. No, per Dio noi non siamo degli estranei ma, grazie a Gesù Cristo, siamo dei familiari, battezzati che partecipano fin d’ora della vita divina, sperimentando le profonde relazioni di comunione amorosa che intercorrono tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Gesù, il sommo sacerdote che presiede la preghiera, sta in piedi di fronte al trono della grazia e intercede per noi. Attraverso il rito liturgico siamo introdotti in un movimento di amore che ci inserisce in Gesù Cristo, ci avvicina nello Spirito al Padre ed apre i nostri occhi su coloro che vivono con noi in comunione di fede.

Si, siamo in un edificio chiamato chiesa ma anche in uno spazio sacro aperto per noi dallo Spirito Santo. In questa atmosfera spirituale della Trinità d’amore (cfr 1Gv 4) noi siamo invitati a scoprire gli altri come sorelle e fratelli con i quali siamo profondamente uniti perché il Signore Gesù ha dato la sua vita per ciascuno di noi (cfr Cor 8,11).

L’atto penitenziale e la “colletta”: solidali con il prossimo

63. Subito dopo la dichiarazione iniziale della messa, certi che «il Signore è con noi» e coscienti di quanto stiamo per celebrare, prima di ascoltare la Parola di Dio ci viene offerta l’opportunità di di un momento di silenzio per confessare i nostri peccati ed essere riconciliati con Dio.

Solo Dio può perdonare i peccati. Ma nel quarto Vangelo si legge che, la sera del primo giorno della settimana, Gesù diede ai Dodici il potere di perdonare i peccati (Gv 20,21-23) alitando su di loro ed effondendo così il suo Santo Spirito. L’assemblea riunita per la celebrazione dell’Eucaristia è bisognosa di perdono non solo come somma di individui ma come comunità solidale. Nella preghiera facciamo affidamento sulla nostra comunione con Maria, gli angeli, i santi e tutti i credenti. Riprendiamo il nostro cammino battesimale di amore verso Dio e il prossimo con l’impegno totale di mente e cuore.

Il rito dell’aspersione con l’acqua, usato talvolta all’inizio della messa, sottolinea il legame fra il nostro battesimo e la partecipazione all’Eucaristia. Con il «Gloria » innalziamo la nostra lode al Padre per tutti i doni ricevuto e specialmente per il dono del suo Figlio.

64. L’invito del sacerdote «Preghiamo» ci conduce alla preghiera comunemente chiamata “colletta” che conclude i riti di introduzione della Messa. Siamo invitati al silenzio e alla preghiera. È il momento di raccogliere tutte le preghiere che ci portiamo in cuore per esprimerle insieme in questa preghiera “collettiva” rivolta a Dio Padre per mezzo del Cristo nello Spirito Santo. Impregnata di fede, di speranza e di carità, la nostra vita è chiamata a trasformarsi in un «sì» incondizionato a Dio, espresso nell’amore per il prossimo e nella preghiera quotidiana.

Tutto ciò viene affermato con forza quando, nella celebrazione della messa, portiamo davanti a Dio tutta la nostra vita personale e familiare; le gioie e i dolori, le speranze e i desideri di tutta la Chiesa e dell’intera umanità.

Abbiamo bisogno di questo momento, proprio all’inizio della messa, per volgere a Dio il nostro pensiero, ringraziarlo per la bontà che ci ha dimostrato, pregarlo di darci nuovi doni. Per questo nella “colletta” sono spesso presenti affermazioni profonde sulla festa che si celebra o sul tempo liturgico.

 

II. La liturgia della Parola:
Comunione con Cristo nella Parola

«Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.… Ed essi dissero l'un l'altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”» (Lc 24,27. 32)

La mensa della Parola e del Pane di vita

65. Nel racconto evangelico di Emmaus il Signore risorto rimprovera ai due discepoli di non nutrire sufficientemente la loro fede con le Scritture: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (Lc 24,25). Prima di aprire loro gli occhi affinché lo riconoscano nel gesto dello spezzare il pane, Gesù spiega la Scrittura ai discepoli e l’interpreta per loro.

In altre parole: l’incontro con Cristo nella Scrittura è intimamente legato all’incontro di fede con lui nello spezzare il pane. Il sesto capitolo del vangelo di Giovanni indica anche che ricevere il Pane della vita non è separato dall’ascoltare, dal credere e dal vivere pienamente la Parola del Signore.

66. La storia del popolo di Israele è la storia di un popolo guidato in maniera vitale dalla Parola di Dio. Il mondo fu creato attraverso la Parola. I profeti la annunciarono. La Parola venne concepita quasi come una presenza personale. Così il popolo d’Israele comprese che, come la pioggia e la neve, la Parola realizza ciò per cui è stata inviata (Is 55,10 ss). Nelle lettere dell’apostolo Paolo la Parola viene presentata come qualcosa di vivo ed efficace. Per questo egli affida gli anziani di Efeso alla Parola che fa crescere (At 20,32). Nel prologo del quarto Vangelo si legge come Gesù abbia portato a compimento tutto ciò che la Parola di Dio ha realizzato nel Vecchio Testamento. Gesù, «Verbo fatto carne», ha piantato la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14).

Esiste uno stretto legame fra Gesù Parola discesa dal cielo – parola di vita comunicata a noi nella Bibbia –, e il Pane di vita che egli ci offre come cibo spirituale. La prima lettera di san Giovanni inizia con una descrizione di come gli apostoli hanno udito, visto, contemplato e trasmesso «il verbo della vita».

67. In continuità con la tradizione antica, la Scrittura viene proclamata in ogni messa. Scrivendo verso l’anno 150 il martire san Giustino descrive la Messa con parole facilmente comprensibili anche per noi, illustrando le linee fondamentali della celebrazione Eucaristica rimaste praticamente immutate fino ad oggi.

Egli ricorda che «nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, colui che presiede con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi». [30]

68. Riconoscendo la presenza di Cristo nelle Sacre Scritture, molti testi patristici e conciliari mettono in parallelo l’Eucaristia e la Parola. Ignazio di Antiochia afferma: «Il mio rifugio è nel vangelo che è per me come la carne di Gesù». [31] E Cesario di Arles: «Vi domando, fratelli e sorelle, che cosa vi sembra più importante: la Parola di Dio, o il Corpo di Cristo? Se volete rispondere bene, dovete senza dubbio dire che la Parola di Dio non è da meno del Corpo di Cristo. E allora, se poniamo tanta cura quando ci viene consegnato il Corpo di Cristo perché nulla di esso cada per terra dalle nostre mani, non dovremmo porre altrettanta attenzione perché la Parola di Dio, che ci è offerta, non sfugga dal nostro cuore, cosa che avverrebbe se stiamo pensando ad altro? Colui che avrà ascoltato con negligenza la parola di Dio non sarà meno colpevole di colui che, per la propria negligenza, avrà fatto cadere a terra il Corpo di Cristo». [32]

Anche san Girolamo confronta il corpo e il sangue del Signore con la conoscenza delle Scritture: «Certo poiché la carne del Signore è vero cibo e il suo sangue vera bevanda … abbiamo di buono questo nella nostra attuale vita nel mondo: poter mangiare la sua carne e bere il suo sangue, non solo nel mistero, ma anche nella lettura delle Scritture. Il vero cibo e la vera bevanda che si prende dal Verbo di Dio è la scienza delle Scritture. Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue...». [33] Ricordiamo anche l’altra affermazione famosa di san Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». [34]

Il Concilio Vaticano II non solo ha detto cose straordinarie sull’importanza della Parola di Dio [35] ma ha avuto anche il grande merito di insistere affinché «la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza e vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia». [36]

69. Usando l’immagine della mensa della Parola e della mensa del Corpo di Cristo intorno alla quale ci raduniamo per la messa, l’Ordinamento Generale del Messale Romano fa emergere il legame fra la liturgia della parola e la liturgia eucaristica: «La messa è costituita da due parti, la “Liturgia della Parola” e la “Liturgia eucaristica”; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto40. Nella messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro». [37]

70. La parte principale della Liturgia della Parola è composta dalla lettura di alcuni brani della sacra Scrittura, nonché da un salmo fra le letture. L’omelia, la professione di fede e la preghiera universale, o “preghiera del fedeli”, la completano e la concludono.

Veramente, in questa parte della messa si proclamano e si odono molte cose e nel fiume di parole che scorre nel nostro mondo è abbastanza facile sentirsi stanchi ed insensibili anche a contatto con le Scritture. Eppure tutti abbiamo vissuto l’esperienza della parola giusta detta al momento giusto che ci ha aiutato molto. Le parole possono consolare o incoraggiare, creare o rinnovare un’amicizia, esprimere amore e decisione. Le parole non comunicano soltanto informazioni! Esse veicolano le relazioni interpersonali.

Tanto più questo vale per la Parola di Dio perché in essa è presente lo stesso Gesù Cristo: è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. [38] Egli è la Parola che costruisce la comunione.

Con la forza dello Spirito la Parola ci “cristifica” rendendoci un corpo solo

71. La Liturgia della Parola è un momento importante nel quale si offre alla comunità riunita un incontro profondo ed efficace con Gesù Cristo attraverso la sua Parola che edifica la nostra comunione con lui e tra noi. Tale incontro si realizza con la forza dello Spirito Santo.

Come si legge nell’Ordinamento delle letture della Messa: «La parola di Dio, costantemente annunziata nella liturgia, è sempre viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo, e manifesta quell'amore operante del Padre che giammai cessa di operare verso tutti gli uomini». [39]

La Liturgia della Parola ci conduce a un dialogo attivo nel quale lo Spirito è all’opera. Ed è proprio lo Spirito Santo a rendere possibile la nostra effettiva risposta alla Parola così che ci identifichiamo con ciò che abbiamo udito e mettiamo in pratica ciò che ci è stato proposto (Gc 1,22).

72. La Parola, inoltre, costruisce comunione perché, attraverso la potenza dello Spirito, l’apertura al dialogo-incontro con Cristo ci “cristifica”, ci rende partecipi in qualche misura della Pasqua del Signore facendoci morire a quello che san Paolo definisce “l’uomo vecchio” per rivestire “l’uomo nuovo” cioè il Cristo risorto che in ciascuno di noi realizza compiutamente il piano di Dio (Ef. 4,22-23).

Mantenendoci in comunione vivente con la testimonianza degli apostoli trasmessa nelle Scritture, la Parola ci aiuta a capire sempre più profondamente la nostra identità battesimale: «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). E se Cristo vive in noi, allora noi tutti siamo una cosa sola: «Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3:28).

73. Come abbiamo appreso dalla parabola evangelica del seminatore che esce a seminare (Mc 4,1-20) la Parola di Dio contiene la forza del Regno e può produrre frutti abbondanti. Che la Parola proclamata e udita alla messa possa avere un tale effetto nella vita si può desumere dal fatto che in tutta la storia della Chiesa vi sono stati molti episodi significativi di persone che ascoltando il Vangelo proclamato nella liturgia hanno cambiato direzione alla propria esistenza.

Sì, veramente la Parola è profetica e sconvolgente! Basti pensare ad Antonio abate. Un giorno, in chiesa, ascoltò la frase del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21). Subito egli la mise in pratica e ciò cambiò completamente la sua vita. Divenne il fondatore della tradizione monastica che, nella Chiesa, ha ispirato numerose comunità caratterizzate da una vita radicale di comunione fraterna. Ricordiamo anche Francesco d’Assisi, il cui incontro con la Parola diede vita al movimento riformatore francescano.

Per questo sembra ancora valido il consiglio pratico dato nei primi secoli della chiesa da san Giovanni Crisostomo che, parlando con alcuni fedeli diceva: «Quando tornate a casa con la moglie ed i figli dovreste prendere le Scritture e leggerle di nuovo e ripetere la Parola che avete udito». [40]

L’omelia, la professione di fede e la preghiera dei fedeli

74. Si potrebbe dire che l’omelia è per la Liturgia della Parola ciò che il gesto dello spezzare il pane è per il rito della comunione. L’omelia ha lo scopo di incoraggiarci ad accettare la Parola per ciò che essa veramente è, Parola di Dio, e a metterla in pratica nelle realtà concrete della nostra vita.

“Omelia” viene da una parola greca che significa “conversazione familiare”. Per mezzo dell’omelia, la proclamazione della Parola di Dio diventa, insieme con la liturgia eucaristica, «quasi un annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo». [41] Nell’aiutare i fedeli ad assumere il pensiero di Cristo spiegando qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura o di altri testi dell’ordinario o del proprio della messa del giorno, colui che pronuncia l’omelia tiene presente sia il mistero che si sta celebrando, sia le particolari necessità degli ascoltatori. [42]

L’omelia ha l’obiettivo di spiegare la Parola di Dio ed aiutare le persone a scoprire quell’“arte di vivere” in comunione con Cristo e con gli altri che nell’Eucaristia trova la sua fonte.

75. Il Credo, o “professione di fede”, recitato dall’assemblea nella celebrazione domenicale dell’Eucaristia raccoglie i grandi misteri della fede. Il Credo è come la nostra carta di identità che esprime la comunione nella fede attraverso il linguaggio della tradizione ecclesiale. Il Catechismo ricorda che «recitare con fede il Credo, significa entrare in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed anche con tutta la Chiesa che ci trasmette la fede e nel seno della quale noi crediamo». [43]

Effettivamente, le espressioni «In pace» apposte sulle tombe cristiane dei primi secoli, prima di invocare pace per quanti erano morti, dichiaravano che quei defunti erano vissuto nella comunione di fede della Chiesa.

Ogni volta che recitiamo il Credo noi affermiamo la nostra fede nel Dio Uno e Trino, fonte e modello supremo della comunione ecclesiale. La vocazione della Chiesa è quella di diventare «un popolo che trae la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». [44]

76. Dopo avere recitato il Credo esprimiamo le nostre invocazioni nella “preghiera dei fedeli” per i bisogni di tutta la Chiesa e la salvezza del mondo intero.

Nelle intenzioni di preghiera, la consapevolezza della nostra comunione si espande oltre i confini dell’assemblea liturgica raccolta in un luogo determinato. Con fiducia innalziamo la nostra preghiera fidandoci della promessa di Gesù: «Se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19). È il momento in cui, insieme con Gesù, ci poniamo di fronte al trono della grazia, intercedendo per tutto il genere umano.

L’intercessione è una forma di preghiera fondata su antichi modelli di preghiera sinagogale che i cristiani hanno adottato ed inserito nelle loro celebrazioni eucaristiche fin dagli inizi. La preghiera dei fedeli non è qualcosa di scontato tanto che ai catecumeni viene chiesto di ritirarsi prima del suo inizio. È un privilegio fare parte di questa comunità riunita in con Cristo e con gli altri.

 

III. La Liturgia dell’Eucaristia:
comunione con Cristo nell’Eucaristia

«Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30)

Somiglianza con l’ultima cena

77.  Descrivendo il momento culminate dell’esperienza dei discepoli di Emmaus, l’evangelista Luca presenta il Risorto che ripete le stesse azioni compiute già in occasione della moltiplicazione dei pani e nell’ultima cena. Egli prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo distribuisce. Luca sottolinea chiaramente la connotazione eucaristica del fatto.

E in realtà, sullo sfondo dei quattro resoconti dell’istituzione dell’Eucaristia riportati nel Nuovo Testamento (Mt 26,17-35; Mc 14,12-31; Lc 22,7-38; 1Cor 11,23-26) si possono intravedere le reliquie di un testo liturgico che dovette essere utilizzato dalle comunità apostoliche del primo secolo, testo in cui erano riassunti gesti e parole di Gesù nell’ultima cena.

78. L’Ordinamento generale del Messale Romano al n. 72 ci ricorda che la liturgia eucaristica, nei suoi vari momenti, corrisponde alle parole e ai gesti compiuti da Cristo durante l’ultima cena così come ci sono stati tramandati dalla Scrittura e dalla tradizione:

- Nella preparazione dei doni vengono portati all'altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani;

- Nella Preghiera eucaristica si rende grazie a Dio per tutta l'opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, sorgente della nostra comunione con gli altri;

- Mediante la frazione del pane e per mezzo della comunione sacramentale i fedeli, benché molti, si cibano del Corpo del Signore dall'unico pane e ricevono il suo sangue dall'unico calice, allo stesso modo con il quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.

La preparazione dei doni: segni di amore, rendimento di grazie e comunione

79. All'inizio della Liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. Essi sono elementi naturali, dei segni che rappresentano in maniera semplificata i doni della creazione che l’amore di Dio ci ha offerto e che il nostro lavoro ha trasformato. «La presentazione dei doni all’altare assume il gesto di Melchisedek e pone i doni del Creatore nelle mani di Cristo. È lui che, nel proprio sacrificio, porta alla perfezione tutti i tentativi umani di offrire sacrifici». [45]

80. Nell’offerta del pane e del vino risuona l’eco della liturgia ebraica e della sua formula di benedizione chiamata berakah. La berakah non è una semplice benedizione rituale ma piuttosto un rendimento di grazie a Dio per i benefici e le cose meravigliose che egli ha compiuto per il suo popolo. Esprime ammirazione e fede e, insieme, la necessità di rispondere generosamente a Dio che ha stretto alleanza con il suo popolo e lo ha raccolto in unità.

Dio ci ha amato per primo ed è venuto incontro al suo popolo donandogli ogni benedizione. Per questo noi possiamo celebrare le meraviglie della salvezza, rendergli grazie e benedire il suo nome.

81. Il pane e il vino presentati a questo punto della messa sono segni che ci preparano a quanto si sta per celebrare. Il pane e il vino saranno trasformati da Dio nel corpo glorificato e nel sangue del suo Figlio. Quindi, la sua vita glorificata ci sarà comunicata in forma di cibo e di bevanda che ci daranno forza e ci consolideranno come comunità.

Nel rito della comunione, quando mangeremo il pane trasformato nel cibo celeste, la sua consumazione diventerà la nostra rigenerazione perché ci inserirà nel Cristo, in comunione gli uni con gli altri. Così, mentre si preparano i doni, non soltanto ci apriamo all’azione di Dio che trasformerà il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo, ma ci rendiamo disponibili per essere trasformati in strumenti di comunione.

In questo senso può essere compresa anche l’aggiunta di una goccia di acqua nel calice del vino: essa esprime l’unione della nostra umanità al dono che Gesù fa di se stesso nell’Eucaristia, dono che ci rende una sola cosa.

82. La preparazione dei doni ci trascina anche in quella che è chiamata, talvolta, “liturgia cosmica”, cioè il movimento dell’intera creazione verso il fine escatologico ultimo della glorificazione di Dio e della trasformazione del mondo. Il fine dell’Eucaristia è quello di iniziare qui e ora la “cristificazione” dell’intero cosmo affinché esso sia riunito nel culto di Dio che sarà «tutto in tutti» come scrive san Paolo (1Cor 15,28).

Il fatto di usare il pane e il vino, semplici elementi della creazione, ci ricorda la sacralità del creato. Il mondo non è qualcosa di irrilevante, materia grezza da impiegare secondo le opportunità. Esso, invece, è stato creato da Dio e rappresenta una parte fondamentale del piano divino. Per la sua relazione con l’umanità esso è intimamente legato alla nostra vocazione di figli adottivi mediante Gesù Cristo (Ef. 1,4-12). Ecco come l’Eucaristia assume un carattere cosmico. Teilhard de Chardin scriveva in maniera evocativa che l’Eucaristia è «l’inno dell’universo».

83. Spesso durante la celebrazione domenicale dell’Eucaristia, e in modo particolare alla presentazione del pane e del vino, si fa una colletta in denaro o vengono offerti all’altare dei doni per la carità, per sottolineare il forte legame fra l’Eucaristia e il comandamento dell’amore fraterno. Sappiamo che, fin dalle origini, i cristiani si preoccuparono delle conseguenze sociali della fede e si impegnarono a condividere i loro beni (At 4,32) e ad aiutare i poveri (Rom 15,26) per esprimere i loro legami di comunione.

Le descrizioni dell’Eucaristia risalenti alla metà del secondo secolo accennano alla colletta per gli orfani, le vedove e quanti sono nel bisogno per la malattia o per altri motivi. Ecco le parole di San Giustino: «I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso chi presiede. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno». [46]

In questo contesto ricordiamo anche le parole di san Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che egli sia nudo: e non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, per poi tollerare, fuori di qui, che egli stesso muoia per il freddo e la nudità. Colui che ha detto:”Questo è il mio corpo", ha detto anche: "Mi avete visto affamato, e non mi avete nutrito"; e: "Quello che non avete fatto ad uno di questi piccoli, non l'avete fatto a me". Impariamo dunque ad essere saggi, e ad onorare il Cristo come egli vuole, spendendo le ricchezze per i poveri. Dio non ha bisogno di suppellettili d'oro, ma di anime d'oro. Che vantaggio c'è se la sua mensa è piena di calici d'oro, quando egli stesso muore di fame? Prima sazia lui affamato, e allora con il superfluo ornerai la sua mensa!». [47]

La Preghiera eucaristica: la comunità rende grazie a Dio Padre

84. Con la Preghiera eucaristica si giunge al momento centrale e culminante dell'intera celebrazione. Questa preghiera è l’atto con cui l’assemblea dei fedeli rende grazie a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo, con la potenza dello Spirito Santo.

Nel corso della preghiera si ricordano le grandi cose che Dio ha fatto, il pane e il vino sono trasformati nel corpo e nel sangue di Cristo e noi tutti diventiamo un solo corpo e un solo spirito.

Ci uniamo all’unico e perfetto sacrificio d’amore, quello di Gesù Cristo che offrì per noi la sua vita.

85. La Preghiera eucaristica inizia con il sacerdote che «in persona Christi», come se fosse Cristo, apre un dialogo con i fedeli: «Il Signore sia con voi... In alto i nostri cuori ...». In virtù del comune sacerdozio regale l’assemblea che condivide la stessa fede, risponde: «È cosa buona e giusta». Quindi il prefazio continua rendendo grazie al Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo, per l’opera della creazione, della redenzione e della santificazione.

86. L’intera Preghiera eucaristica riecheggia elementi di comunione. Vi si ricorda, per esempio, il vescovo locale e l’intero collegio episcopale uniti con il Papa. Non si prega soltanto per loro ma si manifesta la nostra comunione con loro. Così è detto in una delle Preghiere eucaristiche (V/a): «Fortifica nell'unità tutti i convocati alla tua mensa: insieme con il nostro Papa, il nostro Vescovo, i presbiteri, i diaconi e tutto il popolo cristiano».

Nella Chiesa antica i cristiani che si mettevano in viaggio, si facevano spesso rilasciare dal proprio vescovo una “lettera di comunione” che confermava la loro piena comunione. Il vescovo lontano cui la lettera veniva consegnata controllava l’elenco dei vescovi in piena comunione di fede con lui e, in caso positivo, ammetteva il viaggiatore all’Eucaristia della sua comunità.

Nel corso della preghiera Eucaristica viene menzionato il Papa. Da quando il ministero petrino esiste nella Chiesa, il Papa è associato ad ogni celebrazione dell’Eucaristia ed è ricordato per nome come segno e servitore dell’unità della Chiesa universale. [48]

87. La Preghiera eucaristica si conclude con la grande dossologia al termine della quale tutti insieme acclamiamo dicendo «Amen», un solenne «sì» a Dio. Nel «grande Amen» proclamiamo di credere in ciò che è stato detto, uniamo noi stessi alla preghiera, ci impegniamo a realizzare ciò che essa significa. La nostra personale professione di fede viene ripresa nel «Amen» della comunità ecclesiale radunata per il culto intorno al Cristo crocifisso e risorto.

88. Ci si potrebbe soffermare a lungo sui testi della Preghiera eucaristica. Qui ci limitiamo, però, a passare brevemente in rassegna alcune delle caratteristiche più rilevanti riguardanti il tema congressuale della comunione.

a) Epiclesi: riuniti insieme dallo Spirito Santo

89. La Messa è l’opera più profonda dello Spirito Santo. La terza Persona divina è colui che realizza la comunione ecclesiale e ci unisce così intimamente in Cristo da essere il principio dell’unità della Chiesa. L’invocazione dello Spirito durante la Preghiera eucaristica è chiamata epiclesi.

Già nel racconto degli inizi lo Spirito aleggiava sul cosmo per dare origine alla prima creazione. Quando venne la pienezza dei tempi lo Spirito si posò su Maria perché in lei prendesse vita l’umanità in Gesù, inizio della nuova creazione. Nella preghiera Eucaristica lo Spirito è invocato affinché dia origine alla meraviglia di una nuova creazione. È un modo per rammentare che l’azione che stiamo celebrando va oltre la nostra capacità. Viene da Dio.

Nell’epiclesi la Chiesa chiede al Padre di inviare lo Spirito Santo (o la potenza della sua benedizione) affinché i doni santificati del pane e del vino diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo e coloro che partecipano all’Eucaristia diventino un solo corpo e un solo spirito.

90. La terza Preghiera eucaristica per esempio si apre affermando che il Padre, attraverso la potenza dello Spirito Santo, fa vivere e santifica l’universo e raduna il suo popolo: «Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l'universo, e continui a radunare intorno a te un popolo…».

Dopo avere proclamato il dinamismo e la forza dello Spirito come sorgente di vita e consacrazione universale viene invocata l’azione vivificante e santificante dello Spirito perché porti al culmine la sua azione con la “santificazione” o consacrazione del pane e del vino che diventeranno per noi il Corpo e il Sangue di Cristo: «Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo». Alla nostra berakah nella preparazione dei doni risponde la consacrazione da parte dello Spirito Santo.

Seguendo la narrazione dell’istituzione udiamo infine proclamare l’epiclesi di comunione, l’invocazione dello Spirito sopra quelli che sono radunati per celebrare l’Eucaristia: «Guarda con amore e riconosci nell'offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito».

91. L’invocazione sulla comunità radunata per celebrare l’Eucaristia è assai importante per quanto riguarda il tema del Congresso. Con la forza dello Spirito il pane e del vino sono trasformati nel corpo e nel sangue di Cristo; ma la forza dello Spirito è invocata anche sui fedeli riuniti insieme perché, trasformati anch’essi nel corpo di Cristo, possano corrispondere pienamente al dono di comunione che Dio ha loro concesso «finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo»(Ef 4,13).

92.  L’epiclesi ci dice qualcosa di importante sulla nostra identità. La Chiesa, come organismo sociale, ha tante possibilità per organizzarsi. Ma per realizzare la comunione è necessaria l’azione dello Spirito. Senza lo Spirito Santo la nostra vita di comunione è spenta.

Se l’azione dello Spirito viene meno «è inutile fare progetti, organizzare, promulgare leggi e direttive, prevedere e controllare ogni cosa. Potremo avere un’impresa o una società modello, ma una comunità di uomini e di donne può diventare il Corpo di Cristo solo quando è sostenuta e animata dallo Spirito del Signore, e questo è il senso dell’epiclesi Eucaristica». [49]

b) Anamnesi: una «memoria» collettiva

93. Negli ultimi anni c’è stata una più profonda riscoperta del significato biblico del concetto di “anamnesis”, memoriale, che ha un posto tanto importante nella celebrazione della liturgia. [50] «Celebrando il memoriale» noi ricordiamo ciò che fece Gesù non come una lezione di storia ma come un evento che ci coinvolge ora.

94. Fin dal tempo della legge mosaica, infatti, il popolo eletto aveva commemorato le azioni straordinarie del Dio Salvatore che lo aveva trasformato nel suo popolo santo. In particolare, la celebrazione della Pasqua ebraica era diventata il “memoriale” (zikkarón) dell’evento fondativo della sua storia di popolo di Dio.

Il rito della Pasqua ebraica celebrato di anno in anno ricordava il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Esso è descritto nel libro dell’Esodo (12,1-28) come un banchetto nel quale si consuma un agnello. Con il suo sangue si bagnano gli stipiti delle porte per respingere l’angelo sterminatore dei primogeniti egiziani.

Celebrando questa festa il popolo Ebraico non racconta solo la storia di un evento passato ma rende efficace nel presente questo fatto accaduto in un tempo lontano. Attraverso la celebrazione tutti partecipano al momento fondativo della loro identità e si preparano così per il futuro.

95. Gesù celebrò l’ultima cena che con i suoi discepoli la notte prima della sua passione e morte nel contesto della celebrazione della Pasqua ebraica (Mt 26, 2.17-19; Mc 14,12-17; Lc 22,7-14). Quando giunse il momento di mangiare l’agnello pasquale Gesù prese il pane e il vino, li benedisse e proclamò: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» e «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Lc 22,19-20).

Così facendo egli interpretò la sua morte sulla Croce come il sacrificio del nuovo agnello che avrebbe salvato l’umanità dalla schiavitù del peccato e della discordia, e ci avrebbe ottenuto la libertà dei figli di Dio insieme con la comunione tra noi.

96. La cena pasquale che Cristo celebrò con i suoi discepoli fu un’anticipazione sacramentale della passione e morte che l’avrebbero condotto alla risurrezione e all’effusione dello Spirito. Egli fece del pane un segno del suo corpo offerto per noi e del vino un segno del suo sangue versato per noi. Il pane e il vino divennero segni sacramentali dell’alleanza escatologico realizzata nella sua Pasqua. Egli chiese, poi, ai suoi discepoli di commemorare i suoi gesti: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; 1Cor 11,25).

97. Fino ad oggi il memoriale Eucaristico viene celebrato in fedeltà al comando di Gesù; esso non si limita a richiamare alla mente un evento passato ma proclama efficacemente nella Chiesa l’azione riconciliatrice di Dio per mezzo di Cristo.

Ogni volta che celebriamo il memoriale non solo richiamiamo la passione del Signore a favore della Chiesa ma partecipiamo “oggi” di questi benefici e siamo coinvolti “oggi” nell’offerta che Cristo fa di se stesso. Con la potenza dello Spirito l’evento unico e irripetibile della morte di Gesù sulla croce viene attualizzato nel nostro tempo e in ciascuna celebrazione.

In altro parole possiamo anche dire che noi ci facciamo presenti al mistero pasquale di Cristo che ci unisce in comunione non solo con quelli che partecipano con noi ad ogni messa ma anche con quelli radunati intorno all’Eucaristia in ogni luogo ed in ogni tempo. [51]

98. Per mezzo dell’Eucaristia, dunque, noi diventiamo contemporanei agli eventi fondanti che hanno sancito la nostra comunione con Cristo e tra noi. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge:

«Nella liturgia della Chiesa Cristo significa e realizza principalmente il suo mistero pasquale. Durante la sua vita terrena, Gesù annunziava con l’insegnamento e anticipava con le azioni il suo mistero pasquale. Venuta la sua Ora, egli vive l’unico avvenimento della storia che non passa: Gesù muore, è sepolto, risuscita dai morti e siede alla destra del Padre « una volta per tutte » (Rm 6,10; Eb 7,27; 9,12). È un evento reale, accaduto nella nostra storia, ma è unico: tutti gli altri avvenimenti della storia accadono una volta, poi passano, inghiottiti dal passato. Il mistero pasquale di Cristo, invece, non può rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua morte egli ha distrutto la morte, e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente. L’evento della croce e della risurrezione rimane e attira tutto verso la vita». [52]

99. Ogni celebrazione eucaristica realizza sacramentalmente anche per noi “oggi” il raduno escatologico del popolo di Dio. In ogni messa, cioè, si pregusta “qui” e “ora” il banchetto finale annunciato dai profeti (Is 25,6-9) e descritto nel Nuovo Testamento come il «banchetto nuziale dell’Agnello» (Ap19,7-9).

Nella terza Preghiera eucaristica, dopo che il celebrante ha ricordato la gloriosa ascensione di Gesù al cielo, afferma che ora la comunità celebrante vive «nell'attesa della sua venuta» riconoscendo così che il “memoriale” degli eventi fondanti della nostra fede ci mette in contatto con il futuro condiviso della venuta di Cristo.

Per questo, quando proclamiamo il mistero della fede, noi acclamiamo che «Cristo verrà di nuovo». In ogni messa ricordiamo il futuro che ci attende e siamo trascinati verso di esso.

100. A causa del senso dinamico del memoriale eucaristico dove presente e futuro sono in qualche modo già presenti per noi “qui” e “ora” noi ci sentiamo particolarmente vicini, nella messa, ai nostri fratelli e sorelle defunti. Si rinnova la comunione con quelli che «ci hanno preceduti nella fede». Come si afferma nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, «quando celebriamo il sacrificio eucaristico, ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste» (n. 50).

In questo contesto comprendiamo bene anche le parole rivolte da santa Monica ai suoi figli, sant’Agostino e suo fratello, ad Ostia, prima della sua morte: «Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all'altare del Signore». [53]

c) Consacrazione: Gesù Cristo, fonte di comunione trasformante è realmente presente

101. La Preghiera eucaristica è una preghiera di rendimento di grazie e di santificazione. Il Signore crocifisso e risorto agisce sul pane e sul vino con la potenza dello Spirito comunicando la sua vita eterna attraverso questi elementi trasformati. Il pane e il vino sono trasformati nel corpo e nel sangue di Cristo «in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,21).

Fin dalle origini la Chiesa afferma l’efficacia della parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo nel realizzare questo cambiamento. Il Concilio di Trento così lo sintetizza:

«Poiché il Cristo, nostro redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo corpo, nella chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente ed appropriato è chiamata dalla santa chiesa cattolica transustanziazione». [54]

102. La modalità della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unica. ARCIC, nella sua Spiegazione sulla dottrina eucaristica afferma: «Prima della preghiera eucaristica alla domanda: “Che cosa è questo ?”, il credente risponde: “Pane”. Dopo la preghiera eucaristica alla stessa domanda egli risponde: “È veramente il corpo di Cristo, il Pane della Vita». [55]

Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, «è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente» sotto l’apparenza del pane e del vino. [56] Il pane e il vino sono trasformati in una nuova realtà per esprimere l’amore di Gesù Cristo: «Quando il calice mescolato e il pane che è stato preparato ricevono la Parola di Dio diventano Eucaristia, cioè il sangue e il corpo di Cristo, con i quali si irrobustisce e si consolida la sostanza della nostra carne». [57]

103. Il tema della presenza reale deve essere compreso anche nel contesto delle grandi opere attraverso le quali Dio ha plasmato il suo popolo chiamandolo alla comunione con lui e con gli altri. In tutta la storia della salvezza Dio “dimora” (shekinah) in mezzo al suo popolo: egli abita il cosmo ma è presente anche in Israele. In Gesù Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.

Ora Gesù Cristo è presente in molti modi nella sua Chiesa: nella sua Parola, nella preghiera della comunità, «dove sono due o tre riuniti nel mio nome» (Mt 18,20), nei poveri, nei malati, e nei prigionieri (cfr Mat 25,31-46), nei sacramenti.

Ma egli è presente in modo specialissimo nelle specie eucaristiche. Il Cristo crocifisso e risorto è “concentrato” in corpo e sangue sotto le apparenze del pane e del vino per comunicarci se stesso e trasformarci nel suo corpo.

104. Per mezzo di questi elementi trasformati, Gesù Cristo comunica a noi la sua vita di comunione con il Padre. Mutati nel corpo e nel sangue di Cristo, il pane e il vino seminano in noi un principio di graduale trasfigurazione che ci conduce verso il fine al quale aspiriamo: costruire piena comunione con Dio e con gli altri: «E noi tutti… veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18).

Le nostre preoccupazioni personali, l’attenzione alla famiglia, il lavoro e le relazioni con gli altri, sono inseriti in questo principio trasformante. Così, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, noi offriamo sempre qualcosa bisognoso di cambiamento, specialmente gli aspetti più ostinati e difficili delle nostre relazioni con gli altri così come le situazioni dolorose (sociali, economiche, culturali ed ambientali, a livello locale o globale) che conosciamo anche attraverso i mass-media.

L’Eucaristia è la dimostrazione, la promessa e l’anticipazione della nostra personale trasformazione e del cambiamento del nostro mondo in realtà di comunione.

d) La mensa del sacrificio:
partecipiamo al sacrificio di Cristo che dona se stesso

105. L’Eucaristia è un banchetto sacrificale. Come abbiamo già visto essa ri-presenta, attualizza il sacrificio della croce. In verità, il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio che ha come finalità la comunione ecclesiale.

106. Nell’Antico Testamento c’è un legame forte fra alleanza-sacrificio e alleanza-pasto di comunione. Il libro dell’Esodo (24,1-11) racconta come la nuova relazione (alleanza) di Dio con il popolo eletto fu suggellata versando il sangue degli animali (sacrificio) e consumando insieme parte del cibo offerto in sacrificio (comunione).

Mosé disse riguardo al sangue «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi» (Es 24,8). Poi prese il sangue e ne asperse sia l’altare (simbolo di Dio) sia il popolo riunito intorno a lui per esprimere la profonda comunione di vita che Dio aveva realizzato con Israele. Mangiando insieme il cibo in quello che può essere chiamato un banchetto sacrificale il popolo si impegnava in una relazione di alleanza e diventava una sola cosa mentre godeva delle benedizioni di Dio. Venne poi la promessa di una nuova alleanza, un patto non più scritto su tavole di pietra ma nel cuore dei credenti (cfr Is 55,3; Ger 3,31-34).

107. Nel corso della sua vita Gesù ha sostenuto la necessità non tanto di sacrifici esteriori e rituali ma piuttosto di una genuina religiosità interiore. Tutta la sua vita fu uno spazio di amore capace di donarsi totalmente per gli altri.

La lettera agli Ebrei afferma che «entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: "Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà"» (Eb 10,5-7).

La sua unica missione è stata quella di offrire la sua vita perché noi potessimo essere una sola cosa, un solo corpo. I pasti che ha condiviso con gli altri hanno mostrato la sua solidarietà. Secondo le parole dell’evangelista Giovanni Gesù ci «amò fino alla fine» (Gv13,1), entrando volontariamente nella sua passione e morte.

108. Nell’ultima cena Gesù ha in qualche modo mostrato a noi il significato del suo definitivo sacrificio, la sua morte in croce. Egli ha applicato a se stesso le parole dette una volta da Mosè: «Questo è il mio sangue dell'alleanza» (Mt 26,28) oppure come leggiamo in Luca: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Lc 20,20). Egli interpreta la sua morte come una sofferenza subìta al nostro posto. Se, salendo a Gerusalemme aveva affermato che «il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45), sulla croce egli ha vissuto tutto ciò fino alla fine.

L’offerta di Gesù non fu una “cosa” qualsiasi ma il dono totale della sua vita per amore. Egli si identificò con l’offerta e fu, nello stesso tempo, sacerdote e vittima. L’apostolo Paolo amplierà successivamente il significato di quel gesto indicando lo scambio che avviene sulla croce fra noi e Gesù Cristo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

Egli, che era il Figlio di Dio «si svuotò» della sua divinità per la nostra salvezza perché noi potessimo partecipare alla vita di Dio. Egli ha vissuto la lontananza e l’abbandono del Padre affinché noi potessimo sperimentare la vicinanza di Dio, la sua presenza tra noi nella comunione con gli altri. Scrive ancora Paolo: «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).

109. Mentre beneficiamo dell’obiettiva comunione che dalla croce di Cristo giunge a noi come dono, quando partecipiamo alla messa abbiamo un’opportunità straordinaria per esprimere la nostra partecipazione al suo sacrificio. Già attraverso il nostro battesimo Gesù Cristo ci introduce nel suo sacrificio perché diventiamo membra del suo corpo. Giorno dopo giorno, anche noi ci offriamo come «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rom 12,1).

Ma nella celebrazione dell’Eucaristia Cristo e la Chiesa, come si prega nella quarta Preghiera eucaristica, sono uniti nel sacrificio di lode: «Guarda con amore, o Dio, la vittima che tu stesso hai preparato per la tua Chiesa; e a tutti coloro che mangeranno di quest'unico pane e berranno di quest'unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria».

La nostra preghiera, la nostra lode e l’offerta di noi stessi sono inglobate in quelle di Gesù ed offerte dalla Chiesa «per Cristo, con Cristo e in Cristo». Nell’Eucaristia il sacrificio di Cristo diventa anche il sacrificio delle membra del suo corpo. Agostino lo spiega così: «Tutta la città redenta, cioè l'assemblea comunitaria dei santi, viene offerta a Dio come sacrificio universale per la mediazione del sacerdote grande che nella passione offrì anche se stesso per noi nella forma di servo perché fossimo il corpo di un capo così grande… Questo è il sacrificio dei cristiani:Molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa celebra questo mistero col sacramento dell'altare, noto ai fedeli, perché in esso le si rivela che nella cosa che offre essa stessa è offerta». [58]

110. Il sacrificio di Cristo presente sull’altare rende possibile a tutte le generazioni dei cristiani di essere unite con la sua offerta. Nelle catacombe la Chiesa è spesso raffigurata come una donna in preghiera, con le braccia spalancate in atteggiamento di orante. Come Cristo ha steso le braccia sulla croce, così per mezzo di lui la Chiesa si offre ed intercede per tutti gli uomini. [59]

Cosa possiamo offrire? Presentiamo a Dio le nostre sofferenze e preghiere, le opere e i gesti d’amore. Fondendo tutte queste piccole offerte all’offerta di Cristo, ogni cosa prende un nuovo valore. Perfino la più piccola cosa offerta diventa significativa. Lasciamo così che l’amore sacrificale di Cristo tocchi e trasformi tutti i nostri poveri sforzi di costruire comunione con gli altri. Unita al dono totale che Cristo ha fatto di se stesso, ogni cosa è colmata d’amore. E questo non è poco!

Unendo noi stessi e il mondo intorno a noi al sacrificio di Cristo contribuiamo a ciò che Teilhard de Chardin chiamava “amorizzazione” dell’universo.

111. La nostra partecipazione all’offerta sacrificale del Figlio si trasforma in preghiera non solo per i vivi, ma anche per coloro che ci hanno preceduti nella fede, per le sorelle e i fratelli che sono morti in Cristo ma non sono ancora pienamente purificati nell’amore. Dice san Cirillo di Gerusalemme: «Offrendo a Dio le nostre suppliche per quelli che si sono addormentati, se essi hanno peccato, noi… offriamo il sacrificio di Cristo per i peccati di tutti affinché il Dio che ci ama si mostri benevolo per loro e per noi». [60]

Non solo questo. Noi preghiamo in comunione con quanti sono già nella gloria del cielo, in particolare con Maria. «La Chiesa offre infatti il sacrificio eucaristico in comunione con la santissima Vergine Maria, facendo memoria di lei, come pure di tutti i santi e di tutte le sante. Nell’Eucaristia la Chiesa, con Maria, è come ai piedi della croce, unita all’offerta e all’intercessione di Cristo». [61]

 

IV. Riti di comunione: dire ‘Amen’ a ciò che siamo

«Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero»(Lc 24,31)

Ricevere la santa Comunione

112. All’interno dell’azione liturgica che si sta compiendo, vengono ora i riti di comunione. La comunità si è riunita nello stesso luogo. Il progetto di Dio ci è stato presentato attraverso la proclamazione della Scrittura ed ha fatto nascere la nostra risposta sotto forma di offerta. Il rendimento di grazie è stato innalzato. Il pane e il vino sono stati mutati nel corpo e nel sangue di Cristo ed anche noi siamo stati trasformati in un solo corpo, un solo spirito in Cristo.

Ora è giunto il momento di ricevere la santa Comunione.

113. I riti di comunione hanno inizio con il Padre Nostro. Inserita tra la Preghiera eucaristica e la liturgia della comunione, la Preghiera del Signore «da un lato ricapitola tutte le domande e le intercessioni espresse lungo lo sviluppo dell’epiclesi, e, dall’altro, bussa alla porta del Banchetto del Regno di cui la Comunione sacramentale è un anticipo ». [62]

La Preghiera del Signore è la preghiera per eccellenza della Chiesa. Ci spinge a riconoscere i nostri bisogni e ci rivela, nello stesso tempo, il volto del Padre. Comunicando con Cristo abbiamo la fiducia di poter attraversare la soglia della santità divina rendendoci conto che abbiamo un solo Padre e noi tutti siamo fratelli e sorelle. Ciò viene di nuovo riconosciuto nello scambio di un segno di pace.

114. L’Ordinamento generale del Messale Romano ricorda: «Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla Comunione» (n. 80). Lo spezzare il pane, o “fractio panis” è un gesto simbolico che ricorda che tutti noi condividiamo l’unico pane del cielo che stiamo per ricevere.

Allo spezzare del pane, una particella dell’ostia viene aggiunta al calice. Questo gesto è memoria di un’antica pratica della liturgia romana che esprimeva l’unità delle comunità locali con il vescovo di Roma. Il Papa, nei primi secoli, inviava una particella del pane consacrato nel corso della sua celebrazione della messa a ciascun sacerdote che presiedeva una celebrazione locale, così che questi non fosse separato dalla comunione con lui. Questa particella (chiamata fermentum) era aggiunta al calice prima della distribuzione della comunione per esprimere il fatto che l’Eucaristia è il sacramento dell’unità della Chiesa. La parola fermentum era forse anche un riferimento all’Eucaristia come lievito della vita cristiana e strumento mediante il quale i battezzati in tutto il mondo sono uniti nell’unico corpo di Cristo come lievito nel mondo.

115. Poiché noi ci accostiamo al «pane del cielo» e al «calice della salvezza», san Giustino ammonisce che «a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato». [63]

Quando il celebrante o il ministro straordinario dell’Eucaristia solleva l’ostia di fronte a noi e dice «Il Corpo di Cristo», ci sta implicitamente chiedendo: «Sei tu il Corpo di Cristo?», cioè, «Sei in comunione con Cristo, con i suoi fratelli e sorelle?». Se possiamo rispondere: «Amen», allora possiamo anche nutrirci del Corpo di Cristo.

116. Noi riceviamo il corpo di Cristo che è l’Eucaristia perché insieme possiamo costruire pienamente nel mondo il corpo di Cristo che è la Chiesa. Come si ricorda sant’Agostino di Ippona: «Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: “Amen”e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: “Il Corpo di Cristo”, e tu rispondi: “Amen”. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo “Amen”». [64]

L’«Amen» detto quando riceviamo la Comunione sacramentale è una continuazione del grande «Amen» che esprime la nostra decisione di entrare nella vita di comunione che Cristo ha realizzato per noi con la sua morte e risurrezione.

L’Eucaristia ci fa una cosa sola

117. Lo straordinario effetto dell’Eucaristia, come hanno sostenuto Tommaso d’Aquino e molti altri teologi della tradizione cattolica, è la nostra reale e spirituale assimilazione a Cristo. Sant’Agostino, per esempio, esprime questa convinzione interpretando così il gesto di Gesù che si dona a noi in comunione: «Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me». [65]

Il grande teologo medioevale Alberto Magno insegna che «questo sacramento ci trasforma nel corpo di Cristo in maniera tale che noi diveniamo ossa del sue ossa, carne della sua carne, membra delle sue membra». [66] E da buon maestro prosegue spiegando: «Ogni volta che due cose si uniscono così che una viene trasformata completamente nell’altra, quella che è più forte trasforma la più debole in sé stessa. Perciò, poiché questo cibo ha una forza che è più potente di coloro che lo assumono, questo cibo trasforma in sé stesso quanti lo mangiano». [67] E ancora esclama: «Quale grande ringraziamento noi dobbiamo a Cristo che con il suo corpo vivificante ci trasforma in lui, così che noi diventiamo il suo corpo santo, divino e immacolato». [68]

Teresa di Lisieux, la giovane recentemente proclamata “dottore della Chiesa”, ha scritto: «Ogni mattina Gesù trasforma un’ostia bianca in sé stesso per comunicarvi la sua vita. E, con un amore che è ancora più grande, egli vi vuole trasformare in sé stesso». [69]

Infine ecco la famosa frase di Leone Magno citata anche dal Concilio Vaticano II: «La partecipazione del corpo e del sangue di Cristo altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che riceviamo». [70]

118. Grazie a questo straordinario effetto dell’Eucaristia, cioè la nostra trasformazione in Cristo, possiamo comprendere come l’Eucaristia ci riunisca in un corpo ed un’anima sola in maniera speciale.

Benedetto XVI commenta questa realtà rilevando come il processo della nostra trasformazione, già iniziato quando pane e vino sono stati cambiati nel Corpo e nel Sangue di Cristo, acquista slancio provocando anche altri cambiamenti: «Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l'unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L'adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo». [71]

119. Si verifica una nuova comunione di vita che supera ogni nostra esperienza di condivisione, creando una vera comunità umana. Tutti i semi di discordia che sono nella nostra vita e intorno a noi possono essere vinti dalla forza unificante del corpo di Cristo. Benedetto XVI accosta questo intero processo alla «fissione nucleare portata nel più intimo dell'essere… Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo». [72]

120. Ricevendo l’Eucaristia siamo chiamati ad anticipare un nuovo futuro attraverso gesti e parole in modo che il futuro possa già essere innestato sul presente e possiamo gustare fin da ora ciò che siamo destinati a diventare.

L’esperienza di momenti di silenzio all’interno delle nostre celebrazioni eucaristiche dà ai partecipanti l’opportunità non solo di ricordare il passato e celebrare il presente, ma anche di aprire i cuori al futuro che Dio ha promesso come comunione perfetta con Cristo e tra noi. Con gli occhi del nostro spirito possiamo già intravedere l’immagine dei cieli e della terra nuovi che l’Eucaristia dischiude per noi.

La comunione spirituale

121. Non tutti coloro che partecipano alla Messa sono in condizione di ricevere la comunione, ma tutti possono vivere quella che è comunemente chiamata «comunione spirituale» nel senso di un atto di culto che li unisce al dono di Cristo che si sta celebrando. Santa Teresa di Avila scriveva: «Quando non vi comunicate e non partecipate alla messa, potete comunicarvi spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa… Così in voi si imprime molto dell’amore di Nostro Signore». [73]

Siamo tutti, in qualche misura, uniti dallo Spirito Santo. Quelli impossibilitati a ricevere la comunione possono esprimere il desiderio interiore di unirsi con le loro gioie e le loro sofferenze al sacrificio di Gesù Cristo.

In alcuni luoghi, durante la Messa, si invitano i bambini che non hanno ancora celebrato la messa di prima comunione e gli adulti che non possono accostarsi all’Eucaristia, a ricevere una benedizione al momento della Comunione.

 

V. Riti di conclusione:
diventati una cosa sola perché tutti possano essere uno

«Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. …Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!".Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane». (Lc 24,31-35).

Il commiato

122. Con il commiato «La Messa è finita, andate in pace» detto dal diacono o dal sacerdote alla fine della messa siamo mandati «perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio». [74] Vi è qualcosa di misterioso nel “congedo” dei discepoli di Emmaus. Immediatamente dopo che il Cristo risorto è stato riconosciuto nello spezzare il pane «egli sparì dalla loro vista». Vale la pena di soffermarsi su questo dettaglio che ci rivela una cosa importante sugli effetti del nostro incontro con il Signore nell’Eucaristia.

Sono i discepoli di Emmaus che, dopo aver accolto la parola di Dio e spezzato il pane con il Risorto, devono accogliere la vita pasquale offerta dal Cristo e diventare segno della sua presenza nel mondo: «Per me infatti il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Essi sono stati trasformati in Cristo; ora egli continua, per così dire, a vivere in loro e tra loro.

Ricordiamo qui le parole di una preghiera che risale fino a santa Teresa d’Avila: «Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani, per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi». Tocca a noi ora, insieme, continuare il cammino di Cristo sulle strade del mondo.

123. Se nell’Eucaristia il Cristo crocifisso e risorto manifesta in molti modi la sua presenza fra noi, in particolare alla duplice mensa della Parola e del Pane, ora nella liturgia della vita saremo noi, i «due o più» radunati nel nome di Cristo, a rendere visibile agli altri la sua presenza tra noi (cfr Mt 18,20). Sarà la nostra fede resa operosa attraverso la carità (cfr Gal 5,6) a diffondere il calore e la gioia dell’Eucaristia al mondo.

Andando oltre potremmo dire che il Signore crocifisso e risorto è colui che ci raduna con la forza del suo Spirito e ci nutre con la sua Parola e il suo Sacramento, e, insieme, è anche il frutto della testimonianza che gli viene resa nella Chiesa.

Riprendendo le parole della Serva di Dio Dorothy Day: «Dobbiamo esercitarci a riconoscere la presenza di Dio. Egli ha detto che quando due o tre sono riuniti insieme, egli è in mezzo a loro. Così, egli è con noi nella nostra cucina, alla nostra tavola, in quelli che fanno la fila alla mensa dei poveri, in quanti ci visitano, nelle nostre aziende agricole... Ciò che noi facciamo è assai poco. Ma è come quel ragazzo che aveva con sé alcuni pani e pesci. Cristo prese quel poco e lo moltiplicò. Egli farà il resto». [75]

L’esempio di Gesù nella lavanda dei piedi

124. Il rito conclusivo ci invia nel mondo per vivere una vita eucaristica. Per capire cosa questo significhi, possiamo seguire l’esempio di Gesù che nel gesto della lavanda dei piedi ha riassunto la misura del suo dono totale d’amore di cui facciamo memoria in ogni messa.

Nel quarto Vangelo l’ultima cena è lo sfondo su cui i gesti simbolici di Cristo ci mostrano il senso profondo e le conseguenze sociali e interpersonali dell’Eucaristia. Il suo «amore fino alla fine» (Gv 13,1) si manifesta quando egli lava i piedi dei discepoli. Dopo aver deposto le sue vesti egli compie l’umile gesto assumendo così, per amore, la condizione del servo.

Nel gesto profetico della lavanda dei piedi Gesù offre un esempio che i discepoli dovranno seguire: rinunciare alla propria vita per il servizio vicendevole. «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15); «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,14).

125. Più tardi, nel discorso di addio, Gesù proclamerà un’altra volta il comandamento nuovo che trova la sua misura nell’Eucaristia: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,12-13). Attraverso la pratica del servizio fraterno gli altri capiranno che siamo discepoli di Gesù (cfr Gv 13,34-35).

Dare alla vita una “forma eucaristica” significa assumersi la responsabilità di costruire un mondo permeato dalla logica della comunione fraterna insegnataci dall’Eucaristia. Nella celebrazione della messa noi siamo stati benedetti «con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (Ef 1,3). Ora inizia per noi il cammino che ci condurrà ad evangelizzare con la vita e le parole. Ciascuno di noi lascia l’assemblea ed imbocca strade diverse ma non da solo. Conservando nel cuore una comunione profonda con gli altri, ciascuno di noi realizza ciò che ha vissuto nell’Eucaristia e diventa così costruttore di comunione fraterna ovunque vada.

Il gesto dell’adorazione eucaristica fuori dalla Messa, estende quanto si è celebrato nell’Eucaristia, approfondisce la grazia del Sacramento. [76]

126. Quando la Messa è terminata, comincia realizzarsi nella vita ciò che nella celebrazione abbiamo ricevuto. «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo» (2Cor 13,13) che abbiamo sperimentato rimangono con noi e portano frutto ben al di là del momento celebrativo.

Possiamo uscire fiduciosi perché durante la Messa la Chiesa ha pregato il Padre di inviare lo Spirito Santo. È lui che fa della vita dei fedeli un’offerta viva a Dio attraverso la trasformazione spirituale a immagine di Cristo; è lui che spinge gli stessi fedeli alla sollecitudine per l’unità della Chiesa e alla partecipazione alla sua missione con la testimonianza e il servizio della carità. [77]

 

VI. Conclusione

127. San Pier-Giuliano Eymard, fondatore della Congregazione del Santissimo Sacramento, scriveva: «Anche Gesù Cristo vuole avere il suo memoriale, offrire la sua eredità, un capolavoro che continui a mostrare incessantemente il suo amore per l’umanità. Egli sarà l’inventore, l’artigiano, colui che offre questo dono finale. Egli lo consacrerà per mezzo del suo ultimo testamento e la sua morte ne sarà la vita e la gloria. Qual è questo memoriale supremo dell’amore di Gesù Cristo? È l’Eucaristia…». [78]

In queste riflessioni teologiche e pastorali abbiamo esplorato il “capolavoro” del Signore, l’Eucaristia, dal punto di vista della comunione con Cristo e tra noi, analizzando il tema del prossimo Congresso Eucaristico.

128. Ora, concludendo, riconosciamo l’inadeguatezza delle nostre parole. Forse quando tutto è stato detto e fatto, è meglio invitare semplicemente coloro che prenderanno parte al Congresso a partecipare all’Eucaristia e pregare il Signore perché, con la sua luce e il suo amore, predisponga i loro cuori e le loro menti.

Oggi, come è sempre stato nel corso dei secoli, l’Eucaristia ci invita silenziosamente ma tenacemente a ritornare alla “stanza superiore” dove, con l’istituzione dell’Eucaristia è nata la Chiesa come «famiglia di Dio», «un cuor solo ed un’anima sola» riunita in comunione fraterna con il Cristo. Nella “stanza superiore” potremo scoprire i palpiti del cuore di Gesù Cristo che ci invita a riconoscere ciò che egli ha fatto per noi. Ci ha amato fino alla fine per rimanere con noi in ogni tempo ed in ogni luogo attraverso l’Eucaristia, espressione somma del suo amore manifestato nella Pasqua di morte e risurrezione.

Teresa di Lisieux, toccata dall’infinito amore gratuito espresso in questo Sacramento, esclama dal profondo del cuore: «O Gesù lasciami dire con incontenibile gratitudine che il Tuo amore raggiunge la follia!». [79]

129. Il Congresso Eucaristico è l’occasione per lasciarci nuovamente catturare da questo dono d’amore e per lasciare che i nostri cuori battano all’unisono con colui che ci ha chiesto di essere perfetti nella carità e santi (cfr 1Ts 4,3). Impegnandoci affinché la santità, più che una semplice realizzazione personale, diventi un contributo alla costruzione di un’universale fraternità. Anche la nostra comunione è a servizio della solidarietà universale.

Lasciamo l’ultima parola di questo documento a una ragazza beatificata di recente, Chiara Luce Badano, in cui l’amore per l’Eucaristia rafforzò la scelta di vivere per gli altri anche nelle circostanze dolorose di una salute declinante. L’Eucaristia le diede vita, luce e amore al punto che le sue ultime parole alla madre furono: «Siate felici perché io lo sono». È la gioia della comunione con Cristo e tra noi.



[1] Gaudium et Spes (GS), 4

[2] Patrick Corish, The Irish Catholic Experience. Gill & MacMillan, Dublin1985, p. 246.

[3] Benedetto XVI, Lettera ai Cattolici di Irlanda, 2; OR 20 Marzo 2010

[4] Ibid., 5.

[5] Anglican-Roman Catholic International Commission (ARCIC), The Final Report (Windsor, 1981), nn. 5-6. Traduzione italiana in Enchiridion Oecumenicum (EO) I, EDB, bologna 19952.

[6] Lumen Gentium (LG), 1-4.

[7] Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte (NMI), n. 43.

[8] LG, 11; Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 1322-1419.

[9] Presbyterorum Ordinis (PO), 5.

[10] L’Inno molto popolare intitolato Audite omnes di Sechnall, un missionario contemporaneo e compagno di San Patrizio, ha interessanti riferimenti a Patrizio e all’Eucaristia. Il testo dell’inno compare nel famoso Antifonario di Bangor (The antiphonary of Bangor. An early irish manuscript in the Ambrosian Library at Milan; F. E. Warren ed, Harrison & sons, London 1893, pp. 14-18). La Instructio XIII di San Colombano è un testo bellissimo e profondamente mistico sull’Eucaristia, permeato del linguaggio del Vangelo di Giovanni (Sancti Columbani Opera; Scriptores Latini Hiberniae Vol. II; G. S. M. Walker ed, The Dublin Institute for Advanced Studies, Dublin 1957.

[11] Cfr Vincent Ryan’s, The shaping of sunday: sunday and Eucharist in the irish tradition, Veritas, Dublin 1997.

[12] Cfr T. Lane, Reflecting on Knock. Before our merciful Lamb, Columba Press, Dublin 2007.

[13] Sacrosanctum Concilium (SC), 14.

[14] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Liturgiam authenticam (28 Marzo 2001), in Enchiridion vaticanum 20 (Ed. Dehoniane, Bologna 2004) 19, pp. 276 ss.

[15] Cfr Unitatis Redintegratio (UR).

[16] Rapporti ecumenici e documenti interconfessionali intorno all’Eucaristia sono presentati in modo chiaro e completo da: Walter Kasper, Harvesting the Fruits: Basic Aspects of Christian Faith in Ecumenical Dialogue, Continuum, London 2009.

[17] Giovanni Paolo II, Ut Unum Sint (US), 9.

[18] Ibid., 35.

[19] GS, 22.

[20] GS, 11 e 45.

 
           [21] 
          
          
          NMI, 43; Benedetto XVI, Deus caritas est, 1.
 
           [22] 
          
          
          NMI, 43.
[23] Gerhard Lohfink, Dio ha bisogno della chiesa?, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, pag. 78.

[24] LG, 14-16; GS, 92; Paolo VI, Ecclesiam suam, nn 96-114).

[25] Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae (DC), n. 6.

[26] Giovanni Paolo II, Ecclesia de eucharistia (EdE), n. 8.

[27] CCC, 1325.

[28] Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo, Antifona al «Magnificat» dei secondi Vespri: Liturgia delle Ore, Vol. 3; Libreria Editrice Vaticana 1981, p. 589.

[29] SC, 27; 48.

[30] Giustino, Apologia I, 67,3 in Sources Chrétiennes (SCh) 507, p. 308.

[31] Ignazio di Antiochia, Lettera ai Filadelfesi; V,1; SCh 10, p. 124.

[32] Cesario di Arles, Sermo LXXVIII, 2; SCh 330, p. 240.

[33] Girolamo, Comm. in Ecclesiasten; PL 23,1092.

[34] Id, Comm. in Isaias, Prologus; PL 24, 17.

[35] Si veda, in modo particolare, la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Divina Rivelazione, Dei verbum.

[36] SC, 51.

[37] Ordinamento generale del Messale Romano (OGMR), 28.

[38] SC, 7, 33.

[39] Ordinamento delle letture della messa (OLM), 4.

[40] Giovanni Crisostomo, In Matthaeum Homil. V, 1; PG 57, 55.

[41] OLM, 24; SC, 35/2.

[42] Inter oecumenici, 54: AAS LVI (1964), p.890.

[43] CCC, 197.

[44] LG, 4. Cfr Cipriano, De Domenica oratione, XXIII; CSEL III/i, pp. 265 ss.

[45] CCC, 1350.

[46] Giustino, Apologia I, 67,6 SCh 507, p. 310.

[47] Giovanni Crisostomo, In Matthaeum Homil. L, 3-4; PG 58, 509.

[48] CCC, 1369.

[49] Luis Alonso Schökel, L’Eucaristia , Ancora, Roma 1988, p. 89.

[50] SC, 47; Ad Gentes (AG), 14.

[51] ARCIC, Eucharist doctrine, 5; EO I, p. 20.

[52] CCC, 1085.

[53] Agostino, Le Confessioni, IX, 11, 27; Nuova Biblioteca Agostiniana (NBA) I.

[54] H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue sulla 40a ed., a cura di P. Hünermann, EDB, Bologna 2009 (= DH), 1642.

[55] ARCIC, Elucidation, 6; EO I, p. 35.

[56] Paolo VI, Mysterium Fidei (MF), 46. Cfr DH, 1636.

[57] Ireneo di Lione, Adversu Haereses V, 2, 3; SCh 153 p. 34.

[58] Agostino, La Città di Dio, X, 6; NBA V/2.

[59] CCC, 1368.

[60] Cirillo di Gerusalemme, Catech. Myst. V, 9; SCh 126/bis, p. 158.

[61] CCC, 1370.

[62] Ibid., 2770.

[63] Giustino, Apologia I, 66,1-2; SCh 507, pp. 304-306.

[64] Agostino, Discorsi, 272; NBA XXXII/2.

[65] Agostino, Le Confessioni, VII, 10; NBA I.

[66] Alberto Magno, De Eucharistia, Dist III, Tract. I,5,5; BORGNET XXXVIII, p. 257.

[67] Id., In IV Sent. Dist. IX, A, 2; BORGNET XXIX, p. 217.

[68] Id., De Eucharistia, Dist III, Tract. I,8,2; BORGNET XXXVIII, p. 272.

[69] Cfr Poesies de Sainte Thérèse de l’Enfant-Jesus, Office central de Lisieux, 1951, p. 31.

[70] LG, 26. Cfr Leone Magno, Serm. LXIII,7; SCh 74/bis p. 83.

[71] Benedetto XVI, Omelia alla XX Giornata Mondiale della Gioventù, Marienfeld 21 Agosto 2005.

[72] Ibid.

[73] Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, Paoline editoriale, Milano 2001; cap. 35.

[74] OGMR, 90.

[75] Catholic Worker, Feb. 1940

[76] Cfr De sacra communione et de cultu mysterii eucharistici extra Missam (21 giugno 1973), 89.

[77] CCC, 1109

[78] Pierre-Julien Eymard, Œuvres complètes, XIII, pag. 819, pd 42,6

[79] Cfr Thérèse Martin (de Lisieux), L'Histoire d'une Âme, Cerf, Paris 1997.

 

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