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VISITA PASTORALE IN AUSTRIA

SANTA MESSA NELLA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Aeroporto di Eisenstadt-Trausdorf - Venerdì, 24 giugno 1988

 

Carissimi fratelli e sorelle!

1. “Signore, tu mi scruti e mi conosci . . ., Ti sono note tutte le mie vie” (Sal 139 [138], 1-2).

Così preghiamo assieme al salmista nella liturgia odierna. Le sue parole esprimono quanto qui ci unisce profondamente, in modo invisibile, è vero, ma vero ed essenziale: siamo qui riuniti nella comune fede in Dio presente, in Dio che ci scruta e ci conosce. Dio sa tutto di noi da sempre, conosce ciascuno di noi, siamo tutti iscritti nel suo cuore amorevole, la sua Provvidenza abbraccia l’intero creato. “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28): così l’apostolo Paolo spiega agli ateniesi, che lo interrogavano nell’Areopago, la vicinanza di Dio a noi uomini.

Siamo riuniti qui davanti a lui - davanti al Dio invisibile. Nella sua parola eterna, il Figlio incarnato, egli ci ha chiamati per nome, perché abbiamo la vita attraverso di lui e l’abbiamo in abbondanza (Gv 10, 10).

Per questo celebriamo l’Eucaristia. Veniamo per ricevere dal Padre in Gesù Cristo tutto ciò che può servire alla nostra salvezza. E portiamo tutto: la nostra gioia, la nostra gratitudine, le nostre preghiere, noi stessi, per donarci interamente al Padre in Cristo: in lui, che è il primogenito di tutta la creazione (cf. Col 1, 15). In e attraverso Cristo vogliamo pregare il nostro creatore e Padre assieme al salmista: “Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere” (Sal 139 [138], 14).

2. Con gioia riconoscente saluto Eisenstadt, sede della vostra diocesi, che grazie alla cortesia del vostro Vescovo ho potuto visitare già anni or sono. Saluto di cuore monsignor Stefan Làszlò e lo ringrazio per i molti anni di fraterna amicizia e di solidarietà, dal Concilio fino ad oggi. Ricordo con piacere i nostri incontri a Cracovia ed a Roma. Sono contento di poter essere nuovamente suo ospite.

Di cuore saluto tutti voi presenti, Cardinali, Vescovi, sacerdoti e religiosi, tutti i fedeli della diocesi di Eisenstadt e delle diocesi limitrofe austriache, e in modo particolare i numerosi ospiti venuti dall’Ungheria e dalla Croazia in Jugoslavia. Attraverso voi il nostro saluto benedicente va a tutti i fratelli e le sorelle nella fede nelle vostre terre d’origine, con i quali oggi ci sentiamo intimamente uniti nell’unica Chiesa di Gesù Cristo al di la di ogni frontiera.

3. “Signore, tu mi scruti e mi conosci”. La Chiesa ripete queste parole del salmista nella odierna liturgia festiva, nella ricorrenza della natività di Giovanni il Battista, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. “Fin dal grembo materno” Dio lo ha chiamato per predicare “il battesimo della conversione” nel Giordano e per preparare la venuta di suo Figlio (cf. Mc 1, 4).

Le particolari circostanze della nascita di Giovanni ci sono state tramandate dall’evangelista Luca. Secondo un’antica tradizione, essa avvenne ad Ain-Karim, davanti alle porte di Gerusalemme. Le circostanze che accompagnarono questa nascita erano tanto inconsuete, che già a quell’epoca la gente si domandava: “Che sarà mai questo bambino?” (Lc 1, 66). Per i suoi genitori credenti, per i vicini e per i parenti era evidente, che la sua nascita fosse un segno di Dio. Essi vedevano chiaramente che la “mano del Signore” era su di lui. Lo dimostrava già l’annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, mentre questi provvedeva al servizio sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. La madre, Elisabetta, era già avanti negli anni e si riteneva fosse sterile. Anche il nome “Giovanni” che gli fu dato era inconsueto per il suo ambiente. Il padre stesso dovette dare ordine che fosse chiamato “Giovanni” e non, come tutti gli altri volevano,“Zaccaria” (cf. Lc 1, 59-63).

Il nome Giovanni significa, in lingua ebraica “Dio è misericordioso”. Così già nel nome si esprime il fatto che il neonato un giorno annuncerà il piano di salvezza di Dio.

Il futuro avrebbe pienamente confermato le predizioni e gli avvenimenti che circondarono la sua nascita: Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, divenne la “voce di uno che grida nel deserto” (Mt 3, 3), che sulle rive del Giordano chiamava la gente alla penitenza e preparava la via a Cristo.

Cristo stesso ha detto di Giovanni il Battista che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande” (cf. Mt 11, 11). Per questo anche la Chiesa ha riservato a questo grande messaggero di Dio una venerazione particolare, fin dall’inizio. Espressione di questa venerazione è la festa odierna.

4. Cari fratelli e sorelle! Questa celebrazione, con i suoi testi liturgici, ci invita a riflettere sulla questione del divenire dell’uomo, delle sue origini e della sua destinazione. È vero, ci sembra di sapere già molto su questo argomento, sia per la lunga esperienza dell’umanità, sia per le sempre più approfondite ricerche biomediche. Ma è la parola di Dio che ristabilisce sempre di nuovo la dimensione essenziale della verità sull’uomo: l’uomo è creato da Dio e da Dio voluto a sua immagine e somiglianza. Nessuna scienza puramente umana può dimostrare questa verità. Al massimo essa può avvicinarsi a questa verità o supporre intuitivamente la verità su questo “essere sconosciuto” che è l’uomo fin dal momento del suo concepimento nel grembo materno.

Allo stesso tempo però ci troviamo ad essere testimoni di come, in nome di una presunta scienza, l’uomo venga “ridotto” in un drammatico processo e rappresentato in una triste semplificazione; e così accade che si adombrino anche quei diritti che si fondano sulla dignità della sua persona, che lo distingue da tutte le altre creature del mondo visibile. Quelle parole del libro della Genesi, che parlano dell’uomo come della creatura creata ad immagine e somiglianza di Dio, mettono in rilievo, in modo conciso e al tempo stesso profondo, la piena verità su di lui.

5. Questa verità sull’uomo possiamo apprenderla anche dalla liturgia odierna, in cui la Chiesa prega Dio, il creatore, con le parole del salmista:

“Signore, tu mi scruti e mi conosci . . .
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre . . .
tu mi conosci fino in fondo.
Quando venivo formato nel segreto . . .
non ti erano nascoste le mie ossa . . .
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 139 [138], 1. 13-15).

L’uomo quindi è consapevole di ciò che è - di ciò che è fin dall’inizio, fin dal grembo materno. Egli sa di essere una creatura che Dio vuole incontrare e con la quale vuole dialogare. Di più: nell’uomo vorrebbe incontrare l’intero creato.

Per Dio, l’uomo è un “qualcuno”: unico ed irripetibile. Egli, come dice il Concilio Vaticano II, “in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” (cf. Gaudium et Spes, 24).

“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1); come il nome del bambino che è nato in Ain-Karim: “Giovanni”. L’uomo è quell’essere, che Dio chiama per nome. Per Iddio egli è il “tu” creato, Tra tutte le creature egli è quell’“io” personale, che può rivolgersi a Dio e chiamarlo per nome. Dio vuole nell’uomo quel partner che si rivolga a lui come al proprio creatore e Padre: “Tu, mio Signore e mio Dio”. Al “tu” divino.

6. Cari fratelli e sorelle! Come rispondiamo noi uomini a questa chiamata di Dio? Come intende l’uomo di oggi la sua vita? In nessuna altra epoca sono stati compiuti tanti sforzi mediante la tecnica e la medicina, per salvaguardare la vita umana contro la malattia, per prolungarla sempre più e per salvarla dalla morte. Allo stesso tempo, però, nessun’altra epoca, come la nostra, ha prodotto tanti luoghi e tanti metodi di disprezzo e di distruzione dell’uomo. Le amare esperienze del nostro secolo con le macchine di morte di due guerre mondiali, la persecuzione e la distruzione di interi gruppi di uomini a causa della loro appartenenza etnica o religiosa, la corsa agli armamenti atomici fino all’estremo limite, l’impotenza degli uomini di fronte alle grandi miserie in molte parti della terra potrebbero indurci a dubitare, se non addirittura a rinnegare, l’affetto e l’amore che Dio ha per l’uomo e per l’intero creato.

O non sarà piuttosto il caso di porci la domanda al contrario, quando consideriamo i terribili eventi che a causa degli uomini si sono abbattuti sul mondo e di fronte alle molteplici minacce del nostro tempo: non è l’uomo che si è allontanato da Dio, che è la sua origine, non si è forse discostato da lui, e non ha forse innalzato se stesso a centro e metro della propria vita? Non credete che negli esperimenti che si conducono sull’uomo, esperimenti che contraddicono la sua dignità, nell’atteggiamento mentale di molti verso l’aborto e l’eutanasia si esprima una preoccupante perdita del rispetto della vita? Non è forse evidente, anche nella vostra società, quando si guarda alla vita di molti - caratterizzata da vuoto interiore, paura e fuga - che l’uomo stesso ha reciso le proprie radici? Il sesso, l’alcol e la droga non debbono forse intendersi come segnali di allarme? Non indicano, forse, una grande solitudine dell’uomo odierno, un desiderio di cure, una fame di amore che un mondo ripiegato su se stesso non riesce a quietare?

In effetti, quando l’uomo non è più legato alla sua radice, che è Dio, egli si impoverisce di valori interiori e pian piano diventa succube di diverse minacce. La storia ci insegna che uomini e popoli che credono di poter esistere senza Dio sono immancabilmente destinati alla catastrofe dell’autodistruzione. Il poeta Ernst Wiechert lo ha espresso in questa frase: “Siate pur certi che nessuno cadrà fuori da questo mondo, che prima non sia caduto fuori da Dio”.

Al contrario, da un rapporto vivo con Dio l’uomo acquisisce la consapevolezza della unicità e del valore della propria vita e della propria coscienza personale. Nella sua vita vissuta concretamente egli sa di essere chiamato, sorretto e spronato da Dio. Nonostante le ingiustizie e le sofferenze personali egli comprende che la sua vita è un dono; egli ne è grato e sa di esserne responsabile davanti a Dio. In questo modo, Dio diventa per l’uomo fonte di forza e di fiducia, e a questa fonte l’uomo può rendere la sua vita degna e sa anche metterla generosamente al servizio dei fratelli.

7. Dio ha chiamato Giovanni il Battista già “nel grembo materno” perché divenisse “la voce di uno che grida nel deserto” e preparasse quindi la via a suo Figlio. In modo molto simile, Dio ha “posto la sua mano” anche su ciascuno di noi. Per ciascuno di noi ha una chiamata particolare, a ciascuno di noi viene affidato un compito pensato da lui per noi.

In ciascuna chiamata, che può giungerci nel modo più diverso, si avverte quella voce divina, che allora parlò attraverso Giovanni: “Preparate la via del Signore!” (Mt 3, 3).

Ogni uomo dovrebbe domandarsi in che modo può contribuire nell’ambito del proprio lavoro e della propria posizione, ad aprire a Dio la via in questo mondo. Tutte le volte che ci apriamo alla chiamata di Dio, prepariamo, come Giovanni, la via del Signore tra gli uomini. Tra tutti quegli uomini e quelle donne che nell’arco della storia si sono aperti in maniera esemplare all’opera di Dio vorrei parlare di san Martino. Se anche i secoli ci separano da lui, egli ci è vicino nella sequela di Cristo attraverso il suo esempio e la sua grandezza che non ha età. Egli è il vostro patrono diocesano e regionale. Egli è venerato come il grande santo di tutta la regione della Pannonia: “Martinus natus Savariae in Pannonia”.

Martino sta davanti a noi come uomo, che ha dato confidenza a Dio, che ha capito e praticato il suo “sì alla fede” come un “sì alla vita”. Ha compiuto ciò a cui si sentiva chiamato fino all’ultima conseguenza. Ancor prima di diventare cristiano, divise con i poveri il suo mantello. La vita militare gli dava certamente delle soddisfazioni, ma non gli bastavano. Come ogni uomo, era alla ricerca di una gioia duratura, di una gioia che nulla può distruggere. Solo in età più matura incontrò Gesù Cristo nella fede, e in lui ha trovato la pienezza della gioia e la felicità. Attraverso la fede, Martino non è diventato più povero, ma più ricco: è cresciuto nella sua umanità, è cresciuto nella grazia davanti a Dio ed agli uomini.

8. Affinché questa verità - che l’uomo trova la sua completezza e la sua vera salvezza solo in Dio - possa essere sempre annunciata, sono necessari sacerdoti e religiosi. Perciò, siate consapevoli della vostra corresponsabilità nel risvegliare vocazioni spirituali. Ho saputo con gioia che tra qualche giorno sei sacerdoti saranno ordinati nella vostra diocesi. È un grande dono per la Chiesa e per la vostra patria. Non cessate di pregare affinché il Signore mandi operai alla sua messe!

In modo particolare mi rivolgo ai giovani, che sono il futuro del vostro Paese e della Chiesa. Cercate di capire, cari giovani amici, cosa Dio vuole da voi. Siate aperti alla sua chiamata! Ascoltate attentamente perché potrebbe invitare anche voi a seguire Cristo come sacerdoti, religiose o religiosi qui, nella vostra patria, oppure in terra di missione.

Prego voi tutti: qualunque strada decidiate di prendere, lasciate che il seme della Parola di Dio cada nei solchi del vostro cuore; una volta lì, non lasciatelo seccare, ma curatelo affinché possa germogliare e portare ricchi frutti.

Dite “sì alla fede”, dite “sì alla vita”, perché Dio la vive insieme con voi! Insieme a lui la vostra vita diventerà un’avventura: sarà bella, ricca e piena!

9. Cari cristiani della diocesi di Eisenstadt!

Nello spirito di san Martino voi oltrepassate anche le frontiere della vostra diocesi. Il vostro Vescovo ricorda costantemente la sua funzione di ponte nei confronti dei popoli dell’Europa dell’Est. Voi siete pronti a mantenere contatti con loro ed a condividere con loro, sia sul piano materiale che su quello spirituale. I molti ospiti provenienti dai Paesi confinanti ne sono una continua testimonianza.

Allo stesso modo prendete atto della vostra responsabilità nei confronti della Chiesa universale ed in particolare di quelle Chiese locali che vivono in condizioni di miseria e povertà materiali. So che quasi in ogni punto della terra sostenete, secondo le vostre forze, un programma di aiuti e che mantenete continui scambi con le vostre diocesi gemelle in Africa e in India. Aiutate i vostri missionari, le religiose ed i promotori dello sviluppo in molte parti del mondo. Ho saputo anche che in occasione della mia visita avete raccolto una generosa donazione nella vostra diocesi con la quale intendete sostenere la casa per i senzatetto sorta in Vaticano per i poveri di Roma e affidata a Madre Teresa. Per questo gesto e per ogni aiuto che darete a chi è sofferente vi ringrazio di cuore e vi incoraggio a continuare ad agire in modo esemplare nello spirito del patrono della vostra diocesi, san Martino.

10. “Preparate la via al Signore . . . perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (cf. Is 49, 6). Quando noi, cari fratelli e sorelle, guardiamo alla nostra vocazione di cristiani, che attraverso il Battesimo siamo diventati un solo corpo con Cristo, allora queste parole del Signore, pronunciate per bocca del profeta Isaia - dall’avvento della storia della salvezza prima della prima venuta di Cristo - acquistano per noi, alla fine del secondo millennio dalla nascita di Cristo, un significato particolare. Ci troviamo infatti, soprattutto qui, nel vecchio continente, in un “nuovo avvento” della storia universale. Non dobbiamo forse far sì che la “salvezza” che ci ha donato Cristo giunga di nuovo fino alle frontiere più estreme dell’Europa?

Tutti sentiamo di avere molto bisogno di un rinnovamento, di un nuovo incontro con Dio. Rinnovamento, conversione ed incontro con Dio, alle sorgenti della fede, meditazione sulla fede integrale: questo è l’appello che ci lancia l’odierna festività della nascita di Giovanni il Battista e questo è lo sprone che ci dà anche l’esempio di san Martino.

Tutti conosciamo il bisogno di rinnovamento della nostra società, della rievangelizzazione del nostro continente: affinché l’uomo europeo non perda il senso della sua dignità fondamentale; affinché non diventi vittima delle forze distruttrici della morte spirituale, ma anzi abbia la vita e l’abbia in abbondanza (cf. Gv 10, 10)!

11. Con grande gioia vorrei ora rivolgere una breve parola di saluto ai nostri fratelli e sorelle presenti provenienti dall’Ungheria e dalla Croazia, nella loro rispettiva lingua madre.

Cari fratelli cristiani di lingua ungherese! Di cuore ripeto ancora una volta il mio saluto di benvenuto già espresso all’arrivo. Il mio saluto fraterno si rivolge in particolar modo ai Vescovi ungheresi con l’Arcivescovo di Esztergom e Primate di Ungheria, monsignor Làszlò Paskai, che fra pochi giorni sarà insignito da me della dignità cardinalizia, ed a tutti i sacerdoti e religiosi. Saluto tutti i fedeli di lingua ungherese della diocesi di Eisenstadt e coloro che dall’Ungheria - e fra loro ci sono molti profughi della Transilvania - e da ogni altro luogo sono giunti qui numerosi, per incontrarsi con il successore di Pietro e partecipare a questa Messa.

L’incontro con voi mi dona una grande gioia spirituale. Attraverso voi saluto l’intera Chiesa e l’intera nazione ungherese. La storia del vostro popolo è strettamente legata a quella della fede cristiana. L’amore per Cristo e per sua madre Maria sono radicati profondamente nel cuore dei vostri antenati. Ed è lo stesso amore che muove anche voi. Per tale motivo siete qui convenuti e per tale motivo continuate a percorrere come pellegrini la strada che conduce a Mariazell e ad altri luoghi della devozione mariana.

Con affetto particolare partecipo alle celebrazioni del Giubileo che proprio quest’anno vi richiama alla memoria il vostro re santo Stefano. La sua profonda fede e la sua dedizione verso i propri simili possa essere per voi modello e stimolo. Un grande testimone della fede del nostro tempo è il servo di Dio Ladislaus Batthyany, per la cui beatificazione voi sollecitate da tempo Roma.

In quest’anno dedicato alla Madre di Dio, desidero affidarvi le parole con le quali Maria durante le nozze di Cana si riferisce al proprio Figlio: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 5) e desidero che voi le portiate nella vostra patria e nella vita di tutti i giorni. Se voi vi atterrete a queste parole, allora vi metterete già sulla giusta strada. Nell’oscurità e nell’insicurezza esse sono la direzione e l’orientamento. Possano Maria, patrona d’Ungheria, ed il vostro santo re Stefano essere intercessori presso il Signore per voi ed i vostri cari, per la vostra Chiesa e per l’intero popolo ungherese, affinché conserviate fedelmente la fede cristiana vivendola e testimoniandola come veri discepoli di Gesù Cristo.

Saluto i cari fedeli di lingua croata di Gradisce e tutti i croati che sono venuti a questa celebrazione Eucaristica a Gradisce con i loro Vescovi sotto la guida del Cardinale Franjo Kuharic. La storia della cultura croata e la storia della lingua croata a Gradisce sono strettamente legate alla fede cattolica. Preziosi frutti sono scaturiti da questo legame. Ricordo soltanto come esempio la persona e l’opera del sacerdote e poeta Mato Mersic Miloradic, il quale fu nello stesso tempo ottimo sacerdote e maestro della lingua croata.

Durante i secoli è stata la fede cattolica l’anima della vostra cultura. Vorrei che questo avvenga anche in futuro.

Le prime preghiere che avete sentito ed imparato erano in lingua croata, lingua dei vostri antenati. Le prime canzoni spirituali erano ugualmente in questa bella lingua. Conservate la fede dei vostri antenati. Non abbiate vergogna di questa fede. Conservate e sviluppate la cultura dei vostri padri.

Infine un saluto speciale ai croati della madre patria, qui convenuti assai numerosi ed a quelli che vivono all’estero. So che con non pochi sacrifici siete venuti a questo incontro con il Papa. A voi e a tutti i vostri nella cara Croazia, a voi che siete tanto fedeli al Vicario di Cristo, la mia apostolica benedizione.

Sia lodato Gesù e Maria!

 

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