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 VIAGGIO APOSTOLICO IN SPAGNA

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA CON GLI EDUCATORI NELLA FEDE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Granada, 5 novembre 1982

 

“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11, 25-26).

1. Desidero, cari fratelli e sorelle, pronunciare con voi queste parole di benedizione che Gesù Cristo rivolge al Padre.

Egli lo benedice perché il Padre è “Signore del cielo e della terra”.

E lo benedice per “il dono della rivelazione”. In un certo senso, la rivelazione è il primo frutto della compiacenza di Dio sugli uomini. Dio, “sin dalla eternità” si è compiaciuto nell’uomo, e per questo nel tempo ha rivelato sé stesso e i piani misericordiosi della sua volontà. Dice il Concilio Vaticano II: “Dio, nella sua Sapienza, dispose di rivelare sé stesso e di far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo Incarnato, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e divengono partecipi della natura divina (cf. Ef 2, 18; 2 Pt 1, 4)” (Dei Verbum, 2).

Voi, “educatori nella fede”, adempite un servizio speciale alla rivelazione divina, prendendo ispirazione da questa eterna compiacenza che risiede in Dio stesso.

Siete allo stesso tempo discepoli e apostoli del Cristo. A Lui, precisamente a Lui, “è stato consegnato tutto” dal Padre (Mt 11, 17). In Lui il Padre ha rivelato tutto quello che doveva essere rivelato alla umanità, a partire dal tesoro dalla sua divina compiacenza: “E nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27).

Cari fratelli e sorelle: il Figlio desidera rivelarvi tutta la verità dell’amore di Dio, affinché voi l’annunciate agli altri uomini, giacché siete educatori nella fede.

2. Uniti in questo amore del Padre, mi trovo oggi con i Pastori di questa regione, con tutti voi che avete in Spagna la missione importantissima di educare nella fede, e con voi che ci accompagnate e siete venuti soprattutto dalle diocesi dell’Andalusia orientale e di Murcia.

Lo scenario stupendo per questo incontro, ce lo offre la città di Granada, uno dei gioielli artistici della Spagna, che evoca avvenimenti trascendentali nella storia della nazione e della sua unità.

Conosco l’antichissima tradizione della fede cristiana di queste chiese, la testimonianza ammirevole dei vostri martiri, la vitalità riflessa già nel Concilio di Elvira, agli inizi del secolo IV.

Quella fede ricevuta nei primi tempi del cristianesimo, continua ad esistere radicata nella vita personale e familiare e nella religiosità popolare della vostra gente, espressa soprattutto nella devozione ai misteri della Passione del Signore, dell’Eucaristia e nell’amore filiale alla Vergine Maria.

Queste terre hanno avuto la fortuna di disporre di eccellenti educatori cristiani che le hanno aiutate a mantenere e fortificare la loro fede. Tra di loro, Hernando di Talavera, il celebre arcivescovo catechista che con grande maestria seppe esporre i misteri cristiani a giudei e musulmani.
E nei tempi recenti avete dato all’educazione nella fede maestri di grande elevatezza come il vescovo di Malaga, Manuel Gonzalez, lo stupendo pedagogo Andres Manjon, fondatore delle scuole e del seminario dei Maestri dell’Ave Maria, e l’insigne padre Poveda, fondatore della benemerita Istituzione Teresiana.

Essi si sono uniti ad altri grandi educatori cristiani provenienti dalle diverse regioni della Spagna; tra di loro ricordiamo sant’Antonio Maria Claret e Daniel LLorente. Figure luminose ed incisive che hanno anticipato il rinnovamento del catechismo avvenuto nei tempi posteriori culminati con l’ultimo Concilio Ecumenico. Figure che continuano ad essere un esempio eloquente per tutti coloro che oggi devono continuare la missione di educare nella fede le nuove generazioni.

3. Questa missione che è un dovere ecclesiale: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16), continua ad avere nei nostri giorni un’importanza trascendentale, per poter condurre i fedeli, - bambini, giovani e adulti -, attraverso le diverse forme di catechesi ed educazione cristiana, al centro della rivelazione: Cristo.

Per questo ho scritto nella mia prima Enciclica: “L’impegno fondamentale della Chiesa in ogni epoca, e particolarmente nella nostra, è quello di indirizzare lo sguardo dell’uomo, orientare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, aiutando tutti gli uomini ad avere familiarità con l’avvenimento profondo della Redenzione compiuta in Cristo Gesù” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 10).

Tale missione non è affatto riservata ai ministri sacri o al mondo religioso, ma deve estendersi ai laici, alla famiglia, alla scuola.

“Ogni cristiano deve partecipare all’impegno della formazione cristiana. Deve sentire l’urgenza di evangelizzare “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me” (1 Cor 9, 16).

Oggi soprattutto questo compito diventa necessario e urgente, affinché si aiuti ogni cristiano a mantenere e sviluppare la sua fede nel contesto delle rapide trasformazioni sociali e culturali che la società spagnola sta sperimentando.

A tale scopo deve essere potenziata l’educazione nella fede tramite una profonda formazione religiosa, che stabilisca una organica concatenazione tra la catechesi infantile, giovanile e degli adulti e che accompagni e promuova la crescita della fede del cristiano durante tutta la vita. Vi è infatti una “minoranza di età” cristiana ed ecclesiale, che non può sopportare gli assalti di una società sempre più secolarizzata.

Per queste ragioni, la catechesi dei giovani e degli adulti deve aiutare a trasformare in convinzioni profonde e personali i sentimenti e le esperienze forse non sufficientemente radicati nell’infanzia. Il compito educativo si realizza così in tutta la sua panoramica e ampiezza al fine di condurre tutti alla novità della vita in Cristo. La fede cristiana, infatti, comporta per il credente una ricerca e accettazione personale della verità, superando la tentazione di vivere nel dubbio sistematico, e sapendo che la sua fede “lungi dal provenire dal nulla o da pure illusioni, da opinioni fallaci o da incertezze, è basata sulla parola di Dio, che non inganna né s’inganna” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 60). Per questo, la catechesi deve dare anche “quelle certezze, semplici ma solide, che aiutano a cercare ogni volta di più e meglio, la conoscenza del Signore” (Ivi.).

Il credente dovrà dunque aprirsi ad una nuova prospettiva che abbracci ed orienti tutta la sua esistenza, e che possa offrirgli col programma cristiano “ragioni per vivere e ragioni per sperare” (Gaudium et Spes, 31). In questa linea, oggi, l’educatore cattolico può trovare il suo posto di onore, orientando il suo sforzo verso una formazione integrale che offra le risposte valide contenute nella Rivelazione sul senso dell’uomo, della storia e del mondo (cf. Sagrada Congregación para la Educación Católica, El laico católico testigo de la fe en la escuela, 28).

4. Quantunque l’educazione cattolica sia un compito che abbraccia tutta la vita, vi sono fasi della crescita del cristiano che richiedono una particolare attenzione, come quelle della iniziazione cristiana, l’adolescenza, la scelta dello stato di vita e altre circostanze di maggior rilievo nella vita personale quali possono essere una crisi religiosa o un’esperienza dolorosa. Sono momenti che dovranno essere seguiti con particolare cura per aiutare la persona che li vive a sentire opportunamente la chiamata di Dio (cf. Mt 11, 28).

Per poter offrire questo aiuto efficace, è necessario e indispensabile che i catechisti e gli educatori vengano formati solidamente, tramite un’adeguata formazione biblica, teologica e antropologica, affinché innanzi tutto vivano loro stessi quella fede, per poter poi catechizzare gli altri con la parola e soprattutto con la professione integra della fede, assunta come stile di vita.

Questo atteggiamento esige, da una parte, la disponibilità totale ad una fede vissuta, e dall’altra, la disponibilità al servizio della fede stessa e degli altri. L’apostolo lo sottolinea così nella lettura che abbiamo ascoltato: “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero” (1 Cor 9, 19). Utilizzando la parola “servo”, San Paolo vuol evidenziare la consegna totale al servizio della fede e di coloro che serve.

Sono ancora più eloquenti queste sue altre parole: “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22).

L’apostolo è un uomo realista; capisce che la sua fatica produce soltanto frutti parziali. Tuttavia egli si dona interamente: “Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor 9, 23).

Infatti, il Vangelo non va semplicemente trasmesso, si deve partecipare ad esso. Chi partecipa di più, trasmette in maniera più matura, e chi più generosamente trasmette, più profondamente partecipa. In definitiva, l’annuncio del Vangelo, il servizio della fede, consiste nell’“avvicinare il Cristo agli uomini e gli uomini al Cristo”. Allora trovano il loro compimento le parole: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11, 28).

5. All’interno del vasto campo dell’educazione nella fede, i vescovi spagnoli, nella loro ultima assemblea plenaria hanno scelto come impegno prioritario il servizio della fede ed in particolare hanno considerato l’importanza della trasmissione del messaggio cristiano per mezzo della catechesi e della educazione scolastica.

È un campo che merita tanta cura pastorale. Non c’è dubbio che la parrocchia deve continuare la sua missione privilegiata di formatrice nella fede: non c’è dubbio che i genitori devono essere i primi catechisti dei loro figli. Questo non significa che si debba tralasciare la trasmissione del messaggio di salvezza tramite l’insegnamento religioso nella scuola privata e pubblica, soprattutto in un Paese in cui la maggioranza dei genitori chiede l’insegnamento religioso per i suoi figli durante il periodo scolastico. Si dovrà impartire l’insegnamento con la dovuta discrezione, col pieno rispetto della giusta libertà di coscienza, ma rispettando contemporaneamente il diritto fondamentale dei genitori, i primi responsabili dell’educazione dei lori figli (Giovanni Paolo II, Allocutio ad quosdam Hispaniae sacros praesules occasione oblata ad Limina visitationis coram admissos habita, die 2 febr. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 [1982] 280 ss).

Da parte loro, i professori e i maestri cattolici possono avere anche nel campo religioso, un ruolo di primaria importanza. In loro confidano tanti genitori ed anche la Chiesa, per ottenere questa educazione integrale dell’infanzia e della gioventù, da cui in definitiva dipende che il mondo futuro sia più o meno vicino a Gesù Cristo (cf. Sagrada Congregación para la Educación Católica, El laico católico testigo de la fe en la escuela, 81).

6. “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Queste parole hanno aperto il nostro incontro.

E nel corso di esso è stata sempre presente nella nostra mente la figura di un ampio e importantissimo settore degli educandi nella fede: i bambini. A loro voglio riferirmi ora in maniera diretta.

Voi, cari bambini e bambine di Spagna, siete i primi a conoscere tante cose della Rivelazione che si celano ai più grandi. Siete per questo i prediletti di Gesù. In voi, i piccoli, Egli lodò il Padre perché vi ha fatto partecipi di verità e di esperienze che restano nascoste ai sapienti. Davanti alla vostra bontà, semplicità e sincerità e amore per tutti, Egli proclamava: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli” (Mt 19, 14). La vostra innocenza e assenza del male ha fatto anche dire a Gesù che: “se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 19, 3).

Mentre vi parla da Granada, durante questo incontro dedicato all’educazione nella fede, il Papa vuol dirvi che vi tiene tanto presenti nella sua mente e nel suo cuore; e vuole raccomandarvi che prendiate con tanto impegno la vostra formazione catechistica, tanto nella parrocchia, come nella scuola o collegio e nella istruzione religiosa ricevuta dai vostri genitori. Così, poco a poco, imparerete a conoscere e amare Gesù e a rivolgervi quotidianamente a di Lui con le preghiere, ad invocare la nostra Madre del cielo, la Vergine Maria, a comportarvi bene in ogni momento per rendervi graditi a Dio che ci contempla sempre con sguardo amoroso di Padre.

Io prego per voi, vi mando un abbraccio e una benedizione come amico dei bambini e vi chiedo che preghiate anche per me. Vero che lo farete?

7. Cari educatori nella fede, dinanzi a questo panorama così stupendo di un mondo da catechizzare per avvicinarlo a Cristo, davanti a tanti adulti, giovani e bambini, che richiedono una consegna fedele alla causa del Vangelo, “con quale vigore e convinzione” risuonano in questo incontro le parole dell’Apostolo: “Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me.

Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 6). Mi auguro che queste parole siano incise profondamente nei vostri cuori, cari fratelli e sorelle.

L’Apostolo continua: “Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato” (1 Cor 9, 17).

Infatti, si tratta di un incarico affidato ad amministratori.

Ricordate questa espressione: “Dispensatori della Rivelazione divina”. Giacché questa rivelazione prende spunto della compiacenza di Dio verso gli uomini, allora, indirettamente voi siete anche “dispensatori” di quella compiacenza, di quell’“amore eterno”.

Dovrete pregare e sforzarvi affinché i vostri discepoli nella fede accettino da voi non soltanto la parola della verità rivelata, ma anche quell’amore dal quale nasce la Rivelazione e che in essa si esprime e realizza.

Per questo l’apostolo scrive poi a coloro che prestano il servizio di dispensatori: “Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritto conferitomi dal Vangelo” (1 Cor 9, 18). Perché il Vangelo vi attribuisce il diritto al sostentamento, se il servizio spirituale occupa tutto il vostro tempo e assorbe tutte le vostre energie. Senza dubbio, la ricompensa maggiore, secondo l’apostolo consiste nel “poter annunciare il Vangelo”. Poter essere dispensatori delle parole e dell’amore di Dio, essere collaboratori e apostoli di Gesù Cristo.

“Guai a me se non predicassi il Vangelo!”.

Cari educatori nella fede: Che il Cristo sia “la ricompensa” per le vostre fatiche, compiute con disinteresse e magnanimità in tutte le chiese di Spagna. Che questa fatica produca raccolti di cento per uno. Questo chiedo alla Vergine delle Angustie, patrona di Granada.

 

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