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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

CONVEGNO PER I NUOVI VESCOVI
ATENEO “REGINA APOSTOLORUM”

Il Vescovo e la pastorale della famiglia

RELAZIONE DI S.E. IL CARD. ENNIO ANTONELLI
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA


1) IMPEGNO PRIORITARIO

E’ convinzione largamente condivisa dai Vescovi che la pastorale per e con le famiglie debba oggi essere considerata assolutamente prioritaria dalle comunità ecclesiali. Me ne rendo conto ricevendo le Conferenze Episcopali nelle visita ad limina. E’ un’esigenza che nasce sia dalla gravità della crisi in atto sia dalla consapevolezza che i Pastori hanno maturato riguardo all’importanza decisiva della famiglia per la crescita umana e cristiana delle persone.

a) La crisi

In forza della globalizzazione si diffondono dall’Occidente in tutto il mondo tendenze culturali e dinamiche sociali sfavorevoli alla famiglia: relativismo etico (Non c’è bene oggettivo; non c’è legge naturale), soggettivismo libertario (Ha valore la scelta come tale, non la scelta per la verità e il bene; ad esempio si può scegliere l’orientamento sessuale, il suicidio assistito), egocentrismo (Si cerca la propria autorealizzazione seguendo il principio del piacere e l’onnipotenza del desiderio), utilitarismo (Si strumentalizzano gli altri; si mercifica il sesso), consumismo (Si è vivi nella misura in cui si consumano cose ed esperienze, emozioni e sensazioni soddisfacenti. Anche il matrimonio diventa matrimonio di prova), individualismo (Lavoro e società si organizzano in funzione degli individui, ignorando le esigenze della famiglia), scientismo (In seguito allo sviluppo delle neuroscienze si riduce l’uomo alla sua dimensione biologica, misconoscendo la sua dignità di soggetto personale, specialmente a proposito degli embrioni).

Tali tendenze concorrono a oscurare la sacralità della persona umana e provocano nelle famiglie la crisi della coppia, la crisi della natalità, la crisi dell’educazione.

La crisi della coppia si manifesta in una valanga crescente di separazioni, divorzi, famiglie monoparentali, famiglie allargate, convivenze di fatto, con pesantissimi costi psicologici, etici, giuridici, economici, sociali, con innumerevoli sofferenze, purtroppo ignorate dai media, soprattutto dei figli, ma anche dei coniugi, dei parenti, degli amici. La famiglia non viene percepita come una comunità specifica di persone e come un basilare soggetto sociale; ma viene ridotta a una somma di individui che abitano la stessa casa per un certo tempo, finché ci trovano un tornaconto. Anzi a volte si arriva a considerarla un residuo del passato, destinato a dissolversi completamente in un futuro non lontano, quando la differenza dei due sessi perderà ogni significato e i bambini saranno concepiti per inseminazione artificiale e non più per accoppiamento.

La crisi della natalità è particolarmente grave in Europa, in Russia e in Giappone, ma comincia a suscitare preoccupazioni anche in altre aree geografiche. Nell’Unione Europea l’indice medio di fecondità per donna è 1,56 (in Italia 1,3), al di sotto della quota di ricambio generazionale (2,1 per donna) e molto al di sotto del desiderio espresso, e per varie difficoltà non realizzato, dalle giovani coppie di sposi (in media 2,5 figli). Si va incontro a un rapido invecchiamento (e successivo calo) della popolazione con pesanti conseguenze economiche, sociali e culturali. Fra quaranta anni per ogni anziano sopra i 65 anni ci saranno due soli lavoratori, che dovranno provvedere ad assicurargli la pensione, mezza pensione ciascuno: cosa insostenibile se si pensa che già adesso si hanno grosse difficoltà con quattro lavoratori per ogni pensionato sopra 65 anni. A motivo di queste inquietanti prospettive demografiche, si moltiplicano le richieste di appropriate politiche di sostegno alla famiglia e si auspica che l’indice di fertilità nei vari paesi possa salire quando lo sviluppo umano (reddito, aspettativa di vita, istruzione, parità uomo donna) raggiungerà un indice abbastanza elevato (0,86). Ma non è solo la demografia a destare preoccupazione. Non si possono dimenticare: l’impressionante numero degli aborti, l’alta percentuale dei bambini nati fuori del matrimonio (1/3), il ricorso alla fecondazione artificiale, l’impiego eticamente disordinato delle biotecnologie, la commercializzazione del materiale riproduttivo.

In quanto alla crisi dell’educazione, essa chiama in causa, oltre la responsabilità della società nel suo insieme e quella della scuola, dei media e della comunità cristiana, ovviamente anche la responsabilità delle famiglie: priorità data al lavoro, alla carriera e al divertimento invece che alla cura dei figli; latitanza della figura paterna; crescente assenza anche della madre; mancanza di forti convinzioni etiche e religiose; atteggiamento permissivo; disaccordo tra i genitori; traumi causati da separazioni, divorzi, violenze domestiche. Anche se benestanti economicamente, molti ragazzi crescono poveri di ideali e di speranze, spiritualmente vuoti, interessati solo al tifo sportivo, alle canzoni di successo, ai vestiti firmati, ai viaggi pubblicizzati, alle emozioni del sesso. L’unica virtù in cui mostrano di credere è la cosiddetta “autenticità”, che di fatto significa spontaneismo e narcisismo. Spesso per uscire dalla noia e dall’insicurezza, si mettono in gruppo e diventano trasgressivi: bullismo, vandalismo, droga, rapine, stupri, delitti. Il Santo Padre Benedetto XVI in una lettera alla città e diocesi di Roma (21 gennaio 2008) ha parlato di “emergenza educativa”.

 

b) La priorità pastorale della famiglia secondo il Magistero

La lucida consapevolezza circa l’importanza decisiva della famiglia per la Chiesa e per la sua missione emerge con forza dagli insegnamenti del Magistero.

Concilio Vaticano II: “Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare” (Gaudium et Spes 47).

Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia (oltre che dei giovani): “La futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica” (Discorso all’Episcopato latinoamericano in Puebla, 28.1.1979). “(Tra le numerose vie della missione) la famiglia è la prima e la più importante...La Chiesa considera il servizio alla famiglia uno dei suoi compiti essenziali...Sia l’uomo che la famiglia costituiscono la via della Chiesa” (Gratissimam sane 2.2.1994, n.2).

La Conferenza Episcopale Italiana: “Veramente il futuro della Chiesa e della sua presenza salvifica nel mondo passa in maniera singolare attraverso la famiglia, nata e sostenuta dal matrimonio cristiano” (Evangelizzazione e Sacramento del matrimonio 20.6.1975, n.119).

La persuasione del Papa e dei Vescovi viene confermata per contrasto anche da voci laiche meritevoli di essere ricordate. Voltaire, secondo cui distruggere la famiglia è distruggere il cristianesimo: “La nostra speranza si fonda sulla lussuria. Affoghiamo il cristianesimo nel fango”. Miguel De Unamuno: “L’agonia della famiglia è l’agonia del Cristianesimo”.

Dalla stretta connessione tra famiglia e chiesa deriva l’impegno pastorale prioritario, delineato dalla Conferenza Episcopale Italiana già nell’immediato dopo Concilio in termini sostanzialmente ancora attuali. “E’ necessario che la famiglia divenga il centro unificatore dell’azione pastorale...La famiglia deve inoltre divenire soggetto di pastorale, essendo i coniugi dotati di grazie, di carismi e di esperienze particolari...L’esperienza dei gruppi di spiritualità familiare, degli esercizi spirituali per coniugi, di incontri a loro riservati, per approfondire il mistero cristiano del matrimonio e della famiglia e i problemi dell’educazione dei figli, e per prepararsi all’apostolato, va senz’altro incoraggiata, sostenuta e diffusa...” (Matrimonio e famiglia oggi in Italia 15.11.1969, n.16). Qualche decennio più tardi, dopo il Convegno di Palermo, la stessa Conferenza Episcopale ribadisce: “La Chiesa che è in Italia intende affermare la priorità della famiglia, fondata sul matrimonio, come soggetto sociale ed ecclesiale...Perciò si impegna a promuovere una pastorale organica con e per le famiglie” (Con il dono della carità dentro la storia 26.5.1996, n.37). Una sintonia con queste indicazioni riscontriamo ancora nel recente documento dell’Episcopato LatinoAmericano a conclusione dell’Assemblea di Aparecida, dove tra l’altro leggiamo che la pastorale familiare “deve essere assunta come asse trasversale di tutta l’attività evangelizzatrice” (Documento di Aparecida, n.435).

 

2) LA COPPIA E LA FAMIGLIA IN UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA

Mi pare che tre siano i nuclei tematici sui quali oggi si debba in modo particolare concentrare l’attenzione dei Vescovi, dei Sacerdoti e degli altri operatori pastorali: l’antropologia della coppia e della famiglia, la famiglia come soggetto di evangelizzazione, la famiglia come risorsa per la società civile. La tematica antropologica è molto presente nell’attuale dibattito culturale e condiziona l’etica, la politica, la spiritualità, l’azione pastorale.

 

a) La teoria del gender

La sfida più pericolosa viene dall’ideologia del gender, nata dagli ambienti femministi e omosessuali anglosassoni e ormai largamente diffusa nel mondo. Secondo tale ideologia, il sesso biologico non ha alcuna importanza; non ha più significato del colore dei capelli. Ciò che conta è il genere, cioè l’orientamento sessuale che ognuno liberamente sceglie e costruisce secondo le proprie pulsioni, tendenze, desideri, e preferenze. E’ diventato celebre il detto di Simone de Beauvoir: “On ne naît pas femme; on le devient” (Non si nasce donna, lo si diventa). Detto coniato sulla scia di una affermazione di Erasmo di Rotterdam a proposito dell’educazione dei bambini “Homines non nascuntur, sed effinguntur”. L’essere umano dunque non è una realtà naturale, ma culturale (costruttivismo).

Il valore supremo da tutelare è la libertà di scelta. Ognuno deve avere la possibilità di costruire il proprio orientamento sessuale ed eventualmente cambiarlo durante la sua vita. Mentre i sessi biologici sono due soltanto, le categorie di comportamento sessuale sono numerose: eterosessuale maschile, eterosessuale femminile, omosessuale, lesbico, bisessuale, transessuale, travestitismo, voyerismo, altre forme indifferenziate e flessibili. Tutte le pratiche sono rispettabili e da legittimare socialmente. In passato la differenza naturale dei due sessi è servita ad affermare e mantenere la supremazia e il dominio del maschio in molti ambiti: economia, istruzione, arte, filosofia, religione, politica, convivenza civile. Secondo la concezione naturalista (vedi ad esempio Aristotele), l’uomo è nato per essere attivo nella generazione, per lavorare fuori casa, per operare nella società, per comandare; la donna invece è nata per essere passiva nella generazione, accogliere la vita e averne cura, educare i figli, lavorare in casa, obbedire. Al naturalismo occorre sostituire il costruttivismo, al falso valore del sesso il valore del gender. Occorre rinnovare la mentalità e il modo di vivere, cambiando le norme sociali che regolano la sessualità.

In nome del diritto di scelta, dell’uguaglianza e della lotta alle discriminazioni vengono rivendicati i cosiddetti “nuovi diritti umani” e in particolare i “diritti sessuali e riproduttivi”. Rientrano in queste categorie: la legittimazione giuridica delle varie convivenze, la famiglia in tutte le sue forme, il diritto all’esercizio sterile della sessualità (rimedio all’esplosione demografica), il matrimonio gay, la contraccezione, la libertà di aborto, la libertà per tutti di adottare bambini, la libertà di procreazione artificiale, la repressione dell’omofobia, la promozione della libertà sessuale degli adolescenti anche contro la volontà dei genitori.

Alle istanze politiche di vario livello viene chiesto di governare nella prospettiva del gender. Queste richieste purtroppo trovano un ascolto crescente: ONG, Agenzie ONU per la popolazione, per la sanità e per l’educazione, conferenze del Cairo (1994) e di Pechino (1995), Parlamento Europeo di Strasburgo. Perfino ONG di ispirazione cristiana e associazioni caritative cattoliche si lasciano tentare da parole sacrosante come pari dignità, misericordia, rispetto della libertà, lotta alla discriminazione ed emarginazione.

 

b) Diversità e comunione

L’antropologia cristiana è la prima ad affermare la pari dignità di uomini e donne, come persone e come figli di Dio. Tutti hanno gli stessi diritti fondamentali e devono essere tutelati dalla legge. Ciò però non comporta che realtà differenti debbano essere trattate allo stesso modo. L’uguaglianza giuridica esige anche il riconoscimento e la tutela delle differenze (ad es. bambini, disabili, minoranze culturali).

E’ giusto promuovere le pari opportunità uomo donna, rifiutando ruoli e gerarchie sociali fisse. Ma è fuori dalla realtà e del buon senso pensare, come qualcuno è arrivato a fare, che la liberazione della donna comporti la liberazione dal matrimonio (parola che sarebbe da eliminare nel codice civile) e dalla maternità (funzione che andrebbe sostituita con una macchina per la gestazione dei nuovi esseri umani). I bambini hanno bisogno dell’amore del padre e della madre per nascere e crescere in modo degno.

E’ giusto aprire il più possibile spazi di libertà; ma solo fino a quando sono compatibili con il bene comune della società. Nessuno pensa di legalizzare la cleptomania, la piromania, la pederastia, l’incesto, la poligamia, la promiscuità sessuale, la violenza. La libertà, per essere tale, deve tener conto della realtà, dei dati biologici, psichici, sociali. Deve tener conto della natura umana come tendenza che è protesa verso il compimento. Per quanto riguarda la sessualità, l’essere umano non ha un istinto polarizzato unicamente alla riproduzione della specie come gli animali; è mosso da pulsioni aperte a vari obiettivi che vanno perciò elaborate e indirizzate al bene complessivo della persona e della società. Analogamente l’esigenza del mangiare viene elaborata culturalmente mediante l’arte della cucina e l’arte di stare a tavola.

L’ideologia del gender, che intende reagire contro una storia di dominio maschilista, in realtà rimane imprigionata dentro la logica del potere. Sotto la maschera dell’egualitarismo si nascondono diffidenza, rivalità, concorrenza, conflitto tra i due sessi, per prevalere l’uno sull’altro.

Secondo l’antropologia cristiana, il dominio è una deviazione dal senso originario della sessualità, un frutto del peccato: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà” (Gen 3,16). Bisogna uscire dalla logica del potere ed entrare in quella dell’amore. “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22,29). Non si tratta di rinunciare al proprio bene, ma di armonizzarlo con quello degli altri. Si cresce insieme; mai senza o contro gli altri. L’amore è desiderio e dono, eros e agape; “mai separabili del tutto”(Benedetto XVI D.C. 7).

L’amore è “virtus unitiva” (S.Th. I-II q 26, a 2 ad 2; I-II q 28, a 1 sed contra e ad 2), energia unificante tra le persone nel rispetto dell’alterità.

Io mi sperimento come soggetto singolo e irripetibile, autocosciente e libero, capace di autotrascendermi verso l’altro (qualcosa o qualcuno), sempre proteso verso un di più con il pensiero, il desiderio e l’azione. Sperimento soggettivamente dal di dentro anche il mio corpo, attraverso il quale sento, mi esprimo, comunico; lo stesso corpo che d’altra parte è anche oggetto osservabile e analizzabile dall’esterno con le varie discipline scientifiche (fisica, chimica, biologia, neuroscienze ecc.).

Mentre mi riconosco come persona, cioè soggetto spirituale e corporeo, irripetibile e in relazione con gli altri, devo riconoscere che anche gli altri sono persone come me; sono un bene in se stessi, meritevoli di essere valorizzati e accompagnati nel loro sviluppo. Non posso solo servirmene per il mio utile e il mio piacere, devo anche servirli, dedicarmi al loro bene secondo le mie possibilità, farmi carico della loro crescita umana integrale, senza calcoli del dare e dell’avere, senza condizioni e senza scadenze. Non devo mai ridurli a uno strumento intercambiabile e sostituibile con un altro. Verso le persone l’unico atteggiamento adeguato è l’amore, il farsi uno con gli altri, rispettando la loro libertà, valorizzando la loro alterità e le loro differenze, portando perfino il peso dei loro limiti e peccati, come ha fatto Gesù nei confronti di tutti gli uomini.

A somiglianza dell’amore di Cristo, ogni amore autentico si attua secondo una dinamica pasquale di sacrificio e di gioia, sia nelle quotidiane relazioni e attività, sia nelle grandi scelte che orientano la vita. Se dire a qualcuno “Ti amo” significasse soltanto “Con te mi sento bene”, tanto equivarrebbe dirgli “con te soddisfo i miei desideri” e in definitiva “Tu mi sei utile”. Senza dono e sacrificio non c’è amore.

D’altra parte l’amore non è autolesionismo, ma via al compimento definitivo. “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva” (Lc 17,33); cf. Mt 10,39; 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24; Gv 12,25). L’uomo non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sè” (Vaticano II, GS 24). “L’uomo non può vivere senza amore...La sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (Giovanni Paolo II RH 10). L’amore è la vocazione fondamentale dell’uomo, il suo bene supremo, al quale sono finalizzati tutti gli altri beni e tutte le energie.

La famiglia “comunità di amore e di vita” (Vaticano II GS 48) è la prima e comune scuola di umanità, dove si sviluppa e si coltiva la vocazione all’amore. In famiglia le persone non badano solo al proprio tornaconto, ma anche al bene degli altri. Se c’è un’attenzione preferenziale, è per i più deboli: bambini, malati, disabili, anziani. Ogni persona è riconosciuta come un bene in se stessa. Ci si aiuta e ci si educa reciprocamente; si cresce insieme in umanità. Come in un coro si valorizzano e si armonizzano voci diverse, così in famiglia si valorizzano e si armonizzano le differenze fondamentali dell’essere umano, quella dei sessi (uomo-donna) e quella delle generazioni (genitori-figli).

Lo sviluppo dell’amore è un cammino progressivo verso l’alterità e la comunione nello stesso tempo. Il bambino nasce egocentrico e vive nella dipendenza dai genitori; l’adolescente rivolge l’attenzione specialmente agli amici dello stesso sesso; il giovane si interessa all’altro sesso e arriva a costituire il legame stabile di coppia nel matrimonio; i coniugi non si chiudono nel rapporto di coppia, ma si aprono insieme all’accoglienza dei figli. Una stessa dinamica porta l’uno verso l’altro e ambedue verso il terzo (inseparabilità della dimensione unitiva e procreativa).

Il singolo è chiamato a uscire da se stesso; la coppia è chiamata a trascendere sé stessa (mentre il rapporto omosessuale rimane uno sterile rapporto di copia). La sessualità, come qualcuno ha detto, è altruismo scritto nell’anima e nel corpo (M. Zundel). La logica della comunione e del dono presuppone l’alterità e la differenza. L’alterità e la differenza sono per il dono e per la comunione.

L’uomo e la donna sono ambedue esseri umani, ma in modo diverso. Sono diversi nel corpo (organi genitali, aspetto, volto, voce) nelle attitudini, negli interessi, nelle qualità di intelligenza e di carattere, nell’affettività.

Generano ambedue, ma in modo diverso: l’uomo fuori di sè; la donna dentro di sé. Coerentemente con questa differenza basilare, comprendono, amano, comunicano, lavorano in modo diverso.

Le diversità sono correlate e complementari, per propiziare l’interazione, lo scambio, la costruzione di una storia comune e di un legame di coppia. Soprattutto ognuno dà all’altro il potere di procreare e diventare genitore. L’essere genitori non è soltanto un fatto biologico, ma è un evento personale, che perfeziona grandemente i coniugi a immagine di Dio creatore e padre (S.Tommaso I, q 99, a 2).

Le diversità vissute non come conflitto nella logica del potere, ma come dono nella logica dell’amore sono un bene per tutti e un motivo di gioia. Il marito è un dono per la moglie e viceversa; i genitori sono un dono per i figli e viceversa; i fratelli sono un dono uno per l’altro. L’amore, in quanto comunione tra persone diverse, è il fine verso cui bisogna incanalare le pulsioni e le energie della sessualità. La comunione poi è “il modo proprio di esistere e vivere” delle persone (Giovanni Paolo II Gratissimam sane 7).

3) LA FAMIGLIA SOGGETTO DI EVANGELIZZAZIONE

Il secondo nucleo tematico, sul quale mi pare che i Vescovi debbano concentrare l’attenzione, riguarda la partecipazione della famiglia alla missione evangelizzatrice della Chiesa, partecipazione indicata sinteticamente da Giovanni Paolo II con queste parole: “ La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere e agire, in quanto intima comunità di vita e di amore” (Giovanni Paolo II FC 50).

Evangelizzare significa accogliere, testimoniare, manifestare e comunicare nel mondo l’amore e la presenza salvifica di Dio e di Cristo (cf. Concilio Vaticano II  A.G,10).

Soggetto in senso pieno di evangelizzazione è la Chiesa, sacramento, segno e anticipo del regno di Dio che viene, corpo ed espressione visibile nella storia di Cristo crocifisso e risorto, partecipazione e manifestazione della comunione trinitaria delle persone divine “perché il mondo creda” (cf. Gv 17,20-23).

Ma soggetto indispensabile di evangelizzazione è anche la famiglia cristiana, attuazione parziale della Chiesa, “chiesa domestica” (Concilio Vaticano II LG 11), “chiesa in miniatura” (Giovanni Paolo II FC 49). “La famiglia cristiana – spiega Giovanni Paolo II è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa: i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, hanno, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. Perciò non solo ricevono l’amore di Cristo diventando comunità salvata, ma sono anche chiamati a trasmettere ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità salvante” (Giovanni Paolo II, FC 49). Il sacramento del matrimonio conferisce agli sposi un ministero ecclesiale, per l’edificazione del popolo di Dio, simile a quello dei sacerdoti ordinati (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1535).

In virtù del sacramento del matrimonio, l’alleanza coniugale partecipa e manifesta l’alleanza di Cristo con la Chiesa (cf. Ef. 5,21-23). In quanto unione vivificata dallo Spirito Santo, significa, contiene e irradia il mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa (cf. Paolo VI Disc. 4.5.1970). Il Signore chiama i due sposi a vivere un amore oblativo, totale, uno, fedele, indissolubile, fecondo, elevato a carità coniugale, perché rivivano l’unione di Cristo con la Chiesa e la manifestino in modo proprio e insostituibile, come coppia e come famiglia. Chiama i due sposi a vivere il loro rapporto come segno e anticipo delle nozze eterne con Cristo, le sole capaci di saziare il nostro desiderio illimitato di amore e felicità; li dispone così a non nutrire attese eccessive, che facilmente andrebbero incontro a delusioni e potrebbero mettere in pericolo la fedeltà e la stabilità della coppia. Ovviamente il sacramento non dispensa dalla fatica, ma la rende sensata e sostenibile. Perché esso diventi effettivamente fruttuoso, occorre che la coppia si impegni in un cammino spiritualmente permanente: preghiera, ascolto della parola di Dio, partecipazione all’Eucaristia, gesti di attenzione reciproca, dialogo assiduo. Nella misura in cui la famiglia diventa piccola chiesa, la Chiesa diventa grande famiglia, famiglia di famiglie.

Da sempre e dovunque le famiglie cristiane sono la principale via di trasmissione delle virtù umane e della fede e vita cristiana. Già nell’Antico Testamento la trasmissione della fede avveniva soprattutto in famiglia (cf. Es 10,2; Dt 6,20-25) e la stessa festa di Pasqua aveva un carattere eminentemente familiare (cf. Es 12,24-27). Nel Nuovo Testamento poi vediamo che le famiglie sono coinvolte fortemente nella missione evangelizzatrice (cf. Mc 6,10; At 12,12; 16,4; 18,7,18; 20,7-12; Rm 16,3-5,11,15; Fm 1-2). Nei primi secoli il Vangelo passava in modo spontaneo da persona a persona, dalla moglie al marito e viceversa, dai genitori ai figli e viceversa, dallo schiavo al padrone e viceversa; si diffondeva di casa in casa, da ambiente ad ambiente, da città a città, malgrado le persecuzioni.

Oggi, in un mondo secolarizzato e religiosamente indifferente, l’evangelizzazione ha buone prospettive di riuscire solo se si ridesta la responsabilità missionaria dei cristiani praticanti e delle loro famiglie. L’apostolato individuale e familiare è il più capillare, il più efficace e persuasivo. La famiglia può evangelizzare in casa mediante la preghiera e l’ascolto comune della parola di Dio, il dialogo e l’edificazione scambievole, nel suo ambiente mediante le relazioni con i vicini, i parenti, gli amici, i colleghi di lavoro e altri referenti sociali; nella parrocchia mediante la partecipazione fedele alla Messa domenicale, la collaborazione sistematica nel cammino catechistico dei figli, l’inserimento nelle attività formative, caritative, ricreative, la partecipazione a incontri per famiglie, a gruppi, movimenti e associazioni, l’animazione di itinerari di educazione dei giovani all’amore e di preparazione dei fidanzati al matrimonio, la vicinanza alle famiglie in difficoltà. “La famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque, nell’intimo di una famiglia cosciente di questa sua missione, tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati...E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita” (Paolo VI, EN 71).

In questa prospettiva della famiglia soggetto di evangelizzazione si stanno attuando in molti paesi esperienze assai belle e fruttuose. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia, in seguito al VI Incontro Mondiale di Città del Messico, intende promuovere, coinvolgendo molti soggetti ecclesiali, una raccolta e una messa in circolazione delle esperienze ritenute più significative, perché siano di stimolo e di ispirazione per nuove esperienze. Prossimamente avrà luogo un seminario di studio per calibrare bene l’iniziativa; l’anno venturo ci sarà un convegno ecclesiale; poi attraverso un’ampia collaborazione verranno rilevate e sottoposte a discernimento le esperienze da segnalare alle conferenze Episcopali e da diffondere attraverso Internet e altre forme di comunicazione. L’iniziativa vuole essere un servizio alla comunione ecclesiale e alle famiglie. Interesserà vari e importanti capitoli della pastorale familiare, come quelli che qui di seguito vengono passati in rassegna.

 

a) La preghiera in famiglia.

E’ auspicabile un convinto, intelligente e perseverante rilancio pastorale. La preghiera non è tutto, ma tutto dipende dalla preghiera. La preghiera comune apre la porta di casa a una speciale presenza di Gesù “Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).

La preghiera trasforma ed eleva progressivamente la vita personale e familiare, facendo crescere l’amore reciproco e verso tutti. Attiva la trasmissione della fede e delle virtù cristiane dai genitori ai figli. Fa della famiglia un soggetto di evangelizzazione nel suo ambiente. Le forme della preghiera possono essere molto varie. Mi pare però che oggi sia da promuovere con idonei sussidi soprattutto la preghiera di ascolto della parola di Dio per viverla, come ha raccomandato Giovanni Paolo II: “Partecipe della vita e della missione della chiesa, la quale sta in religioso ascolto della parola di Dio e la proclama con ferma fiducia, la famiglia cristiana vive il suo compito profetico accogliendo e annunciando la parola di Dio: diventa così, ogni giorno di più, comunità credente ed evangelizzante” (Giovanni Paolo II FC 51).

Attraverso la mediazione della Sacra Scrittura, interpretata in accordo con la Chiesa, Dio ci rivolge adesso la sua Parola vivente piena di Spirito Santo e perciò vera ed efficace. Tale Parola è in definitiva Gesù Cristo, soggetto e contenuto centrale della Rivelazione. Perciò, leggendo con fede la Scrittura, si realizza un incontro con la persona di Gesù Cristo che viene a illuminare e trasformare la nostra vita. Leggere, ascoltare, riflettere insieme, mettere in pratica, per diventare sempre più una famiglia che appartiene a Cristo: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Per collegare più facilmente le parole scritte con Gesù Cristo, la Parola Vivente, è bene seguire lanno liturgico scegliendo i testi da meditare soprattutto dalle letture della Domenica. Può bastare anche un breve tempo per pregare e ascoltare insieme, fare discernimento sulla propria vita, prendere qualche impegno da attuare nel vissuto quotidiano e da verificare al momento opportuno nel dialogo familiare spontaneo.

 

b) Le coppie animatrici della pastorale familiare

Costituiscono la struttura portante; sono indispensabili sia a livello parrocchiale che diocesano. Devono essere ben selezionate, tenendo conto della loro testimonianza di vita e della loro capacità di comunicazione. Devono acquisire una competenza specifica attraverso appropriati corsi di formazione. E’ bene che il loro ministero sia autorizzato da un apposito mandato del Vescovo. Le Associazioni e i Movimenti ecclesiali potrebbero offrire la loro preziosa collaborazione, mettendo a disposizione i candidati idonei. I diaconi sposati potrebbero svolgere fruttuosamente il loro ministero nell’ambito della pastorale familiare, oggi da privilegiare.

 

c) L’educazione dei ragazzi all’amore

E’ in essa che deve integrarsi l’educazione sessuale che altrimenti diventa piuttosto diseducazione. Deve cominciare molto precocemente perché sempre più precoci sono le conoscenze e le esperienze diseducative. Impegnare i bambini e gli adolescenti a fare il bene concretamente con l’esercizio quotidiano e far loro sperimentare che c’è più gioia a dare che a ricevere, come Gesù ha detto. Accompagnare la maturazione progressiva dell’affettività (autostima, consapevolezza dei propri limiti, equilibrio tra il desiderio e il senso della realtà, rispetto degli altri, reciprocità). L’affettività deve integrarsi con la ragione, per essere una grande energia finalizzata al vero bene. In questa prospettiva la sessualità va orientata alla gioia dell’amore, inteso come dono e comunione, superando la tentazione del piacere egoistico che riduce l’altro a puro strumento.

 

d) La preparazione al matrimonio

Non bisogna sottovalutare la preziosa indicazione di Giovanni Paolo II: “La preparazione al matrimonio cristiano si qualifica come itinerario di fede: si pone infatti come privilegiata occasione perché i fidanzati riscoprano e approfondiscano la fede ricevuta nel battesimo e nutrita con l’educazione cristiana. In tal modo riconoscono e liberamente accolgono la vocazione a vivere la sequela di Cristo e il servizio del regno di Dio nello stato matrimoniale” (Giovanni Paolo II FC 51). Sarebbe auspicabile che i brevi corsi per i fidanzati si trasformassero sempre più in itinerari di fede e di vita cristiana, prolungati per tutto il tempo del fidanzamento: colloquio iniziale con il Sacerdote, incontri periodici in un piccolo gruppo (cinque o sei coppie) sotto la guida di una coppia animatrice di sposi cristiani, riflessione e confronto stimolati da un sussidio di schede appositamente preparate, esercizio pratico su aspetti concreti della vita cristiana e familiare (rapporto con Gesù Cristo e la sua chiesa, preghiera, dialogo di coppia, conoscenza di se stessi, servizio reciproco, gestione dei conflitti, perdono, amore e sessualità, uso del denaro, spirito di sacrificio, ecc.). Si avrebbe così un cammino di conversione (come un catecumenato) e non semplicemente una istruzione teorica; si eviterebbe il rischio, nell’attuale contesto culturale, di molti matrimoni nulli; si avvierebbe inoltre l’inserimento in una rete di preziose amicizie tra famiglie e nella comunità parrocchiale.

 

e) Gli incontri tra le famiglie

Ricordare la raccomandazione di Benedetto XVI al V Incontro Mondiale delle Famiglie a Valencia: “Le famiglie non siano sole... E’ molto importante il ruolo delle parrocchie, così come delle associazioni ecclesiali”. L’accompagnamento dei coniugi deve continuare nei limiti del possibile anche dopo il matrimonio, specialmente riguardo alle giovani coppie. E’ auspicabile che gli incontri per famiglie vengano inseriti organicamente nei programmi pastorali e che siano abbastanza frequenti, come antidoto alla povertà relazionale del nostro tempo. Incontri periodici in un luogo adatto, con momenti comuni e momenti distinti per i genitori e per i figli. Incontri di preghiera e di amicizia, di formazione e di dialogo, di convivialità e di divertimento. E’ necessario aprire il circuito chiuso della famiglia nucleare; vincere l’isolamento costruendo una rete di relazioni e di solidarietà, umanamente e spiritualmente significativa. Gli adulti e soprattutto gli adolescenti hanno bisogno di avere interlocutori con cui confidarsi anche fuori delle pareti domestiche.

Per attivare e consolidare i rapporti tra famiglie, sono assai utili anche iniziative straordinarie come vacanze comunitarie, pellegrinaggi, feste della famiglia a livello parrocchiale e diocesano, celebrazioni di anniversari di matrimonio.

 

f) Le comunità familiari di evangelizzazione

Gli incontri tra famiglie a volte assumono la forma delle piccole comunità cristiane all’interno della più grande comunità parrocchiale. Il Direttorio di Pastorale Familiare della Conferenza Episcopale Italiana le raccomanda con queste parole: “Risulta opportuna l’opera di coppie e famiglie che mettono a disposizione la loro casa per momenti di ascolto della Parola di Dio e sanno chiamare a questo confronto altre coppie e famiglie del quartiere o del vicinato” (DPF 141).

Si tratta di promuovere riunioni a carattere familiare, in casa, animate da una coppia di sposi spiritualmente motivata e adeguatamente preparata e aiutata dalla parrocchia, con la partecipazione dei figli e degli invitati (parenti, vicini, amici, colleghi, circa quindici persone in tutto). Si rinnova così l’esperienza delle origini cristiane, quando i gruppi dei credenti si riunivano nelle case (cf.Rm 16, 5,10-11, 14-15; Fm 1-2; Col 4,15), e si recuperano alcune benefiche funzioni della ormai tramontata famiglia patriarcale, composta da vari nuclei. Invece di faticare a creare in parrocchia attività organizzate e artificiali, si valorizzano a scopo di evangelizzazione le relazioni spontanee che già esistono tra famiglie.

 

g) Le Aggregazioni ecclesiali

Altra realtà importantissima per la pastorale familiare sono le Associazioni e i Movimenti ecclesiali, dono dello Spirito Santo per una rinnovata fioritura di vita cristiana e per la nuova evangelizzazione. Le loro esperienze e i loro membri possono ravvivare anche la pastorale ordinaria delle parrocchie e delle diocesi. Tra l’altro possono offrire coppie animatrici per la pastorale ordinaria. Alcune di queste aggregazioni sono specificamente a carattere familiare; ma anche le altre molto contribuiscono alla vita cristiana delle famiglie.

 

h) La collaborazione tra parrocchia e famiglia

Sottolineo soltanto ciò che si riferisce all’itinerario di iniziazione cristiana dei figli. Si coinvolgono i genitori durante l’intero percorso: alcuni incontri di preparazione al battesimo dei figli; alcuni incontri dopo il battesimo ogni anno, per aiutarli nell’educazione dei bambini (almeno dai tre anni in poi); ruolo complementare a quello dei catechisti nella catechesi di preparazione alla cresima e alla prima comunione. Così mentre si trasmette la fede ai figli, riscoprono e approfondiscono la fede anche i genitori.

 

i) Le coppie irregolari

Finché rimangono in una situazione oggettivamente in contrasto con il Vangelo, non sono in piena comunione con la chiesa e perciò non possono essere ammesse a ricevere l’Eucaristia, sacramento della comunione non solo spirituale, ma anche visibile. Però continuano a far parte della chiesa e devono partecipare alla Messa, anche se non ricevono l’Eucaristia. La comunità cristiana deve avere per loro un amore rispettoso e premuroso, segno della divina misericordia. Anche se non può affidare loro i ministeri ecclesiali (lettori, catechisti, ministri della comunione ecc.), può comunque inserirli e valorizzarli in varie attività (caritative, culturali, ricreative, organizzative). Soprattutto deve invitarli a fare, con generosità e sacrificio, il bene che sono capaci di fare; ad essere umili e a confidare sempre nella misericordia di Dio; a chiedere a Dio con perseveranza la grazia di poter conoscere e compiere sempre meglio la sua volontà.

Per avviare con loro buoni rapporti può essere opportuno qualche incontro specifico. Occorre anche verificare se ci sono eventuali possibilità di regolarizzare le loro convivenza, per esempio nel caso che il precedente matrimonio religioso sia stato nullo.

 

l) Promozione dell’impegno civile

Le finalità e le regole della convivenza civile hanno una consistenza propria e non si confondono con quelle della vita ecclesiale. Tuttavia i cristiani laici devono impegnarsi a edificare la società in modo che sia coerente con la centralità della persona, le esigenze obiettive dell’autentica umanità, la visione cristiana dell’uomo. La pastorale ha il compito di tener desta la loro responsabilità. Per quanto riguarda la causa della famiglia, è urgente favorire il rafforzamento, anche numerico, e stimolare l’azione coraggiosa, intelligente e perseverante delle Associazioni Familiari di ispirazione cristiana, perché siano più incisive in ambito culturale, sociale e politico. A livello di base occorre incoraggiare le famiglie a entrare nelle Associazioni con la loro adesione.

Con questa indicazione entriamo nel terzo nucleo tematico di particolare attualità nel nostro tempo: la famiglia come risorsa per la società e soggetto di interesse pubblico.

 

4 LA FAMIGLIA NELLA SOCIETÀ CIVILE

a) Scuola di umanità e laboratorio di convivenza.

Giovanni Paolo II ha messo in grande risalto il compito nativo, originale, insostituibile, inalienabile della famiglia nella società (cf. FC 42-46).

Questa cellula fondamentale e vitale, nella misura in cui è animata dall’amore e ben riuscita, alimenta in tutti i suoi membri importanti virtù personali e sociali: fiducia negli altri, giustizia., servizio, laboriosità, cura dei più deboli, gratuità, perdono, reciprocità, dialogo, sincerità, fedeltà, esercizio dell’autorità come servizio, generosa obbedienza, cooperazione, solidarietà, rispetto della natura. In un contesto di democrazia avanzata, di mobilità, di flessibilità del lavoro, la famiglia, come potente fattore di coesione e di sviluppo, appare anche più necessaria.

Dalle indagini sociologiche, realizzate in diversi paesi, risulta che la coppia uomo- donna unita in matrimonio, stabile e duratura, offre molti vantaggi rispetto alle famiglie disgregate o incomplete (monoparentali) e alle convivenze di fatto, ad esempio migliore salute fisica ed equilibrio psichico con minore consumo di sigarette, alcool e droghe; migliore educazione e minore devianza giovanile; migliore frequenza e riuscita scolastica; maggiore successo lavorativo e reddito economico; più lunga aspettativa di vita, meno suicidi e meno violenza; meno abusi sui bambini e meno mortalità infantile..

Viceversa il “non matrimonio” causa molte sofferenze agli uomini, alle donne, ai figli, ai parenti; e ha pesanti costi sanitari, psicologici, etici, giudiziari, economici, demografici, sociali.

A riguardo è significativo che il 97% dei giovani italiani ritenga la stabilità familiare rilevante per le serenità della vita e l’88% desideri il matrimonio religioso o civile.

E’ anche interessante che in Europa si moltiplichino le proposte per sostenere la natalità e la famiglia. Mentre in un recente passato l’attenzione si concentrava sulle pari opportunità di uomini e donne, ora comincia a focalizzarsi sull’interesse dei bambini.

 

b) Sostenere le famiglie

E’ interesse pubblico che le famiglie siano unite e stabili, fondate sul matrimonio, capaci di compiere la loro missione procreativa ed educativa. Esse hanno diritto di ricevere un adeguato sostegno culturale, giuridico, economico. Occorre perciò tutelare la loro identità nei confronti di altre forme di convivenza; agevolare l’accesso alla casa; offrire opportunità di lavoro e assicurare comunque un reddito minimo vitale; incentivare la conciliazione del lavoro con le esigenze della vita familiare; rendere equo e commisurato al carico familiare il prelievo fiscale; favorire i compiti di cura e l’assistenza in casa; prolungare e retribuire in misura adeguata i congedi parentali; provvedere i servizi per l’infanzia; rendere effettiva la libertà di scegliere tra scuola statale e non statale; concedere sconti e agevolazioni alle famiglie numerose; incoraggiare la formazione di reti di famiglie.

I politici, nel fare leggi, programmi e interventi, dovrebbero ascoltare non solo le associazioni che rappresentano i lavoratori e le imprese, ma anche le associazioni che tutelano gli interessi delle famiglie. Le politiche del lavoro e quelle della famiglia sono collegate tra loro e andrebbero pensate insieme.

Da parte loro le associazioni familiari dovrebbero impegnarsi a fondo nel fare pressione sull’opinione pubblica e sui governi, nell’incontrare i parlamentari e partecipare alle audizioni, nell’intervenire ai forum delle ONG. E’ necessario edificare una società amica della famiglia e governata non in prospettiva gender, ma in prospettiva famiglia.

 

c) Sensibilizzare l’opinione pubblica

Essendo la politica fortemente condizionata dall’opinione pubblica, è necessario promuovere e tenere aperto un ampio dibattito culturale sulla positività della famiglia, organizzando eventi straordinari (come il “Family day” a Roma del 12 maggio 2007) e incontri ordinari di formazione a vari livelli, sollecitando la collaborazione dei media, incoraggiando studi e ricerche scientifiche, elaborando proposte perché alla famiglia sia riservata una corsia preferenziale nella società.

Spetta in primo luogo alle associazioni familiari portare avanti questo impegno con decisione, creatività e continuità. Ma anche le istituzioni e comunità ecclesiali possono dare un valido contributo.

A proposito, il Pontificio Consiglio per la Famiglia, in seguito al VI Incontro Mondiale di Città del Messico, sta avviando un progetto di studi e ricerche sociologiche sui benefici, per le persone e per la società, procurati dalle famiglie sane e viceversa i danni procurati dalle famiglie disgregate e incomplete. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, la cultura, la politica e l’economia a sostenere la causa della famiglia. Si spera che il linguaggio dei fatti possa riuscire più persuasivo di quello delle idee. Si dovrebbero percorrere due piste: la raccolta e l’utilizzazione dei dati statistici già esistenti; l’attuazione di nuove indagini appropriate. Si comincerebbe con un piccolo numero di paesi campione, in modo da poter presentare i risultati al VII Incontro Mondiale delle famiglie a Milano nel 2012. Successivamente, se questo primo esperimento avrà successo, l’iniziativa verrebbe estesa a tutti i paesi disponibili ad accoglierla. Sia nella fase preliminare sia in quella successiva la proposta verrà fatta per ogni paese alla rispettiva Conferenza episcopale, che provvederà a scegliere l’istituto scientifico di cui servirsi e si farà carico dei costi finanziari, avvalendosi eventualmente anche di sponsorizzazioni. Un comitato scientifico, che si sta costituendo presso il Pontificio Consiglio per la Famiglia, metterà a punto il progetto e ne accompagnerà la realizzazione, interagendo con tutti i soggetti coinvolti nei vari paesi.

 

5) CONCLUSIONE

Volendo condensare in una formula sintetica il difficile compito del Vescovo e della Chiesa nei confronti della famiglia al momento presente, forse si potrebbero segnalare questi tre orientamenti: promuovere una pastorale per e con le famiglie; ispirare un impegno civile per e con le famiglie; soprattutto pregare per e con le famiglie, perché “se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori” (Sal 127,1).

 

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