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ne âÂÂnon vergognarsiâ è associata a un riconosci-
mento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa
pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua
presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi
i rapporti tra gli uomini. Saremo forse noi a ver-
gognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo
noi a non confessarlo come tale nella nostra vita
pubblica, a non proporre la grandezza della vita
comune che Egli rende possibile? La fede illumi-
na il vivere sociale; essa possiede una luce creati-
va per ogni momento nuovo della storia, perché
colloca tutti gli eventi in rapporto con lâÂÂorigine e
il destino di tutto nel Padre che ci ama.
Una forza consolante nella sofferenza
56.âÂÂSan Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto
delle sue tribolazioni e delle sue sofferenze mette
in relazione la sua fede con la predicazione del
Vangelo. Dice, infatti che in lui si compie il passo
della Scrittura: «Ho creduto, perciò ho parlato »
(
2 Cor
4,13). LâÂÂApostolo si riferisce ad unâÂÂespres-
sione del Salmo 116, in cui il Salmista esclama:
«Ho creduto anche quando dicevo: sono trop-
po infelice » (v. 10). Parlare della fede spesso
comporta parlare anche di prove dolorose, ma
appunto in esse san Paolo vede lâÂÂannuncio più
convincente del Vangelo, perché è nella debolez-
za e nella sofferenza che emerge e si scopre la
potenza di Dio che supera la nostra debolezza e
la nostra sofferenza. LâÂÂApostolo stesso si trova
in una situazione di morte, che diventerà vita per
i cristiani (cfr
2 Cor
4,7-12). NellâÂÂora della pro-