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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL PONTIFICIO SEMINARIO LOMBARDO DEI SANTI AMBROGIO E CARLO IN URBE

Sala Clementina
Lunedì, 7 febbraio 2022

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Ringrazio il Rettore per le parole che mi ha rivolto e vi do il  benvenuto. Sono contento che insieme a voi sacerdoti ci siano le persone che con il loro servizio animano la vita del Seminario e formano la grande famiglia del “Lombardo”. Ci rivediamo oggi, in occasione dei cent’anni dell’elezione di Papa Pio XI, vostro ex-alunno – e uno dei primi alunni! – che ebbe sempre a cuore il “suo caro” seminario, per il quale provvide l’area nella quale vi trovate, all’ombra della Salus populi romani. È bello che siate lì ed è anche l’occasione per me di pensarvi spesso. Da queste radici legate a Pio XI proviamo a ricavare qualche spunto: non per coltivare nostalgie del passato e chiuderci alla novità dello Spirito, che ci invita a vivere l’oggi, ma per rintracciare dei segni profetici per il vostro ministero e la vostra missione, in particolare a servizio della Chiesa e del popolo italiano.

Appena eletto, Pio XI scelse di affacciarsi non più all’interno della Basilica di San Pietro, ma dalla Loggia esterna. Volle così che la sua prima benedizione fosse rivolta Urbi et Orbi, alla città di Roma e al mondo intero. E con questo gesto – credo che hanno lavorato più di 40 minuti per aprire quel balcone che da anni non si apriva, e anche per svuotare quel posto, che era diventato un magazzino; e lui aspettò – con questo gesto ci ricorda che occorre aprirsi, dilatare l’orizzonte del ministero alle dimensioni del mondo, per raggiungere ogni figlio, che Dio desidera abbracciare con il suo amore. Per favore, non rimaniamo barricati in sacrestia e non coltiviamo piccoli gruppi chiusi dove coccolarci e stare tranquilli. C’è un mondo che attende il Vangelo e il Signore desidera che i suoi pastori siano conformi a Lui, portando nel cuore e sulle spalle le attese e i pesi del gregge. Cuori aperti, compassionevoli, misericordiosi.

E questo mi porta a pensare all’esperienza che c’è fra di voi, sui confessori di Santa Maria Maggiore: “Andate da quello, da quello… Ma da quello là no!, per favore, che ti rende la vita impossibile!”. Cercare preti misericordiosi per noi, e noi essere misericordiosi con gli altri. Così come noi vogliamo misericordia quando andiamo a chiedere perdono per i nostri peccati e cerchiamo il più misericordioso, voi siate misericordiosi. Con tutti. Non dimenticate che Dio mai si stanca di perdonare. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono, ma Lui mai si stanca di perdonare. Quella larghezza del perdono, senza fare troppi problemi: perdono. Cuori aperti, compassionevoli, misericordiosi, dicevo, e mani operose, generose, che si sporcano e si feriscono per amore, come quelle di Gesù sulla croce. Così il ministero diventa una benedizione di Dio per il mondo.

Quel gesto di Pio XI valse più di mille parole. In genere, i gesti di Pio XI valevano più di mille parole, perché era un Papa con personalità, per dirlo in modo fine. In questi anni voi studiate e approfondite, è questo è un dono di Dio. Ma il vostro sapere non diventi mai astratto dalla vita e dalla storia. Non serve il Vangelo una Chiesa che ha tante cose da dire, ma le cui parole sono prive di unzione e non toccano la carne della gente. Per avere parole di vita occorre piegare la scienza allo Spirito nella preghiera e poi abitare le situazioni concrete della Chiesa e del mondo. Occorre la testimonianza di vita: siate preti bruciati dal desiderio di portare il Vangelo per le strade del mondo, nei quartieri, nelle case, soprattutto nei luoghi più poveri e dimenticati. La testimonianza, i gesti, come quel primo gesto di Pio XI.

Un secondo spunto. Nella sua prima omelia solenne Papa Ratti parlò delle missioni e, più che dare risposte, invitò a porsi una domanda: «Che cosa posso offrire al Signore?» (Omelia nel 300° di fondazione della Congreg. de Propaganda Fide, 4 giugno 1922). È una bella domanda, che potete applicare a tutto quello che state facendo ora per prepararvi alla missione. Che cosa posso offrire è una domanda che non ruota attorno a voi, al desiderio di quella cattedra, di quella parrocchia, di quel posto in curia; no, è una domanda che chiede di aprire il cuore alla disponibilità e al servizio. È una domanda che ci difende dal carrierismo. State attenti al carrierismo, per favore! Alla fine non serve, non aiuta.

Chiediamoci “che cosa posso offrire?” all’inizio di ogni giornata. Spesso, anche qui in Italia, i discorsi ecclesiali si riducono a sterili dialettiche interne tra chi è innovatore e chi è conservatore, tra chi preferisce quel politico e chi quell’altro, e si dimentica il punto centrale: essere Chiesa per vivere e diffondere il Vangelo. Non preoccupiamoci dei piccoli orticelli di casa, c’è un mondo intero assetato di Cristo. Siate pastori del gregge, e non pettinatori di quelle “squisite” [migliori]. Vi esorto a coltivare con entusiasmo in questi anni e in questa città, nella dimensione universale romana e del Lombardo, un cuore aperto, un cuore disponibile, un cuore missionario!

L’ultimo spunto lo traggo da una delle numerose encicliche sociali di Pio XI. Leggo alcune parole, scritte quasi un secolo fa eppure attualissime: «Ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi. […] Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia» (Lett. enc. Quadragesimo anno, 105-106). È duro!

Quanto è vero e quanto è tragico tutto ciò ora, mentre la forbice tra i pochi ricchi e i tanti poveri è sempre più larga. In questo contesto di disuguaglianze, che la pandemia ha accresciuto, vi troverete a vivere e operare come preti del Concilio Vaticano II, come segni e strumenti della comunione degli uomini con Dio e tra di loro (cfr Lumen gentium, 1). Siate perciò tessitori di comunione, azzeratori di disuguaglianze, pastori attenti ai segni di sofferenza del popolo. Anche attraverso le conoscenze che state acquisendo, siate competenti e coraggiosi nel levare parole profetiche in nome di chi non ha voce.

Grandi compiti vi attendono. Per realizzarli vi invito a chiedere a Dio di sognare la bellezza della Chiesa. La Chiesa è bella! Sognare la Chiesa italiana di domani più fedele allo spirito del Vangelo, più libera, più fraterna e gioiosa nel testimoniare Gesù, animata dall’ardore di raggiungere chi non ha conosciuto il «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3). Una Chiesa italiana che coltivi una comunione più forte di ogni distinzione e sia ancora più appassionata ai poveri, nei quali Gesù è presente. Sant’Ambrogio e San Carlo vi accompagnino e la Salus populi vi custodisca. Io benedico voi e voi, per favore, pregate per me. Grazie!



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