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PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE

NUOVE VOCAZIONI
PER UNA NUOVA EUROPA

(In verbo tuo...)
Documento finale del Congresso
sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata
in Europa
Roma, 5-10 maggio 1997
*
A cura delle Congregazioni
per l'Educazione Cattolica,
per le Chiese Orientali,
per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica

 

INTRODUZIONE

Rendiamo grazie a Dio

1. Benedetto sia l'Onnipotente Dio che ha benedetto la terra d'Europa con ogni benedizione spirituale, in Cristo e nel suo santo Spirito (cfr. Ef 1, 3).

Noi Gli rendiamo grazie per aver chiamato dagli inizi dell'era cristiana questo continente a essere centro d'irradiazione della buona novella della fede, e a manifestare nel mondo la Sua universale paternità. Gli rendiamo grazie perché ha benedetto questo suolo con il sangue dei martiri e il dono di innumerevoli vocazioni al sacerdozio, al diaconato, alla vita consacrata nelle sue varie forme, dalla vita monastica agl'istituti secolari. Gli rendiamo grazie perché il Suo santo Spirito non cessa ancor oggi di chiamare i figli di questa Chiesa a farsi annunciatori del messaggio di salvezza in ogni parte del mondo, ed altri ancora a testimoniare la verità del Vangelo che salva, nella vita matrimoniale e professionale, nella cultura e nella politica, nell'arte e nello sport, nei rapporti umani e di lavoro, ognuno secondo il dono e la missione ricevuti. Gli rendiamo grazie perché Lui è la voce che chiama e dà il coraggio di rispondere, è il pastore che guida e sostiene la fedeltà d'ogni giorno, è via, verità e vita per tutti coloro che sono chiamati a realizzare in sé il progetto del Padre.

Il Congresso Europeo Vocazionale

2. Riuniti in Roma, dal 5 al 10 maggio 1997, per il Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa,(1) abbiamo posto nelle mani del Padrone della messe i lavori del Congresso stesso, ma soprattutto l'ansia della Chiesa che è in Europa, in questo tempo difficile e pure formidabile, assieme alla gratitudine verso il Dio che è fonte d'ogni consolazione e autore d'ogni vocazione.

Riuniti in Roma abbiamo affidato a Maria, l'immagine riuscita della creatura chiamata dal Creatore, coloro che Dio ancor oggi continua a chiamare. Ai santi Pietro e Paolo e a tutti i santi e martiri di questa e d'ogni città e Chiesa europea, del passato e del presente, affidiamo ora questo documento. Riesca esso a esprimere e condividere quella ricchezza che ci è stata donata nei giorni dell'assemblea romana, così come un tempo i martiri e i santi hanno reso testimonianza dell'amore dell'Eterno.

Il Congresso, in effetti, è stato un evento di grazia: la condivisione fraterna, l'approfondimento dottrinale, l'incontro dei vari carismi, lo scambio delle diverse esperienze e fatiche in atto nelle Chiese dell'Est e dell'Ovest hanno arricchito tutti e ognuno. Hanno confermato in ciascun partecipante la volontà di continuare a lavorare con passione nel campo vocazionale, nonostante l'esiguità dei risultati in alcune Chiese del vecchio continente.

La forza della speranza

3. Dal Documento di lavoro del Congresso alle Proposizioni conclusive, dal Discorso del S. Padre ai partecipanti al Messaggio per le comunità ecclesiali, dagli interventi in aula alle discussioni nei gruppi di studio, dagli scambi informali alle testimonianze, c'è stato come un filo rosso che ha legato tra loro tutti gli atti e ogni momento di questo convegno: la speranza. Una speranza più forte d'ogni timore e d'ogni dubbio, quella speranza che ha sostenuto la fede dei nostri fratelli delle Chiese dell'Est in tempi in cui duro e rischioso era credere e sperare, e che ora è premiata da una rinnovata fioritura di vocazioni, com'è stato testimoniato al convegno.

A questi fratelli siamo profondamente grati, come a tutti quei credenti che continuano a testimoniare che la « speranza è il segreto della vita cristiana. Essa è il respiro assolutamente necessario sul fronte della missione della Chiesa e in particolare della pastorale vocazionale (...). Occorre quindi rigenerarla nei presbiteri, negli educatori, nelle famiglie cristiane, nelle famiglie religiose, negli Istituti Secolari. Insomma in tutti coloro che devono servire la vita accanto alle nuove generazioni ».(2)

Scriviamo a voi, ragazzi, adolescenti e giovani ...

4. Forti di questa speranza ci rivolgiamo a voi, ragazzi, adolescenti e giovani, anzitutto, perché nella scelta del vostro futuro accogliate il progetto che Dio ha su di voi: sarete felici e pienamente realizzati solo disponendovi a realizzare il sogno del Creatore sulla creatura. Quanto vorremmo che questo scritto fosse come una lettera indirizzata a ciascuno di voi, in cui possiate sentire, con l'aiuto dei vostri educatori, la premura della madre-Chiesa per ciascuno dei suoi figli, quella premura tutta particolare che una madre ha per i più giovani dei suoi figli. Una lettera in cui possiate riconoscere i vostri problemi, le domande che abitano il vostro cuore giovane e le risposte che vengono da Colui che è l'amico perennemente giovane delle anime vostre, l'unico che può dirvi la verità! Sappiatelo, cari giovani, la Chiesa segue trepida i vostri passi e le vostre scelte. E come sarebbe bello se questa lettera suscitasse in voi una qualche risposta, per un dialogo da continuare con chi vi guida...

... a voi, genitori ed educatori ...

5. Ricchi della medesima speranza ci rivolgiamo a voi genitori, da Dio chiamati a collaborare con la sua volontà di dare la vita, e a voieducatori, insegnanti, catechisti e animatori, da Dio chiamati a collaborare in vario modo al suo disegno di formare alla vita. Vorremmo dirvi quanto la Chiesa apprezzi la vostra vocazione, e quanto s'affidi a essa per promuovere la vocazione dei vostri figli e una vera e propria cultura vocazionale.

Voi genitori siete anche i primi naturali educatori vocazionali, mentre voi formatori non siete solo istruttori che introducono alle scelte esistenziali: siete chiamati voi pure a generare la vita nelle giovani esistenze che aprite al futuro. La vostra fedeltà alla chiamata di Dio è mediazione preziosa e insostituibile perché i vostri figli e alunni possano scoprire la loro personale vocazione, perché « abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza » (Gv 10, 10).

... a voi, pastori e presbiteri, consacrati e consacrate ...

6. Sempre con la speranza in cuore ci rivolgiamo a voi presbiteri e a voi consacrati e consacrate, nella vita religiosa e negli istituti secolari. Voi che avete sentito una particolare chiamata a seguire il Signore in una vita tutta dedicata a Lui, siete anche particolarmente chiamati, tutti senz'alcuna eccezione, a testimoniare la bellezza della sequela.

Sappiamo quanto oggi sia difficile questo annuncio e quanto sia facile la tentazione dello scoraggiamento quando la fatica sembra inutile. « La pastorale vocazionale costituisce il ministero più difficile e più delicato ».(3) Ma vorremmo anche ricordare che non c'è nulla di più esaltante d'una testimonianza così appassionata della propria vocazione da saperla rendere contagiosa. Nulla è più logico e coerente d'una vocazione che genera altre vocazioni e vi rende a pieno titolo « padri » e « madri ». In particolare vorremmo con questo scritto rivolgerci non solo a chi ha un incarico esplicito nella promozione vocazionale, ma anche a chi di voi non è impegnato direttamente in essa, o a chi ritiene di non aver alcun obbligo in tale direzione.

Vorremmo ricordare a costoro che solo una testimonianza corale rende efficace l'animazione vocazionale, e che la cosiddetta crisi vocazionale è prima di tutto legata alla latitanza di qualche testimone che rende debole il messaggio. In una Chiesa tutta vocazionale, tutti sono animatori vocazionali. Beati voi, allora, se saprete dire con la vostra vita che servire Dio è bello e appagante, e svelare che in Lui, il Vivente, è nascosta l'identità d'ogni vivente (cfr. Col 3, 3).

... a tutto il popolo di Dio che è in Europa

7. Infine vorremmo essere « samaritani della speranza » per quei fratelli e sorelle con cui condividiamo la fatica del cammino. Vorremmo indirizzare a tutto il popolo di Dio, peregrinante in questa terra antica e benedetta, nelle Chiese dell'Est e dell'Ovest, lo stesso messaggio di speranza. Da qui un tempo si diffuse l'annuncio della buona novella, grazie al coraggio di molti evangelizzatori che pagarono anche con il sangue la loro testimonianza. Ancora oggi, noi vogliamo credere, lo Spirito del Padre chiama.

Egli invia per le strade del mondo i figli di questa terra generosa dalle radici cristiane, ma bisognosa essa stessa di nuova evangelizzazione e di nuovi evangelizzatori. Anche noi, allora, ci presentiamo al Signore, come gli Apostoli un tempo, con la coscienza della nostra povertà e dei bisogni di questa Chiesa: « Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla » (Lc 5, 5). Ma vogliamo soprattutto, « sulla sua parola », credere e sperare che, come allora, il Signore può riempire anche oggi con una pesca miracolosa le barche dei suoi apostoli e trasformare ogni credente in pescatore di uomini.

Dal Congresso alla vita

8. Scopo, allora, del presente documento è quello di condividere con tutti voi l'evento di grazia che il Congresso è stato. Senza pretendere di farne una sintesi accurata, né presumere di esporre un trattato sistematico sulla vocazione, vorremmo fraternamente mettere a disposizione della Chiesa tutta, che è in Europa e fuori d'Europa, nelle sue varie denominazioni cristiane, i frutti più significativi del Congresso stesso.

Lo stile cercherà di esprimere il più possibile la volontà di farci capire da tutti, poiché tutti indistintamente sono chiamati a realizzare la propria vocazione e a promuovere quella di chi è loro prossimo.

Sarà tale soprattutto da coniugare tra loro riflessione teologica e prassi pastorale, proposta teorica e indicazione pedagogica, per offrire un aiuto concreto e pratico a quanti operano nell'animazione vocazionale.

Non abbiamo alcuna pretesa di dire tutto, non solo per non ripetere quanto altri documenti hanno già ottimamente detto al riguardo,(4) ma per rimanere aperti al mistero, a quel mistero che avvolge la vita e la chiamata d'ogni essere umano, a quel mistero che è anche il cammino di discernimento vocazionale e che solo nel momento della morte si compirà. O la pastorale vocazionale è mistagogica, e dunque parte e riparte dal Mistero (di Dio) per ricondurre al mistero (dell'uomo), o non è.

Le parti del documento

9. Concretamente il presente testo segue la logica che ha guidato i lavori del Congresso: dal concreto dell'esistenza alla riflessione, per tornare ancora al concreto esistenziale. È con la realtà d'ogni giorno che deve misurarsi la pastorale vocazionale, proprio perché è pastorale in funzione e al servizio della vita. Di conseguenza partiremo con un tentativo di rilevamento della situazione, per poi analizzare il tema della vocazione dal punto di vista teologico, e dare dunque un fondamento, una indispensabile struttura di riferimento a tutto il seguito del discorso.

A questo punto inizia la parte più applicativa: di tipo pastorale, anzitutto, o di grandi strategie d'intervento, e poi di tipo più pedagogico. Sarà utile per identificare almeno alcune piste orientative sul piano del metodo e della prassi quotidiana. E forse proprio questo aspetto è il più carente e il più atteso dagli operatori pastorali.

PARTE PRIMA

LA SITUAZIONE VOCAZIONALE EUROPEA OGGI
« La messe è molta,
ma gli operai sono pochi » (Mt 9, 37)

Questa prima parte costituisce uno sguardo sapienziale sull'Europa, nella consapevolezza della sua complessità culturale, in cui sembra essere egemone un modello antropologico di « uomo senza vocazione ». La nuova evangelizzazione deve riannunciare il senso forte della vita come « vocazione », nel suo fondamentale appello alla santità, ricreando una cultura favorevole alle diverse vocazioni ed atta a promuovere un vero salto di qualità nella pastorale vocazionale.

« Nuove vocazioni per una nuova Europa »

10. Il tema del Congresso (« Nuove vocazioni per una nuova Europa ») va direttamente al cuore del problema: oggi in un'Europa nuova rispetto al passato c'è bisogno di vocazioni altrettanto « nuove ». È necessario giustificare l'affermazione per capire il senso di questa novità, e coglierne il rapporto con la pastorale « tradizionale » delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Non ci accontenteremo allora di fotografare la situazione e di enumerare dati, ma vedremo di cogliere in quale direzione vada la novità e il bisogno di vocazioni che da essa scaturisce.

Allo stesso tempo leggeremo la situazione che s'è determinata al presente, a partire dall'espressione di Gesù dinanzi alla missione che l'attendeva: « La messe è molta, ma gli operai sono pochi » (Mt 9, 37). Queste parole continuano a essere vere e costituiscono una preziosa chiave di lettura dell'attualità. In qualche maniera ritroviamo in esse la giusta misura della nostra azione e la giusta proporzione (o sproporzione) tra una messe che sarà sempre eccedente e le nostre poche forze. Al riparo da ogni interpretazione pessimista dell'oggi, come pure da ogni pretesa d'autosufficienza per il domani.

Nuova Europa

11. Già il Documento di lavoro aveva offerto un quadro della situazione europea, riguardo alla problematica vocazionale, fortemente segnato da elementi di novità. Qui li riassumiamo appena, secondo l'analisi che ne ha fatto il Congresso stesso, cercando di cogliere quelli più significativi, destinati a condizionare nei tempi lunghi mentalità e sensibilità giovanili, e dunque anche prassi pastorali e strategie vocazionali.

a) Un'Europa diversificata e complessa

Anzitutto un dato appare ormai scontato: è praticamente impossibile definire in modo univoco e statico la situazione europea, sul piano della condizione giovanile e degli inevitabili riflessi vocazionali. Siamo di fronte a una Europa diversificata, resa tale dalle diverse vicende storico-politiche (vedi la differenza tra Est e Ovest), ma anche dalla pluralità di tradizioni e culture (greco-latina, anglosassone e slava).

Esse tuttavia ne costituiscono anche la ricchezza e rendono significative, in contesti diversi, esperienze e scelte. Così, se nei paesi del versante orientale si avverte il problema di come gestire la ritrovata libertà, in quelli del versante occidentale ci s'interroga su come vivere l'autentica libertà.

Tale eterogeneità è pure confermata dall'andamento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, non solo per la differenza marcata tra la fioritura vocazionale dell'Europa orientale e la crisi generale che pervade l'Occidente, ma perché, all'interno di tale crisi, vi sono anche segni di ripresa vocazionale, particolarmente in quelle Chiese, in cui il lavoro postconciliare assiduo e costante ha tracciato un solco profondo ed efficace.(5)

Se dunque in Oriente è necessario avviare una vera pastorale organica al servizio della promozione vocazionale, dall'animazione alla formazione, soprattutto, delle vocazioni, in Occidente è indispensabile una diversa attenzione. Ci si deve interrogare sulla reale consistenza teologica e sulla linearità applicativa di certi progetti vocazionali, sul concetto di vocazione che ne è alla base e sul tipo di vocazioni che ne derivano. Al Congresso è tornata insistente la domanda: « Perché determinate teologie o prassi pastorali non producono vocazioni, mentre altre le producono? ».(6)

Un altro aspetto caratterizza l'attualità socio-culturale europea: l'eccedenza di possibilità, di occasioni, di sollecitazioni, a fronte della carenza di focalizzazione, di propositività, di progettualità. È come un ulteriore contrasto che aumenta il grado di complessità di questa stagione storica, con ricaduta negativa sul piano vocazionale. Come la Roma antica, l'Europa moderna sembra simile a un pantheon, a un grande « tempio » in cui tutte le « divinità » son presenti, o in cui ogni « valore » ha il suo posto e la sua nicchia.

« Valori » diversi e contrastanti sono copresenti e coesistenti, senza una gerarchizzazione precisa; codici di lettura e di valutazione, d'orientamento e di comportamento del tutto dissimili tra loro.

Risulta difficile, in tale contesto, avere una concezione o una visione del mondo unitaria, e diventa dunque debole anche la capacità progettuale della vita. Quando una cultura, infatti, non definisce più le supreme possibilità di significato, o non riesce a creare convergenza attorno ad alcuni valori come particolarmente capaci di dar senso alla vita, ma pone tutto sullo stesso piano, cade ogni possibilità di scelta progettuale e tutto diviene indifferente e piatto.

b) I giovani e l'Europa

I giovani europei vivono in questa cultura pluralista e ambivalente, « politeista » e neutra. Da un lato cercano appassionatamente autenticità, affetto, rapporti personali, grandezza d'orizzonti, dall'altro sono fondamentalmente soli, « feriti » dal benessere, delusi dalle ideologie, confusi dal disorientamento etico.

E ancora: « da più parti del mondo giovanile si rileva una chiara simpatia per la vita intesa come valore assoluto, sacro... »,(7) ma spesso e in molte parti d'Europa tale apertura nei confronti dell'esistenza è smentita da politiche non rispettose del diritto alla vita stessa, soprattutto, per i più deboli. Politiche che stanno rischiando di rendere il « vecchio continente » sempre più vecchio. Se dunque, per un verso, questi giovani sono un notevole capitale per l'Europa d'oggi, che su di loro investe notevolmente per costruire il suo futuro, dall'altro non sempre le aspettative giovanili sono coerentemente accolte dal mondo degli adulti o dei responsabili della società civile.

Due aspetti, comunque, ci sembrano centrali per capire l'atteggiamento giovanile odierno: la rivendicazione della soggettività e il desiderio di libertà. Sono due istanze degne d'attenzione e tipicamente umane. Spesso tuttavia in una cultura debole e complessa quale l'attuale, danno luogo — incontrandosi — a combinazioni che ne deformano il senso: la soggettività diventa allora soggettivismo, mentre la libertà degenera in arbitrio.

In tale contesto merita attenzione il rapporto che i giovani europei stabiliscono con la Chiesa. Rileva con coraggio e realismo il Congresso in una delle sue Proposizioni conclusive: « I giovani spesso non vedono nella Chiesa l'oggetto della loro ricerca ed il luogo di risposta della loro domanda e attesa. Si rileva che non è Dio il problema, ma la Chiesa. La Chiesa ha coscienza della difficoltà a comunicare con i giovani, della carenza di veri progetti pastorali..., della debolezza teologico-antropologica di certe catechesi. Da parte di tanti giovani perdura il timore che un'esperienza nella Chiesa limiti la loro libertà »,(8) mentre da parte di molti altri la Chiesa resta o sta diventando il più autorevole punto di riferimento.

c) « Uomo senza vocazione »

Questo gioco di contrasti si riflette inevitabilmente sul piano della progettazione del futuro, che è visto — da parte dei giovani — in un'ottica conseguente, limitata alle proprie vedute, in funzione d'interessi strettamente personali (l'autorealizzazione).

È una logica che riduce il futuro alla scelta d'una professione, alla sistemazione economica, o all'appagamento sentimentale-emotivo, entro orizzonti che di fatto riducono la voglia di libertà e le possibilità del soggetto a progetti limitati, con l'illusione d'esser liberi.

Sono scelte senza alcun'apertura al mistero e al trascendente, e fors'anche con scarsa responsabilità nei confronti della vita, propria e altrui, della vita ricevuta in dono e da generare negli altri. È, in altre parole, una sensibilità e mentalità che rischia di delineare una sorta di cultura antivocazionale. Come dire che nell'Europa culturalmente complessa e priva di precisi punti di riferimento, simile a un grande pantheon, il modello antropologico prevalente sembra esser quello dell'« uomo senza vocazione ».

Eccone una possibile descrizione. « Una cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani con un'identità incompiuta e debole con la conseguente indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno neppure la « grammatica elementare » dell'esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi « tentano »! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti ad impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall'altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti dall'ambiente socioculturale ed a cercare la gratificazione immediata dei sensi: di ciò che « mi va », di ciò che « mi fa sentire bene » in un mondo affettivo fatto su misura ».(9)

Fa un'immensa tristezza incontrare giovani, pur intelligenti e dotati, in cui sembra spenta la voglia di vivere, di credere in qualcosa, di tendere verso obiettivi grandi, di sperare in un mondo che può diventare migliore anche grazie ai loro sforzi. Sono giovani che sembrano sentirsi superflui nel gioco o nel dramma della vita, quasi dimissionari nei confronti d'essa, smarriti lungo sentieri interrotti e appiattiti sui livelli minimi della tensione vitale. Senza vocazione, ma anche senza futuro, o con un futuro che, tutt'al più, sarà una fotocopia del presente.

d) La vocazione dell'Europa

Eppure, quest'Europa dalle molte anime e dalla cultura così debole (ma che tuttavia s'impone spesso con forza) mostra d'avere energie insospettate, è quanto mai viva e chiamata a giocare un ruolo importante nel contesto mondiale.

Mai come in questo tempo il vecchio continente, nonostante mostri ancora le ferite di recenti conflitti e di contrapposizioni anche violente al suo interno, ha avvertito forte la chiamata all'unità. Una unità che si deve ancora costruire, nonostante certi muri siano caduti, e che dovrà estendersi a tutta l'Europa e a chi a essa chiede ospitalità e accoglienza. Unità che non potrà essere solo politica o economica, ma anche e prima di tutto spirituale e morale. Unità, ancora, che dovrà superare vecchi rancori e antiche diffidenze, e che potrebbe ritrovare proprio nelle primitive radici cristiane un motivo di convergenza e una garanzia d'intesa. Unità, in particolare, che toccherà all'attuale generazione giovanile realizzare e render solida e completa, dall'Ovest all'Est, dal Nord al Sud, difendendola da ogni tentazione contraria d'isolamento e ripiegamento sui propri interessi, e proponendola al mondo intero come esempio di serena convivenza nella diversità.

Saranno questi giovani capaci di assumere tale responsabilità?

Se è vero che il giovane d'oggi rischia d'essere disorientato e di ritrovarsi senza un preciso punto di riferimento, la « nuova Europa » che sta nascendo potrebbe forse diventare un traguardo e offrire un adeguato stimolo a giovani che, in realtà, « hanno nostalgia di libertà e cercano la verità, la spiritualità, l'autenticità, la propria originalità personale e la trasparenza, che insieme hanno desiderio di amicizia e di reciprocità », che cercano « compagnia » e vogliono « costruire una nuova società, fondata su valori quali la pace, la giustizia, il rispetto per l'ambiente, l'attenzione alle diversità, la solidarietà, il volontariato e la pari dignità della donna ».(10)

In ultima analisi, le più recenti ricerche descrivono i giovani europei come smarriti, ma non disperati; impregnati di relativismo etico, ma anche desiderosi di vivere una « vita buona »; coscienti del loro bisogno di salvezza, sia pur senza sapere dove cercarla.

Il loro più grave problema è probabilmente la società eticamente neutra nella quale è capitato loro di vivere, ma le risorse in loro non si sono spente. Specie in un tempo di transizione verso nuovi traguardi come il nostro. Ne fanno fede i tanti giovani animati da sincera ricerca di spiritualità e coraggiosamente impegnati nel sociale, fiduciosi in se stessi e negli altri e distributori di speranza e di ottimismo.

Noi crediamo che questi giovani, nonostante le contraddizioni e il « peso » d'un certo ambiente culturale, possano costruire questa nuova Europa. Nella vocazione della loro madre-terra s'adombra anche la loro personale vocazione.

Nuova evangelizzazione

12. Tutto questo apre nuove strade e chiede nuovo impulso allo stesso processo di evangelizzazione della vecchia e nuova Europa. Da tempo la Chiesa e l'attuale Pontefice vanno chiedendo un profondo rinnovamento dei contenuti e del metodo dell'annuncio del vangelo, « per rendere la Chiesa del XX secolo sempre più idonea ad annunciare il vangelo all'umanità del XX secolo ».(11) E, come ci ha ricordato il Congresso, « non bisogna aver paura di essere in un periodo di passaggio da una sponda all'altra ».(12)

a) Il « semper » e il « novum »

Si tratta di coniugare il « semper » e il « novum » del vangelo, per offrirlo alle nuove domande e condizioni dell'uomo e della donna d'oggi. È dunque urgente riproporre il cuore o il centro del kerigma come « notizia perennemente buona », ricca di vita e di senso per il giovane che vive in Europa, come annuncio capace di rispondere alle sue aspettative e d'illuminare la sua ricerca.

Specie attorno a questi punti si concentrano la tensione e la sfida. Di qui dipendono l'immagine d'uomo che si vuole realizzare e le grandi decisioni della vita, del futuro della persona e dell'umanità: dal significato della libertà, del rapporto tra soggettività e oggettività, del mistero della vita e della morte, dell'amare e del soffrire, del lavoro e della festa.

Occorre chiarire la relazione tra prassi e verità, tra istante storico personale e futuro definitivo universale o tra bene ricevuto e bene donato, tra coscienza del dono e scelta di vita. Noi sappiamo che è proprio attorno a questi punti che si concentra anche una certa crisi di significato, da cui derivano poi una cultura antivocazionale e un'immagine d'uomo senza vocazione.

Dunque di qui deve partire o qui deve approdare il cammino della nuova evangelizzazione, per evangelizzare la vita e il significato della vita, l'esigenza di libertà e di soggettività, il senso del proprio essere al mondo e del relazionarsi con gli altri.

Di qui potrà emergere una cultura vocazionale e un modello d'uomo aperto alla chiamata. Perché a un'Europa che va ridisegnando in profondità il suo volto non venga a mancare la buona novella della pasqua del Signore, nel cui sangue i popoli dispersi si sono riuniti e i lontani sono diventati vicini, « abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia » (Ef 2, 14). Possiamo anzi dire che la vocazione è il cuore stesso della nuova evangelizzazione alle soglie del terzo millennio, è l'appello di Dio all'uomo per una nuova stagione di verità e libertà, e per una rifondazione etica della cultura e della società europea.

b) Nuova santità

In questo processo di inculturazione della buona novella, la Parola di Dio si fa compagna di viaggio dell'uomo e lo incrocia lungo le vie per rivelargli il progetto del Padre come condizione della sua felicità. Ed è esattamente la Parola tratta dalla lettera di Paolo ai cristiani della Chiesa di Efeso, che conduce anche noi oggi, popolo di Dio in Europa, a scoprire quanto forse non è subito visibile a prima vista, ma che pure è evento, è dono, è vita nuova: « Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio » (Ef 2, 19).

Non è, evidentemente, parola nuova, ma è parola che ci fa guardare in modo nuovo alla realtà della Chiesa del vecchio continente, che è tutt'altro che « Chiesa vecchia ». Essa è comunità di credenti chiamati alla « giovinezza della santità », alla vocazione universale alla santità, sottolineata con forza dal Concilio (13) e ribadita in svariate circostanze dal Magistero successivo.

È tempo, ora, che quell'appello riprenda forza e raggiunga ogni credente, perché ognuno sia « in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità » (Ef 3, 18) del mistero di grazia affidato alla propria vita.

È tempo ormai che quell'appello susciti nuovi disegni di santità, perché l'Europa ha bisogno soprattutto di quella particolare santità che il momento presente esige, originale quindi e in qualche modo senza precedenti.

Occorrono persone, capaci di « gettare ponti » per unire sempre più le Chiese e i popoli d'Europa e per riconciliare gli animi.

Occorrono « padri » e « madri » aperti alla vita e al dono della vita; sposi e spose che testimonino e celebrino la bellezza dell'amore umano benedetto da Dio; persone capaci di dialogo e di « carità culturale », per la trasmissione del messaggio cristiano mediante i linguaggi della nostra società; professionisti e persone semplici capaci d'imprimere all'impegno nella vita civile e ai rapporti di lavoro e d'amicizia la trasparenza della verità e l'intensità della carità cristiana; donne che riscoprano nella fede cristiana la possibilità di vivere in pieno il loro genio femminile; presbiteri dal cuore grande, come quello del Buon Pastore; diaconi permanenti che annuncino la Parola e la libertà del servizio per i più poveri; apostoli consacrati capaci d'immergersi nel mondo e nella storia con cuore di contemplativo, e mistici così familiari col mistero di Dio da saper celebrare l'esperienza del divino e indicare Dio presente nel vivo dell'azione.

L'Europa ha bisogno di nuovi confessori della fede e della bellezza del credere, di testimoni che siano credenti credibili, coraggiosi fino al sangue, di vergini che non siano tali solo per se stessi, ma che sappiano indicare a tutti quella verginità che è nel cuore d'ognuno e che rimanda immediatamente all'Eterno, fonte d'ogni amore.

La nostra terra è avida non solo di persone sante, ma di comunità sante, così innamorate della Chiesa e del mondo da saper presentare al mondo stesso una Chiesa libera, aperta, dinamica, presente nella storia odierna d'Europa, vicina ai dolori della gente, accogliente verso tutti, promotrice della giustizia, attenta ai poveri, non preoccupata della sua minoranza numerica né di porre paletti di confine alla propria azione, non spaventata dal clima di scristianizzazione sociale (reale ma forse non così radicale e generale) né dalla scarsità (spesso solo apparente) dei risultati.

Sarà questa la nuova santità capace di rievangelizzare l'Europa e di costruire la nuova Europa!

Nuove vocazioni

13. S'impone allora un discorso nuovo sulla vocazione e sulle vocazioni, sulla cultura e sulla pastorale vocazionale. Il Congresso ha inteso recepire una certa sensibilità, ormai largamente diffusa riguardo a questi temi, proponendo però, al tempo stesso, un « «sussulto» idoneo ad aprire stagioni nuove nelle nostre Chiese ».(14)

a) Vocazione e vocazioni

Come la santità è per tutti i battezzati in Cristo, così esiste una vocazione specifica per ogni vivente; e come la prima è radicata nel Battesimo, così la seconda è connessa al semplice fatto d'esistere. La vocazione è il pensiero provvidente del Creatore sulla singola creatura, è la sua idea-progetto, come un sogno che sta a cuore a Dio perché gli sta a cuore la creatura. Dio-Padre lo vuole diverso e specifico per ogni vivente.

L'essere umano, infatti, è « chiamato » alla vita, e come viene alla vita porta e ritrova in sé l'immagine di Colui che l'ha chiamato.

Vocazione è la proposta divina di realizzarsi secondo quest'immagine, ed è unica-singola irripetibile proprio perché tale immagine è inesauribile. Ogni creatura dice ed è chiamata a esprimere un aspetto particolare del pensiero di Dio. Lì trova il suo nome e la sua identità; afferma e mette al sicuro la sua libertà e originalità.

Se dunque ogni essere umano ha la propria vocazione fin dal momento della nascita, esistono nella Chiesa e nel mondo varie vocazioni che, mentre su un piano teologico esprimono la somiglianza divina impressa nell'uomo, a livello pastorale-ecclesiale rispondono alle varie esigenze della nuova evangelizzazione, arricchendo la dinamica e la comunione ecclesiale: « La Chiesa particolare è come un giardino fiorito, con grande varietà di doni e carismi, movimenti e ministeri. Di qui l'importanza della testimonianza della comunione tra loro, abbandonando ogni spirito di «concorrenza» ».(15)

Anzi, è stato detto esplicitamente al Congresso, « c'è bisogno di apertura a nuovi carismi e ministeri, forse diversi da quelli consueti. La valorizzazione ed il posto del laicato è un segno dei tempi che è ancora in parte da scoprire. Esso si sta rivelando sempre più fruttuoso ».(16)

b) Cultura della vocazione

Questi elementi stanno progressivamente penetrando la coscienza dei credenti, ma non ancora fino a creare una vera e propria cultura vocazionale,(17) capace di varcare i confini della comunità credente. Per questo il S. Padre, nel suo Discorso ai partecipanti al Congresso auspica che la costante e paziente attenzione della comunità cristiana al mistero della divina chiamata promuova una « nuova cultura vocazionale nei giovani e nelle famiglie ».(18)

Essa è una componente della nuova evangelizzazione. È cultura della vita e dell'apertura alla vita, del significato del vivere, ma anche del morire.

In particolare fa riferimento a valori forse un po' dimenticati da certa mentalità emergente (« cultura di morte », secondo alcuni), come la gratitudine, l'accoglienza del mistero, il senso dell'incompiutezza dell'uomo e assieme della sua apertura al trascendente, la disponibilità a lasciarsi chiamare da un altro (o da un Altro) e a farsi interpellare dalla vita, la fiducia in sé e nel prossimo, la libertà di commuoversi di fronte al dono ricevuto, di fronte all'affetto, alla comprensione, al perdono, scoprendo che quello che si è ricevuto è sempre immeritato ed eccedente la propria misura, e fonte di responsabilità verso la vita.

Fa parte ancora di questa cultura vocazionale la capacità di sognare e desiderare in grande, quello stupore che consente d'apprezzare la bellezza e sceglierla per il suo valore intrinseco, perché rende bella e vera la vita, quell'altruismo che non è solo solidarietà d'emergenza, ma che nasce dalla scoperta della dignità di qualsiasi fratello.

Alla cultura della distrazione, che rischia di perder di vista e annullare gl'interrogativi seri nel macero delle parole, va opposta una cultura capace di ritrovare coraggio e gusto per le domande grandi, quelle relative al proprio futuro: sono le domande grandi, infatti, che rendono grandi anche le risposte piccole. Ma son poi le risposte piccole e quotidiane che provocano le grandi decisioni, come quella della fede; o che creano cultura, come quella della vocazione.

In ogni caso la cultura vocazionale, in quanto complesso di valori, deve passare sempre più dalla coscienza ecclesiale a quella civile, dalla consapevolezza del singolo o della comunità credente alla convinzione universale di non poter costruire alcun futuro, per l'Europa del duemila, su un modello d'uomo senza vocazione. Continua infatti il Papa: « Il disagio che attraversa il mondo giovanile rivela, anche nelle nuove generazioni, pressanti domande sul significato dell'esistenza, a conferma del fatto che nulla e nessuno può soffocare nell'uomo la domanda di senso e il desiderio di verità. Per molti è questo il terreno sul quale si pone la ricerca vocazionale ».(19)

Proprio questa domanda e questo desiderio fanno nascere un'autentica cultura della vocazione; e se domanda e desiderio sono nel cuore d'ogni uomo, anche di chi li nega, allora questa cultura potrebbe diventare una sorta di terreno comune ove la coscienza credente incontra la coscienza laica e con essa si confronta. Ad essa donerà con generosità e trasparenza quella sapienza che ha ricevuto dall'alto.

Tale nuova cultura diverrà così vero e proprio terreno di nuova evangelizzazione, ove potrebbe nascere un nuovo modello d'uomo e potrebbero fiorire anche nuova santità e nuove vocazioni per l'Europa del duemila. La penuria, infatti, delle vocazioni specifiche — le vocazioni al plurale — è soprattutto assenza di coscienza vocazionale della vita — la vocazione al singolare —, ovvero assenza di cultura della vocazione.

Questa cultura diventa oggi, probabilmente, il primo obiettivo della pastorale vocazionale (20) o, forse, della pastorale in genere. Che pastorale è, infatti, quella che non coltiva la libertà di sentirsi chiamati da Dio, né fa nascere novità di vita?

c) Pastorale delle vocazioni: il « salto di qualità »

C'è un altro elemento che lega tra loro la riflessione precongressuale con l'analisi congressuale. È la consapevolezza che la pastorale delle vocazioni si trova di fronte all'esigenza di un cambiamento radicale, di un « "sussulto" idoneo », secondo il documento preparatorio,(21) o di « un salto di qualità », come il Papa ha raccomandato nel suo Messaggio a fine Congresso.(22) Ancora una volta ci troviamo dinanzi a una convergenza evidente e da intendere nel suo significato autentico, in questa analisi della situazione che stiamo proponendo.

Non si tratta solo d'un invito a reagire a una sensazione di stanchezza o di sfiducia per i pochi risultati; né s'intende con queste parole provocare a rinnovare semplicemente certi metodi o a recuperare energia ed entusiasmo, ma si vuole indicare, in sostanza, che la pastorale vocazionale in Europa è giunta a uno snodo storico, a un passaggio decisivo. C'è stata una storia, con una preistoria e poi delle fasi che si sono lentamente succedute, lungo questi anni, come stagioni naturali, e che ora devono necessariamente procedere verso lo stato « adulto » e maturo della pastorale vocazionale.

Non si tratta dunque né di sottovalutare il senso di questo passaggio, né d'incolpare alcuno per quello che non si sarebbe fatto nel passato; anzi, il sentimento nostro e di tutta la Chiesa è di sincera riconoscenza verso quei fratelli e sorelle che, in condizioni di notevole difficoltà, hanno con generosità aiutato tanti ragazzie e giovani a cercare e a trovare la propria vocazione. Ma si tratta, in ogni caso, di comprendere ancora una volta la direzione che Dio, il Signore della storia, sta imprimendo alla nostra storia, anche alla ricca storia delle vocazioni in Europa, oggi dinanzi a un crocevia decisivo.

– Se la pastorale delle vocazioni è nata come emergenza legata a una situazione di crisi e indigenza vocazionale, oggi non può più pensarsi con la stessa precarietà e motivata da una congiuntura negativa, ma — al contrario — appare come espressione stabile e coerente della maternità della Chiesa, aperta al piano inarrestabile di Dio, che sempre in essa genera vita;

– se un tempo la promozione vocazionale si riferiva solo o soprattutto ad alcune vocazioni, ora si dovrebbe tendere sempre più verso la promozione di tutte le vocazioni, poiché nella Chiesa del Signore o si cresce insieme o non cresce nessuno;

– se ai suoi inizi la pastorale vocazionale provvedeva a circoscrivere il suo campo d'intervento ad alcune categorie di persone (« i nostri », quelli più vicini agli ambienti di chiesa o coloro che sembravano mostrare subito un certo interesse, i più buoni e meritevoli, quelli che avevano già fatto un'opzione di fede, e così via), adesso s'avverte sempre più la necessità d'estendere con coraggio a tutti, almeno in teoria, l'annuncio e la proposta vocazionale, in nome di quel Dio che non fa preferenza di persone, che sceglie peccatori in un popolo di peccatori, che fa di Amos, che non era figlio di profeti ma solo raccoglitore di sicomori, un profeta, e chiama Levi e va in casa di Zaccheo, ed è capace di far sorgere figli di Abramo anche dalle pietre (cfr. Mt 3, 9);

– se prima l'attività vocazionale nasceva in buona parte dalla paura (dell'estinzione o di contare di meno) e dalla pretesa di mantenere determinati livelli di presenze o di opere, ora la paura, che è sempre pessima consigliera, cede il posto alla speranza cristiana, che nasce dalla fede ed è proiettata verso la novità e il futuro di Dio;

– se una certa animazione vocazionale è, o era, perennemente incerta e timida, da sembrar quasi in condizione d'inferiorità rispetto a una cultura antivocazionale, oggi fa vera promozione vocazionale solo chi è animato dalla certezza che in ogni persona, nessuno escluso, c'è un dono originale di Dio che attende d'essere scoperto;

– se l'obiettivo un tempo sembrava essere il reclutamento, e il metodo la propaganda, spesso con esiti forzosi sulla libertà dell'individuo o con episodi di « concorrenza », ora deve essere sempre più chiaro che lo scopo è il servizio da dare alla persona, perché sappia discernere il progetto di Dio sulla sua vita per l'edificazione della Chiesa, e in esso riconosca e realizzi la sua propria verità; (23)

– se in epoca non proprio lontana c'era chi s'illudeva di risolvere la crisi vocazionale con scelte discutibili, ad esempio « importando vocazioni » da altrove (spesso sradicandole dal loro ambiente), oggi nessuno dovrebbe illudersi di risolvere la crisi vocazionale aggirandola, poiché il Signore continua a chiamare in ogni Chiesa e in ogni luogo;

– e così, sulla stessa linea, il « cireneo vocazionale », volonteroso e spesso solitario improvvisatore, dovrebbe sempre più passare da un'animazione fatta d'iniziative ed esperienze episodiche a un'educazione vocazionale che s'ispiri alla sapienza d'un metodo collaudato d'accompagnamento, per poter dare un aiuto appropriato a chi è in ricerca;

– di conseguenza, lo stesso animatore vocazionale dovrebbe diventare sempre più educatore alla fede e formatore di vocazioni, e l'animazione vocazionale divenire sempre più azione corale,(24) di tutta la comunità, religiosa o parrocchiale, di tutto l'istituto o di tutta la diocesi, di ogni presbitero o consacratoa o credente, e per tutte le vocazioni in ogni fase della vita;

– è ora, infine, che si passi decisamente dalla « patologia della stanchezza » (25) e della rassegnazione, che si giustifica attribuendo all'attuale generazione giovanile la causa unica della crisi vocazionale, al coraggio di porsi gl'interrogativi giusti, per capire gli eventuali errori e inadempienze, per arrivare a un nuovo slancio creativo fervido di testimonianza.

d) Piccolo gregge e grande missione (26)

Sarà la coerenza con cui si procede in questa linea che aiuterà sempre più a riscoprire la dignità della pastorale vocazionale e la sua naturale posizione di centralità e sintesi nell'ambito pastorale.

Anche qui veniamo da esperienze e concezioni che hanno rischiato di emarginare, in qualche modo, nel passato, la stessa pastorale delle vocazioni, considerandola come meno importante. Essa talvolta presenta un volto non vincente della Chiesa attuale o viene giudicata come un settore della pastorale meno teologicamente fondato rispetto ad altri, prodotto recente d'una situazione critica e contingente.

La pastorale vocazionale vive forse ancora in una situazione d'inferiorità, che da un lato può nuocere alla sua immagine e indirettamente all'efficacia della sua azione, ma dall'altro può anche diventare un contesto favorevole per individuare e sperimentare con creatività e libertà — libertà anche di sbagliare — nuovi cammini pastorali.

Soprattutto tale situazione può ricordare quell'altra « inferiorità » o povertà di cui parlava Gesù osservando le folle che lo seguivano: « La messe è molta, ma gli operai sono pochi » (Mt 9, 37). Di fronte alla messe del Regno di Dio, di fronte alla messe della nuova Europa e della nuova evangelizzazione, gli « operai » sono e saranno sempre pochi, « piccolo gregge e grande missione », perché risalti meglio che la vocazione è iniziativa di Dio, dono del Padre, Figlio e Spirito Santo.

PARTE SECONDA

TEOLOGIA DELLA VOCAZIONE
« Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito... » (1 Cor 12, 4)

Lo scopo fondamentale di questa parte teologica è di far cogliere il senso della vita umana in rapporto a Dio comunione trinitaria. Il mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo fonda l'esistenza piena dell'uomo, come chiamata all'amore nel dono di sé e nella santità; come dono nella Chiesa per il mondo. Ogni antropologia sganciata da Dio è illusoria.

Si tratta ora di cogliere gli elementi strutturali della vocazione cristiana, la sua architettura essenziale che, evidentemente, non può che essere teologica. Questa realtà, già oggetto di molte analisi anche del Magistero, è ricca d'una tradizione spirituale, biblico-teologica, che ha formato non solo generazioni di chiamati, ma anche una spiritualità della chiamata.

La domanda di senso per la vita

14. Alla scuola della parola di Dio la comunità cristiana accoglie la risposta più alta alla domanda di senso che insorge, più o meno chiaramente, nel cuore dell'uomo. È una risposta che non viene dalla ragione umana, pur sempre drammaticamente provocata dal problema dell'esistere e del suo destino, ma da Dio. É Lui stesso a consegnare all'uomo la chiave di lettura per chiarire e risolvere i grandi interrogativi che fanno dell'uomo un soggetto interrogante: « Perché siamo al mondo? Che cos'è la vita? Quale l'approdo oltre il mistero della morte? ».

Non va però dimenticato che nella cultura della distrazione, in cui si trovano imbarcati soprattutto i giovani di questo tempo, le domande fondamentali corrono il rischio di essere soffocate, o di essere rimosse. Il senso della vita, oggi, più che cercato viene imposto: o da ciò che si vive nell'immediato o da ciò che gratifica i bisogni, soddisfatti i quali, la coscienza diventa sempre più ottusa e gli interrogativi più veri restano elusi.(27)

È dunque compito della teologia pastorale e dell'accompagnamento spirituale aiutare i giovani a interrogare la vita, per giungere a formulare, nel dialogo decisivo con Dio, la stessa domanda di Maria di Nazaret: « Come è possibile? » (Lc 1, 34).

L'icona trinitaria

15. In ascolto della Parola, non senza stupore, scopriamo che la categoria biblico-teologica più comprensiva e più aderente per esprimere il mistero della vita, alla luce di Cristo, è quella di « vocazione ».(28) « Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del Suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ».(29)

Per questo la figura biblica della comunità di Corinto presenta i doni dello Spirito, nella Chiesa, in subordine al riconoscimento di Gesù come il Signore. Davvero la cristologia sta a fondamento di ogni antropologia ed ecclesiologia. Cristo è il progetto dell'uomo. Solo dopo che il credente ha riconosciuto che Gesù è il Signore « sotto l'azione dello Spirito Santo » (1 Cor 12, 3) può accogliere lo statuto della nuova comunità dei credenti: « Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti » (1 Cor 12, 4-6).

L'immagine paolina mette in chiara evidenza tre aspetti fondamentali dei doni vocazionali nella Chiesa, strettamente connessi con la loro origine dal grembo della comunione trinitaria e con riferimento specifico alle singole Persone.

Alla luce dello Spirito i doni sono espressione della Sua infinita gratuità. Egli stesso è carisma (Atti 2, 38), sorgente di ogni dono ed espressione dell'incontenibile creatività divina.

Alla luce di Cristo i doni vocazionali sono « ministeri », esprimono la poliforme diversità del servizio che il Figlio ha vissuto sino al dono della vita. Egli infatti « non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita... » (Mt 20, 28). Gesù pertanto è il modello di ogni ministero.

Alla luce del Padre i doni sono « operazioni », perché da Lui, fonte della vita, ogni essere sprigiona il proprio dinamismo creaturale.

La Chiesa dunque riflette, come icona, il mistero di Dio Padre, di Dio Figlio e di Dio Spirito Santo; ed ogni vocazione reca in sé i tratti caratteristici delle tre Persone della comunione trinitaria. Le Persone divine sono sorgente e modello d'ogni chiamata. Anzi, la Trinità, in se stessa, è un misterioso intreccio di chiamate e risposte. Solo lì, all'interno di quel dialogo ininterrotto, ogni vivente ritrova non solo le sue radici, ma anche il suo destino e il suo futuro, ciò che è chiamato a essere e a diventare, nella verità e libertà, nella concretezza della sua storia.

I doni, infatti, nello statuto ecclesiologico della 1 Corinzi, hanno una destinazione storica e concreta: « A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune » (1 Cor 12, 7). C'è un bene superiore che scavalca regolarmente il dono personale: costruire nell'unità il Corpo di Cristo; rendere epifanica la sua presenza nella storia « perché il mondo creda » (Gv 17, 21).

Pertanto la comunità ecclesiale, da una parte, è afferrata dal mistero di Dio, ne è icona visibile, e, dall'altra, è totalmente coinvolta con la storia dell'uomo nel mondo, in stato di esodo, verso « i cieli nuovi ».

La Chiesa, ed ogni vocazione in essa, esprimono un identico dinamismo: essere chiamati per una missione.

Il Padre chiama alla vita

16. L'esistenza di ciascuno è frutto dell'amore creativo del Padre, del suo desiderio efficace, della sua parola generativa.

L'atto creatore del Padre ha la dinamica di un appello, di una chiamata alla vita. L'uomo viene alla vita perché amato, pensato e voluto da una Volontà buona che l'ha preferito alla non esistenza, che l'ha amato ancor prima che fosse, conosciuto prima di formarlo nel seno materno, consacrato prima che uscisse alla luce (cfr. Ger 1, 5; Is 49, 1.5; Gal 1, 15).

La vocazione, allora, è ciò che spiega alla radice il mistero della vita dell'uomo, ed è essa stessa un mistero, di predilezione e gratuità assoluta.

a) « ...a sua immagine »

Nella « chiamata creativa » l'uomo appare subito in tutta la pregnanza della sua dignità quale soggetto chiamato alla relazione con Dio, a stare di fronte a Lui, con gli altri, nel mondo, con un volto che riflette le stesse fattezze divine: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gn 1, 26). Questa triplice relazione appartiene al disegno originario, perché il Padre « in Lui, — in Cristo — ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità » (Ef 1, 4).

Riconoscere il Padre significa che noi esistiamo alla maniera Sua, avendoci creati a Sua immagine (Sap 2, 23). In questo, dunque, è contenuta la fondamentale vocazione dell'uomo: la vocazione alla vita e a una vita subito concepita a somiglianza di quella divina. Se il Padre è l'eterna sorgività, la totale gratuità, la fonte perenne dell'esistenza e dell'amore, l'uomo è chiamato, nella misura piccola e limitata del suo esistere, a essere come Lui; e dunque a « dare la vita », a farsi carico della vita di un altro.

L'atto creatore del Padre, allora, è ciò che provoca la consapevolezza che la vita è una consegna alla libertà dell'uomo, chiamato a dare una risposta personalissima e originale, responsabile e colma di gratitudine.

b) L'amore, senso pieno della vita

In questa prospettiva della chiamata alla vita una cosa è da escludersi: che l'uomo possa considerare l'esistere come una cosa ovvia, dovuta, casuale.

Forse non risulta facile, nella cultura odierna, provare stupore dinanzi al dono della vita.(30)

Mentre è più facile percepire il senso d'una vita donata, quella che ridonda a beneficio degli altri, ci vuole invece una coscienza più matura, una qualche formazione spirituale, per percepire che la vita di ciascuno, in ogni caso e prima di qualsiasi scelta, è amore ricevuto, e che in tale amore è già nascosto un consequenziale progetto vocazionale.

Il semplice fatto di esserci dovrebbe anzitutto riempire tutti di meraviglia e di gratitudine immensa verso Colui che in modo del tutto gratuito ci ha tratti dal nulla pronunciando il nostro nome.

E allora la percezione che la vita è un dono non dovrebbe suscitare soltanto un atteggiamento riconoscente, ma dovrebbe lentamente suggerire la prima grande risposta alla domanda fondamentale di senso: la vita è il capolavoro dell'amore creativo di Dio ed è in se stessa una chiamata ad amare. Dono ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato.

c) L'amore, vocazione d'ogni uomo

L'amore è il senso pieno della vita. Dio ha tanto amato l'uomo da dargli la sua stessa vita e da renderlo capace di vivere e voler bene alla maniera divina. In questo eccesso di amore, l'amore degli inizi, l'uomo trova la sua radicale vocazione, che è « vocazione santa » (2 Tim 1, 9), e scopre la propria inconfondibile identità, che lo rende subito simile a Dio, « a immagine del Santo » che lo ha chiamato (1 Pt 1, 15). « Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere — commenta Giovanni Paolo II — Dio inscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione. L'amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano ».(31)

d) Il Padre educatore

Grazie a quell'amore che l'ha creato nessuno può sentirsi « superfluo », poiché è chiamato a rispondere secondo un progetto da Dio pensato apposta per lui.

E allora l'uomo sarà felice e pienamente realizzato stando al suo posto, cogliendo la proposta educativa divina, con tutto il timore e tremore che una simile pretesa suscita in un cuore di carne. Dio creatore che dà la vita, è anche il Padre che « educa », tira fuori dal nulla ciò che ancora non è per farlo essere; tira fuori dal cuore dell'uomo quello che Lui vi ha posto dentro, perché sia pienamente se stesso e quello che Lui lo ha chiamato a essere, alla maniera Sua.

Di qui la nostalgia di infinito che Dio ha messo nel mondo interiore di ciascuno. Come un sigillo divino.

e) La chiamata del Battesimo

Questa vocazione alla vita e alla vita divina viene celebrata nel Battesimo. In questo sacramento il Padre si china con tenerezza premurosa sulla creatura, figlio o figlia dell'amore di un uomo e d'una donna, per benedire il frutto di quell'amore e renderlo pienamente figlio suo. Da quel momento la creatura è chiamata alla santità dei figli di Dio. Niente e nessuno potrà mai cancellare questa vocazione.

Con la grazia del Battesimo, Dio Padre interviene per manifestare che Lui, e solo Lui è l'autore del piano di salvezza, entro cui ogni essere umano trova il suo personale ruolo. Il Suo atto è sempre precedente, anteriore, non aspetta l'iniziativa dell'uomo, non dipende dai suoi meriti, né si configura a partire dalle sue capacità o disposizioni. È il Padre che conosce, designa, imprime un impulso, mette un sigillo, chiama ancora « prima della creazione del mondo » (Ef 1, 4). E poi dà forza, cammina vicino, sostiene la fatica, è Padre e Madre per sempre...

La vita cristiana acquista così il significato d'una esperienza responsoriale: diventa risposta responsabile nel far crescere un rapporto filiale con il Padre e un rapporto fraterno nella grande famiglia dei figli di Dio. Il cristiano è chiamato a favorire, attraverso l'amore, quel processo di somiglianza con il Padre che si chiama vita teologale.

Pertanto la fedeltà al Battesimo spinge a porre alla vita, e a se stessi, domande sempre più precise; soprattutto per disporsi a vivere l'esistenza non solo in base alle attitudini umane, che pure sono doni di Dio, ma in base alla Sua volontà; non secondo prospettive mondane, troppe volte da piccolo cabotaggio, ma secondo i desideri e i progetti di Dio.

La fedeltà al Battesimo significa allora guardare in alto, da figli, per fare discernimento della Sua volontà sulla propria vita e sul proprio futuro.

Il Figlio chiama alla sequela

17. « Signore mostraci il Padre e ci basta » (Gv 14, 8).

È la domanda di Filippo a Gesù, la sera vigilia della passione. È la struggente nostalgia di Dio, presente nel cuore di ogni uomo: conoscere le proprie radici, conoscere Dio. L'uomo non è infinito, è immerso nella finitezza, ma il suo desiderio gravita attorno all'infinito.

E la risposta di Gesù sorprende i discepoli: « Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre » (Gv 14, 9).

a) Mandato dal Padre per chiamare l'uomo

Il Padre ci ha creati nel Figlio, « che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza » (Ebr 1, 3), predestinandoci a essere conformi all'immagine Sua (cfr. Rom 8, 29). Il Verbo è l'immagine perfetta del Padre. Questi è Colui nel quale il Padre si è reso visibile, il Logos per mezzo del quale « ha parlato a noi » (Ebr 1, 2). Tutto il suo essere è di « essere inviato », per rendere Dio, in quanto Padre, vicino agli uomini, per svelare il Suo volto e il Suo nome agli uomini (Gv 17, 6).

Se l'uomo è chiamato a essere figlio di Dio, di conseguenza nessuno meglio del Verbo Incarnato può « parlare » all'uomo di Dio e raffigurare l'immagine riuscita del figlio. Per questo il Figlio di Dio, venendo su questa terra, ha chiamato a seguirLo, a essere come Lui, a condividere la Sua vita, la Sua parola, la Sua pasqua di morte e risurrezione; addirittura i Suoi sentimenti.

Il Figlio, il mandato di Dio s'è fatto uomo per chiamare l'uomo: il mandato dal Padre è il chiamante degli uomini.

Per questo non esiste un brano del vangelo, o un incontro, o un dialogo, che non abbia un significato vocazionale, che non esprima, direttamente o indirettamente, una chiamata da parte di Gesù. É come se i Suoi appuntamenti umani, provocati dalle più diverse circostanze, fossero per lui un'occasione per mettere comunque la persona di fronte alla domanda strategica: « Che cosa fare della mia vita? », « Qual è la mia strada? ».

b) L'amore più grande: dare la vita

A che cosa chiama Gesù? A seguirLo per essere e agire come Lui. Più in particolare, a vivere la medesima Sua relazione nei confronti del Padre e degli uomini: ad accogliere la vita come dono dalle mani del Padre per « perdere » e riversare questo dono su coloro che il Padre gli ha affidati.(32)

C'è un tratto unificante nella identità di Gesù che costituisce il senso pieno dell'amore: la missione. Essa esprime l'oblatività, che raggiunge la sua epifania suprema sulla croce: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » (Gv 15, 13).

Pertanto ogni discepolo è chiamato a ripetere e rivivere i sentimenti del Figlio, che trovano una sintesi nell'amore, motivazione decisiva di ogni chiamata. Ma soprattutto ogni discepolo è chiamato a rendere visibile la missione di Gesù, è chiamato per la missione: « Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi » (Gv 20, 21). La struttura di ogni vocazione, anzi la sua maturità, sta nel continuare Gesù nel mondo, per fare, come Lui, della vita un dono. L'invio-missione è infatti la consegna della sera di Pasqua (Gv 20, 21) ed è l'ultima parola prima di salire al Padre (Mt 28, 16-20).

c) Gesù, il formatore

Ogni chiamato è segno di Gesù: in qualche modo il Suo cuore e le Sue mani continuano ad abbracciare i piccoli, a sanare i malati, a riconciliare i peccatori e a lasciarsi inchiodare in croce per amore di tutti. L'essere per gli altri, con il cuore di Cristo, è il volto maturo di ogni vocazione. Per questo è il Signore Gesù il formatore di coloro che chiama, l'unico che può plasmare in loro i Suoi stessi sentimenti.

Ogni discepolo, rispondendo alla Sua chiamata e lasciandosi da Lui formare, esprime i tratti più veri della propria scelta. Per questo « il riconoscimento di Lui come il Signore della vita e della storia comporta l'auto-riconoscimento del discepolo (...) L'atto di fede coniuga necessariamente insieme il riconoscimento cristologico con l'auto-riconoscimento antropologico ».(33)

Di qui la pedagogia dell'esperienza vocazionale cristiana evocata dalla Parola di Dio: « Gesù ne costituì dodici che stessero con Lui e anche per mandarli a predicare » (Mc 3, 14). La vita cristiana per essere vissuta in pienezza, nella dimensione del dono e della missione, ha bisogno di motivazioni forti, e soprattutto di comunione profonda con il Signore: nell'ascolto, nel dialogo, nella preghiera, nella interiorizzazione dei sentimenti, nel lasciarsi ogni giorno formare da Lui e soprattutto nel desiderio ardente di comunicare al mondo la vita del Padre.

d) L'Eucaristia: la consegna per la missione

In tutte le catechesi della comunità cristiana delle origini è palese la centralità del mistero pasquale: annunciare Cristo morto e risorto. Nel mistero del pane spezzato e del sangue versato per la vita del mondo la comunità credente contempla l'epifania suprema dell'amore, la vita donata del Figlio di Dio.

Per questo nella celebrazione dell'Eucaristia, « culmine e fonte » (34) della vita cristiana, viene celebrata la massima rivelazione della missione di Gesù Cristo nel mondo; ma nel contempo si celebra anche l'identità della comunità ecclesiale convocata per essere inviata, chiamata per la missione.

Nella comunità celebrante il mistero pasquale ogni cristiano prende parte ed entra nello stile del dono di Gesù, diventando come Lui pane spezzato per l'offerta al Padre e per la vita del mondo.

L'Eucaristia diventa così sorgente di ogni vocazione cristiana; in essa ogni credente è chiamato a conformarsi al Cristo Risorto totalmente offerto e donato. Diventa icona di ogni risposta vocazionale; come in Gesù, in ogni vita e in ogni vocazione, c'è una difficile fedeltà da vivere sino alla misura della croce.

Colui che vi prende parte accoglie l'invito-chiamata di Gesù a « fare memoria » di Lui, nel sacramento e nella vita, a vivere « ricordando » nella verità e libertà delle scelte quotidiane il memoriale della croce, a riempire l'esistenza di gratitudine e di gratuità, a spezzare il proprio corpo e versare il proprio sangue. Come il Figlio.

L'Eucaristia genera al fine la testimonianza, prepara la missione: « Andate in pace ». Si passa dall'incontro con Cristo nel segno del Pane, all'incontro con Cristo nel segno di ogni uomo. L'impegno del credente non si esaurisce nell'entrare, ma nell'uscire dal tempio. La risposta alla chiamata incontra la storia della missione. La fedeltà alla propria vocazione attinge alle sorgenti dell'Eucaristia e si misura nella Eucaristia della vita.

Lo Spirito chiama alla testimonianza

18. Ogni credente, illuminato dall'intelligenza della fede, è chiamato a conoscere e riconoscere Gesù come il Signore; e in Lui a riconoscere se stesso. Ma ciò non è frutto solo di un desiderio umano o della buona volontà dell'uomo. Anche dopo aver vissuto l'esperienza prolungata con il Signore, i discepoli hanno sempre bisogno di Dio. Anzi, la vigilia della passione, essi provano un certo turbamento (Gv 14, 1), paventano la solitudine; e Gesù li incoraggia con una promessa inaudita: « Non vi lascerò orfani » (Gv 14, 18). I primi chiamati del vangelo non resteranno soli: Gesù assicura loro la solerte compagnia dello Spirito.

a) Consolatore e amico, guida e memoria

« Egli è il "Consolatore", lo Spirito di bontà, che il Padre manderà nel nome del Figlio, dono del Signore risorto »,(35) « perché rimanga con voi sempre » (Gv 14, 16).

Lo Spirito diventa così l'amico di ogni discepolo, la guida dallo sguardo geloso su Gesù e sui chiamati, per farne dei testimoni contro-corrente dell'evento più sconvolgente del mondo: il Cristo morto e risorto. Egli, infatti, è « memoria » di Gesù e della sua Parola: « Vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto » (Gv 14, 26); anzi « vi guiderà alla verità tutta intera » (Gv 16, 13).

La permanente novità dello Spirito consiste nel guidare verso un'intelligenza progressiva e profonda della verità, quella verità che non è nozione astratta, ma il progetto di Dio nella vita di ogni discepolo. È la trasformazione della Parola in vita e della vita secondo la Parola.

b) Animatore e accompagnatore vocazionale

In tal modo lo Spirito diventa il grande animatore di ogni vocazione, Colui che accompagna il cammino perché giunga alla meta, l'iconografo interiore che plasma con fantasia infinita il volto di ciascuno secondo Gesù.

La Sua presenza è sempre accanto ad ogni uomo e donna, per condurre tutti al discernimento della propria identità di credenti e di chiamati, per plasmare e modellare tale identità esattamente secondo il modello dell'amore divino. Questo « stampo divino » lo Spirito santificatore cerca di riprodurre in ciascuno, quale paziente artefice delle anime nostre e « consolatore perfetto ».

Ma soprattutto lo Spirito abilita i chiamati alla « testimonianza »: « Egli mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza » (Gv 15, 26-27). Questo modo di essere di ogni chiamato costituisce la parola convincente, il contenuto stesso della missione. La testimonianza non consiste solo nel suggerire le parole dell'annuncio come nel vangelo di Matteo (Mt 10, 20); bensì nel custodire Gesù nel cuore e nell'annunciare Lui come vita del mondo.

c) La santità, vocazione di tutti

E allora la domanda circa il salto di qualità da imprimere alla pastorale vocazionale oggi diviene interrogativo che senza dubbio impegna all'ascolto dello Spirito: perché è Lui l'annunciatore delle « cose future » (Gv 16, 13), è Lui a donare un'intelligenza spirituale nuova per capire la storia e la vita a partire dalla Pasqua del Signore, nella cui vittoria c'è il futuro di ogni uomo.

Diventa così legittimo chiedersi: dove sta la chiamata dello Spirito Santo per questi nostri anni? Dove dobbiamo correggere i cammini della pastorale vocazionale?

Ma la risposta verrà solo se accogliamo il grande appello alla conversione, rivolto alla comunità ecclesiale e a ciascuno in essa, come un vero itinerario di ascetica e di rinascita interiore, per ricuperare ognuno alla fedeltà alla propria vocazione.

C'è un primato della vita nello Spirito, che sta alla base di ogni pastorale vocazionale. Ciò richiede il superamento di un diffuso pragmatismo e di quell'esteriorismo sterile che porta a dimenticare la vita teologale della fede, della speranza e della carità. L'ascolto profondo dello Spirito è il nuovo respiro di ogni azione pastorale della comunità ecclesiale.

Il primato della vita spirituale è la premessa per rispondere a quella nostalgia di santità che, come abbiamo già ricordato, attraversa pure questo tempo della Chiesa d'Europa. La santità è la vocazione universale di ogni uomo,(36) è la via maestra in cui convergono i tanti sentieri delle vocazioni particolari. Pertanto il grande appuntamento dello Spirito per questa curva di storia postconciliare è la santità dei chiamati.

d) Le vocazioni al servizio della vocazione della Chiesa

Ma il tendere efficacemente verso questa meta significa aderire all'azione misteriosa dello Spirito in alcune precise direzioni, che preparano e costituiscono il segreto di una vera vitalità della Chiesa del duemila.

Allo Spirito Santo si addice anzitutto l'eterno protagonismo della comunione che si riflette nell'icona della comunità ecclesiale, visibile attraverso la pluralità dei doni e dei ministeri.(37) È proprio nello Spirito, infatti, che ogni cristiano scopre la sua assoluta originalità, l'unicità della sua chiamata e, al tempo stesso, la sua naturale e incancellabile tendenza all'unità. È nello Spirito che le vocazioni nella Chiesa sono tante e assieme sono una stessa unica vocazione, all'unità dell'amore e della testimonianza. È ancora l'azione dello Spirito che rende possibile la pluralità delle vocazioni nell'unità della struttura ecclesiale: le vocazioni nella Chiesa sono necessarie nella loro varietà per realizzare la vocazione della Chiesa, e la vocazione della Chiesa — a sua volta — è quella di rendere possibili e praticabili le vocazioni della e nella Chiesa. Tutte le diverse vocazioni sono dunque protese verso la testimonianza dell'agape, verso l'annuncio di Cristo unico salvatore del mondo.

Proprio questa è l'originalità della vocazione cristiana: far coincidere il compimento della persona con la realizzazione della comunità; ciò vuol dire — ancora una volta — far prevalere la logica dell'amore su quella degli interessi privati, la logica della condivisione su quella dell'appropriazione narcisistica dei talenti (cfr. 1 Cor 12-14).

La santità diventa pertanto la vera epifania dello Spirito santo nella storia. Se ogni persona della Comunione Trinitaria ha il suo volto, e se è vero che i volti del Padre e del Figlio sono abbastanza familiari perché Gesù facendosi uomo come noi ha rivelato il volto del Padre, i santi diventano la più parlante icona del mistero dello Spirito. Così pure ogni credente fedele al vangelo, nella propria vocazione particolare e nella chiamata universale alla santità, nasconde e rivela il volto dello Spirito Santo.

e) Il « sì » allo Spirito nella Cresima

Il sacramento della Cresima è il momento che esprime in modo più evidente e consapevole il dono e l'incontro con lo Spirito Santo.

Il cresimando di fronte a Dio e al Suo gesto d'amore (« Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono » (38), ma dinanzi anche alla propria coscienza e alla comunità cristiana risponde « amen ». È importante recuperare a livello formativo e catechistico il senso pregnante di questo « amen ».(39)

Esso vuole anzitutto significare il « sì » allo Spirito Santo, e con lui a Gesù. Ecco perché la celebrazione del sacramento della Cresima prevede la rinnovazione delle promesse battesimali e chiede al cresimando l'impegno a rinunciare al peccato e alle opere del maligno, sempre al varco per sfigurare l'immagine cristiana; e soprattutto l'impegno a vivere il vangelo di Gesù e in particolare il grande precetto dell'amore. Si tratta di confermare e rinnovare la fedeltà vocazionale alla propria identità di figli di Dio.

L'« amen » è un « sì » anche alla Chiesa. Nella Cresima il giovane dichiara di farsi carico della missione di Gesù continuata dalla comunità. Impegnandosi in due direzioni, per dare concretezza al suo « amen »: la testimonianza e la missione. Il cresimato sa che la fede è un talento da trafficare; è un messaggio da trasmettere agli altri con la vita, con la testimonianza coerente di tutto il suo essere; e con la parola, con il coraggio missionario di diffondere la buona novella.

Ed infine l'« amen » esprime la docilità allo Spirito santo nel pensare e decidere il futuro secondo il progetto di Dio. Non solo secondo le proprie aspirazioni e attitudini; non solo negli spazi messi a disposizione dal mondo; ma soprattutto in sintonia con il disegno, sempre inedito e imprevedibile, che Dio ha su ciascuno.

Dalla Trinità alla Chiesa nel mondo

19. Ogni vocazione cristiana è « particolare » perché interpella la libertà di ogni uomo e genera una risposta personalissima in una storia originale ed irripetibile. Per questo ciascuno nella propria esperienza vocazionale trova una vicenda irriducibile a schemi generali; la storia d'ogni uomo è una piccola storia, ma sempre parte, inconfondibile e unica, d'una grande storia. Nel rapporto tra queste due storie, tra il suo piccolo e quel grande che gli appartiene e lo supera, l'essere umano gioca la sua libertà.

a) Nella Chiesa e nel mondo, per la Chiesa e per il mondo

Ogni vocazione nasce in un luogo preciso, in un contesto concreto e limitato, ma non torna su se stessa, non tende verso la privata perfezione o l'autorealizzazione psicologica o spirituale del chiamato, bensì fiorisce nella Chiesa, in quella Chiesa che cammina nel mondo verso il Regno compiuto, verso la realizzazione d'una storia che è grande perché è di salvezza.

La stessa comunità ecclesiale ha una struttura profondamente vocazionale: essa è chiamata per la missione; è segno di Cristo missionario del Padre. Come dice la Lumen Gentium: « è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».(40)

Da una parte la Chiesa è segno che riflette il mistero di Dio; è icona che rimanda alla comunione trinitaria nel segno della comunità visibile, e al mistero di Cristo nel dinamismo della missione universale. Dall'altra la Chiesa è immersa nel tempo degli uomini, vive nella storia in condizione di esodo, è in missione al servizio del Regno per trasformare l'umanità nella comunità dei figli di Dio.

Pertanto l'attenzione alla storia chiede alla comunità ecclesiale di porsi in ascolto delle attese degli uomini, di leggere quei segni dei tempi che costituiscono codice e linguaggio dello Spirito Santo, di entrare in dialogo critico e fecondo con il mondo contemporaneo, accogliendo con benevolenza tradizioni e culture per rivelare in esse il disegno del Regno e gettarvi il lievito dell'evangelo.

Con la storia della Chiesa nel mondo si intreccia, così, la piccola grande storia di ogni vocazione. Come è nata nella Chiesa e nel mondo, così ogni chiamata è al servizio della Chiesa e del mondo.

b) La Chiesa, comunità e comunione di vocazioni

Nella Chiesa, comunità di doni per l'unica missione, si realizza quel passaggio dalla condizione in cui si trova il credente inserito in Cristo attraverso il Battesimo, alla sua vocazione « particolare » come risposta al dono specifico dello Spirito. In tale comunità ogni vocazione è « particolare » e si specifica in un progetto di vita; non esistono vocazioni generiche.

E nella sua particolarità ogni vocazione è « necessaria » e « relativa » insieme. « Necessaria », perché Cristo vive e si rende visibile nel suo corpo che è la Chiesa e nel discepolo che ne è parte essenziale. « Relativa », perché nessuna vocazione esaurisce il segno testimoniale del mistero di Cristo, ma ne esprime solo un aspetto. Soltanto l'insieme dei doni rende epifanico l'intero corpo del Signore. Nell'edificio ogni pietra ha bisogno dell'altra (1 Pt 2, 5); nel corpo ogni membro ha bisogno dell'altro per far crescere l'intero organismo e giovare all'utilità comune (1 Cor 12, 7).

Ciò richiede che la vita di ciascuno venga progettata a partire da Dio che ne è la sorgente unica e tutto provvede per il bene del tutto; esige che la vita venga riscoperta come veramente significativa solo se aperta alla sequela di Gesù.

Ma è anche importante che vi sia una comunità ecclesiale che aiuti di fatto ogni chiamato a scoprire la propria vocazione. Il clima di fede, di preghiera, di comunione nell'amore, di maturità spirituale, di coraggio dell'annuncio, d'intensità della vita sacramentale fa della comunità credente un terreno adatto non solo allo sbocciare di vocazioni particolari, ma alla creazione d'una cultura vocazionale e d'una disponibilità nei singoli a recepire la loro personale chiamata. Quando un giovane percepisce la chiamata e decide nel suo cuore il santo viaggio per realizzarla, lì, normalmente, c'è una comunità che ha creato le premesse per questa disponibilità obbedienziale.(41)

Come dire: la fedeltà vocazionale d'una comunità credente è la prima e fondamentale condizione per il fiorire della vocazione nei singoli credenti, specie nei più giovani.

c) Segno, ministero, missione

Pertanto ogni vocazione, come scelta stabile e definitiva di vita, si apre in una triplice dimensione: in rapporto a Cristo ogni chiamata è « segno »; in rapporto alla Chiesa è « ministero »; in rapporto al mondo è « missione » e testimonianza del Regno.

Se la Chiesa è « in Cristo come un sacramento », ogni vocazione rivela la dinamica profonda della comunione trinitaria, l'azione del Padre, del Figlio e dello Spirito, come evento che fa essere in Cristo creature nuove e modellate su di Lui.

Ogni vocazione, allora, è segno, è un modo particolare di rivelare il volto del Signore Gesù. « L'amore di Cristo ci spinge » (2 Cor 5, 14). Gesù diventa così movente e modello decisivo di ogni risposta agli appelli di Dio.

In rapporto alla Chiesa ogni vocazione è ministero, radicato nella pura gratuità del dono. La chiamata di Dio è un dono per la comunità, per l'utilità comune, nel dinamismo dei molti servizi ministeriali. Ciò è possibile in docilità allo Spirito che fa essere la Chiesa come « comunità dei volti » (42) e genera nel cuore del cristiano l'agape, non solo come etica dell'amore, ma anche come struttura profonda della persona, chiamata e abilitata a vivere in relazione con gli altri, nell'atteggiamento del servizio, secondo la libertà dello Spirito.

Ogni vocazione, infine, in rapporto al mondo, è missione. È vita vissuta in pienezza perché vissuta per gli altri, come quella di Gesù, e dunque generatrice di vita: « la vita genera la vita ».(43) Di qui l'intrinseca partecipazione di ogni vocazione all'apostolato e alla missione della Chiesa, germe del Regno. Vocazione e missione costituiscono due facce dello stesso prisma. Definiscono il dono e il contributo di ciascuno al progetto di Dio, a immagine e somiglianza di Gesù.

d) La Chiesa, madre di vocazioni

La Chiesa è madre di vocazioni perché le fa nascere al suo interno, con la potenza dello Spirito, le protegge, le nutre e le sostiene. É madre, in particolare, perché esercita una preziosa funzione mediatrice e pedagogica.

« La Chiesa, chiamata da Dio, costituita nel mondo come comunità di chiamati, è a sua volta strumento della chiamata di Dio. La Chiesa è appello vivente, per volontà del Padre, per i meriti del Signore Gesù, per la forza dello Spirito Santo (...). La comunità, che prende coscienza di essere chiamata, allo stesso tempo prende coscienza che deve continuamente chiamare ».(44) Attraverso e lungo questa chiamata, nelle sue varie forme, scorre anche l'appello che viene da Dio.

Questa funzione mediatrice la Chiesa esercita quando aiuta e stimola ogni credente a prendere coscienza del dono ricevuto e della responsabilità che il dono porta con sé.

La esercita, ancora, quando si fa interprete autorevole dell'appello esplicito vocazionale e chiama essa stessa, presentando le necessità legate alla sua missione e alle esigenze del popolo di Dio, e invitando a rispondere generosamente.

La esercita, ancora, quando chiede al Padre il dono dello Spirito che suscita l'assenso nel cuore dei chiamati, e quando li accoglie e riconosce in loro la chiamata stessa, dando esplicitamente e affidando con fiducia e trepidazione assieme una missione concreta e sempre difficile tra gli uomini.

Potremmo, infine, aggiungere che la Chiesa manifesta la sua maternità quando, oltre a chiamare e riconoscere l'idoneità dei chiamati, provvede perché costoro abbiano una formazione adeguata, iniziale e permanente, e perché siano di fatto accompagnati lungo la via d'una risposta sempre più fedele e radicale. La maternità ecclesiale non può certo esaurirsi nel tempo dell'appello iniziale. Né può dirsi madre quella comunità di credenti che semplicemente « attende » demandando totalmente all'azione divina la responsabilità della chiamata, quasi timorosa di rivolgere appelli; o che dà per scontato che i ragazzi e i giovani, in particolare, sappiano recepire immediatamente l'appello vocazionale; o che non offre cammini mirati per la proposta e l'accoglienza della proposta.

La crisi vocazionale dei chiamati è anche crisi, oggi, dei chiamanti, a volte latitanti e poco coraggiosi. Se non c'è nessuno che chiama, come potrebbe esserci chi risponde?

La dimensione ecumenica

20. L'Europa odierna, ha bisogno di nuovi santi e di nuove vocazioni, di credenti capaci di « gettare ponti » per unire sempre più le Chiese. È un tipico aspetto di novità, questo, un segno dei tempi della pastorale vocazionale di fine millennio. In un continente segnato da una profonda aspirazione unitaria, le Chiese devono dare per prime l'esempio d'una fraternità più forte di qualsiasi divisione e pur sempre da costruire e ricostruire. « La pastorale vocazionale oggi in Europa deve avere una dimensione ecumenica. Tutte le vocazioni, presenti in ogni Chiesa d'Europa, sono impegnate insieme ad assumere la grande sfida dell'evangelizzazione alle soglie del terzo millennio, dando una testimonianza di comunione e di fede in Gesù Cristo, unico salvatore del mondo ».(45)

In tale spirito d'unità ecclesiale vanno promossi e favoriti la condivisione dei beni che lo Spirito di Dio ha seminato ovunque e l'aiuto reciproco tra le Chiese.

Le Chiese Cattoliche d'Oriente

21. Maggiore attenzione, da parte delle Chiese dell'Europa occidentale, deve essere data ai cammini spirituali e formativi delle Chiese Cattoliche Orientali; questo non può che esercitare un benefico influsso sulla pastorale vocazionale di tutte le Chiese.

Singolare importanza ha la santa Liturgia in ordine alla formazione delle vocazioni per le Chiese d'Oriente. Essa è il luogo dove si fa la proclamazione e l'adorazione del Mistero della salvezza e dove nasce la comunione e si costruisce la fraternità fra i credenti, sino a diventare la vera formatrice della vita cristiana, la sintesi più completa dei suoi vari aspetti. Nella Liturgia la confessione gioiosa di appartenere alla tradizione delle Chiese d'Oriente è unita alla piena comunione con la Chiesa di Roma.

Non si può essere suscitatori di vocazioni al sacerdozio e alla vita monastica se non si ritorna alle fonti delle proprie tradizioni originarie, in sintonia con i Santi Padri e con il loro profondo senso della Chiesa. Questo processo di grande respiro richiede tempo, pazienza, rispetto della sensibilità dei fedeli, ma anche determinazione.

Per questo i Vescovi, i Superiori religiosi e gli Operatori pastorali delle Chiese Cattoliche Orientali d'Europa sono sollecitati a sentire l'urgenza per tutte le loro Chiese, ricuperando e custodendo integro il rispettivo patrimonio liturgico, che contribuisce in modo insostituibile alla nascita e allo sviluppo della teologia e della catechesi. Questo, sull'esempio del metodo mistagogico dei Padri, apre all'esperienza della chiamata e della vita spirituale, e matura un sicuro e forte spirito ecumenico.(46)

Nelle esperienze ecclesiali diversificate, e attraverso studi che presentano il patrimonio storico, teologico, giuridico e spirituale delle proprie Chiese d'appartenenza, i giovani orientali possono opportunamente trovare ambienti educativi adatti a maturare il senso universale della loro dedizione a Cristo e alla Chiesa.

È compito dei Vescovi promuovere, accostare con simpatia e accompagnare con cura paterna i giovani che singolarmente o in gruppo domandano di dedicarsi alla vita monastica valorizzando il carisma delle comunità monastiche, ricche di formatori e di guide spirituali.

Il ministero ordinato e le vocazioni nella reciprocità della comunione

22. « In molte Chiese particolari, la pastorale vocazionale ha bisogno ancora di fare chiarezza attorno al rapporto tra ministero ordinato, vocazione di speciale consacrazione e tutte le altre vocazioni. La pastorale vocazionale unitaria si fonda sulla vocazionalità della Chiesa e di ogni vita umana come chiamata e risposta. Ciò sta alla base dell'impegno unitario di tutta la Chiesa per tutte le vocazioni e in particolare per le vocazioni di speciale consacrazione ».(47)

a) Il ministero ordinato

Entro questa sensibilità generale una particolare attenzione pastorale sembra doversi dare oggi al ministero ordinato, che rappresenta la prima modalità specifica di annuncio del vangelo. Esso rappresenta « la garanzia permanente della presenza sacramentale di Cristo Redentore nei diversi tempi e luoghi »,(48) ed esprime proprio la dipendenza diretta della Chiesa da Cristo, che continua a inviare il suo Spirito perché essa non resti chiusa in se stessa, nel suo cenacolo, ma cammini per le vie del mondo ad annunciare la buona notizia.

Questa modalità vocazionale si può esprimere secondo tre gradi: episcopale (cui è legata la garanzia della successione apostolica), presbiterale (che è la « ripresentazione sacramentale di Cristo come pastore ») (49) e diaconale (segno sacramentale di Cristo servo).(50) Ai vescovi è affidato il ministero della chiamata nei riguardi di coloro che aspirano agli Ordini sacri, per divenire loro cooperatori nell'ufficio apostolico.

Il ministero ordinato fa essere la Chiesa, soprattutto attraverso la celebrazione dell'Eucaristia, « culmen et fons » (51) della vita cristiana e della comunità chiamata a fare memoria del Risorto. Ogni altra vocazione nasce nella Chiesa e fa parte della sua vita. Pertanto il ministero ordinato ha un servizio di comunione nella comunità e, in forza di questo, ha l'inderogabile compito di promuovere ogni vocazione.

Di qui la traduzione pastorale: il ministero ordinato per tutte le vocazioni e tutte le vocazioni per il ministero ordinato nella reciprocità della comunione. Il vescovo, dunque, con il suo presbiterio, è chiamato a discernere e a coltivare tutti i doni dello Spirito. Ma in modo particolare la cura del seminario deve diventare preoccupazione di tutta la chiesa diocesana per garantire la formazione dei futuri presbiteri e il costituirsi di comunità eucaristiche come piena espressione della esperienza cristiana.

b) L'attenzione a tutte le vocazioni

Il discernimento e la cura della comunità cristiana va prestata a tutte le vocazioni, sia a quelle entrate nella tradizione della Chiesa sia ai nuovi doni dello Spirito: la consacrazione religiosa nella vita monastica e nella vita apostolica, la vocazione laicale, il carisma degli istituti secolari, le società della vita apostolica, la vocazione al matrimonio, le varie forme laicali di aggregazione-associazione collegate agli istituti religiosi, le vocazioni missionarie, le nuove forme di vita consacrata.

Questi diversi doni dello Spirito sono presenti in vario modo nelle Chiese d'Europa; ma tutte queste Chiese, in ogni caso, sono chiamate a dare testimonianza di accoglienza e di cura di ogni vocazione. Una Chiesa è viva quanto più ricca e varia in essa è l'espressione delle diverse vocazioni.

In un tempo, poi, come il nostro, bisognoso di profezia, è saggio favorire quelle vocazioni che sono un segno particolare di « quel che saremo e non ci è stato ancora rivelato » (1 Gv 3, 2), come le vocazioni di speciale consacrazione; ma è pure saggio e indispensabile favorire l'aspetto profetico tipico d'ogni vocazione cristiana, compresa quella laicale, perché la Chiesa sia sempre più, di fronte al mondo, segno delle cose future, di quel Regno che è « già adesso e non ancora ».

Maria, madre e modello di ogni vocazione

23. C'è una creatura in cui il dialogo tra la libertà di Dio e la libertà dell'uomo avviene in modo perfetto, così che le due libertà possano interagire realizzando in pieno il progetto vocazionale; una creatura che ci è data perché in lei possiamo contemplare un perfetto disegno vocazionale, quello che dovrebbe compiersi in ciascuno di noi.

È Maria, l'immagine riuscita del sogno di Dio sulla creatura! È infatti creatura, come noi, piccolo frammento in cui Dio ha potuto riversare il tutto del suo amore divino; speranza che ci è data, perché vedendo lei possiamo anche noi accogliere la Parola, affinché si compia in noi.

Maria è la donna in cui la Trinità Santissima può manifestare pienamente la sua libertà elettiva. Come dice S. Bernardo, commentando il messaggio dell'angelo Gabriele, nell'annunciazione: « Questa non è una Vergine trovata all'ultimo momento, né per caso, ma fu scelta prima dei secoli; l'Altissimo l'ha predestinata e se l'è preparata ».(52) Gli fa eco S. Agostino: « Prima che il Verbo nascesse dalla Vergine, Egli l'aveva già predestinata come sua madre ».(53)

Maria è l'immagine della scelta divina d'ogni creatura, scelta che è fin dall'eternità e sovranamente libera, misteriosa e amante. Scelta che va regolarmente al di là di ciò che la creatura può pensare di sé: che le chiede l'impossibile e le domanda solo una cosa, il coraggio di fidarsi.

Ma la vergine Maria è anche il modello della libertà umana nella risposta a questa scelta. Ella è il segno di ciò che Dio può fare quando trova una creatura libera d'accogliere la Sua proposta. Libera di dire il suo « sì », libera di incamminarsi lungo il pellegrinaggio della fede, che sarà anche il pellegrinaggio della sua vocazione di donna chiamata a essere Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Quel lungo viaggio si compirà ai piedi della croce, attraverso un « sì » ancor più misterioso e doloroso che la renderà pienamente madre; e poi ancora nel cenacolo, ove genera e continua ancor oggi a generare, con lo Spirito, la Chiesa e ogni vocazione.

Maria, infine, è l'immagine perfettamente realizzata della donna, perfetta sintesi della genialità femminile e della fantasia dello Spirito, che in lei trova e sceglie la sposa, vergine madre di Dio e dell'uomo, figlia dell'Altissimo e madre di tutti viventi. In lei ogni donna ritrova la sua vocazione, di vergine, di sposa, di madre!

PARTE TERZA

PASTORALE DELLE VOCAZIONI
« ... Ciascuno li sentiva parlare la propria lingua » (At 2, 6)

Gli orientamenti concreti della pastorale vocazionale non discendono soltanto da una corretta teologia della vocazione, ma attraversano alcuni principi operativi, in cui la prospettiva vocazionale è l'anima e criterio unificante di tutta la pastorale.

Vengono poi indicati gli itinerari di fede e i luoghi concreti in cui la proposta vocazionale deve diventare impegno quotidiano di ogni pastore ed educatore.

L'analisi della situazione ci ha offerto, nella prima parte, il quadro della realtà vocazionale europea attuale; la seconda parte ha invece proposto una riflessione teologica sul significato e sul mistero della vocazione, a partire dalla realtà della Trinità fino a coglierne il senso nella vita della Chiesa.

È proprio questo secondo aspetto che ora vorremmo approfondire, specie dal punto di vista dell'applicazione pastorale.

Nell'udienza concessa ai partecipanti al Congresso, Giovanni Paolo II ha affermato: « Le mutate condizioni storiche e culturali esigono che la pastorale delle vocazioni sia percepita come uno degli obiettivi primari dell'intera Comunità cristiana ».(54)

L'icona della Chiesa primitiva

24. Cambiano le situazioni storiche, ma resta identico il punto di riferimento nella vita del credente e della comunità credente, quel punto di riferimento che è rappresentato dalla Parola di Dio, specie laddove racconta le vicende della Chiesa delle origini. Tali vicende e il modo di viverle della primitiva comunità, costituiscono per noi l'exemplum, il modello dell'essere Chiesa. Anche per quanto concerne la pastorale vocazionale. Cogliamo solo alcuni elementi essenziali e particolarmente esemplari, così come ce li propone il libro degli Atti degli Apostoli, nel momento in cui la Chiesa degli inizi era numericamente molto povera e debole. La pastorale vocazionale ha gli stessi anni della Chiesa; nacque allora, assieme ad essa, in quella povertà improvvisamente abitata dallo Spirito.

Agli albori di questa storia singolare, infatti, che è poi quella di tutti noi, c'è la promessa dello Spirito Santo, fatta da Gesù prima di salire al Padre. « Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra » (At 1, 7-8). Gli Apostoli sono riuniti nel cenacolo, « assidui e concordi nella preghiera ... con Maria, la madre di Gesù » (1, 14), e subito provvedono a riempire il posto lasciato vuoto da Giuda con un altro scelto tra coloro che sono stati fin dall'inizio con Gesù: perché « divenga insieme con noi testimone della sua risurrezione » (1, 22). E la promessa si compie: scende lo Spirito, con effetti fragorosi, e riempie la casa e la vita di coloro che prima erano timidi e paurosi, come un rombo, un vento, un fuoco... « E cominciarono a parlare in altre lingue..., e ciascuno li sentiva parlare la propria lingua » (2, 4.6). E Pietro proclama il discorso nel quale racconta la storia della salvezza, « in piedi ... e a voce alta » (2, 14), un discorso che « trafigge il cuore » di chi l'ascolta e provoca la domanda decisiva della vita: « che cosa dobbiamo fare? » (2, 37).

A questo punto gli Atti descrivono la vita della prima comunità, scandita da alcuni elementi essenziali, come l'assiduità nell'ascolto dell'insegnamento degli Apostoli, l'unione fraterna, la frazione del pane, la preghiera, la condivisione dei beni materiali; ma insieme anche gli affetti e i beni dello Spirito (cfr. 2, 42-48).

Nel frattempo Pietro e gli Apostoli continuano a fare prodigi nel nome di Gesù e ad annunciare il kerigma della salvezza, regolarmente rischiando la vita, ma sempre sorretti dalla comunità, entro cui i credenti sono « un cuore solo e un'anima sola » (4, 32). In essa, per altro, cominciano anche ad aumentare e a diversificarsi le esigenze, e così vengono istituiti i diaconi per venire incontro alle necessità anche materiali della comunità, specie dei più deboli (cfr. 6, 1-7).

La testimonianza, forte e coraggiosa, non può non provocare il rifiuto delle autorità, e così ecco il primo martire, Stefano, a sottolineare che la causa del vangelo prende tutto dell'uomo, anche la vita (cfr. 6, 8-7, 70). Alla sentenza che condanna Stefano dà pure il suo assenso Saulo, il persecutore dei cristiani, colui che, di lì a poco, sarà scelto da Dio per annunciare ai pagani il mistero nascosto nei secoli e ora rivelato.

E la storia continua, sempre più come storia sacra: storia di Dio che sceglie e chiama gli uomini alla salvezza, in modi anche imprevedibili, e storia di uomini che si lasciano chiamare e scegliere da Dio.

A noi possono bastare queste note per cogliere nella comunità delle origini le tracce fondamentali della pastorale d'una Chiesa tutta vocazionale: sul piano dei metodi e dei contenuti, dei princìpi generali, degli itinerari da percorrere e delle strategie specifiche per realizzarla.

Aspetti teologici della pastorale vocazionale

25. Ma quale teologia fonda, ispira e motiva la pastorale vocazionale in quanto tale?

La risposta è importante nel nostro contesto, perché fa da elemento mediatore tra la teologia della vocazione e una prassi pastorale con essa coerente, che nasca da quella teologia e vi ritorni. Su questo interrogativo, in effetti, il Congresso ha espresso l'esigenza di una ulteriore riflessione di studio, nell'intento di scoprire i motivi che legano intrinsecamente persone e comunità all'azione vocazionale e per evidenziare una migliore relazione tra teologia della vocazione, teologia della pastorale vocazionale e prassi pedagogico-pastorale.

« La pastorale delle vocazioni nasce dal mistero della Chiesa e si pone al servizio di essa ».(55) Il fondamento teologico della pastorale delle vocazioni quindi « può scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come mysterium vocationis ».(56)

Giovanni Paolo II ricorda chiaramente, al riguardo, che la « dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa », cioè alla sua vita e alla sua missione.(57) La vocazione definisce, dunque, in un certo senso, l'essere profondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nello stesso nome, « Ecclesia », è indicata la sua fisionomia vocazionale, poiché essa è veramente assemblea di chiamati.(58) Giustamente, allora, l'Instrumentum laboris del Congresso nota che « la pastorale unitaria si fonda sulla vocazionalità della Chiesa ».(59)

Di conseguenza, la pastorale delle vocazioni, per natura sua, è un'attività ordinata all'annuncio di Cristo e all'evangelizzazione dei credenti in Cristo. Ecco allora la risposta alla nostra domanda: proprio nella chiamata della Chiesa a comunicare la fede è radicata la teologia della pastorale vocazionale. Ciò riguarda la Chiesa universale, ma si attribuisce in modo speciale ad ogni comunità cristiana,(60) specie nell'attuale momento storico del vecchio continente. « Per questa sublime missione di far fiorire una nuova età di evangelizzazione in Europa si richiedono oggi evangelizzatori particolarmente preparati ».(61)

In proposito conviene richiamare alcuni punti fermi, indicati dall'attuale magistero pontificio, perché divengano punti di partenza della prassi pastorale delle Chiese particolari.

a) Una volta evidenziata la dimensione vocazionale della Chiesa, si comprende come la pastorale vocazionale non sia elemento accessorio o secondario, finalizzato semplicemente al reclutamento di operatori pastorali, né momento isolato o settoriale, determinato da una situazione ecclesiale d?emergenza, quanto piuttosto un'attività legata all'essere della Chiesa e dunque anche intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa.(62)

b) Ogni vocazione cristiana viene da Dio, ma giunge alla Chiesa e passa sempre attraverso la sua mediazione. La Chiesa (« ecclesia »), che per nativa costituzione è vocazione, è al tempo stesso generatrice ed educatrice di vocazioni.(63) Di conseguenza « la pastorale vocazionale ha come soggetto attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle sue diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare e, analogamente da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del popolo di Dio ».(64)

c) Tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni. È un dovere che rientra nel dinamismo vitale della Chiesa e nel processo del suo sviluppo. Solo sulla base di questa convinzione la pastorale vocazionale potrà manifestare il suo volto veramente ecclesiale e sviluppare un'azione concorde, servendosi anche di organismi specifici e di adeguati strumenti di comunione e corresponsabilità.(65)

d) La Chiesa particolare scopre la propria dimensione esistenziale e terrena nella vocazione di tutti i suoi membri alla comunione, alla testimonianza, alla missione, al servizio di Dio e dei fratelli... Perciò essa rispetterà e promuoverà la varietà dei carismi e dei ministeri, quindi delle diverse vocazioni, tutte manifestazioni dell'unico Spirito.

e) Cardine di tutta la pastorale vocazionale è la preghiera comandata dal Salvatore (Mt 9, 38). Essa impegna non solo i singoli ma anche le intere comunità ecclesiali.(66) « Dobbiamo rivolgere insistente preghiera al Padrone della messe, perché invii operai alla sua Chiesa, per far fronte alle urgenze della nuova evangelizzazione ».(67)

Ma l'autentica preghiera vocazionale, giova ricordare, merita questo nome e diviene efficace solo quando crea coerenza di vita nell'orante stesso, anzitutto, e s'associa, nel resto della comunità credente, con l'annunzio esplicito e la catechesi adeguata, per favorire nei chiamati al sacerdozio e alla vita consacrata, come a qualsiasi altra vocazione cristiana, quella risposta libera, pronta e generosa, che rende operante la grazia della vocazione.(68)

Princìpi generali della pastorale vocazionale

26. Da più parti si avverte la necessità di dare alla pastorale una chiara impronta vocazionale. Per raggiungere questo obiettivo programmatico vediamo di delineare alcuni princìpi teorico-pratici, che deduciamo dalla teologia della pastorale e, in particolare, dai « punti fermi » ad essa collegati. Concentriamo questi princìpi attorno ad alcune affermazioni tematiche.

a) La pastorale vocazionale è la prospettiva originaria della pastorale generale

L'Instrumentum laboris del Congresso sulle vocazioni lo afferma in modo esplicito: « Tutta la pastorale e in particolare, quella giovanile, è nativamente vocazionale »; (69) in altre parole, dire vocazione significa dire dimensione costitutiva ed essenziale della stessa pastorale ordinaria, perché la pastorale è fin dagl'inizi, per natura sua, orientata al discernimento vocazionale. È questo un servizio reso a ogni persona, affinché possa scoprire il cammino per la realizzazione di un progetto di vita come Dio vuole, secondo le necessità della Chiesa e del mondo d'oggi.(70)

Così già si disse al Congresso latino-americano sulle vocazioni del 1994.

Ma la prospettiva va allargata: vocazione non è solo il progetto esistenziale, ma lo sono tutte le singole chiamate di Dio, evidentemente sempre correlate su un piano fondamentale di vita, comunque disseminate lungo tutto l'arco dell'esistenza. L'autentica pastorale rende il credente vigilante, attento alle moltissime chiamate del Signore, pronto a captare la sua voce e a risponderGli.

È proprio la fedeltà a questo tipo di chiamate quotidiane che rende il giovane oggi capace di riconoscere e accogliere « la chiamata » della sua vita, e l'adulto domani non solo capace di esserle fedele, ma di scoprirne sempre più la freschezza e la bellezza. Ogni vocazione, infatti, è « mattutina », è la risposta di ciascun mattino a un appello nuovo ogni giorno.

Per questo la pastorale sarà pervasa di attenzione vocazionale, per destarla in ogni credente; partirà dall'intento esplicito di porre il credente dinanzi alla proposta di Dio; si adoprerà per provocare nel soggetto assunzione di responsabilità in ordine al dono ricevuto o alla Parola di Dio ascoltata; di fatto cercherà di condurre il credente a compromettersi di fronte a questo Dio.(71)

b) La pastorale vocazionale è la vocazione della pastorale oggi

In tal senso si può ben dire che si deve « vocazionalizzare » tutta la pastorale, o fare in modo che ogni espressione della pastorale manifesti in modo chiaro e inequivocabile un progetto o un dono di Dio fatto alla persona, e stimoli nella stessa una volontà di risposta e di coinvolgimento personale. O la pastorale cristiana conduce a questo confronto con Dio, con tutto ciò che esso implica in termini di tensione, di lotta, a volte di fuga o di rifiuto, ma anche di pace e gioia legate all'accoglienza del dono, o non merita questo nome.

Oggi ciò si manifesta in modo del tutto particolare, al punto di poter giungere ad affermare che la pastorale vocazionale è la vocazione della pastorale: ne costituisce forse l'obiettivo principale, come una sfida per la fede delle Chiese d'Europa. La vocazione è il caso serio della pastorale odierna.

E allora, se la pastorale in genere è « chiamata » e attesa, oggi, a questa sfida, essa dev'essere probabilmente più coraggiosa e franca, più esplicita nell'andare al centro e al cuore del messaggio-proposta, più diretta alla persona e non solo al gruppo, più fatta di coinvolgimento concreto e non di vaghi richiami a una fede astratta e lontana dalla vita.

Forse dovrà anche essere una pastorale più pro-vocante che consolante; capace, in ogni caso, di trasmettere il senso drammatico della vita dell'uomo, chiamato a far qualcosa che nessuno potrà fare al posto suo.

Nel brano che abbiamo citato questa attenzione e tensione vocazionale è evidente: nella scelta di Mattia, nel discorso coraggioso (« in piedi e a voce alta ») di Pietro alla folla, nel modo in cui il messaggio cristiano è annunciato e recepito (« si sentirono trafiggere il cuore »).

Soprattutto appare chiaro nella sua capacità di cambiare la vita di coloro che vi aderiscono, come risulta dalle conversioni e dal tipo di vita della comunità degli Atti.

c) La pastorale vocazionale è graduale e convergente

Abbiamo già implicitamente visto che nell'uomo, e lungo la sua vita, esistono vari tipi di chiamata: alla vita, anzitutto, e poi all'amore; alla responsabilità del dono, quindi alla fede; alla sequela di Gesù; alla testimonianza peculiare della propria fede; a essere padre o madre, e a un servizio particolare per la Chiesa o per la società.

Fa animazione vocazionale chi tiene presente, per prima cosa, quel ricco complesso di valori e significati umani e cristiani da cui nasce il senso vocazionale della vita e d'ogni vivente. Essi consentono di aprire la vita stessa a numerose possibilità vocazionali, convergendo poi verso la definitiva scelta personale.

In altre parole è necessario, per una corretta pastorale vocazionale, rispettare una certa gradualità, e partire dai valori fondamentali e universali (il bene straordinario della vita) e dalle verità che sono tali per tutti (la vita è un bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato), per passare poi a una specificazione progressiva, sempre più personale e concreta, credente e rivelata, della chiamata.

Sul piano più propriamente pedagogico, prima è importante formare al senso della vita e alla gratitudine per essa, poi, trasmettere quel fondamentale atteggiamento di responsabilità nei confronti dell'esistenza, e che chiede per natura sua una conseguente risposta da parte di ciascuno nella linea della gratuità. Di qui si sale alla trascendenza di Dio, Creatore e Padre.

Solo a questo punto è possibile e convincente una proposta forte e radicale (quale sempre dovrebbe essere la vocazione cristiana), come quella di dedizione a Dio nella vita sacerdotale o consacrata.

d) La pastorale vocazionale è generica e specifica

La pastorale vocazionale, insomma, parte necessariamente da un'idea ampia di vocazione (e di conseguente appello rivolto a tutti), per poi restringersi e precisarsi secondo la chiamata d'ognuno. In tal senso la pastorale vocazionale è prima generica e poi specifica, entro un ordine che non sembra ragionevole invertire e che sconsiglia, in genere, la proposta immediata, senz'alcuna catechesi progressiva, d'una vocazione particolare.

D'altro canto, sempre in forza di tale ordine, la pastorale vocazionale non si limita a sottolineare in modo generico il significato dell'esistenza, ma spinge verso un coinvolgimento personale in una scelta precisa. Non vi è stacco, e tanto meno contrasto, tra un appello che sottolinea i valori comuni e fondanti dell'esistenza e un appello a servire il Signore « secondo la misura della grazia ricevuta ».

L'animatore vocazionale, ogni educatore nella fede, non deve temere di proporre scelte coraggiose e di donazione totale, anche se difficili e non conformi alla mentalità del secolo.

Pertanto, se ogni educatore è animatore vocazionale, ogni animatore vocazionale è educatore, ed educatore di ogni vocazione, rispettandone lo specifico carisma. Ogni chiamata è legata all'altra, infatti, la suppone e la sollecita, mentre tutte assieme rimandano alla stessa fonte e al medesimo obiettivo, che è la storia della salvezza. Ma ognuna ha una sua modalità particolare.

L'autentico educatore vocazionale non solo indica le differenze tra una chiamata e l'altra, rispettando le diverse tendenze nei singoli chiamati, ma lascia intravedere e richiama quelle « supreme possibilità », di radicalità e dedizione, che sono aperte alla vocazione d'ognuno e insite in essa.

Educare in profondità ai valori della vita, ad esempio, significa proporre (e imparare a proporre) un cammino che naturalmente sfocia nella sequela di Cristo e che può condurre alla scelta della sequela tipica dell'apostolo, del presbitero o del religiosoa, del monaco che abbandona il mondo, come del laico consacrato nel mondo.

D'altro lato proporre tale sequela qualificata come obiettivo di vita esige, per natura sua, un'attenzione e formazione previa ai valori elementari della vita, della fede, della gratitudine, dell'imitazione di Cristo richiesti a ogni cristiano.

Ne risulta una strategia vocazionale teologicamente meglio fondata e anche più efficace sul piano pedagogico. C'è chi teme che l'allargamento dell'idea di vocazione possa nuocere alla specifica promozione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata; in realtà è esattamente il contrario.

La gradualità nell'annuncio vocazionale, infatti, consente di muoversi dall'oggettivo al soggettivo e dal generico allo specifico, senza anticipare né bruciare le proposte, ma facendole convergere tra loro e verso la proposta decisiva per la persona, da indicare al tempo giusto e da calibrare con accortezza, secondo un ritmo che tenga conto del destinatario in situazione.

L'ordine armonico e progressivo rende molto più provocante e accessibile la proposta decisiva alla persona. In concreto, quanto più il giovane viene formato a passare con naturalezza dalla gratitudine per il dono ricevuto della vita alla gratuità del bene donato, tanto più sarà possibile proporgli il dono totale di sé a Dio come esito naturale e per taluni inevitabile.

e) La pastorale vocazionale è universale e permanente

Si tratta d'una duplice universalità: in riferimento alle persone cui è diretta, e in riferimento all'età della vita in cui è fatta.

Anzitutto la pastorale vocazionale non conosce frontiere. Come già detto sopra, essa non si rivolge solo ad alcune persone privilegiate o che già hanno fatto un'opzione di fede, né unicamente a coloro da cui sembra lecito attendersi un assenso positivo, ma è rivolta a tutti, proprio perché fondata sui valori elementari dell'esistenza. Non è pastorale d'élite, ma di popolo; non è un premio per i più meritevoli, ma grazia e dono di Dio per ogni persona, perché ogni vivente è chiamato da Dio. Né va intesa come qualcosa che solo alcuni potrebbero comprendere o ritenere interessante per la loro vita, perché ogni essere umano è inevitabilmente desideroso di conoscersi e di conoscere il senso della vita e il proprio posto nella storia.

Inoltre, non è proposta che venga fatta una sola volta nella vita (all'insegna del « prendere o lasciare ») e che venga in pratica ritirata dopo un rifiuto da parte del destinatario. Essa dev'essere invece come una continua sollecitazione, fatta in modi diversi e con intelligenza propositiva, che non s'arrende dinanzi a un iniziale disinteresse, che spesso è solo apparente o difensivo.

Va anche corretta l'idea che la pastorale vocazionale sia esclusivamente giovanile, poiché in ogni età della vita risuona un invito del Signore a seguirLo, e solo in punto di morte una vocazione può dirsi realizzata completamente. Anzi, la morte è la chiamata per eccellenza, così come c'è una chiamata nella vecchiaia, nel passaggio da una stagione all'altra della vita, nelle situazioni di crisi.

C'è una giovinezza dello spirito che permane nel tempo, nella misura in cui l'individuo si sente continuamente chiamato e cerca e trova ad ogni ciclo vitale un compito diverso da svolgere, un modo specifico di essere, di servire e di amare, una novità di vita e di missione da svolgere.(72) In tal senso la pastorale vocazionale è legata alla formazione permanente della persona, ed è essa stessa permanente. « Tutta la vita e ogni vita è una risposta ».(73)

Negli Atti, Pietro e gli Apostoli non fanno assolutamente differenza di persone, parlano a tutti, giovani e vecchi, ebrei e stranieri: Parti, Medi, Elamiti stanno proprio a indicare la grande massa senza differenze né esclusioni cui sono rivolti l'annuncio e la pro-vocazione, con l'arte di parlare a ognuno « nella sua propria lingua », secondo le sue esigenze, problemi, attese, difese, età o fase della vita.

È il miracolo di Pentecoste e dunque dono straordinario, dello Spirito. Ma lo Spirito è sempre con noi...

f) La pastorale vocazionale è personale e comunitaria

Può sembrare una contraddizione, ma in realtà questo principio dice la natura ambivalente, in certo senso, della pastorale vocazionale, capace — quando è autentica — di comporre le due polarità del soggetto e della comunità. Dal punto di vista dell'animatore vocazionale è urgente oggi passare da una pastorale vocazionale gestita da un singolo operatore a una pastorale concepita sempre più come azione comunitaria, di tutta la comunità nelle sue diverse espressioni: gruppi, movimenti, parrocchie, diocesi, istituti religiosi e secolari...

La Chiesa è sempre più chiamata a essere oggi tutta vocazionale: all'interno di essa « ogni evangelizzatore deve prendere coscienza di diventare una "lampada" vocazionale, capace di suscitare un'esperienza religiosa che porti i bambini, gli adolescenti, i giovani e gli adulti al contatto personale con Cristo, nel cui incontro si rivelano le vocazioni specifiche ».(74)

Allo stesso modo il destinatario della pastorale vocazionale è ancora tutta la Chiesa. Se è tutta la comunità ecclesiale che chiama, è ancora tutta la comunità ecclesiale che è chiamata, senz'alcuna eccezione. Polo emittente e polo ricevente in qualche modo s'identificano, all'interno delle diverse articolazioni ministeriali del tessuto ecclesiale. Ma il principio è importante; è il riflesso di quella misteriosa identificazione tra chiamante e chiamato all'interno della realtà trinitaria.

In tal senso la pastorale vocazionale è comunitaria. Ed è bello, sempre in tal senso, che siano tutti gli Apostoli, il giorno di Pentecoste, a rivolgersi alla folla, e che poi Pietro prenda la parola a nome dei dodici. Anche quando si tratta di scegliere sia Mattia che Stefano e poi ancora Barnaba e Saulo, tutta la comunità prende parte al discernimento con la preghiera, il digiuno, l'imposizione delle mani.

Al tempo stesso, però, è il singolo che deve farsi interprete della proposta vocazionale, è il credente che, in forza della sua fede, deve in qualche modo farsi carico della vocazione dell'altro.

Non tocca, dunque, solo ai presbiteri o ai consacratie il ministero dell'appello vocazionale, ma a ogni credente, ai genitori, ai catechisti, agli educatori.

Se è vero che l'appello va rivolto a tutti, tuttavia è altrettanto vero che lo stesso appello va personalizzato, indirizzato a una precisa persona, alla sua coscienza, all'interno d'una relazione del tutto personale.

C'è un momento nella dinamica vocazionale in cui la proposta va da persona a persona, e ha bisogno di tutto quel clima particolare che solo la relazione individuale può garantire. È vero, allora, che Pietro e Stefano parlano alla folla; ma Saulo ha poi bisogno di Anania per discernere ciò che Dio vuole da lui (9, 13-17), come poi l'eunuco con Filippo (8, 26-39).

g) La pastorale vocazionale è la prospettiva unitario-sintetica della pastorale

Come è il punto di partenza così è anche il punto d'arrivo. In quanto tale, la pastorale vocazionale si pone come la categoria unificante della pastorale in genere, come la destinazione naturale d'ogni fatica, il punto d'approdo delle varie dimensioni, quasi una sorta di elemento di verifica della pastorale autentica.

Ripetiamo: se la pastorale non arriva a « trafiggere il cuore » e a porre l'ascoltatore dinanzi alla domanda strategica (« che cosa devo fare? »), non è pastorale cristiana, ma ipotesi innocua di lavoro.

Di conseguenza la pastorale vocazionale è e dev'essere in rapporto con tutte le altre dimensioni, ad esempio con quella familiare e culturale, liturgica e sacramentale, con la catechesi e il cammino di fede nel catecumenato; coi vari gruppi d'animazione e formazione cristiana (non solo coi ragazzi e giovani, ma anche coi genitori, coi fidanzati, con gli ammalati e gli anziani...) e di movimenti (dal movimento per la vita alle varie iniziative di solidarietà sociale).(75)

Soprattutto la pastorale vocazionale è la prospettiva unificante della pastorale giovanile.

Non va dimenticato che l'età evolutiva è fortemente progettuale ed un'autentica pastorale giovanile non può eludere la dimensione vocazionale, bensì la deve assumere, perché proporre Gesù Cristo significa proporre un preciso progetto di vita.

Di qui una feconda collaborazione pastorale, pur nella distinzione dei due ambiti: sia perché la pastorale giovanile abbraccia altre problematiche oltre quella vocazionale, sia perché la pastorale vocazionale non riguarda solo il mondo giovanile, bensì ha un orizzonte più ampio e con problematiche specifiche.

Pensiamo, inoltre, quanto potrebbe esser importante una pastorale vocazionale-familiare che educhi progressivamente i genitori a essere i primi animatori-educatori vocazionali; o quanto sarebbe preziosa una pastorale vocazionale tra i malati, che non inviti semplicemente gli infermi a offrire le proprie sofferenze per le vocazioni sacerdotali, ma li aiuti a vivere l'evento della malattia, con tutto il carico di mistero che essa contiene, come vocazione personale, che il malato-credente ha il « dovere » di vivere per e nella Chiesa e il « diritto » di essere aiutato a vivere dalla Chiesa.

Questo legame facilita il dinamismo pastorale perché di fatto gli è connaturale: le vocazioni, come i carismi, si cercano tra loro, s'illuminano a vicenda, sono complementari l'una all'altra. Diventano invece incomprensibili se isolate; né fa pastorale di Chiesa chi rimane chiuso nel proprio settore specialistico.

Naturalmente il discorso vale in doppio senso: è la pastorale in genere che deve confluire nell'animazione vocazionale per favorire l'opzione vocazionale; ma è la pastorale vocazionale che deve a sua volta restare aperta alle altre dimensioni, inserendosi e cercando sbocchi in quelle direzioni.

Essa è il punto terminale che sintetizza le varie provocazioni pastorali e consente di metterle a frutto nella vicenda esistenziale del singolo credente. In definitiva, la pastorale delle vocazioni chiede attenzione, ma in cambio offre una dimensione destinata a rendere vera e autentica l'iniziativa pastorale di ogni settore. La vocazione è il cuore pulsante della pastorale unitaria! (76)

Itinerari pastorali vocazionali

27. L'icona biblica attorno alla quale abbiamo articolato la nostra riflessione ci consente di fare un passo avanti, procedendo dai princìpi teorici all'identificazione di alcuni itinerari pastorali vocazionali.

Essi sono cammini comunitari di fede, corrispondenti a precise funzioni ecclesiali e a dimensioni classiche dell'essere credente, lungo i quali matura la fede e si rende sempre più manifesta o si conferma progressivamente la vocazione del singolo, a servizio della comunità ecclesiale.

La riflessione e la tradizione della Chiesa indicano che normalmente il discernimento vocazionale avviene lungo alcuni precisi cammini comunitari: la liturgia e la preghiera, la comunione ecclesiale, il servizio della carità, l'esperienza dell'amore di Dio ricevuto e offerto nella testimonianza. Grazie ad essi nella comunità descritta dagli Atti « si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gesusalemme » (At 6, 7).

La pastorale dovrebbe anche oggi battere queste strade per stimolare e accompagnare il cammino vocazionale dei credenti. Un'esperienza personale e comunitaria, sistematica e impegnativa in queste direzioni, potrebbe e dovrebbe aiutare il singolo credente a scoprire l'appello vocazionale.

E questo renderebbe la pastorale davvero vocazionale.

a) La liturgia e la preghiera

La liturgia significa e indica ad un tempo l'espressione, l'origine e l'alimento di ogni vocazione e ministero nella Chiesa. Nelle celebrazioni liturgiche si fa memoria di quell'agire di Dio per Cristo nello Spirito a cui rimandano tutte le dinamiche vitali del cristiano. Nella liturgia, culminante con l'Eucarestia, si esprime la vocazione-missione della Chiesa e di ogni credente in tutta la sua pienezza.

Dalla liturgia viene sempre un appello vocazionale per chi partecipa.(77) Ogni celebrazione è un evento vocazionale . Nel mistero celebrato il credente non può non riconoscere la propria personale vocazione, non può non udire la voce del Padre che nel Figlio, per la potenza dello Spirito, lo chiama a donarsi a sua volta per la salvezza del mondo.

Anche la preghiera diventa via per il discernimento vocazionale, non solo perché Gesù stesso ha invitato a pregare il padrone della messe, ma perché è solo nell'ascolto di Dio che il credente può giungere a scoprire il progetto che Dio stesso ha pensato: nel mistero contemplato il credente scopre la propria identità, « nascosta con Cristo in Dio » (Col 3, 3).

E ancora, è solo la preghiera che può attivare quegli atteggiamenti di fiducia e di abbandono che sono indispensabili per pronunciare il proprio « sì » e superare paure e incertezze. Ogni vocazione nasce dalla in-vocazione.

Ma anche l'esperienza personale della preghiera, come dialogo con Dio, appartiene a questa dimensione: anche se « celebrata » nell'intimità della propria « cella » è relazione con quella paternità da cui deriva ogni vocazione. Tale dimensione è quanto mai evidente nell'esperienza della Chiesa delle origini, i cui membri erano assidui « nella frazione del pane e nella preghiera » (At 2, 42). Ogni decisione, in tale comunità, era preceduta dalla preghiera; ogni scelta, soprattutto per la missione, avveniva in un contesto liturgico (At 6, 1-7; 13, 1-5).

È la logica orante che la comunità aveva imparato da Gesù quando, di fronte alle « folle stanche e sfinite come gregge senza pastore, aveva detto: "La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" » (Mt 9, 36-38; Lc 10, 2).

Le comunità cristiane d'Europa hanno sviluppato in questi anni molteplici iniziative di preghiera per le vocazioni, che hanno trovato ampia eco durante il Congresso. La preghiera nelle comunità diocesane e parrocchiali, in molti casi resa anche « incessante », giorno e notte, è una delle vie maggiormente percorse per creare nuova sensibilità e nuova cultura vocazionale favorevole al sacerdozio e alla vita consacrata.

L'icona evangelica del « Padrone della messe » conduce al cuore della pastorale delle vocazioni: la preghiera. Preghiera che sa « guardare » con sapienza evangelica al mondo e ad ogni uomo nella realtà dei suoi bisogni di vita e di salvezza. Preghiera che esprime la carità e la « compassione » (Mt 9, 36) di Cristo verso l'umanità, che anche oggi appare come « un gregge senza pastore » (Mt 9, 36). Preghiera che esprime la fede nella voce potente del Padre, che solo può chiamare e mandare a lavorare nella Sua vigna. Preghiera che esprime la speranza viva in Dio, il quale non farà mai mancare alla Chiesa gli « operai » (Mt 9, 38) necessari a portare a compimento la sua missione.

Nel Congresso hanno suscitato molto interesse le testimonianze sull'esperienza di lectio divina in prospettiva vocazionale. In alcune diocesi sono molto diffuse le « scuole di preghiera » o le « scuole della Parola ». Il principio al quale esse si ispirano è quello, ormai classico, contenuto nella Dei Verbum: « Tutti i fedeli acquisiscano la sublime scienza di Gesù Cristo con la frequente lettura della Divina Scrittura, accompagnata dalla preghiera ».(78)

Quando tale scienza diviene sapienza che si nutre di frequentazione abituale, gli occhi e le orecchie del credente si aprono nel riconoscere la Parola che chiama senza sosta. Allora il cuore e la mente sono in grado di accoglierla e di viverla senza paura.

b) La comunione ecclesiale

La prima funzione vitale che sgorga dalla liturgia è la manifestazione della comunione che si vive all'interno della Chiesa, come popolo riunito in Cristo attraverso la sua croce, come comunità in cui ogni divisione è per sempre superata nello Spirito di Dio che è Spirito di unità (Ef 2, 11-22;Gal 3, 26-28; Gv 17, 9-26).

La Chiesa si propone come lo spazio umano di fraternità in cui ogni credente può e deve fare esperienza di quella unione fra gli uomini e con Dio che è dono dall'alto. Di questa dimensione ecclesiale sono splendido esempio gli Atti degli Apostoli, dove è descritta una comunità di credenti profondamente segnata dall'unione fraterna, dalla condivisione dei beni materiali e spirituali, degli affetti e dei sentimenti (At 2, 42-48), al punto da essere « un cuore solo ed un'anima sola » (At 4, 32).

Se ogni vocazione nella Chiesa, è un dono da vivere per gli altri, come servizio di carità nella libertà, allora è anche un dono da vivere con gli altri. Dunque lo si scopre solo vivendo in fraternità.

La fraternità ecclesiale non è solo virtù comportamentale, ma itinerario vocazionale. Solo vivendo la si può scegliere come componente fondamentale di un progetto vocazionale, o solo gustandola è possibile aprirsi a una vocazione che in ogni caso sarà sempre vocazione alla fraternità.(79) Al contrario, non può avvertire alcuna attrazione vocazionale chi non sperimenta alcuna fraternità e si chiude al rapporto con gli altri o interpreta la vocazione solo come perfezione privata e personale.

La vocazione è relazione; è manifestazione dell'uomo che Dio ha creato aperto alla relazione e anche nel caso di una vocazione all'intimità con Dio nella vocazione claustrale, implica una capacità di apertura e di condivisione che si può acquisire solo con l'esperienza d'una fraternità reale. « Il superamento di una visione individualistica del ministero e della consacrazione, della vita nelle singole comunità cristiane è un contributo storico decisivo ».(80)

La vocazione è dialogo, è sentirsi chiamati da un Altro e avere il coraggio di risponderGli. Come può maturare questa capacità di dialogo in chi non ha imparato, nella vita di tutti i giorni e nelle relazioni quotidiane, a lasciarsi chiamare, a rispondere, a riconoscere l'io nel tu? Come può farsi chiamare dal Padre chi non si preoccupa di rispondere al fratello?

La condivisione con il fratello e con la comunità dei credenti diventa allora via, lungo la quale si impara a rendere partecipi gli altri dei progetti propri, per accogliere infine su di sé il piano pensato da Dio. Che sarà sempre e comunque progetto di fraternità.

Un'esperienza di condivisione attorno alla Parola, segnalata da alcune Chiese europee, è costituita dai centri di ascolto, gruppi cioè di credenti che si incontrano periodicamente nelle loro case per riscoprire il messaggio cristiano e comunicarsi le rispettive esperienze e i doni di interpretazione della Parola stessa.

Per i giovani questi centri ricevono una connotazione vocazionale nell'ascolto della Parola che chiama, nella catechesi e nella preghiera vissute in modo più personale e coinvolgente, più libero e creativo. Il centro di ascolto diviene così stimolo alla corresponsabilità ecclesiale, perché qui si possono scoprire i diversi modi di servire la comunità e vi possono sovente maturare vocazioni specifiche.

Altra esperienza positiva di itinerario vocazionale nelle Chiese particolari e nei vari Istituti di vita consacrata è la comunità di accoglienza, che realizza l'invito di Gesù: « Venite e vedrete ». Dal Sommo Pontefice è definita la « regola d'oro della pastorale vocazionale ».(81) In queste comunità o centri di orientamento vocazionale, grazie a un'esperienza molto specifica e immediata, i giovani possono fare un vero e graduale cammino di discernimento. Sono dunque accompagnati perché al momento giusto siano in grado non solo d'identificare il progetto di Dio su di loro, ma di decidere di sceglierlo come propria identità.

c) Il servizio della carità

È una delle funzioni più tipiche della comunità ecclesiale. Consiste nel vivere l'esperienza della libertà in Cristo, in quel vertice supremo che è costituito dal servizio. « Chi vorrà diventare grande tra voi si farà vostro servo » (Mt 20, 26), « chi vuol essere il primo sia il servo di tutti » (Mc 9, 35). Nella Chiesa primitiva questa lezione sembra sia stata molto presto appresa, dato che il servizio appare come una delle componenti strutturali di essa, al punto che vengono istituiti i diaconi proprio per « il servizio delle mense ».

Proprio perché il credente vive per grazia l'esperienza di libertà in Cristo, egli è chiamato a essere testimone di libertà e agente di liberazione per gli uomini. Di quella liberazione che si realizza non con la violenza e il dominio, ma con il perdono e l'amore, con il dono di sé e il servizio, sull'esempio di Cristo Servo. È il servizio della carità, le cui possibilità espressive sono senza limite.

È forse la via regia, in un itinerario vocazionale, per discernere la propria vocazione, perché l'esperienza di servizio, specie dove è ben preparata, guidata e penetrata nel suo significato più vero, è esperienza di grande umanità, che porta a conoscere meglio se stessi e la dignità altrui nonché la bellezza di dedicarsi agli altri.

L'autentico servo nella Chiesa è colui che ha imparato ad assaporare come un privilegio il lavare i piedi ai fratelli più poveri, è colui che ha conquistato la libertà di perdere il proprio tempo per le necessità altrui. L'esperienza del servizio è un'esperienza di grande libertà in Cristo.

Chi serve il fratello, inevitabilmente incontra Dio ed entra in una particolare sintonia con Lui. Non gli sarà difficile scoprire la Sua volontà su di sé e, soprattutto, sentirsi attratto a compierla. E sarà in ogni caso una vocazione di servizio per la Chiesa e per il mondo.

Così è stato per moltissime vocazioni in questi ultimi decenni. L'animazione vocazionale del post-Concilio è progressivamente passata dalla « pastorale della propaganda » alla « pastorale del servizio », in particolare per i più poveri e bisognosi.

Molti giovani hanno davvero ritrovato Dio e se stessi, lo scopo del vivere e la felicità vera, donando tempo e attenzioni ai fratelli, fino a decidere di dedicare loro non un segmento della vita, ma tutta l'esistenza. La vocazione cristiana è, infatti, esistenza per gli altri.

d) La testimonianza-annuncio del Vangelo

Essa è la proclamazione della vicinanza di Dio all'uomo lungo tutta la storia della salvezza, specie in Cristo, e dunque anche delle viscere di misericordia del Padre per l'uomo, perché abbia la vita in abbondanza. Tale annuncio è all'origine del cammino di fede di ogni credente. La fede, infatti, è un dono ricevuto da Dio e testimoniato dall'esempio della comunità credente e di tanti fratelli e sorelle all'interno di essa, così come attraverso l'istruzione catechistica sulle verità del vangelo.

Ma la fede va trasmessa, e viene il tempo in cui ogni testimonianza diventa dono attivo: il dono ricevuto diventa dono donato attraverso la personale testimonianza e il personale annuncio.

La testimonianza della fede coinvolge tutto l'uomo e può essere fatta solo con la totalità dell'esistenza e della propria umanità, con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze, fino al dono anche cruento della vita.

È interessante questo crescendo di significati del termine, un crescendo che in fondo ritroviamo nel brano biblico che ci sta guidando: vedi la testimonianza-catechesi di Pietro e degli Apostoli il giorno di Pentecoste e, successivamente, la coraggiosa catechesi di Stefano culminante nel suo martirio (At 6, 8; 7, 60) e degli Apostoli « lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù » (At 5, 41).

Ma più interessante ancora è scoprire come questa testimonianza-annuncio evangelico possa divenire specifico itinerario vocazionale.

La coscienza grata d'aver ricevuto il dono della fede, dovrebbe tradursi regolarmente in desiderio e volontà di trasmettere agli altri quanto si è ricevuto, sia attraverso l'esempio della propria vita, sia attraverso il ministero della catechesi. Questa, poi, « è destinata a illuminare le molteplici situazioni della vita insegnando a ciascuno a vivere la propria vocazione cristiana nel mondo ».(82) E se il catechista è anche prima di tutto un testimone, tale dimensione vocazionale risalterà ancor più evidente.(83)

Il Congresso ha confermato l'importanza della catechesi in prospettiva vocazionale e ha indicato nella celebrazione del sacramento della Confermazione uno straordinario itinerario vocazionale per preadolescenti e adolescenti. L'età della Cresima potrebbe essere proprio « l'età della vocazione », stagione qualificata, sul piano teologico e pedagogico, per la scoperta, la realizzazione e la testimonianza del dono ricevuto.

L'azione catechistica dovrebbe suscitare la capacità di riconoscere e di manifestare il dono dello Spirito.(84)

L'incontro diretto di credenti che vivono con fedeltà e coraggio la loro vocazione, di testimoni credibili che offrono esperienze concrete di vocazioni riuscite, può essere decisivo per aiutare i cresimandi a scoprire e accogliere la chiamata di Dio.

La vocazione, in ogni caso, è sempre originata dalla coscienza di un dono, e da una coscienza così grata che trova del tutto logico porre al servizio degli altri la propria esperienza, per farsi carico della loro crescita nella fede.

Chi vive con attenzione e generosità la testimonianza della fede, non tarderà a cogliere il progetto di Dio su di sé, per dedicare alla sua realizzazione tutte le energie.

Dagli itinerari pastorali alla chiamata personale

28. Potremmo dire, in sintesi, che nelle dimensioni della liturgia, della comunione ecclesiale, del servizio della carità e della testimonianza del vangelo si condensa la condizione esistenziale d'ogni credente. Questa è la sua dignità e la sua vocazione fondamentale, ma è anche la condizione perché ognuno possa scoprire la sua peculiare identità.

Ogni credente, dunque, deve vivere il comune evento della liturgia, della comunione fraterna, del servizio caritativo e dell'annuncio del vangelo, perché solo attraverso tale esperienza globale potrà identificare il suo particolare modo di vivere queste stesse dimensioni dell'essere cristiano. Di conseguenza, questi itinerari ecclesiali vanno privilegiati, rappresentano un po' la strada-maestra della pastorale vocazionale, grazie alla quale può svelarsi il mistero della vocazione di ognuno.

Sono peraltro itinerari classici, che appartengono alla vita stessa d'ogni comunità che voglia dirsi cristiana e ne rivelano al tempo stesso la solidità o precarietà. Proprio per questo non solo rappresentano una via obbligata, ma soprattutto offrono garanzia all'autenticità della ricerca e del discernimento.

Queste quattro dimensioni e funzioni, infatti, da un lato provocano un coinvolgimento globale del soggetto, dall'altro lo portano alle soglie d'una esperienza molto personale, d'un confronto stringente, d'un appello impossibile da ignorare, d'una decisione da prendere, che non si può tramandare all'infinito. Per questo la pastorale vocazionale dovrà espressamente aiutare a fare opera di rilevamento attraverso un'esperienza profondamente e globalmente ecclesiale, che conduca ogni credente « alla scoperta e assunzione della propria responsabilità nella Chiesa ».(85) Le vocazioni che non nascono da quest'esperienza e da questo inserimento nell'azione comunitaria ecclesiale rischiano di essere viziate alla radice e di dubbia autenticità.

Ovviamente tali dimensioni saranno tutte presenti, armonicamente coordinate per un'esperienza che potrà esser decisiva solo se totalizzante.

Spesso, in effetti, vi sono giovani che privilegiano spontaneamente l'una o l'altra di queste funzioni (o unicamente impegnati nel volontariato, o fin troppo attratti dalla dimensione liturgica, o grandi teorici un po' idealisti). Sarà allora importante che l'educatore vocazionale provochi nel senso d'un impegno che non sia su misura dei gusti del giovane, ma sulla misura oggettiva dell'esperienza di fede, la quale non può, per definizione, esser qualcosa di addomesticabile. È solo il rispetto di questa misuraoggettiva che può lasciar intravedere la propria misura soggettiva.

L'oggettività, in tal senso, precede la soggettività, e il giovane deve imparare a darle la precedenza, se vuole davvero scoprire se stesso e quello che è chiamato a essere. Ovvero, deve prima realizzare ciò che è richiesto a tutti se ci tiene a essere se stesso.

Non solo, ma ciò che è oggettivo, regolato sulla base d'una norma e d'una tradizione e mirante a un obiettivo preciso che trascende la soggettività, ha una notevole forza di attrazione e di trazione vocazionale. Naturalmente l'esperienza oggettiva dovrà pure divenire soggettiva, o esser riconosciuta dall'individuo come sua. Sempre tuttavia a partire da una fonte o da una verità che non è il soggetto a determinare e che s'avvale della ricca tradizione della fede cristiana. In definitiva « la pastorale vocazionale ha le tappe fondamentali di un itinerario di fede ».(86) E anche questo sta a dire la gradualità e poi la convergenza della pastorale vocazionale.

Dagli itinerari alle comunità cristiane

a) La comunità parrocchiale

29. Il Congresso europeo si è proposto un obiettivo, tra gli altri: portare la pastorale vocazionale nel vivo delle comunità cristiane parrocchiale, là dove la gente vive e dove i giovani in particolare sono coinvolti più o meno significativamente in un'esperienza di fede.

Si tratta di far uscire la pastorale vocazionale dalla cerchia degli addetti ai lavori per raggiungere i solchi periferici della Chiesa particolare.

Ma nel contempo è ormai urgente superare la fase esperienzialistica, in atto in molte Chiese d'Europa, per passare a veri cammini pastorali, innestati nel tessuto delle comunità cristiane, valorizzando ciò che è già vocazionalmente eloquente.

Particolare attenzione va all'anno liturgico, che è una scuola permanente di fede, in cui ogni credente, aiutato dallo Spirito Santo, è chiamato a crescere secondo Gesù. Dall'Avvento, tempo della speranza, alla Pentecoste e al Tempo Ordinario, il cammino ciclicamente ricorrente dell'anno liturgico celebra e prospetta un modello di uomo chiamato a misurarsi sul mistero di Gesù, il « primogenito tra molti fratelli » (Rom 8, 29).

L'antropologia che l'anno liturgico porta ad esplorare è un disegno autenticamente vocazionale, che sollecita ogni cristiano a rispondere sempre di più alla chiamata, per una precisa e personale missione nella storia. Di qui l'attenzione agli itinerari quotidiani in cui ogni comunità cristiana è coinvolta. La sapienza pastorale chiede in modo particolare ai pastori, guide delle comunità cristiane, una cura puntuale e un attento discernimento per far parlare i segni liturgici, i vissuti dell'esperienza di fede; perché è dalla presenza di Cristo, nei tempi ordinari dell'uomo, che vengono gli appelli vocazionali dello Spirito.

Non va dimenticato che il pastore, soprattutto il presbitero responsabile di una comunità cristiana, è il « coltivatore diretto » di tutte le vocazioni.

In verità non dovunque si riconosce la piena titolarità vocazionale della comunità parrocchiale; mentre sono proprio « i Consigli Pastorali diocesani e parrocchiali, in rapporto con i centri vocazionali nazionali, ... gli organi competenti in tutte le comunità e in tutti i settori della pastorale ordinaria ».(87)

È dunque da incoraggiare l'iniziativa di quelle parrocchie che hanno costituito al loro interno gruppi di responsabili dell'animazione vocazionale e delle varie attività per risolvere « un problema che si colloca nel cuore stesso della chiesa » (88) (gruppi di preghiera, giornate e settimane vocazionali, catechesi e testimonianze e quant'altro può contribuire a tenere alta l'attenzione vocazionale) (89)

b) I « luoghi-segno » della vita-vocazione

In questo delicato ed urgente passaggio, da una pastorale vocazionale delle esperienze ad una pastorale vocazionale dei cammini, è necessario far parlare non solo gli appelli vocazionali provenienti dagli itinerari che attraversano la vita feriale della comunità cristiana, ma è sapiente rendere significativi i luoghi-segno della vita come vocazione e i luoghi pedagogici della fede. Una Chiesa è viva se, con i doni dello Spirito, sa percepire e valorizzare tali luoghi.

I luoghi-segno della vocazionalità dell'esistenza in una Chiesa particolare sono le comunità monastiche, testimoni del volto orante della comunità ecclesiale, le comunità religiose apostoliche e le fraternità degli istituti secolari.

In un contesto culturale fortemente curvo sulle cose penultime e immediate, attraversato dal vento gelido dell'individualismo, le comunità oranti ed apostoliche aprono a dimensioni vere di vita autenticamente cristiana, soprattutto per le ultime generazioni chiaramente più attente ai segni che alle parole.

Segno particolare della vocazionalità della vita è la comunità del seminario diocesano o interdiocesano. Esso vive una singolare vicenda all'interno delle nostre Chiese. Da una parte è un segno forte, perché costituisce una promessa di futuro. I giovani che vi approdano, figli di questa generazione, saranno i preti del domani. Non solo, ma il seminario sta a richiamare concretamente la vocazionalità della vita e l'urgenza del ministero ordinato per l'esistenza della comunità cristiana.

Dall'altra il seminario è un segno debole, perché chiede una costante attenzione della Chiesa particolare, sollecita una seria pastorale vocazionale per ripartire ogni anno con nuovi candidati. Ed anche la solidarietà economica può essere una sollecitazione pedagogica per educare il popolo di Dio alla preghiera per tutte le vocazioni.

c) I luoghi pedagogici della fede

Oltre ai luoghi-segno sono preziosi i luoghi pedagogici della pastorale vocazionale, costituiti dai gruppi, dai movimenti, dalle associazioni e dalla stessa scuola.

Al di là della diversa configurazione sociologica di tali forme di aggregazione, soprattutto a livello giovanile, è da apprezzare la loro valenza pedagogica, come luoghi in cui le persone possono essere sapientemente aiutate a raggiungere una vera maturità di fede.

Ciò può essere efficacemente perseguito se non vengono disattese tre dimensioni dell'esperienza cristiana: la vocazione di ciascuno, la comunione della Chiesa e la missione con la Chiesa.

d) Figure di formatori e di formatrici

Un'altra attenzione pedagogica, pastorale viene proposta con particolare insistenza in questo preciso momento storico: la formazione di precise figure educative.

È infatti risaputa, un po' ovunque, la debolezza e la problematicità dei luoghi pedagogici della fede, messi a dura prova dalla cultura dell'individualismo, dell'aggregazionismo spontaneo, o dalla crisi delle istituzioni.

D'altra parte emerge soprattutto nei giovani il bisogno di confronto, di dialogo, di punti di riferimento. I segnali al riguardo sono molti. C'è insomma urgenza di maestri di vita spirituale, di figure significative, capaci di evocare il mistero di Dio e disposti all'ascolto per aiutare le persone ad entrare in un serio dialogo con il Signore.

Le personalità spirituali forti non sono soltanto alcune persone particolarmente dotate di carisma, ma sono il risultato di una formazione particolarmente attenta al primato assoluto dello Spirito.

Nella cura delle figure educative delle nostre comunità, due attenzioni vanno sapientemente tenute presenti: da una parte si tratta di rendere esplicita e vigile la coscienza educativa vocazionale in tutte quelle persone che sono già chiamate ad operare nella comunità accanto ai ragazzi e ai giovani (sacerdoti, religiosei e laici); dall'altra va accuratamente incoraggiata e formata la ministerialità educativa della donna, perché sia soprattutto accanto alle giovani una figura di riferimento e una guida sapiente. Di fatto la donna è ampiamente presente nelle comunità cristiane e sono risapute le capacità intuitiva del « genio femminile » e la grande esperienza della donna in campo educativo (famiglia, scuola, gruppi, comunità).

L'apporto della donna è da ritenersi assai prezioso, per non dire decisivo, soprattutto nell'ambito del mondo giovanile femminile, non riducibile a quello maschile, perché bisognoso di una riflessione più attenta e specifica, soprattutto sul versante vocazionale.

Forse anche questo fa parte di quella svolta che caratterizza la pastorale vocazionale. Mentre in passato anche le vocazioni femminili scaturivano da figure significative di padri spirituali, autentiche guide di persone e di comunità, oggi le vocazioni al « femminile » hanno bisogno di riferimento a figure femminili, personali e comunitarie, capaci di dare concretezza alla proposta di modelli oltre che di valori.

e) Gli organismi della pastorale vocazionale

La pastorale vocazionale per proporsi come prospettiva unitaria e sintetica della pastorale in genere, deve esprimere per prima al suo interno, la sintesi e la comunione dei carismi e dei ministeri.

Già da tempo nella Chiesa si è avvertita la necessità di questo coordinamento (90) che, grazie a Dio, ha già dato notevoli frutti: Organismi parrocchiali, Centri vocazionali diocesani e nazionali già da diversi anni funzionano con grande vantaggio.

Non è però dovunque così. Il Congresso ora celebrato ha lamentato in certi casi l'assenza, o la scarsa incidenza di queste strutture in alcune nazioni europee,(91) e fa voti perché quanto prima vengano regolarmente istituite o adeguatamente potenziate.

Ancora da più parti si osserva che, mentre i Centri nazionali sembrano garantire un notevole apporto di stimoli costruttivi per la pastorale vocazionale d'insieme, i Centri diocesani non paiono animati ovunque dalla stessa volontà di lavorare e collaborare davvero per le vocazioni di tutti. C'è un certo progetto generale di pastorale unitaria che ancora stenta a divenire prassi di Chiesa locale, e sembra in qualche modo incepparsi quando dalle proposte generali si passa alla traduzione capillare nella realtà diocesana o parrocchiale. Qui infatti non sono ancora del tutto sparite prospettive e prassi particolaristiche e meno ecclesiali.(92)

Per quanto riguarda i Centri diocesani e nazionali, più che ribadire qui quanto già in maniera esemplare sottolineano vari documenti circa la loro funzione, sembra necessario ricordare che non si tratta semplicemente d'una questione d'organizzazione pratica, quanto di coerenza con uno spirito nuovo che deve permeare la pastorale vocazionale nella Chiesa e in particolare nelle Chiese d'Europa. La crisi vocazionale è anche crisi di comunione nel favorire e far crescere le vocazioni. Non possono nascere vocazioni laddove non si vive uno spirito autenticamente ecclesiale.

Oltre a raccomandare una ripresa d'impegno in tale campo e un più stretto collegamento tra Centro nazionale, Centri diocesani e organismi parrocchiali, il Congresso e questo Documento auspicano che tali organismi prendano maggiormente a cuore due questioni: la promozione d'una autentica cultura vocazionale nella società civile ed ecclesiale, prima sottolineata, e la formazione degli educatori-formatori vocazionali, vero e proprio elemento centrale e strategico dell'attuale pastorale vocazionale.(93)

Il Congresso, inoltre, chiede che si prenda in seria considerazione per l'Europa la costituzione di un organismo o Centro unitario di pastorale vocazionale sovranazionale, come segno ed espressione concreta di comunione e condivisione, di coordinamento e scambio di esperienze e persone tra le singole Chiese nazionali,(94) salvaguardando le peculiarità di ciascuna.

PARTE QUARTA

PEDAGOGIA DELLE VOCAZIONI
« Non ci ardeva forse il cuore nel petto?... » (Lc 24, 32)

Questa parte pedagogica viene colta all'interno del vangelo, sull'esempio di quello straordinario animatore-educatore vocazionale che è Gesù, e in vista di un'animazione vocazionale scandita da precisi atteggiamenti pedagogici evangelici: seminare, accompagnare, educare, formare, discernere.

Siamo all'ultima sezione, quella che, nella logica del documento, dovrebbe rappresentare la parte metodologico-applicativa. Si è infatti partiti dall'analisi della situazione concreta, per poi definire gli elementi teologici portanti del tema della vocazione, e quindi si è cercato di tornare alla vita concreta delle nostre comunità credenti per delineare il senso e la direzione della pastorale delle vocazioni.

Resta ora da vedere la dimensione pedagogica della pastorale vocazionale.

Crisi vocazionale e crisi educativa

30. Molte volte, nelle nostre Chiese, sono chiari gli obiettivi e le strategie di fondo, ma restano un po' indefiniti i passi da fare, per suscitare nei nostri giovani la disponibilità vocazionale; e questo perché oggi risulta debole un certo impianto educativo, dentro e fuori della Chiesa, quell'impianto che dovrebbe poi offrire, assieme alla precisione dell'obiettivo da raggiungere, anche i percorsi pedagogici che vi conducono. Lo dice ancora con il solito realismo l'Instrumentum laboris: « Stiamo verificando... la debolezza di tanti luoghi pedagogici (gruppo, comunità, oratori, scuola e soprattutto famiglia) ».(95) La crisi vocazionale è certamente anche crisi di proposta pedagogica e di cammino educativo.

Si cercherà di indicare allora, sempre a partire dalla Parola di Dio, proprio questa convergenza tra fine e metodo, nella convinzione che una buona teologia normalmente si lascia tradurre nella pratica, diviene pedagogia, fa intravedere dei percorsi, col desiderio sincero di offrire ai vari operatori pastorali un aiuto, uno strumento utile a tutti.

Il vangelo della vocazione

31. Ogni incontro o dialogo nel vangelo ha un significato vocazionale: quando Gesù cammina per le strade della Galilea è sempre inviato dal Padre per chiamare l'uomo a salvezza e svelargli il progetto del Padre stesso. La buona notizia, l'evangelo, è proprio questa: il Padre ha chiamato l'uomo attraverso il Figlio nello Spirito, l'ha chiamato non solo alla vita, ma alla redenzione, e non solo a una redenzione da altri meritata, ma a una redenzione che lo coinvolge in prima persona, rendendolo responsabile della salvezza di altri.

In questa salvezza attiva e passiva, ricevuta e condivisa, è racchiuso il senso d'ogni vocazione; è racchiuso il senso stesso della Chiesa, come comunità di credenti, santi e peccatori, tutti « chiamati » a partecipare dello stesso dono e responsabilità. È il vangelo della vocazione.

La pedagogia della vocazione

32. All'interno di questo vangelo cerchiamo una pedagogia corrispondente, che è poi quella di Gesù, autentica pedagogia della vocazione. È la pedagogia che ogni animatore vocazionale o ogni evangelizzatore dovrebbe saper mettere in atto, per condurre il giovane a riconoscere il Signore che lo chiama e a risponderGli.

Se punto di riferimento della pedagogia vocazionale è il mistero di Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, vi sono molti aspetti e significative dimensioni nel suo agire « vocazionale ».

Anzitutto Gesù ci è presentato nei vangeli molto più come formatore che come animatore, proprio perché opera sempre in strettissima unione col Padre, che sparge il seme della Parola ed educa (traendo dal nulla), e con lo Spirito che accompagna nel cammino di santificazione.

Tali aspetti aprono prospettive importanti a chi lavora nella pastorale delle vocazioni ed è chiamato, perciò stesso, a esser non solo animatore vocazionale, ma ancor prima seminatore del buon seme della vocazione, e poi accompagnatore nel cammino che conduce il cuore ad « ardere », educatore alla fede e all'ascolto del Dio che chiama, formatore degli atteggiamenti umani e cristiani di risposta all'appello di Dio; (96) ed è chiamato infine a discernere la presenza del dono che viene dall'alto.

Sono le cinque caratteristiche centrali del ministero vocazionale o le cinque dimensioni del mistero della chiamata che da Dio giunge all'uomo attraverso la mediazione d'un fratellosorella o d'una comunità.

Seminare

33. « Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta » (Mt 13, 3-8).

Questo brano indica, in qualche modo, il primo passo d'un cammino pedagogico, il primo atteggiamento da parte di colui che si pone come mediatore tra il Dio che chiama e l'uomo che è chiamato, e che s'ispira necessariamente all'agire di Dio. È Dio-Padre il seminatore; Chiesa e mondo sono i luoghi ove continua a spargere abbondantemente il suo seme, con libertà assoluta e senza esclusioni di sorta, una libertà che rispetta quella del terreno ove il seme cade.

a) Due libertà in dialogo

La parabola del seminatore mostra che la vocazione cristiana è un dialogo fra Dio e la persona umana. L'interlocutore principale è Dio, che chiama chi vuole, quando vuole e come vuole « secondo il suo proposito e la sua grazia » (2 Tim 1, 9); che chiama tutti alla salvezza, senza farsi limitare dalle disposizioni del ricevente. Ma la libertà di Dio s'incontra con la libertà dell'uomo, in un dialogo misterioso e affascinante, fatto di parole e di silenzi, di messaggi e azioni, di sguardi e gesti, una libertà che è perfetta, quella di Dio, e l'altra imperfetta, quella umana. La vocazione è dunque totalmente attività di Dio, ma anche realmente attività dell'uomo: lavoro e penetrazione di Dio nel cuore della libertà umana, ma anche fatica e lotta dell'uomo per esser libero d'accogliere il dono.

Chi si pone accanto a un fratello nel cammino di discernimento vocazionale entra nel mistero della libertà, e sa che potrà dare un aiuto solo se rispetta tale mistero. Anche quando ciò dovesse significare, almeno apparentemente un minor risultato. Come per il seminatore del vangelo.

b) Il coraggio di seminare ovunque

Proprio il rispetto d'entrambe le libertà significa anzitutto il coraggio di seminare il buon seme del vangelo, della Pasqua del Signore, della fede e infine della sequela. Questa è la condizione previa; non si fa nessuna pastorale vocazionale se non c'è questo coraggio. Non solo, ma bisogna seminare dovunque, nel cuore di chiunque, senz'alcuna preferenza o eccezione. Se ogni essere umano è creatura di Dio, è anche portatore d'un dono, d'una vocazione particolare che attende d'essere riconosciuta.

Spesso ci si lamenta nella Chiesa della scarsità di risposte vocazionali e non ci si accorge che altrettanto spesso la proposta è fatta entro un cerchio ristretto di persone, e magari subito ritirata dopo un primo diniego. Giova qui ricordare il richiamo di Paolo VI: « Che nessuno, per colpa nostra, ignori ciò che deve sapere, per orientare, in senso diverso e migliore, la propria vita ».(97) Eppure quanti giovani non si sono mai sentiti rivolgere alcuna proposta cristiana circa la loro vita e il futuro!

È singolare osservare il seminatore della parabola nel gesto ampio della mano che semina « ovunque »; è commovente riconoscere in tale icona il cuore di Dio-Padre. È l'immagine di Dio che semina nel cuore d'ogni vivente un piano di salvezza; o se vogliamo, è l'immagine dello « spreco » della generosità divina, che s'effonde su tutti perché tutti vuol salvare e chiamare a Sé.

È quella stessa immagine del Padre che torna evidente nell'agire di Gesù, il quale chiama a Sé i peccatori, sceglie di costruire la sua Chiesa con gente apparentemente inadatta per questa missione, non conosce barriere e non fa preferenze di persone.

È specchiandosi in quest'immagine che l'operatore vocazionale, a sua volta, annuncia, propone, scuote, con l'identica generosità; ed è proprio la certezza del seme deposto dal Padre nel cuore d'ogni creatura, che gli dà la forza d'andare ovunque e di seminare comunque il buon seme vocazionale, di non restare dentro gli spazi soliti e d'affrontare ambienti nuovi, per tentare approcci insoliti e rivolgersi a ogni persona.

c) La semina al tempo giusto

Fa parte della saggezza del seminatore spargere il buon seme della vocazione al momento propizio. Che non significa affatto affrettare i tempi della scelta o pretendere che un preadolescente abbia la maturità decisionale d'un giovane, ma capire e rispettare il senso vocazionale della vita umana.

Ogni stagione dell'esistenza ha un significato vocazionale, a cominciare dal momento in cui il ragazzoa si apre alla vita e ha bisogno di coglierne il senso, e prova a interrogarsi sul suo ruolo in essa. Il lasciar cadere tale domanda al momento giusto potrebbe pregiudicare il germogliare del seme: « l'esperienza pastorale mostra che la prima manifestazione della vocazione nasce, nella maggior parte dei casi, nell'infanzia e nell'adolescenza. Per questo sembra importante recuperare o proporre formule che possano suscitare, sostenere e accompagnare questa prima manifestazione vocazionale ».(98) Senza tuttavia limitarsi a essa. Ogni persona ha i suoi ritmi e i suoi tempi di maturazione. L'importante è che accanto a sé abbia un buon seminatore.

d) Il più piccolo di tutti i semi

Non è certo operazione semplice, oggi, quella del « seminatore vocazionale ». Per i motivi che sappiamo: non esiste, propriamente parlando, una cultura vocazionale; il modello antropologico prevalente sembra essere quello dell'« uomo senza vocazione »; il contesto sociale è eticamente neutro e privo di speranza e di modelli progettuali. Tutti elementi sembrano concorrere a indebolire la proposta vocazionale e ci consentono, forse, di applicare ad essa quanto Gesù dice, a proposito del regno di Dio (cfr. Mt 13, 31ss.): il seme della vocazione è come un granellino di senapa che, quando viene seminato, o quando viene proposto o indicato come presente, è il più piccolo di tutti i semi; non suscita molto spesso alcun immediato consenso; anzi è negato e smentito, è come soffocato da altre attese e progetti, non preso sul serio; oppure viene visto con sospetto e diffidenza, quasi fosse un seme d'infelicità.

Ed allora il giovane, rifiuta, si dichiara non interessato, ha già ipotecato il suo futuro (o altri l'hanno già fatto per lui); o forse gli piacerebbe e l'interessa, ma non è così sicuro, e poi è troppo difficile e gli fa paura...

Nulla di strano e assurdo in questa reazione timorosa e negativa; in fondo l'aveva già detto il Signore. Il seme della vocazione è il più piccolo di tutti i semi, è debole e non s'impone, proprio perché è espressione della libertà di Dio che intende rispettare fino in fondo la libertà dell'uomo.

E allora è necessaria anche la libertà di chi guida il cammino dell'uomo: una libertà del cuore che consenta di continuare a non tirarsi indietro di fronte all'iniziale rifiuto o disinteresse.

Gesù dice, sempre nella breve parabola del grano di senapa, che « una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi » (Mt 13, 32); dunque è un seme che possiede una sua forza, anche se non è subito evidente e dirompente e, anzi, ha bisogno di molta cura per maturare. C'è una sorta di segreto elementare che fa parte della sapienza contadina: per garantire un qualsiasi raccolto nella stagione giusta, bisogna curare tutto, proprio tutto, dal terreno al seme; porre attenzione a tutto, da ciò che lo fa crescere a quanto ne ostacola la crescita. Anche contro le imponderabili intemperie delle stagioni. In campo vocazionale succede qualcosa di simile. La semina è solo il primo passo, ma deve essere seguito da altre ben precise attenzioni perché le due libertà entrino nel mistero del dialogo vocazionale.

Accompagnare

34. « Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo » (Lc 24, 13-16).

Scegliamo, per descrivere le articolazioni pedagogiche dell'accompagnare, educare e formare, l'episodio dei due discepoli di Emmaus. È un brano significativo, perché, oltre alla sapienza del contenuto e del metodo pedagogico seguito da Gesù, ci sembra di vedere nei due discepoli l'immagine di tanti giovani d'oggi, un po' tristi e sfiduciati, che sembrano avere smarrito il gusto di cercare la loro vocazione.

Il primo passo, o la prima attenzione in questo cammino, è il porsi accanto: il seminatore, o colui che ha risvegliato nel giovane la coscienza del seme seminato nel terreno del suo cuore, diventa ora accompagnatore.

Nella parte teologica della presente riflessione, è stato indicato come tipico dello Spirito il ministero dell'accompagnamento; è infatti lo Spirito del Padre e del Figlio che rimane accanto all'uomo per ricordargli la Parola del Maestro; è ancora lo Spirito, che dimora nell'uomo per suscitare in lui la coscienza d'esser figlio del Padre. È dunque lo Spirito il modello cui deve ispirarsi quel fratello o sorella maggiore che accompagna un fratello o una sorella minore in ricerca.

a) Itinerario vocazionale

Definito l'itinerario vocazionale pastorale, ci domandiamo ora: che cos'è un itinerario vocazionale sul piano pedagogico?

L'itinerario pedagogico vocazionale è un viaggio mirato verso la maturità della fede, come un pellegrinaggio verso lo stato adulto dell'essere credente, chiamato a decidere di sé e della propria vita in libertà e responsabilità, secondo la verità del misterioso progetto pensato da Dio per lui. Tale viaggio procede per tappe in compagnia d'un fratello o sorella maggiore nella fede e nel discepolato, che conosce la strada, la voce e i passi di Dio, che aiuta a riconoscere il Signore che chiama e a discernere la via lungo la quale andare verso Lui e risponderGli.

Un itinerario vocazionale, allora, è anzitutto cammino con Lui, il Signore della vita, quel « Gesù in persona », come annota con precisione Luca, che s'accosta al cammino dell'uomo, fa lo stesso percorso ed entra nella sua storia. Ma gli occhi di carne spesso non lo sanno riconoscere e allora l'andare umano resta solitario e il discorrere inutile, mentre il cercare rischia di perpetuarsi, in un interminabile e a volte narcisistico « far esperienze », anche vocazionali, senz'alcun esito decisionale. È forse il primo compito dell'accompagnatore vocazionale, quello d'indicare la presenza d'un Altro, o di confessare la natura relativa della propria vicinanza o del proprio accompagnamento, per essere mediazione di tale presenza, o itinerario verso la scoperta del Dio che chiama e si fa vicino a ogni uomo.

Come i due di Emmaus, o come Samuele nella notte, sovente i nostri giovani non hanno occhi per vedere o orecchi per udire Colui che cammina accanto a ciascuno e, con insistenza e delicatezza insieme, pronuncia il loro nome. Il fratello che accompagna è segno di quella insistenza e delicatezza; suo compito è quello d'aiutare a riconoscere la provenienza della voce misteriosa; non parla di sé, ma annuncia un Altro che pure è già presente; come Giovanni Battista.

Il ministero dell'accompagnamento vocazionale è ministero umile, di quell'umiltà serena e intelligente che nasce dalla libertà nello Spirito, e si esprime « con il coraggio dell'ascolto, dell'amore e del dialogo ». Grazie a questa libertà risuona con maggiore chiarezza e forza incisiva la voce di Colui che chiama. E il giovane si trova di fronte a Dio, scopre con sorpresa che è l'Eterno che cammina nel tempo accanto a lui, e lo chiama a una scelta per sempre!

b) I pozzi d'acqua viva

« Gesù, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo... » (Gv 4, 6): è l'avvio di quello che potremmo considerare un inedito colloquio vocazionale: l'incontro di Gesù con la Samaritana. La donna, infatti, attraverso quest'incontro, compie un itinerario verso la scoperta di se stessa e del Messia, addirittura divenendo in qualche modo sua annunciatrice.

Anche da questo brano traspare la sovrana libertà di Gesù nel cercare ovunque e in chiunque i suoi messaggeri; ma è pure singolare l'attenzione, da parte di Colui che è la via dell'uomo verso il Padre, d'incrociare la creatura lungo le sue vie, o d'aspettarla ove più evidente e intensa è la sua attesa. È quanto si può dedurre dall'immagine simbolica del « pozzo ». I pozzi, nell'antica società giudaica, erano fonte di vita, condizione basilare di sopravvivenza per un popolo sempre alle prese con la penuria d'acqua; ed è proprio attorno a questo simbolo, l'acqua per e della vita, che Gesù costruisce con finissima pedagogia il suo approccio con la donna.

Accompagnare un giovane vuol dire saper identificare « i pozzi » di oggi: tutti quei luoghi e momenti, quelle provocazioni e attese, ove prima o poi tutti i giovani devono passare con le loro anfore vuote, con i loro interrogativi inespressi, con la loro sufficienza ostentata e spesso solo apparente, con la loro voglia profonda e incancellabile di autenticità e di futuro.

La pastorale vocazionale non può essere « attendista » ma azione di chi cerca e non si dà per vinta finché non abbia trovato, e si fa trovare al posto o al pozzo giusto, laddove il giovane dà l'appuntamento alla vita e al futuro.

L'accompagnatore vocazionale deve essere « intelligente », da questo punto di vista, uno che non impone necessariamente le sue domande, ma parte da quelle del giovane stesso, di qualsiasi tipo; o è capace — se necessario — di « suscitare e scoprire la domanda vocazionale che abita il cuore di ogni giovane, ma che aspetta di essere scavata da veri formatori vocazionali ».(99)

c) Condivisione e con-vocazione

Fare accompagnamento vocazionale significa anzitutto condividere: il pane della fede, dell'esperienza di Dio, della fatica della ricerca, fino a condividere anche la vocazione: non per imporla, evidentemente, ma per confessare la bellezza d'una vita che si realizza secondo il progetto di Dio.

Il registro comunicativo tipico dell'accompagnamento vocazionale non è quello didattico o esortativo, e neppure quello amicale, da un lato, o del direttore spirituale, dall'altro (inteso come chi imprime subito una direzione precisa alla vita d'un altro), ma è il registro della confessio fidei.

Chi fa accompagnamento vocazionale testimonia la propria scelta o, meglio, il proprio essere stato scelto da Dio, racconta — non necessariamente a parole — il suo cammino vocazionale e la scoperta continua della propria identità nel carisma vocazionale, e dunque racconta anche o lascia capire la fatica, la novità, il rischio, la sorpresa, la bellezza.

Ne viene una catechesi vocazionale da persona a persona, da cuore a cuore, ricca d'umanità e originalità, di passione e forza convincente, un'animazione vocazionale sapienziale ed esperienziale. Un po' come l'esperienza dei primi discepoli di Gesù, che « andarono e videro dove abitava, e quel giorno si fermarono presso di lui » (Gv 1, 39); e fu esperienza profondamente toccante se Giovanni, dopo molti anni, ricorda ancora che « erano circa la quattro del pomeriggio ».

Si fa animazione vocazionale solo per contagio, per contatto diretto, perché il cuore è pieno e l'esperienza della bellezza continua ad avvincere. « I giovani sono molto interessati alla testimonianza di vita delle persone che sono già in un cammino spirituale. Sacerdoti e religiosie devono avere il coraggio di offrire segni concreti nel loro cammino spirituale. Per questo è importante spendere tempo coi giovani, camminare al loro livello, laddove essi si trovano, ascoltarli e rispondere alle questioni che sorgono nell'incontro ». (100)

Proprio per questo l'accompagnatore vocazionale è anche un entusiasta della sua vocazione e della possibilità di trasmetterla ad altri; è testimone non solo convinto, ma contento, e dunque convincente e credibile.

Solo così il messaggio raggiunge la totalità spirituale della persona, cuore-mente-volontà, proponendo qualcosa che è vero-bello-buono.

È il senso della con-vocazione: nessuno può passare accanto all'annunciatore d'una così « buona notizia » e non sentirsi toccato, « totalmente » chiamato, a ogni livello della sua personalità, e continuamente chiamato, da Dio, certamente; ma anche da tante persone, ideali, situazioni inedite, provocazioni varie, mediazioni umane della chiamata divina.

Allora il segnale vocazionale può esser meglio percepito.

Educare

35. « Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?". Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?". Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo...". Ed egli disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Egli entrò per rimanere con loro » (Lc 24, 17-29).

Dopo la semina, lungo il cammino d'accompagnamento, si tratta di educare il giovane. Educare nel senso etimologico del verbo, come un tirar fuori (e-ducere) da lui la sua verità, quel che ha in cuore, anche ciò che non sa e non conosce di sé: debolezze e aspirazioni, per favorire la libertà della risposta vocazionale.

a) Educare alla conoscenza di sé

Gesù s'accosta ai due e domanda loro di che cosa stiano parlando. Lui lo sa, ma vuole che entrambi si manifestino a se stessi e, verbalizzando la loro tristezza e le speranze deluse, li aiuta a prendere coscienza del loro problema e del motivo reale del loro turbamento. Così i due sono praticamente costretti a rileggere la recente storia, facendo trasparire il motivo vero della loro tristezza.

« Noi speravamo... »; ma la storia pare esser andata in senso diverso rispetto alle loro attese. In realtà, anzi, essi hanno fatto tutte le esperienze significative a contatto con Gesù, « potente in opere e in parole »; ma è come se questo cammino di fede si fosse improvvisamente interrotto dinanzi a un evento incomprensibile quale la passione e morte di Colui che avrebbe dovuto liberare Israele.

« Noi speravamo, ma... »: come non riconoscere in questa storia incompiuta la vicenda di tanti giovani che sembrano interessati al discorso vocazionale, si lasciano provocare e mostrano una buona predisposizione, ma poi s'arrestano di fronte alla scelta da fare? Gesù in qualche modo costringe i due ad ammettere il divario tra le loro speranze e il piano di Dio come si è concretizzato in Gesù; tra il loro modo d'intendere il Messia e la sua morte di croce, tra le loro aspettative così umane e interessate e il senso d'una salvezza che viene dall'alto.

Allo stesso modo è importante e decisivo aiutare i giovani a far emergere l'equivoco di fondo: quell'interpretazione della vita troppo terrena e centrata attorno all'io che rende difficile o addirittura impossibile la scelta vocazionale, o fa sentire eccessive le esigenze della chiamata, come se il progetto di Dio fosse nemico del bisogno di felicità dell'uomo.

Quanti giovani non hanno accolto l'appello vocazionale non perché ingenerosi e indifferenti, ma semplicemente perché non aiutati a conoscersi, a scoprire la radice ambivalente e pagana di certi schemi mentali e affettivi; e perché non aiutati a liberarsi delle loro paure e difese, consce e inconsce nei confronti della vocazione stessa. Quanti aborti vocazionali a causa di questo vuoto educativo.

Educare significa anzitutto far emergere la realtà dell'io, così com'è, se si vuole poi portarlo a essere come deve essere: la sincerità è un passo fondamentale per giungere alla verità, ma è necessario in ogni caso un aiuto esterno per vedere bene l'interno. L'educatore vocazionale, allora, deve conoscere i sotterranei del cuore umano, per accompagnare il giovane nella costruzione dell'io vero.

b) Educare al mistero

E qui nasce il paradosso. Quando il giovane è condotto alle sorgenti di sé, e può vedere in faccia anche le sue debolezze e i suoi timori, ha la sensazione di capire meglio il motivo di certi suoi atteggiamenti e reazioni e, al tempo stesso, coglie sempre più la realtà del mistero come chiave di lettura della vita e della sua persona.

È indispensabile che il giovane accetti di non sapere, di non potersi conoscere fino in fondo.

La vita non è interamente nelle sue mani, perché la vita è mistero e, d'altra parte, il mistero è vita; ovvero, il mistero è quella parte dell'io che ancora non è stata scoperta, ancora non vissuta e che attende d'esser decifrata e realizzata; mistero è quella realtà personale che ancora deve crescere, ricca di vita e di possibilità esistenziali ancora intatte, è la parte germinativa dell'io.

E allora accettare il mistero è segno d'intelligenza, di libertà interiore, di voglia di futuro e di novità, di rifiuto d'una concezione ripetitiva e passiva, noiosa e banale della vita. Ecco perché abbiamo detto all'inizio che la pastorale vocazionale dev'esser mistagogica, e dunque partire e ripartire dal Mistero di Dio per ricondurre al mistero dell'uomo.

La perdita del senso del mistero è una delle maggiori cause della crisi vocazionale.

Al tempo stesso la categoria del mistero diventa categoria propedeutica alla fede. È possibile, e per certi versi naturale, che a questo punto il giovane si senta nascere dentro come un bisogno di rivelazione, il desiderio, cioè, che l'Autore stesso della vita gliene sveli il senso e il posto che in essa ha da occupare. Chi altri, al di fuori del Padre, può compiere tale svelamento?

D'altronde non è importante che il giovane scopra subito (o che la guida intuisca immediatamente) la strada che ha da seguire: ciò che conta è che scopra e decida in ogni caso di collocare fuori di sé, in Dio Padre, la ricerca del fondamento della sua esistenza. Un autentico cammino vocazionale porta sempre e comunque alla scoperta della paternità e maternità di Dio!

c) Educare a leggere la vita

Nel vangelo Gesù invita i due di Emmaus in qualche modo a ritornare alla vita, a quegli eventi che avevano causato la loro tristezza attraverso un sapiente metodo di lettura: capace non solo di ricomporre tra loro gli eventi attorno a un significato centrale, ma di decifrare, nel tessuto misterioso dell'esistenza umana, il filo rosso d'un progetto divino. È il metodo che potrebbe essere chiamato genetico-storico, che fa cercare e trovare nella propria biografia i passi e le tracce del passaggio di Dio, e dunque anche la sua voce che chiama. Tale metodo

– è assieme deduttivo e induttivo, o storico-biblico: parte infatti dalla verità rivelata e assieme dalla realtà storica, e favorisce così il dialogo ininterrotto tra vissuto soggettivo (i fatti citati dai due discepoli) e riferimento alla Parola (« E cominciando da Mosè e da tutti profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui », Lc 24, 27);

– indica nella normatività della Parola e nella centralità del mistero pasquale del Cristo morto e risorto un preciso punto d'interpretazione agli eventi esistenziali, senza rifiutare alcun avvenimento, specie quelli più difficili e dolorosi (« Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? », Lc 24, 26).

La lettura della vita diventa così operazione altamente spirituale, non solo psicologica, perché conduce a riconoscere in essa la presenza luminosa e misteriosa di Dio e della sua Parola. (101) E, all'interno di questo mistero, consente piano piano di scorgere il seme della vocazione, che lo stesso Padre-seminatore ha deposto nei solchi della vita. Quel seme, pur piccolo, ora comincia a esser visibile e a crescere.

d) Educare a in-vocare

Se la lettura della vita è operazione spirituale, essa porta necessariamente la persona non solo a riconoscere il suo bisogno di rivelazione, ma a celebrarlo, con la preghiera di invocazione. Educare vuol dire e-vocare la verità dell'io. Tale evocazione nasce esattamente dall'in-vocazione orante, da una preghiera che è più preghiera di fiducia che di domanda, preghiera come sorpresa e gratitudine; ma anche come lotta e tensione, come « scavo » sofferto delle proprie ambizioni per accogliere attese, domande, desideri dell'Altro: del Padre che nel Figlio può dire a colui che cerca la via da seguire.

Ma allora la preghiera diventa il luogo del discernimento vocazionale, dell'educazione all'ascolto del Dio che chiama, perché qualsiasi vocazione ha origine negli spazi d'una preghiera invocante, paziente e fiduciosa; sorretta non dalla pretesa d'una risposta immediata, ma dalla certezza o dalla speranza che l' invocazione non può non esser accolta, e farà scoprire a suo tempo, a colui che invoca, la sua vocazione.

Nell'episodio di Emmaus tutto questo è rivelato con un'espressione essenziale, forse la più bella preghiera mai pregata da cuore umano: « Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino » (Lc 24, 29). È la supplica di chi sa che senza il Signore si fa subito notte nella vita, senza la Sua parola c'è l'oscurità dell'incomprensione o della confusione d'identità; la vita appare senza senso e senza vocazione. È l'invocazione di chi ancora non ha scoperto, forse, la sua strada, ma intuisce che stando con Lui ritrova se stesso, perché Lui solo ha « parole di vita eterna » (Gv 6, 67-68).

Questo tipo di preghiera in-vocante non s'apprende spontaneamente, ma ha bisogno d'un lungo apprendistato; e non s'impara da soli, ma con l'aiuto di chi ha imparato ad ascoltare i silenzi di Dio. Né chiunque può insegnare tale preghiera, ma solo chi è fedele alla sua vocazione.

E allora, se la preghiera è la via naturale della ricerca vocazionale, oggi come ieri o più di ieri, sono necessari educatori vocazionali che preghino, che insegnino a pregare, che educhino alla in-vocazione.

Formare

36. « Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» » (Lc 24, 30-32).

La formazione è in qualche modo il momento culminante del processo pedagogico, perché è il momento in cui al giovane viene proposta una forma, un modo di essere, nel quale egli stesso riconosce la sua identità, la sua vocazione, la sua norma.

È il Figlio, Colui che è l'impronta del Padre, il formatore degli uomini, poiché rappresenta l'immagine secondo la quale il Padre ha creato gli uomini. Per questo Egli invita coloro che chiama ad avere i suoi stessi sentimenti e a condividere la sua vita, ad avere la sua « forma ». È Lui, al tempo stesso, a essere il formatore e la forma.

Il formatore vocazionale è tale in quanto mediatore di quest'azione divina, e si pone accanto al giovane per aiutarlo a « riconoscere » in essa la sua chiamata, e a farsi formare da essa.

a) Riconoscimento di Gesù

Il momento decisivo dell'episodio di Emmaus è senz'altro quello in cui Gesù prende il pane, lo spezza e lo dà a ciascuno di loro: « Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero ». C'è qui una serie di « riconoscimenti » collegati tra loro.

Anzitutto i due riconoscono Gesù, scoprono la vera identità del viandante che s'è unito a loro, esattamente perché quel gesto lo poteva fare solo Lui, come ben sapevano i due.

In prospettiva vocazionale ciò sta a dire l'importanza di porre in atto gesti forti, segnali inequivocabili, proposte alte, progetti di sequela totale. (102)

Il giovane ha bisogno d'essere stimolato da ideali grandi, in vista di qualcosa che lo supera ed è al di sopra delle sue capacità, per cui vale la pena di dare la propria vita. Lo ricorda, anche l'analisi psicologica: chiedere a un giovane qualcosa che è al di sotto delle sue possibilità, significa offendere la sua dignità e impedire la sua piena realizzazione; detto in positivo, al giovane va proposto il massimo di quel che può dare perché diventi e sia se stesso.

E se Gesù viene riconosciuto « allo spezzare del pane », la dimensione eucaristica dovrebbe sottendere ogni cammino vocazionale: come « luogo » tipico della sollecitazione vocazionale, come mistero che dice il senso generale dell'esistenza umana, come obiettivo finale di qualsiasi pastorale vocazionale che voglia essere cristiana.

b) Riconoscimento della verità della vita

Ma a questo punto, in un autentico processo di formazione alla scelta vocazionale, scatta un secondo « riconoscimento »: il riconoscimento-scoperta, dentro il segno eucaristico, del significato della vita. Se l'Eucaristia è sacrificio di Cristo che salva l'umanità e se tale sacrificio è corpo spezzato e sangue versato per la salvezza dell'umanità, anche la vita del credente è chiamata a modellarsi sulla stessa correlazione di significati: anche la vita è bene ricevuto che tende, per natura sua, a divenire bene donato, come la vita del Verbo. È la verità della vita, d'ogni vita.

Le conseguenze sul piano vocazionale sono evidenti. Se c'è un dono all'inizio dell'esistenza dell'uomo, che lo costituisce nell'essere, allora la vita ha la strada segnata: se è dono sarà pienamente se stesso solo se si realizza nella prospettiva del donarsi; sarà felice a condizione di rispettare questa sua natura. Potrà fare la scelta che vuole, ma sempre nella logica del dono, altrimenti diventerà un essere in contraddizione con se stesso, una realtà « mostruosa »; sarà libero di decidere l'orientamento specifico, ma non sarà libero di pensarsi al di fuori della logica del dono.

Tutta la pastorale vocazionale è costruita su questa catechesi elementare del significato della vita. Se passa questa verità antropologica allora si può fare qualsiasi proposta vocazionale. Allora anche la vocazione al ministero ordinato o alla consacrazione religiosa o secolare, con tutto il suo carico di mistero e mortificazione, diventa la piena realizzazione dell'umano e del dono che ogni uomo ha ed è nel più profondo di sé.

c) La vocazione come riconoscenza

Ma se è nel gesto eucaristico che i due di Emmaus « riconoscono » il Signore e ogni credente il senso della vita, allora la vocazione nasce dalla « riconoscenza ». Nasce sul terreno fecondo della gratitudine, poiché la vocazione è risposta, non iniziativa del singolo: è essere scelti, non scegliere.

Proprio a questo atteggiamento interiore di gratitudine dovrebbe portare la lettura di tutta la vita passata. La scoperta d'aver ricevuto in modo immeritato ed eccedente, dovrebbe « costringere » psicologicamente il giovane a concepire l'offerta di sé, nell'opzione vocazionale, come una conseguenza inevitabile, come un atto certamente libero, perché determinato dall'amore; ma in certo senso anche dovuto, poiché di fronte all'amore ricevuto da Dio egli sente di non poter fare a meno di donarsi. È bello e del tutto logico che sia così; di per sé non è cosa straordinaria.

La pastorale vocazionale è diretta a formare a questa logica della riconoscenza gratitudine;, molto più sana e convincente, sul piano umano, e più teologicamente fondata della cosiddetta « logica dell'eroe », di colui che non ha abbastanza maturato la consapevolezza d'aver ricevuto e si sente lui stesso autore del dono e della scelta. Tale logica ha pochissima presa sulla sensibilità giovanile odierna, poiché sovverte la verità della vita come bene ricevuto che tende naturalmente a divenire bene donato.

È la sapienza evangelica del « gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10, 8) (103) rivolta da Gesù ai discepoli-annunciatori della sua parola, che dice la verità d'ogni essere umano: nessuno potrebbe non riconoscersi in essa.

Da questa verità deriva quella forma che poi la vita è chiamata ad assumere, o è da questa figura unica della fede che nascono poi le diverse raffigurazioni vocazionali della fede stessa.

Allora diventa possibile anche chiedere scelte altrettanto forti e radicali, come una chiamata di speciale consacrazione, al sacerdozio e alla vita consacrata. Per questo la proposta di Dio, per difficile e singolare che possa sembrare (e lo è in realtà), diventa anche una promozione impensata delle autentiche aspirazioni umane e garantisce il massimo della felicità. La felicità, colma di gratitudine che Maria canta nel « Magnificat ».

d) Riconoscimento di Gesù e autoriconoscimento del discepolo

Gli occhi dei discepoli di Emmaus si aprono dinanzi al gesto eucaristico di Gesù.

È di fronte a questo gesto che Cleopa e il compagno percepiscono anche il senso del loro cammino, come un viaggio non solo verso il riconoscimento di Gesù, ma anche verso il proprio riconoscimento: « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? » (Lc 24, 32).

Non c'è semplicemente una certa commozione nei due pellegrini che ascoltano la spiegazione del Maestro, ma la sensazione che la Sua vita, la Sua Eucaristia, la Sua Pasqua, il Suo mistero saranno sempre più la loro stessa vita, eucaristia, pasqua, mistero.

Nel cuore che arde c'è la scoperta della vocazione e la storia d'ogni vocazione. Sempre legata a una esperienza di Dio, in cui la persona scopre anche se stessa e la propria identità.

Formare alla scelta vocazionale vuol dire mostrare sempre più il legame tra esperienza di Dio e scoperta dell'io, tra teofania e autoidentità. È molto vero quanto afferma l'Instrumentum laboris: « Il riconoscimento di Lui come Signore della vita e della storia comporta l'autoriconoscimento del discepolo ». (104) E quando l'atto di fede riesce a coniugare il « riconoscimento cristologico » con « l'autoriconoscimento antropologico » il seme della vocazione è già maturo, anzi, sta fiorendo.

Discernere

37. « E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane » (Lc 24, 33-35).

Affinché il cammino di Emmaus divenga itinerario vocazionale ci vuole un passaggio conclusivo dopo la serie di « riconoscimenti » e « autoriconoscimenti »: la scelta effettiva da parte del giovane, cui corrisponde, da parte di colui che lo ha accompagnato lungo il cammino vocazionale, il processo di discernimento. Un discernimento che certo non finirà nel tempo dell'orientamento vocazionale, ma dovrà poi continuare fino alla maturazione d'una decisione definitiva, « per tutta la vita ». (105)

a) La scelta effettiva del chiamato

– Capacità decisionale

Nell'episodio evangelico che ha tracciato la strada della nostra riflessione la scelta è ben espressa al versetto 33: « E partirono senz'indugio... ».

L'annotazione temporale (« senz'indugio ») dice con efficacia la determinazione dei due, provocata dalla parola e dalla persona di Gesù, dall'incontro con Lui, e messa coraggiosamente in atto da una scelta che sa di rottura con ciò che erano o facevano prima, e indica novità di vita.

È proprio questa decisione che sovente viene a mancare nei giovani d'oggi.

Per tale motivo, al fine di « aiutare i giovani a superare l'indecisione di fronte agli impegni definitivi, sembra utile prepararli progressivamente ad assumere responsabilità personali, (...), affidare compiti adeguati alle capacità e alla loro età, (...) favorire un'educazione progressiva alle piccole scelte quotidiane di fronte ai valori (gratuità, costanza, sobrietà, onestà...) ». (106)

D'altro canto, va ricordato che molto spesso queste e altre paure e indecisioni segnalano la debolezza non solo dell'impianto psicologico della persona, ma anche dell'esperienza spirituale e, in particolare, dell'esperienza della vocazione come scelta che viene da Dio.

Quando è povera questa certezza il soggetto si affida inevitabilmente a se stesso e alle proprie risorse; e quando ne constata la precarietà non è strano che si lasci sopraffare dalla paura di fare una scelta definitiva.

L'incapacità decisionale non è necessariamente caratteristica della generazione giovanile attuale: non raramente è conseguenza d'un accompagnamento vocazionale che non ha sottolineato abbastanza il primato di Dio nella scelta, o che non ha formato a lasciarsi scegliere da Lui. (107)

– « Ritorno a casa »

La scelta vocazionale indica novità di vita, ma in realtà è anche segno d'un recupero della propria identità, quasi un « ritorno a casa », alle radici dell'io. Nel brano di Emmaus è simboleggiato dall'espressione: « ...e fecero ritorno a Gerusalemme ».

È molto importante, nella formazione alla scelta vocazionale, ribadire l'idea che essa rappresenta la condizione per essere se stessi e realizzarsi secondo quell'unico progetto che può dare felicità. Troppi giovani pensano ancora il contrario circa la vocazione cristiana, la guardano con diffidenza e temono che essa non possa renderli felici; ma finiscono poi per esser infelici come il giovane triste del vangelo (cfr. Mc 10, 22).

Quante volte anche gli atteggiamenti degli adulti, genitori compresi, hanno contribuito a creare un'immagine negativa della vocazione, in particolare al sacerdozio e alla vita consacrata, creando anche ostacoli per la sua realizzazione e scoraggiando chi vi si sentiva chiamato! (108)

Non si risolve, peraltro, questo problema con una banale propaganda contraria, che enfatizzerebbe gli aspetti positivi e gratificanti della vocazione stessa, ma soprattutto sottolineando l'idea, che la vocazione è il pensiero di Dio sulla creatura, è il nome da Lui dato alla persona.

Scoprire e rispondere alla vocazione da credenti vuol dire trovare quella pietra su cui è scritto il proprio nome (cfr. Ap 2, 17-18), o tornare alle sorgenti dell'io.

– Testimonianza personale

A Gerusalemme i due « trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone". Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come Lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane » (Lc 24, 33-35).

L'elemento più significativo di questo brano, in relazione alla scelta vocazionale, è la testimonianza dei due, una testimonianza particolare, perché avviene in un contesto comunitario e ha un preciso senso vocazionale.

Quando infatti i due arrivano, l'assemblea sta proclamando la sua fede con una formula (« Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone »), che sappiamo essere tra le testimonianze più antiche della fede oggettiva. Cleopa e il compagno aggiungono, in qualche modo, la loro esperienza soggettiva, che conferma quanto la comunità stava proclamando, e conferma anche il loro personale cammino credente e vocazionale.

È come se quella testimonianza fosse il primo frutto della vocazione scoperta e ritrovata, che viene messa subito, com'è nella natura della vocazione cristiana, a servizio della comunità ecclesiale.

Ritorna pertanto quanto già detto circa il rapporto tra itinerari ecclesiali oggettivi e itinerario personale soggettivo, in un rapporto di sinergia e complementarità: la testimonianza del singolo aiuta e fa crescere la fede della Chiesa, la fede e la testimonianza della Chiesa suscita e incoraggia la scelta vocazionale del singolo.

b) Il discernimento da parte della guida

Nell'Esortazione Apostolica postsinodale Pastores dabo vobis Giovanni Paolo II afferma: « La conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è il presupposto irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida più sicura e lo stimolo più incisivo, per sviluppare nella Chiesa l'azione pastorale di promozione e di discernimento delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati al ministero ordinato ». (109)

Lo stesso si potrebbe dire, per analogia, quando si tratta del discernimento di qualsiasi vocazione alla vita consacrata. Presupposto irrinunciabile per discernere tali vocazioni è, prima di tutto, aver presente la natura e la missione di quello stato di vita nella Chiesa. (110)

Tale presupposto deriva direttamente dalla certezza che è Dio che chiama, e dunque dalla ricerca di quei segnali che indicano la chiamata divina.

Vengono ora indicati alcuni criteri di discernimento, distinguibili in quattro aree.

– L'apertura al mistero

Se la chiusura al mistero, caratteristica di certa mentalità moderna, inibisce qualsiasi disponibilità vocazionale, il suo contrario, ovvero l'apertura al mistero, è non solo condizione positiva per la scoperta della propria vocazione, ma indice che segnala una sana opzione vocazionale.

a) L'autentica certezza soggettiva vocazionale è quella che fa spazio al mistero e alla sensazione che la propria decisione, pure ferma, dovrà restare aperta a una continua indagine del mistero stesso.

La certezza non autentica è, invece, non solo quella debole e incapace di dar luogo a una decisione, ma anche il suo contrario, e cioè la pretesa d'aver già capito tutto, d'aver esaurito le profondità del mistero personale, pretesa che non può che creare irrigidimenti e una certezza che molte volte è smentita dal seguito della vita.

b) L'atteggiamento tipicamente vocazionale è espressione della virtù della prudenza, più che di ostentata capacità personale. Proprio per questo la sicurezza di questa lettura del proprio futuro è quella della speranza e dell'affidamento che nasce dalla fiducia riposta in un Altro, di cui ci si può fidare; non è dedotta dalla garanzia delle proprie capacità percepite come rispondenti alle esigenze del ruolo scelto.

c) È ancora buon indice vocazionale le capacità diaccogliere e integrare quelle polarità contrapposte che costituiscono la dialettica naturale dell'io e della vita umana. Ad esempio, possiede tale capacità un giovane che è sufficientemente consapevole dei suoi aspetti sia positivi che negativi, dei suoi ideali e delle sue contraddizioni, della parte sana e della parte meno sana del suo stesso progetto vocazionale, e che non presuma né disperi di fronte al negativo di sé.

d) Ha buona familiarità con il mistero della vita come luogo in cui percepire una presenza e un appello il giovane che scopre i segni della sua chiamata da parte di Dio non solo in eventi straordinari, ma nella sua storia; negli eventi che ha imparato a leggere da credente, nelle sue domande, ansie e aspirazioni.

e) Rientra in questa categoria dell'apertura al mistero un'altra fondamentale caratteristica dell'autentico chiamato: quella della gratitudine. La vocazione nasce nel terreno fecondo della gratitudine; e va interpretata con slancio di generosità e radicalità, proprio perché nasce dalla consapevolezza dell'amore ricevuto.

– L'identità nella vocazione

Il secondo ordine di criteri ruota attorno al concetto di « identità ». L'opzione vocazionale infatti indica e implica proprio la definizione della propria identità; è scelta e realizzazione dell'io ideale, più che dell'io attuale, e dovrebbe portare la persona ad aver un senso sostanzialmente positivo e stabile del proprio io.

a) Prima condizione è che la persona mostri d'esser in grado di staccarsi dalla logica dell'identificazione ai livelli corporale (= il corpo come fonte di identità positiva) e psichico (= le proprie doti come unica e preminente garanzia di autostima), e scopra invece la propria positività radicale legata stabilmente all'essere, ricevuto in dono da Dio (è il livello ontologico), non alla precarietà dell'avere o dell'apparire. La vocazione cristiana è ciò che porta a compimento tale positività realizzando al massimo grado le possibilità del soggetto, ma secondo un progetto che regolarmente lo supera, perché pensato da Dio.

b) « Vocazione » vuol dire fondamentalmente « chiamata »: c'è dunque un soggetto esterno, un appello oggettivo, e una disponibilità interiore a lasciarsi chiamare e a riconoscersi in un modello che non è stato il chiamato a creare.

c) Circa la motivazione o la modalità della scelta vocazionale il criterio fondamentale è quello della totalità (o legge della totalità); e cioè che la decisione sia espressione d'un coinvolgimento totale delle funzioni psichiche (cuore-mente-volontà), e sia decisione assieme mentale-etica-emotiva.

d) Più in particolare, c'è maturità vocazionale quando la vocazione è vissuta e interpretata come un dono, ma anche come appello esigente: da vivere per gli altri, non solo per la propria perfezione, e con gli altri, nella Chiesa madre di tutte le vocazioni, in una specifica « sequela Christi ».

– Un progetto vocazionale ricco di memoria credente

La terza area su cui andrebbe concentrata l'attenzione di chi discerne una vocazione è quella relativa alla qualità del rapporto tra passato e presente, tra memoria e progetto.

a) Anzitutto è importante che il giovane sia sostanzialmente riconciliato col suo passato: con l'inevitabile negativo, d'ogni genere, che è parte di esso, e pure col suo positivo, che dovrebbe esser in grado di riconoscere con gratitudine; riconciliato pure con le figure significative del suo passato, con le loro ricchezze e debolezze.

b) Va allora considerato con attenzione il tipo di memoria che il giovane ha della propria storia, quale interpretazione dà della propria vita: in chiave di grazie o di lamento? Si sente consciamente o inconsciamente in credito, e quindi ancora in attesa di ricevere, o aperto a dare?

c) Particolarmente significativo è l'atteggiamento del giovane di fronte ai traumi nella vita passata, più o meno gravi. Progettare di consacrarsi a Dio vuol dire in ogni caso riappropriarsi della vita che si vuol donare, in tutti i suoi aspetti; tendere a integrare queste componenti meno positive, riconoscendole con realismo e assumendo un atteggiamento responsabile, e non semplicemente autocommiserativo, dinanzi a esse. Giovane « responsabile » è colui che si impegna ad assumere un atteggiamento attivo e creativo nei confronti dell'evento negativo, o cerca di sfruttare in modo intelligente l'esperienza personale negativa.

Bisogna prestare molta attenzione alle vocazioni che nascono da sofferenze, delusioni o incidenti vari non ancora ben integrati. In tal caso è necessario un più attento discernimento, anche facendo ricorso a visite specialistiche per non caricare pesi impossibili su spalle deboli.

– La docibilitas vocazionale

L'ultima fase dell'itinerario vocazionale è quella della decisione. In riferimento a tale fase i criteri di maturità vocazionale sembrano esser questi:

a) il requisito fondamentale è il grado di docibilitas della persona, ovvero la libertà interiore di lasciarsi guidare da un fratello o sorella maggiore; in particolare nelle fasi strategiche della rielaborazione e riappropriazione del proprio passato, specie quello più problematico, e la conseguente libertà di imparare e di saper cambiare.

b) Il requisito della docibilitas è in fondo il requisito dell'esser giovane, non tanto come qualità anagrafica, quanto come atteggiamento globale esistenziale. È importante che chi chiede di entrare in seminario o nella vita consacrata sia veramente « giovane », con le virtù e vulnerabilità tipiche di questa stagione della vita, con la voglia di fare e il desiderio di dare il massimo di sé, capace di socializzare e di apprezzare la bellezza della vita, cosciente dei propri difetti e delle proprie potenzialità, consapevole del dono d'essere stato scelto.

c) Un'area particolarmente degna d'attenzione, oggi più di ieri, è quella affettivo-sessuale. (111) È importante che il giovane mostri di poter acquisire quelle due certezze che rendono la persona libera affettivamente, ovvero la certezza che viene dall'esperienza diesser già stato amato e la certezza, sempre esperienziale, disaper amare. In concreto il giovane dovrebbe mostrare quell'equilibrio umano che gli consente di saper stare in piedi da solo, dovrebbe possedere quella sicurezza e autonomia che gli facilitano il rapporto sociale e l'amicizia cordiale, e quel senso di responsabilità che gli consente di vivere da adulto lo stesso rapporto sociale, libero di dare e ricevere.

d) Per quanto riguarda le inconsistenze, sempre nell'area affettivo-sessuale, un oculato discernimento dovrebbe tener conto della centralità di quest'area nell'evoluzione generale del giovane e nella cultura attuale. Non è così strano o raro che il giovane mostri delle specifiche debolezze in questo settore.

A quali condizioni si può prudentemente accogliere la richiesta vocazionale di giovani con questo tipo di problemi? La condizione è che vi siano assieme questi tre requisiti:

1° che il giovane sia cosciente della radice del suo problema, che molto spesso non è sessuale all'origine.

2° La seconda condizione è che il giovane senta la sua debolezza come un corpo estraneo alla propria personalità, qualcosa che non vorrebbe e che stride con il suo ideale, e contro cui lotta con tutto se stesso.

3° Infine è importante verificare se il soggetto sia in grado di controllare queste debolezze, in vista di un superamento, sia perché di fatto ci cade sempre meno, sia perché tali inclinazioni disturbano sempre meno la sua vita (anche psichica) e gli consentono di svolgere i suoi doveri normali senza creargli tensione eccessiva né occupare indebitamente la sua attenzione. (112) Questi tre criteri devono esser tutti presenti per consentire un discernimento positivo.

e) La maturità vocazionale, infine, è decisa da un elemento essenziale che dà veramente senso al tutto: l'atto di fede. L'autentica opzione vocazionale è a tutti gli effetti espressione dell'adesione credente, e tanto più è genuina quanto più è parte ed epilogo d'un cammino di formazione alla maturità della fede. L'atto di fede, all'interno d'una logica che fa spazio al mistero, è proprio quel punto centrale che consente di tenere insieme le polarità a volte contrapposte della vita, perennemente tesa tra la certezza della chiamata e la coscienza della propria inettitudine, tra la sensazione del perdersi e del trovarsi, tra la grandezza delle aspirazioni e la pesantezza dei propri limiti, tra la grazia e la natura, tra Dio che chiama e l'uomo che risponde. Il giovane autenticamente chiamato dovrebbe mostrare la saldezza dell'atto credente proprio mantenendo assieme queste polarità.

CONCLUSIONE

Verso il Giubileo

38. Questo documento è indirizzato alle Chiese d'Europa nel momento in cui il popolo di Dio si sta preparando a celebrare un tempo di grazia e di misericordia, di conversione e rinnovamento nel Giubileo dell'anno duemila. Anche il Congresso vocazionale, è parte di questo cammino di preparazione e in qualche modo contribuisce a orientarlo. In due direzioni.

La prima è un invito alla conversione. La crisi vocazionale che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo non può non farci riflettere anche sulle nostre responsabilità, in quanto credenti e chiamati a diffondere il dono della fede e a favorire in ogni fratello la disponibilità alla chiamata.

Tutti, in modi diversi, dobbiamo ammettere di non aver risposto pienamente a questa chiamata, d'aver reso la Chiesa, la chiesa delle nostre famiglie e degli ambienti di lavoro, delle nostre parrocchie e diocesi, delle nostre congregazioni religiose e istituti secolari, meno fedele al compito di mediare la voce del Padre che chiama a seguire il Figlio nello Spirito. Usciremo dalla crisi vocazionale solo se questo processo di conversione sarà sincero e darà frutti di novità di vita.

La seconda direzione che questo documento vorrebbe contribuire a imprimere al pellegrinaggio della Chiesa verso il Giubileo è un invito alla speranza. Invito che emerge da tutto il Congresso e che vorremmo ora ribadire con tutta la forza della nostra fede. Forse non esiste settore nella vita della Chiesa che abbia bisogno d'aprirsi alla speranza come la pastorale vocazionale, specie laddove più pungente si fa sentire la crisi.

Per questo noi riaffermiamo, al termine di questa riflessione, la nostra certezza che il Signore della messe non farà mancare alla Chiesa operai per la sua messe. Anzi, se la speranza è fondata non sulle nostre previsioni e sui nostri calcoli, che spesso la storia passata ha provveduto a smentire, ma « sulla Tua parola », allora possiamo e vogliamo credere in una rinnovata fioritura vocazionale per le Chiese d'Europa.

Questo documento vuol essere come un inno all'ottimismo della fede colma di speranza, per risvegliarlo nei ragazzi, adolescenti e giovani, nei genitori e negli educatori, nei pastori e nei presbiteri, nei consacrati e consacrate, in tutti coloro che servono la vita accanto alle nuove generazioni, in tutto il popolo di Dio che è in Europa.

Preghiamo il Padrone della messe

39. Il nostro documento, che si è aperto con il rendimento di grazie al Signore Dio, non può chiudersi senza una preghiera alla Trinità santissima, fonte e destino d'ogni vocazione.

« Dio Padre, sorgente dell'amore, che da tutta l'eternità chiami alla vita e la doni in abbondanza, volgi il tuo sguardo su questa terra d'Europa. Chiamala ancora, come l'hai chiamata un tempo; ma fa soprattutto che sia consapevole della Tua chiamata, delle sue radici cristiane, della responsabilità che ne deriva. Rendila cosciente della sua vocazione a promuovere una cultura della vita, al rispetto per l'esistenza d'ogni uomo in tutte le sue forme e in ogni istante d'essa, all'unità tra i popoli, all'accoglienza dello straniero, alla promozione di forme civili e democratiche di vita sociale, perché sia sempre più un'Europa unita nella pace e nella fraternità.

Verbo eterno, che da tutta l'eternità accogli l'amore del Padre e rispondi alla Sua chiamata, apri il cuore e la mente dei giovani di questa terra perché imparino a lasciarsi amare da Chi li ha pensati a immagine del Figlio suo e, lasciandosi amare, abbiano il coraggio di realizzare questa immagine, che è la Tua. Rendili forti e generosi, capaci di rischiare sulla Tua parola, liberi di volare alto, affascinati dalla bellezza della Tua sequela. Suscita tra loro gli annunciatori del tuo vangelo: presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, religiosi e laici, missionari e missionarie, monaci e monache, che con la loro vita sappiano a loro volta chiamare e proporre la sequela del Cristo Salvatore.

Spirito santo, amore sempre giovane di Dio, voce dell'Eterno che non cessa di risuonare e chiamare, libera il vecchio continente da ogni spirito di sufficienza, dalla cultura dell'« uomo senza vocazione », da quella paura che impedisce di rischiare e rende la vita piatta e senza gusto, da quel minimalismo che crea assuefazione alla mediocrità e uccide qualsiasi slancio interiore e l'autentico spirito giovanile nella Chiesa. Fa riscoprire ai nostri giovani il senso pieno della sequela come chiamata a esser pienamente se stessi, pienamente e per sempre giovani, ognuno secondo un progetto pensato apposta per lui, unico-singolo-irripetibile. In un'Europa che rischia di divenire sempre più vecchia fa il dono di nuove vocazioni che sappiano testimoniare la « giovinezza » di Dio e della Chiesa, universale e locale, dall'Est all'Ovest, e sappiano promuovere progetti di nuova santità, per la nascita d'una nuova Europa.

Vergine Santa, giovane figlia d'Israele, che il Padre ha scelto come sposa dello Spirito per generare il Figlio in terra, genera nei giovani d'Europa lo stesso tuo coraggio ardimentoso; quel coraggio che un giorno ti rese libera di credere a un progetto più grande di te, libera di sperare che Dio lo avrebbe realizzato. A te che sei la madre dell'Eterno Sacerdote affidiamo i giovani chiamati al presbiterato; a te che sei la prima consacrata del Padre affidiamo quei giovani e quelle giovani che scelgono d'appartenere totalmente al Signore, unico tesoro e bene sommamente amato, nella vita religiosa e consacrata; a te che hai vissuto come nessuna creatura la solitudine dell'intimità più piena con il Signore Gesù affidiamo chi lascia il mondo per dedicare tutta la vita alla preghiera nellavita monastica; a te che hai generato e assistito con materno amore la Chiesa nascente affidiamo tutte le vocazioni di questa Chiesa, perché annuncino, oggi come allora, a tutte le genti che Gesù Cristo, è il Signore, nello Spirito santo, a gloria di Dio Padre! Amen ».

Roma, 8 dicembre 1997, Immacolata Concezione della B. V. Maria.

Pio Card. Laghi
Presidente
e
José Saraiva Martins
Arcivescovo tit. di Tuburnica
Vice Presidente

 

 


(1) Al Congresso hanno partecipato 253 delegati provenienti da 37 nazioni europee e rappresentanti delle varie categorie vocazionali (laici, consacratie, sacerdoti, vescovi), con la presenza pure di alcuni esponenti delle Chiese sorelle (Protestanti, Ortodossi e Anglicani).

(2) Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche, La pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari d'Europa. Documento di lavoro del Congresso sulle vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, Roma 1996, n. 88. D'ora in poi questo testo verrà citato come IL (Instrumentum Laboris).

(3) Ibidem, 15.

(4) Vedi, tra gli altri, Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari, esperienze del passato e programmi per l'avvenire. Documento conclusivo del II Congresso internazionale di Vescovi e altri responsabili delle vocazioni ecclesiastiche (a cura delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per i Religiosi e gli Istituti Secolari, per l'Evangelizzazione dei Popoli, per l'Educazione Cattolica), Roma, 10-16 maggio 1981; Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche, Sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari (a cura delle Congregazioni per l'Educazione Cattolica e per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica), Roma 1992; Dichiarazione finale del I Congresso Continentale latino-americano sulle Vocazioni, Itaici 1994 (pubblicata in Seminarium; 34 [1994]

(5) Cfr. IL, 18.

(6) Cfr. Proposizioni conclusive del Cogresso europeo sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata, 8. D'ora in poi questo testo verrà citato come Proposizioni.

(7) IL, 32.

(8) Proposizioni, 7.

(9) Proposizioni, 3.

(10) Proposizioni, 4.

(11) Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 2. Vedi anche, sull'argomento, di Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 33-34, e Redemptoris missio, 33-34.

(12) Proposizioni, 19.

(13) Lumen gentium, 32; 39-42 (cap. V).

(14) IL, 6.

(15) Proposizioni, 16.

(16) Proposizioni, 19.

(17) La « cultura vocazionale » fu il tema del Messaggio Pontificio per la XXX Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, celebrata il 2 V 1993 (cfr. « L'Osservatore Romano », 18 XII 1992; cfr. anche Congregazione per l'Educazione Cattolica, P.O.V.E., Messaggi Pontifici per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Roma 1994, pp. 241-245).

(18) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso sulle vocazioni in Europa, in « L'Osservatore Romano », 11 V 1997, 4.

(19) Ibidem.

(20) Cfr. Proposizioni, 12.

(21) IL, 6.

(22) Discorso del S. Padre, in « L'Osservatore Romano », 11 maggio 1997, n. 107.

(23) Cfr. Proposizioni, 20.

(24) Cfr. Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 64.

(25) IL, 85.

(26) Un'espressione analoga è già stata usata nel Documento conclusivo del II Congresso internazionale di Vescovi e altri responsabili delle vocazioni ecclesiastiche, cfr. Sviluppi, 3. D'ora in poi lo citeremo con la sigla DC (documento conclusivo).

(27) Proposizioni, 3.

(28) Paolo VI, Populorum progressio, 15.

(29) Gaudium et spes, 22.

(30) A tal proposito così s'è espressa una tesi finale del Congresso: « Nel contesto europeo è importante fare emergere il primo momento vocazionale, quello della nascita. L'accoglienza della vita mostra che si crede in quel Dio che "vede" e "chiama" fin dal seno materno » (Proposizioni, 34).

(31) Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 11.

(32) Per questo, come ricorda una tesi del Congresso, « solo nel contatto vivo con Gesù Cristo Salvatore i giovani possono sviluppare la capacità di comunione, maturare la propria personalità e decidersi per Lui » (Proposizioni, 13).

(33) IL, 55.

(34) Sacrosanctum Concilium, 10.

(35) Cfr. Veritatis splendor, 23-24.

(36) Cfr. Lumen gentium, cap. V.

(37) Cfr. Proposizioni, 16.

(38) Rito della Cresima.

(39) Cfr. Proposizioni, 35.

(40) Lumen gentium, 1.

(41) Cfr. Proposizioni, 21.

(42) II Epiclesi.

(43) DC, 18.

(44) DC, 13.

(45) Proposizioni, 28.

(46) Questo fa parte dell'insegnamento insistentemente richiamato da Giovanni Paolo II nelle Lettere Encicliche Slavorum Apostoli (1985) e Ut unum sint (1995) come nell'Esortazione Apostolica Orientale lumen (1995).

(47) IL, 58.

(48) Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 55.

(49) Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 15.

(50) « Nella pastorale specifica delle vocazioni sia dato un posto alla vocazione al diaconato permanente. I diaconi permanenti sono già una presenza preziosa in diverse parrocchie e sarebbe riduttivo se essi non venissero inclusi come nuove vocazioni della nuova Europa » (Proposizioni, 18).

(51) Sacrosanctum Concilium, 10.

(52) « In laudibus Virginis Matris », Homilia II, 4: Sancti Bernardi opera, IV, Romae, Editiones Cistercenses, 1966, p. 23.

(53) « In Iohannis Evangelium », Tractatus VIII, 9: CCL 36, p. 87.

(54) Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti al Congresso sul tema: « Nuove vocazioni per una nuova Europa », in « L'Osservatore Romano », 11 maggio 1997, n. 107.

(55) DC, 5.

(56) L'espressione è nell'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis, n. 34. Nel medesimo documento sono ben delineati i motivi fondanti che legano intrinsecamente la pastorale vocazionale alla Chiesa.

(57) Ibidem.

(58) Ibidem.

(59) IL, 58.

(60) L'espressione « comunità cristiana » è, di per sé, espressione generica che sta a indicare una Chiesa particolare o locale, come pure una parrocchia. È equivalente a un gruppo di cristiani viventi in un luogo e rappresenta la Chiesa in maniera attuale, quando si raduna per pregare e servire, per rendere testimonianza dell'amore e della presenza di Cristo in mezzo a loro. L'espressione « comunità ecclesiale » ha un significato, invece, più mirato, poiché evidenzia la presenza degli elementi che costituiscono la Chiesa, a partire dalla centralità del mistero eucaristico; in modo proprio si applica alla diocesi e alle parrocchie che sono comunità ecclesiali eucaristiche grazie alla presenza del ministero ordinato; le altre lo sono per estensione di significato. Cfr. in proposito DC, 13-16.

(61) Giovanni Paolo II, Discorso al VI Simposio delle Conferenze Episcopali Europee, 11.10.1985.

(62) Pastores dabo vobis, 34.

(63) Ibidem, 35.

(64) Ibidem, 41.

(65) Cfr. Ibidem, 41.

(66) Ibidem, 38.

(67) Vita consecrata, 64.

(68) Ibidem.

(69) IL, 59.

(70) Cfr. Dichiarazione, 26.

(71) Cfr. Proposizioni, 25.

(72) Cfr. Vita consecrata, 70.

(73) Proposizioni, 4.

(74) Proposizioni, 13.

(75) Cfr. Proposizioni, 10.

(76) Cfr. Proposizioni, 10.

(77) « La liturgia risulta per se stessa un appello. Essa è il luogo privilegiato dove tutto il popolo di Dio si ritrova in modo visibile e si realizza il mistero della fede » (Proposizioni, 13).

(78) Dei Verbum, 25.

(79) « Il primo luogo di testimonianza è la vita di una Chiesa che si riscopre « comunione » e dove le parrocchie e le realtà associative sono vissute come comunione di comunità » (Proposizioni, 14).

(80) Proposizioni, 21.

(81) Vita consecrata, 64.

(82) Cfr. Lumen gentium 12; 35; 40-42.

(83) Cfr. Catechesi tradendae, 186.

(84) Proposizioni, 35, ove si ricorda ancora una volta ai Vescovi la grande opportunità loro offerta dalla celebrazione della Cresima di « chiamare » i giovani che ricevono tale sacramento.

(85) Proposizioni, 10.

(86) Proposizioni, 11.

(87) Proposizioni, 10.

(88) Pastores dabo vobis, 41.

(89) Cfr. le sagge indicazioni sull'argomento nel Documento Conclusivo del II Congresso Internazionale del 1981, DC, 40.

(90) Cfr. Optatam totius, 2; DC, 57-59; cfr. anche Sviluppi della pastorale, 89-91.

(91) Cfr. Proposizioni, 10.

(92) « Alle volte — s'è osservato al Congresso — si rileva una certa fatica nel rapporto tra Chiesa locale e vita religiosa. È importante uscire da una lettura funzionale della vita religiosa stessa, anche se già si intravvedono segnali di nuovi orientamenti dopo il Sinodo sulla vita consacrata. Lo stesso vale per gli Istituti Secolari » (Proposizioni, 16).

(93) « In una situazione religiosa e culturale che sta cambiando rapidamente, diventa indispensabile il formare gli animatori di base: catechisti, parroci, diaconi, consacrati, vescovi... e curare la loro formazione permanente » (Proposizioni, 17).

(94) Cfr. Proposizioni, 29, ove, parlando di questo Centro vocazionale europeo, s'esprime il desiderio che esso, come gesto di carità e di scambio di doni, « provveda anche ad una "banca" di persone qualificate per collaborare alla formazione dei formatori ». Circa la costituzione di tale organismo, vi è una sollecitazione in tal senso anche nell'Instrumentum laboris, 83 e 90h. Un'esperienza positiva già in atto esiste da diversi anni nell'America Latina. In Bogotà (Colombia), presso la sede del Consejo Episcopal Latino Americano (CELAM), opera in forma stabile il « Departimento de Vocaciones y Ministerios » (DEVYM). Questo organismo è stato anche il punto di riferimento per la preparazione e la celebrazione del Primo Congresso Continentale, svoltosi per l'America Latina a Itaici (São Paulo del Brasile) dal 23 al 27 maggio 1994.

(95) IL, 86.

(96) Cfr. Proposizioni, 9.

(97) Paolo VI, Guardate a Cristo e alla Chiesa, Messaggio per la XV Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (16 IV 1978), in Insegnamenti di Paolo VI, XVI, 1978, pp. 256-260 (cfr. anche Congregazione per l'Educazione Cattolica, P.O.V.E., Messaggi Pontifici, 127).

(98) Proposizioni, 15.

(99) Proposizioni, 9.

(100) Proposizioni, 22. E ancora: « il sorgere dell'interesse per il vangelo e per una vita dedicata radicalmente ad esso nella consacrazione, dipende in grande misura dalla testimonianza personale di sacerdoti e religiosei felici della loro condizione. La maggioranza dei candidati alla vita consacrata ed al sacerdozio dice di attribuire la propria vocazione ad un incontro avuto con un sacerdote o consacratoa » (ibidem, 11).

(101) Proposizioni, 12.

(102) Così la Proposizione 23: « È importante sottolineare che i giovani sono aperti alle sfide ed alle proposte forti (che siano "superiori alla media", che cioè abbiano qualcosa "in più"!) ».

(103) Che ritorna sotto forma di provocazione nelle parole di Paolo nei confronti dei Corinzi: « Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? » (1 Cor 4, 7).

(104) IL, 55.

(105) Proposizioni, 27.

(106) Proposizioni, 25.

(107) Cfr. Proposizioni, 25.

(108) Cfr. Proposizioni, 14.

(109) Pastores dabo vobis, 11.

(110) Cfr. Jurado, Il discernimento, 262. Cfr. anche L. R. Moran, « Orientaciones doctrinales para una pastoral eclesial de las vocaciones », in Seminarium, 4 (1991), 697-725.

(111) Parliamo qui d'una maturità affettivo-sessuale di base, come condizione previa per l'ammissione ai voti religiosi e al ministero ordinato, secondo le due vie delle Chiese cattoliche d'Europa, al ministero celibe (Chiesa occidentale) e al ministero uxorato (Chiese orientali). È importante che dalla pastorale vocazionale alla formazione vera e propria i programmi pedagogici siano coerenti e mirati, perché la preparazione al ministero ordinato sia adeguata in un caso come nell'altro, specie sul piano della solidità affettiva, e l'esercizio del ministero stesso possa così raggiungere l'obiettivo dell'annuncio dell'amore di Dio come origine e termine dell'amore umano.

(112) Vedi in tal senso la raccomandazione del Potissimum Institutioni a scartare, circa l'omosessualità, non quelli che hanno tali tendenze, ma « quelli che non giungeranno a padroneggiare tali tendenze » (39), anche se quel « padroneggiare » va inteso — riteniamo — in senso pieno, non solo come sforzo volitivo, ma come libertà progressiva nei confronti delle tendenze stesse, nel cuore e nella mente, nella volontà e nei desideri.