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va, la fede ci illumina, e proprio nella sofferen-
za e nella debolezza si rende chiaro come « noi
[â¦] non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù
Signore » (
2 Cor
4,5). Il capitolo 11 della Lette-
ra agli Ebrei si conclude con il riferimento a co-
loro che hanno sofferto per la fede (cfr
Eb
11,
35-38), tra i quali un posto particolare lo occupa
Mosè, che ha preso su di sé lâÂÂoltraggio del Cristo
(cfr v. 26). Il cristiano sa che la sofferenza non
può essere eliminata, ma può ricevere un senso,
può diventare atto di amore, affidamento alle
mani di Dio che non ci abbandona e, in questo
modo, essere una tappa di crescita della fede e
dellâÂÂamore. Contemplando lâÂÂunione di Cristo con
il Padre, anche nel momento della sofferenza più
grande sulla croce (cfr
Mc
15,34), il cristiano im-
para a partecipare allo sguardo stesso di Gesù.
Perfino la morte risulta illuminata e può essere
vissuta come lâÂÂultima chiamata della fede, lâÂÂul-
timo âÂÂEsci dalla tua terraâ (
Gen
12,1), lâÂÂultimo
âÂÂVieni!â pronunciato dal Padre, cui ci consegnia-
mo con la fiducia che Egli ci renderà saldi anche
nel passo definitivo.
57.âÂÂLa luce della fede non ci fa dimenticare le
sofferenze del mondo. Per quanti uomini e don-
ne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce!
Così per san Francesco dâÂÂAssisi il lebbroso, o per
la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri.
Hanno capito il mistero che câÂÂè in loro. Avvici-
nandosi ad essi non hanno certo cancellato tut-
te le loro sofferenze, né hanno potuto spiegare