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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

ASSEMBLEA SPECIALE
PER IL MEDIO ORIENTE
DEL SINODO DEI VESCOVI
10-24 OTTOBRE 2010

La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente:
Comunione e testimonianza.
"La moltitudine di coloro che erano diventati credenti
aveva un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32)


Questo Bollettino è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico.
Le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

06 - 12.10.2010

SOMMARIO

- TERZA CONGREGAZIONE GENERALE (MARTEDÌ, 12 OTTOBRE 2010 - ANTEMERIDIANO)
- AVVISI

TERZA CONGREGAZIONE GENERALE (MARTEDÌ, 12 OTTOBRE 2010 - ANTEMERIDIANO)

- VOTAZIONE PER LA COMMISSIONE PER IL MESSAGGIO
- INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Alle ore 09.00 di oggi martedì 12 ottobre 2010, alla presenza del Santo Padre, con il canto dell’Ora Terza, ha avuto luogo la Terza Congregazione Generale, per la Votazione per la Commissione per il Messaggio e per la continuazione degli interventi dei Padri sinodali in Aula sul tema sinodale La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32).

Presidente Delegato di turno S. B. Ignace Youssif III YOUNAN, Patriarca di Antiochia dei Siri (LIBANO).

A questa Congregazione Generale, che si è conclusa alle ore 12.30 con la preghiera dell’Angelus Domini, erano presenti 165 Padri.

VOTAZIONE PER LA COMMISSIONE PER IL MESSAGGIO

Dopo l’intervallo ha avuto luogo la prima votazione per l’elezione dei membri della Commissio­ne per la redazione del Messaggio, presieduta per nomina pontificia da S. E. R. Mons. Cyrille Salim BUSTROS, S.M.S.P., Arcivescovo di Newton dei Greco-Melkiti (STATI UNITI D'AMERICA) e Vice Presidente S. E. R. Mons. William Hanna SHOMALI, Vescovo titolare di Lidda, Vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini (GERUSALEMME).

Il Messaggio al popolo di Dio

Nelle Assemblee sinodali si è affermata la consuetudine di pubblicare un Messaggio (Nuntius) indirizzato al popolo di Dio, con particolare riferimento alle categorie di persone coinvolte direttamente nell'argomento del Sinodo. Il Nuntius, di genere pastorale, ha la finalità di incoraggiare il popolo di Dio a rispondere fedelmente alla sua speciale vocazione, nonché di lodarlo per gli sforzi già fatti. Alla fine della prima settimana dovrà essere presentata all'Assem­blea una prima bozza del Messaggio per una discussione generale. Dopo aver raccolto le osservazioni dell'Assemblea, la Commissione preparerà un progetto definitivo che sarà sottomesso all'approvazione dell'Assem­blea. Il testo definitivo del Messaggio sarà pubblicato alla chiusura dei lavori sinodali. Le due redazioni dovranno essere preparate in arabo, francese, inglese e italiano.

Composizione della Commissione per la redazione del Messaggio

La Commissione per la redazione del Messaggio che sarà pubblicato al termine dei lavori sinodali, ottenuto il voto dei Padri sinodali, sarà composta da 12 membri, dei quali 8 eletti dall'Assemblea (1 per ciascuna delle Chiese rappresentate nel Consiglio dei Patriarchi del Medio Oriente e 1 dell'Unione dei Superiori Generali) e 4, compresi il Presidente e il Vice-Presidente, nominati dal Santo Padre.
Circa la costituzione della Commissione, composta esclusivamente da Padri sinodali, si terrà conto dei seguenti criteri: appartenenza ecclesiale (diversa nazionalità e lingua); sensibilità ecclesiale e culturale; specifica competenza richiesta; capacità di elaborazione e di redazione; capacità di lavoro in gruppo.
Le funzioni del Presidente di questa Commissione sono le seguenti: convocare e presiedere le riunioni della Commissione quando fosse necessario; presentare in seduta plenaria un primo progetto di redazione del Messaggio affinché possa essere discusso dai Padri sinodali; costituire sottocommissioni o gruppi di lavoro per perfezionare la prima stesura del Messaggio; provvedere che il testo sia disponibile nelle varie lingue adottate nell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente, sia per la stesura iniziale sia per la redazione finale; presentare all'Assemblea il testo definitivo del Messaggio per il voto. Ciò potrà essere fatto direttamente dal Presidente, dal Vice Presidente o da uno dei suoi Membri designato dal Presidente; presentare il Messaggio durante una Conferenza Stampa.
La votazione in forma elettronica

La votazione per la Commissione per la redazione del Messaggio si è svolta in forma elettronica.

Per la votazione in forma elettronica, i Padri sinodali adoperano un dispositivo - usato anche per il conteggio delle presenze - con cui possono essere effettuati due tipi di votazione: la votazione semplice e la votazione multipla.

Votazione semplice. Quando si vota per una sola mozione in cui si richiede un consenso si usano i tasti “PLACET”, “NON PLACET”, “ABSTINEO” o “PLACET IUXTA MODUM”. Una volta effettuata la scelta, si conferma con il tasto verde “CONFIRMO”.

Votazione multipla. Quando una votazione richiede una preferenza tra più mozioni, si usano i tasti numerici premendo il tasto numerico corrispondente alla scelta e si conferma con il tasto “CONFIRMO”. In caso di errore di digitazione, appare sul display la scritta “NoValido” sul display.

In caso di errore di digitazione, o se si voglia cambiare la scelta effettuata, si preme un tasto rosso “DELEO”, si digita di nuovo la scelta e si conferma con il tasto verde “CONFIRMO”. Questa operazione si può ripetere fino a quando il Presidente deciderà che il tempo a disposizione è scaduto.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Sono intervenuti i seguenti Padri:

- S. Em. R. Card. Angelo SODANO, Decano del Collegio Cardinalizio (CITTÀ DEL VATICANO)
- S. Em. R. Card. Zenon GROCHOLEWSKI, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica (CITTÀ DEL VATICANO)
- S. E. R. Mons. 'Ad ABIKARAM, Vescovo di Saint Maron of Sydney dei Maroniti (AUSTRALIA)
- Rev. P. David NEUHAUS, S.I., Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei Latini per la pastorale dei cattolici di lingua ebraica (GERUSALEMME)
- S. E. R. Mons. Louis SAKO, Arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Amministratore Patriarcale di Sulaimaniya dei Caldei (IRAQ)
- S. E. R. Mons. Shlemon WARDUNI, Vescovo titolare di Anbar dei Caldei, Vescovo di Curia di Babilonia dei Caldei (IRAQ)
- S. E. R. Mons. Antonios Aziz MINA, Vescovo di Guizeh dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)
- S. E. R. Mons. Maroun Elias LAHHAM, Vescovo di Tunisi (TUNISIA)
- S. E. R. Mons. Samir NASSAR, Arcivescovo di Damasco dei Maroniti
- S. E. R. Mons. Youssef BÉCHARA, Arcivescovo di Antélias dei Maroniti (LIBANO)
- Rev. Mons. Raphaël François MINASSIAN, Esarca Patriarcale del Patriarcato di Cilicia degli Armeni (GERUSALEMME)
- S. E. R. Mons. Salim SAYEGH, Vescovo titolare di Acque di Proconsolare, Vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, Vicario Patriarcale di Gerusalemme dei Latini per la Giordania (GERUSALEMME)
- S. E. R. Mons. Georges BACOUNI, Arcivescovo di Tiro dei Greco-Melkiti (LIBANO)
- Rev. P. Mauro JÖHRI, O.F.M. Cap., Ministro Generale dell'Ordine Francescano Frati Minori Cappuccini (ITALIA)
- S. E. R. Mons. Jean Benjamin SLEIMAN, O.C.D., Arcivescovo di Baghdad dei Latini (IRAQ)
- S. E. R. Mons. Vincent LANDEL, S.C.I. di Béth., Arcivescovo di Rabat (MAROCCO)
- S. E. R. Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Gibuti (GIBUTI)
- Archimandrita Robert L. STERN, Segretario Generale della "Catholic Near East Welfare Association" (C.N.E.W.A.) (STATI UNITI D'AMERICA)
- S. E. R. Mons. Vartan Waldir BOGHOSSIAN, S.D.B., Vescovo di San Gregorio di Narek in Buenos Aires degli Armeni, Esarca Apostolico per i fedeli di rito armeno residenti in America Latina e Messico (AMERICA LATINA E MESSICO)
- S. E. R. Mons. Paul Youssef MATAR, Arcivescovo di Beirut dei Maroniti (LIBANO)
- S. Em. R. Card. Stanisław RYŁKO, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici (CITTÀ DEL VATICANO)
- Rev. P. Ab. Semaan ABOU ABDOU, O.M.M., Superiore Generale dell'Ordine Maronita Mariamita (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

- S. Em. R. Card. Angelo SODANO, Decano del Collegio Cardinalizio (CITTÀ DEL VATICANO)

Una prima esigenza

Volgendo ora lo sguardo all'attuale Assemblea, vorrei subito dire che concordo pienamente con quanto è scritto nel nostro "Instrumentum laboris" e cioè che la comunione ecclesiale è la prima esigenza che i cristiani devono sentire nell' attuale complessa realtà del Medio Oriente. Tale unità è poi anche la prima testimonianza che Pastori e fedeli possono fornire alla società in cui vivono, ci si trovi a Cipro o in Kuwait, in Turchia o in Egitto, in una società ove la presenza cristiana è minima come in alcuni Paesi della Penisola Arabica o è molto importante come in Libano.

Le dure prove del momento possono anzi diventare uno stimolo a maggiore coesione fra le varie comunità cristiane, superando anche il confessionalismo in ciò che ha di angusto e limitato. I cristiani, infatti, sono prima di tutto membri dello stesso Corpo Mistico di Cristo. Prima delle differenze di lingua, di nazione, di appartenenze a riti diversi, c'è, infatti, l'appartenenza all'unica Chiesa di Cristo e quindi c'è il dovere d'una stretta collaborazione e di uno stile di vita caritatevole e fraterno.

Già di fronte al diffondersi del Cristianesimo in Medio Oriente, l'anonimo autore della lettera a Diogneto descriveva l'identità dei cristiani come "coloro che non si differenziano dagli altri uomini né per territorio né per lingua o abiti ... che non parlano un linguaggio inusitato ... mostrano il carattere mirabile e straordinario del loro sistema di vita" (Lettera a Diogneto, n. 5).

Ricordo che sull'argomento dell'unità dei cristiani e della loro solidale apertura verso gli altri insistette molto il compianto Papa Giovanni Paolo II nel Sinodo per il Libano, nel 1995. Egli poi dedicò a tale riguardo alcune direttive importanti nell'Esortazione Apostolica post-sinodale del 1997, ricordandoci che tutte le diverse comunità cristiane formano un'unica e medesima Chiesa cattolica unita intorno al Successore di Pietro e votata al servizio dell 'umanità (Esortazione post-sinodale "Une espérance nouvelle" n. 8).

L'unità ecclesiale

Talora le discussioni nelle nostre comunità nascono anche da diversi atteggiamenti pastorali, fra l'uno che preferisce privilegiare la custodia dell' eredità del passato e l'altro che richiama maggiormente alla necessità del rinnovamento. Sappiamo però che, alla fine, occorrerà sempre tener presente il criterio datoci da Gesù, il criterio del "nova et vetera" (Mt 13,52), e cioè del nuovo e del vecchio da estrarre dal tesoro della Chiesa.

Lo ricordava pure recentemente il nostro amato Santo Padre Benedetto XVI, parlando ad un gruppo di Vescovi di recente nomina, dicendo loro: " Il concetto di custodire non vuole dire soltanto conservare ciò che è stato stabilito - benché tale elemento non debba mai mancare, - ma richiede nella sua essenza anche l'aspetto dinamico, cioè una concreta tendenza al perfezionamento, in piena armonia e continuo adeguamento delle esigenze nuove sorte dallo sviluppo e del progresso di quell 'organismo vivente che è la comunità" (L'Osservatore Romano, 13-14 settembre 2010).

Ovviamente, l'unità fra Pastori e fedeli in Medio Oriente comporta poi una stretta unità con la Chiesa di Roma, ove la Provvidenza ha guidato l'Apostolo Pietro a porre la sua sede. Al riguardo chi non ricorda quanto scriveva alla Chiesa di Roma il grande Vescovo di Antiochia, S. Ignazio?

Si tratta di un'unione affettiva che deve poi portare ad un'unione effettiva con la Santa Sede, attraverso i numerosi canali oggi esistenti. Al riguardo vorrei pure ricordare l'opportunità di una stretta unione con i Rappresentanti Pontifici esistenti nei Paesi del Medio Oriente. Sono otto benemeriti Inviati del Papa che a Gerusalemme ed a Beirut, a Damasco e ad Ankara, a Bagdad ed a Teheran, al Cairo ed a Safat in Kuwait intendono collaborare con i Pastori locali in quest'ora difficile della loro missione.

La nostra speranza

In conclusione, dovremo lavorare tutti insieme per preparare un'alba nuova per il Medio Oriente, usando i talenti che Dio ci ha dato. Certo, è urgente favorire la soluzione del tragico conflitto israelo-palestinese. Certo, è urgente operare perché terminino le correnti aggressive dell 'Islam. Certo dovremo sempre chiedere rispetto per la libertà religiosa di tutti i credenti.

È una missione difficile quella che voi, venerati Pastori della Chiesa in Medio Oriente, dovete svolgere in un momento storico così drammatico. Sappiate però che non siete soli nella vostra sollecitudine quotidiana per preparare un avvenire migliore alle loro comunità.

È vero, che talora di fronte alle prove dell' oggi, a qualcuno può anche venire spontaneo di ripetere con il Salmista: "Exsurge, Domine! Salvos nos fac, Domine!" (Ps 3,8). "Sorgi, alzati, o Signore!".

La fede però subito ci dice che il Signore è già ben vigile accanto a noi e che è sempre attuale la promessa che Cristo fece un giorno agli Apostoli: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Cari Confratelli, questa certezza ci sostenga nel difficile momento in cui viviamo!

[00023-01.07] [IN001] [Testo originale: italiano]

- S. Em. R. Card. Zenon GROCHOLEWSKI, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica (CITTÀ DEL VATICANO)

In Medio Oriente la Chiesa ha una lunghissima tradizione educativa. Oggi vi sono presenti un migliaio di istituzioni scolastiche cattoliche, con circa 600.000 alunni. Esse sono generalmente molto apprezzate ed offrono l'educazione scolastica senza alcuna distinzione o discriminazione e si rendono accessibili particolarmente ai più poveri. Inoltre, nella regione operano 4 Università cattoliche con diverse sedi esterne, 8 istituzioni di studi superiori ecclesiastici e almeno 10 seminari di diversi riti. Nei paesi medi orientali, comunque, vi sono condizioni differenti circa la possibilità per le istituzioni educative cattoliche di svolgere la loro attività e missione. Quindi la loro presenza in alcune zone è più massiccia, in altre meno.

Mi riferisco al nr. 3 dell’Instrumentum laboris, che delinea in modo generico l'obiettivo specifico di questa Assemblea, perché le istituzioni educative cattoliche possono essere di gran peso nella realizzazione di quasi tutti i postulati presentati nei diversi luoghi dell’Instrumentum, ossia:

- nel fornire ai cristiani la ragione della loro presenza nel Medio Oriente e la loro missione in ciascun Paese; nel formare autentici testimoni della fede a tutti i livelli e le persone qualificate a trasmettere la fede;

- nel ravvivare la comunione ecclesiale e la cooperazione fra componenti molto variegate della realtà ecclesiale nel Medio Oriente; nell'impegno ecumenico e nel dialogo interreligioso; nella collaborazione con ebrei e musulmani nel campo religioso sociale e culturale per il bene comune;

- nel rafforzare il necessario impegno cristiano nella vita pubblica; nell'attività civile e politica; nei mezzi di comunicazione; nel contribuire ad affrontare adeguatamente le sfide della pace e quelle che nascono dall'ambiguità della modernità; nel formare la società più giusta, solidale e umana; nel contribuire allo sviluppo integrale dei Paesi del Medio Oriente a tutti i livelli e nell’arricchirli dei valori cristiani.

Perché i cristiani possano essere dovutamente rispettati e assolvere la loro benefica missione, anche quella educativa, è necessaria la qualificata promozione dei concetti di "laicità positiva", della dignità della persona umana, dei suoi diritti, della vera libertà religiosa, del rispetto della libertà dell'altro. Anche a questa promozione possono e devono contribuire le istituzioni educative cattoliche.

Del resto, penso che sia difficile trovare fra i postulati messi in luce nell'Instrumentum laboris qualcuno per il quale non abbiano importanza le istituzioni educative. Evidentemente ciascuna di queste istituzioni deve contribuire nel proprio campo di azione e secondo le concrete possibilità.

Vorrei soltanto mettere in luce quattro rilievi:

1) Le nostre istituzioni sono aperte a tutti e rispettose per quanti non condividono la fede cristiana, facendo sì che nessuno si senta ospite o straniero. Ciò però non può significare il tacere i valori cristiani che fondano il sistema educativo cattolico o l’affievolimento della propria specifica identità e missione cristiana.

2) Per essere fautori della pace, del rispetto dei diritti umani, del progresso, dell'impegno civile e politico, ed inoltre essere impegnati nell'ecumenismo, nel dialogo interreligioso, ecc. è necessario che gli istituti di studi superiori, abbiano contatti e dialogo con altri istituti dello stesso genere esistenti nel territorio.

3) Fondamentale rimane la genuina promozione delle vocazioni sacerdotali e la solida preparazione filosofico-teologica, spirituale e culturale dei futuri sacerdoti, adeguata ai bisogni specifici del luogo. Dalla loro qualità ed impegno, infatti, dipenderà in grandissima parte il consolidamento e lo sviluppo della Chiesa in Medio Oriente.

4) È di estrema importanza che i Vescovi/Eparchi accompagnino costantemente le istituzioni educative cattoliche con la loro presenza, l'incoraggiamento, l'assistenza, e costruttivi consigli.

[00029-01.06] [IN008] [Testo originale: italiano]

- S. E. R. Mons. 'Ad ABIKARAM, Vescovo di Saint Maron of Sydney dei Maroniti (AUSTRALIA)

Come possono i cristiani orientali dell’espansione aiutare i cristiani nel Medio Oriente?

Riteniamo che confermare i cristiani orientali dell’espansione nella loro identità e nella loro eredità orientale possa produrre una dinamica che li riconduca alle radici, suscitando in loro la spiritualità e la fede dei loro antenati, in modo che possano diventare una fonte fondamentale di “sostegno spirituale e di solidarietà” per gli altri cristiani nella loro patria.

La mia esperienza pastorale incarna tale visione. Alla luce di questi principi abbiamo creato diverse attività e commissioni in tutte le nostre parrocchie. Alcune vanno fino ai maroniti in Australia e creano comunicazione tra loro e il Libano; altre sono volte a formarli e a rafforzare il loro essere maroniti, al fine di spingerli a sostenere finanziariamente quelli in Medio Oriente; altre sono volte a promuovere relazioni con i vescovi cattolici e ortodossi australiani, nonché con i musulmani per azioni future.

I cristiani di tutto il mondo, a ogni livello, dovrebbero essere coinvolti, secondo un piano strategico, nel fornire aiuto alle Chiese d’Oriente.

Noi dell’espansione siamo chiamati a educare, a confermare e a sensibilizzare il nostro popolo riguardo alla sua identità orientale nella fede e nell’eredità. Ciò lo spingerà a sostenere i suoi fratelli cristiani in Oriente e lo unirà in un’unica Chiesa, nelle sue radici e nella sua espansione... La Chiesa di Orizzonti Nuovi per Tempi Nuovi.

[00031-01.04] [IN009] [Testo originale: inglese]

- Rev. P. David NEUHAUS, S.I., Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei Latini per la pastorale dei cattolici di lingua ebraica (GERUSALEMME)

L’ebraico è anche la lingua della Chiesa cattolica in Medio Oriente. Centinaia di cattolici israeliani esprimono tutti gli aspetti della loro vita in ebraico, inculturando la loro fede in una società definita dalla tradizione ebraica. Tuttavia, oggi vi sono anche migliaia di bambini, di fede cattolica, appartenenti alle famiglie dei lavoratori stranieri, dei rifugiati, e anche arabi che frequentano scuole di lingua ebraica e hanno bisogno di ricevere il catechismo in ebraico. Si tratta oggi di una grande sfida per il Vicariato di lingua ebraica. Infine, il Vicariato cattolico di lingua ebraica si sforza di fare da ponte tra la Chiesa, prevalentemente di lingua araba, e la società israeliana ebraica, al fine di promuovere sia l’insegnamento del rispetto per il popolo dell’Antica Alleanza, sia la sensibilità verso il grido di giustizia e di pace per gli ebrei e i palestinesi.

Insieme, i cattolici di lingua araba e quelli di lingua ebraica devono rendere testimonianza e lavorare in comunione per la Chiesa nella terra in cui essa è nata.

[00032-01.04] [IN010] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Louis SAKO, Arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Amministratore Patriarcale di Sulaimaniya dei Caldei (IRAQ)

La riforma liturgica basata sulla sacra scrittura, ma anche la patristica e le esigenze pastorali di oggi.Altrimenti i nostri fedeli andranno a cercare altre chiese come in alcuni casi già succede. Una priorità deve essere la formazione dei formatori. Talvolta alcune chiese mancano di personale; tocca alla Chiesa universale aiutare nella preparazione di un clero che sia all'altezza della sua missione.

Il rapporto tra le varie chiese in ogni Paese del medio oriente e anche il rapporto con la Santa Sede. Come vivere nello stesso tempo la comunione nella particolarità?? Noi resteremo divisi se andiamo a guardare nel passato e non ricerchiamo invece ciò che ci può unire oggi. Le Chiese Orientali fanno parte della Chiesa Universale e qualsiasi studio che viene fatto dalla Chiesa Universale deve prendere in considerazione anche la situazione delle chiese particolari. A volte siamo delusi.

Un impegno serio per il dialogo con i musulmani. Senza dialogo con loro non ci sarà la pace e la stabilità. Insieme possiamo eliminare guerre e tutte le forme di violenza. Dobbiamo unire le nostre voci per denunciare insieme il grande affare economico del commercio delle armi. Una vera minaccia di guerre nella nostra regione, dove le parole del Papa Giovanni Paolo II si sono tragicamente avverate: “La guerra è un’avventura senza ritorno. ”Senza il dialogo e un impegno reale e concreto non ci sarà.

Il mortale esodo che affligge le nostre Chiese non potrà essere evitato. L'emigrazione è la più grande sfida che minaccia la nostra presenza. Le cifre sono preoccupanti. Le Chiese Orientali, ma anche la Chiesa universale, devono assumersi le proprie responsabilità e trovare con la comunità internazionale e le autorità locali scelte comuni che rispettino la dignità della persona umana. Scelte che siano basate sull'uguaglianza e sulla piena cittadinanza, con impegni di partenariato e di protezione. La forza di uno Stato si deve basare sulla credibilità nell'applicazione delle leggi al servizio dei cittadini, senza discriminazione tra maggioranza e minoranza. Vogliamo vivere in pace e libertà invece di sopravvivere.

]00033-01.05[ ]Testo originale: italiano[

- S. E. R. Mons. Shlemon WARDUNI, Vescovo titolare di Anbar dei Caldei, Vescovo di Curia di Babilonia dei Caldei (IRAQ)

Ringraziamo Sua Santità Papa Benedetto XVI, che ci ha invitato a questa assemblea, che lavora con noi e ci accompagna al fine di conseguire risultati positivi e costruttivi.

È un passo felice, coraggioso e necessario che abbiamo fatto insieme per studiare i difficili problemi che ci riguardano tutti e che non possiamo evitare, anche se l’abbiamo compiuto troppo tardi e avremmo dovuto intraprenderlo molto tempo fa per la sua importanza e per i gravi problemi che stiamo discutendo riguardo alla nostra esistenza o non-esistenza, costruzione o distruzione, perseveranza o fallimento, impegno o indifferenza, progresso o regresso, e ciò avviene quando guardiamo al passato, al presente e al futuro.

Dobbiamo creare solide fondamenta e risanare quelle distrutte e deboli se vogliamo rendere testimonianza a Gesù Cristo e vivere il suo celeste impegno che ci ha dato come esistenza, per rivitalizzare il nostro comportamento e realizzare la comunione tra noi.

Nessuno deve minare tale comunione: benefici di denominazione o egoistici non debbono permettersi di indebolire la nostra comunione, anzi, noi dobbiamo viverla pienamente, altrimenti le nostre divergenze la distruggeranno; dobbiamo fare appello e vivere l’amore reciproco che ci porterà all’unità dalla quale trarremo forza.

Cosa dobbiamo fare quindi?

1. - L’amore è al di sopra di tutto: istituire un comitato per il Medio Oriente tra tutte le Chiese del Concilio dei Patriarchi, che sia responsabile del dialogo tra le Chiese cattoliche, del loro reale riavvicinamento, e che abbatta barriere per costruire rapporti stretti, incoraggiare la reciprocità nei servizi e studiare i punti deboli delle Chiese sorelle.

2 - Che diventino un cuore solo: istituire un comitato responsabile dell’ecumenismo e dei rapporti con le Chiese sorelle ortodosse e le comunità protestanti e istituire un comitato di dialogo tra le religioni in Medio Oriente, che organizzerà incontri costruttivi tra le tre grandi religioni, come pure con le altre. Istituire un comitato forte per la tutela degli oppressi e di quanti non hanno diritti, ed ergersi coraggiosamente e audacemente contro i gruppi politici fanatici e partigiani.

3. - Dare importanza alla testimonianza di fede nella vita e incoraggiare i nostri fedeli a impegnarsi in campo politico, perché sono cittadini indigeni che hanno i loro diritti e i loro doveri e devono quindi assumersi la responsabilità di orientare le istanze dello stato secondo i principi dei diritti umani. Sensibilizzare le persone a difendere la libertà, soprattutto la libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà di espressione; qui facciamo riferimento soprattutto alla questione dei minori, che può generare problemi nelle famiglie cristiane in quanto non vi è libertà riguardo a questo aspetto.

4. - Dobbiamo promuovere la pace e la stabilità nei nostri paesi e proclamare tutti insieme a gran voce: no alla guerra, sì alla pace; no alle armi di distruzione, sì al disarmo; no al terrorismo, sì alla fratellanza universale; no alle divisioni, alle lotte e al fanatismo, sì all’unità, alla tolleranza e al dialogo. Dobbiamo sottolineare con forza il fatto che i cristiani del Medio Oriente sono cittadini a pieno titolo e hanno quindi due privilegi, secondo gli statuti internazionali: il primo è il diritto alla cittadinanza e il secondo è quello di affermare la propria presenza e di non essere esclusi dalla costruzione dei paesi del Medio Oriente.

5. - Essere solleciti nei confronti dei laici affinché ricoprano il ruolo che spetta loro nella Chiesa, istituendo un comitato per le famiglie e i giovani.

Tutto questo affidiamo alla protezione di nostra Madre Maria, la Madre d’Oriente, che ha accompagnato la prima Chiesa e Lei, che ha accompagnato la prima Chiesa, oggi accompagnerà noi.

[00034-01.06] [IN012] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Antonios Aziz MINA, Vescovo di Guizeh dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

Questo mio intervento non mira a chiedere un cambiamento della norma vigente, ma piuttosto a trovare una procedura che possa snellire le pratiche delle nomine, conservando la norma vigente e salvaguardando nel medesimo tempo la tradizione orientale.

Suggerisco due modi alternativi, in ordine di preferenza:

- Considerare il Romano Pontefice potenzialmente presente in tutte le riunioni del Sinodo, ed implicitamente assenziente, ad ogni avvenuta elezione. Così, il Patriarca dovrà chiedere al Santo Padre di dare la Sua benedizione, ad elezione già effettuata, tuttavia, prima della pubblicazione della nomina.

- Il Patriarca comunica direttamente il risultato dell'elezione al Santo Padre, in un’Udienza speciale oppure tramite il Rappresentante Pontificio, chiedendo il suo assenso.

La giurisdizione dei Patriarchi sui fedeli dello stesso rito fuori dei territori patriarcali:

Il principio di territorialità è stato mantenuto con fermezza da tutti i concili ecumenici. D’altra parte, gli ultimi 60/70 anni hanno segnato la storia umana, ad un ritmo frenetico. L'immigrazione massiccia di intere famiglie, da una parte del mondo all' altra, ha fatto sì che tanti orientali hanno lasciato il loro territorio per stabilirsi altrove. Il caso estremo è che i fedeli appartenenti ad una Chiesa "sui iuris", siano più numerosi fuori del territorio che dentro.

Non è del tutto logico che certi fedeli appartenenti ad una chiesa "sui iuris", non abbiano altre relazioni con la Chiesa di appartenenza, se non quelle liturgiche.

La mia richiesta è di dare al Patriarca la giurisdizione personale sui fedeli della sua Chiesa dovunque siano.

Ordinariati per gli orientali sprovvisti da un proprio gerarca:

Questa struttura giuridica preconciliare, sorta per la cura pastorale degli orientali, residenti fuori dei territori d'origine, sembra del tutto superata, anzi oserei dire va contro i dispositivi del diritto vigente.

Propongo, intanto di ristudiare la situazione giuridica degli attuali Ordinariati per gli orientali sprovvisti di un proprio gerarca, in vista della loro abolizione.

La missione dei Sacerdoti uxorati fuori dei territori patriarcali:

Dagli anni’ 30 vige il divieto posto sull'ordinazione e l'esercizio del ministero a sacerdoti uxorati al di fuori dei territori patriarcali e delle "Regioni storicamente orientali".

Penso, subordinatamente a quanto verrà deciso dal S. Padre, che è giunto il tempo di fare questo passo, in favore della cura pastorale dei fedeli orientali in diaspora.

[00035-01.06] [IN013] [Testo originale: italiano]

- S. E. R. Mons. Maroun Elias LAHHAM, Vescovo di Tunisi (TUNISIA)

Parlare di relazioni tra Medio Oriente e Maghreb non è come parlare di relazioni tra Oriente e Occidente. I paesi del Maghreb fanno anche parte del mondo arabo e dei paesi musulmani. Bisogna sapere che ci sono più musulmani in Nordafrica che nei paesi del Medio Oriente. È vero che il Medio Oriente ha la grazia di avere delle minoranze cristiane arabe mentre nei paesi del Maghreb il cristianesimo dei primi secoli è quasi totalmente scomparso. Attualmente sono delle autentiche Chiese locali incardinate nei loro rispettivi paesi, ma con dei fedeli stranieri.

È da questi due punti che parte il mio intervento.

- I paesi del Maghreb fanno parte del mondo arabo musulmano. A parte qualche particolarità nell’uno o nell’altro paese, la vita a Rabat, ad Algeri, a Tunisi o a Tripoli è simile alla vita ad Amman, a Damasco, a Baghdad o al Cairo. Ciò vale soprattutto per le relazioni con l’Islam e per il fatto di vivere la fede cristiana in un contesto molto diverso. Le Chiese nei paesi del Maghreb hanno interesse a entrare in relazione con le loro Chiese sorelle del Medio Oriente in questo ambito e a promuovere con la loro specificità un dialogo di vita e di pensiero con l’islam, un dialogo vissuto a partire da una situazione di stranieri e non di concittadini.

- Le Chiese del Maghreb sono Chiese in cui i fedeli sono stranieri. In ogni Chiesa del Maghreb non vi sono meno di 60 nazionalità. Si tratta di europei (imprenditori, diplomatici, residenti, pensionati, donne cristiane in matrimoni misti...), africani (studenti, impiegati della banca di sviluppo africana, militari che svolgono degli stage, famiglie, immigrati...), alcuni arabi cristiani del Medio Oriente (Egitto, Siria, Libano, Palestina, Giordania) e una manciata di persone locali battezzate nella Chiesa cattolica (in Tunisia e in Algeria).

La collaborazione esige qui uno scambio di sacerdoti, di religiosi, di laici consacrati o di volontari per lavorare nelle parrocchie e nelle diverse istituzioni della Chiesa in Africa del Nord. Fino a oggi è stata l’Europa ad assicurare tutto ciò. Attualmente questo non è più possibile vista la diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose. Non potendo contare su famiglie cristiane locali o residenti da generazioni, le nostre Chiese possono guardare in due direzioni per cercare aiuto: l’Africa e il Medio Oriente.

È vero che la vita di un sacerdote in Medio Oriente non assomiglia alla vita di un sacerdote nel contesto magrebino (lo dico per esperienza, poiché io stesso, come il mio confratello di Algeri, sono mediorientale), ma con la grazia di Dio e un serio lavoro di adattamento è possibile ed è anche motivo di arricchimento. Per le religiose l’inserimento è più facile visto che c’è il sostegno della comunità.

“Chiedete e vi sarà dato”, ha detto il Signore. Abbiamo chiesto, ora attendiamo di ricevere.

[00036-01.04] [IN014] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Samir NASSAR, Arcivescovo di Damasco dei Maroniti

Le Chiese d’Oriente coabitano con l’Islam da quattordici secoli, malgrado le difficoltà e le sfide, con alti e bassi legati spesso a problemi politici e al conflitto tra Oriente e Occidente, soprattutto dopo le Crociate (XI-XIII secolo).

In questa lunga vita comune, diamo uno sguardo alla metà piena del bicchiere.

Ogni giorno si registra un arricchimento reciproco:

L’attaccamento dei musulmani alla preghiera, al digiuno, alla carità, al pellegrinaggio sprona i vicini cristiani a diventare più praticanti.

La vicinanza dei cristiani con il Vangelo fa riflettere i musulmani su una lettura critica del Corano, per esempio.

Certamente non vi è dialogo dogmatico, ma il dialogo della vita garantisce una coabitazione che dura da 14 secoli.

Vi sono alcune iniziative che possono essere promosse in un regime laico come quello siriano. Abbiamo potuto fare alcune cose insieme ai musulmani durante l’Anno Paolino nel 2008-2009, attraverso l’arte, il teatro, la cultura e lo sport.

- Concerti di canti religiosi misti.

- Mostre di dipinti e icone.

- Tornei sportivi e maratona...

- Conferenze, colloqui, fotoromanzi...

- Valorizzazione dei siti archeologici del primo secolo.

- Film e opere teatrali interpretati da attori cristiani e musulmani. Colui che ha interpretato il ruolo di San Paolo è un musulmano.

[00037-01.04] [IN015] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Youssef BÉCHARA, Arcivescovo di Antélias dei Maroniti (LIBANO)

Il mio intervento fa riferimento ai numeri 25 e 39 dell’Instrumentum Laboris in cui si parla di laicità positiva. Successivamente al numero 109, si afferma che non c’è laicità nei paesi musulmani.

Dato che la stragrande maggioranza dei paesi del Medio Oriente sono musulmani e rifiutano quindi la laicità, sarebbe meglio utilizzare invece per il nostro Sinodo il termine cittadinanza o stato civico perché si tratta di un termine più accettato e che si riferisce alle stesse realtà. Inoltre è stato usato dalle autorità religiose e dagli scrittori musulmani in Libano e non solo.

Fra l’altro i Patriarchi Cattolici d’Oriente, nelle loro lettere pastorali, in particolare in quella che affronta i rapporti tra cristiani e musulmani, al n. 32, hanno largamente impiegato il termine cittadinanza.

Ma affinché la realtà della cittadinanza venga ammessa, generalizzata e integrata a livello delle costituzioni e soprattutto delle mentalità, occorre un duplice lavoro:

- a livello societario popolare, i mezzi di comunicazione sociale possono essere di grande aiuto poiché si tratta di radicare nelle masse i principi che la cittadinanza comporta, soprattutto l’uguaglianza di tutti e l’accettazione della diversità religiosa e culturale.

- a livello educativo, nelle scuole e nelle università, la cittadinanza può essere approfondita durante gli anni della formazione. Occorre un lavoro di risanamento dei programmi per eliminarne le discriminazioni.

Questo duplice lavoro è necessario se si vuol andare oltre le classi alte - per le quali la cittadinanza, il dialogo e anche la libertà sono ammesse - per raggiungere le masse che possono essere manipolate e abbandonarsi a ogni tipo di estremismo.

[00038-01.03] [IN016] [Testo originale: francese]

- Rev. Mons. Raphaël François MINASSIAN, Esarca Patriarcale del Patriarcato di Cilicia degli Armeni (GERUSALEMME)

La comunione non è la relazione sociale amichevole ma è piuttosto la dedizione di sé per il bene del proprio fratello. Questo è l'insegnamento di Gesù.

La Chiesa locale di Terra Santa a Gerusalemme, è cosciente dei problemi acuti di tipo socio-politico dei cristiani in medio oriente, ed ha fiducia nell'importanza imperativa dei Media, che possono giocare un ruolo positivo nel proporre soluzioni.

La tecnica dei mass-media consiste nell'utilizzo del suono, dell'immagine e del testo come mezzi di comunicazione, che ci portano ad una soluzione "comunicativa" che trova il suo fondamento nell'unità delle chiese cattoliche in Oriente. Un'unità ideale per una testimonianza cristiana che velocizzi la comunione e la collaborazione, senza danneggiare l'identità delle diverse Chiese cristiane cattoliche e senza intaccare la loro cultura tradizionale.

La Chiesa Cattolica del Medio Oriente è rimasta fedele alla tradizione apostolica, che consisteva nel predicare, visitare e scrivere. La collaborazione, nel campo dei Mass-Media, rimane ancora debole fra i cattolici del Medio Oriente, a causa delle diversità fra le culture e fra le tradizioni ecclesiastiche.

Negli ultimi tempi l'utilizzo dei mass-media e dei mezzi di comunicazione sociale, è divenuto più frequente ma a livello e su iniziativa di singoli individui. Questi mezzi, malgrado il progresso rapido del mondo dei media, rimangono ancora in una fase primitiva e questo per mancanza di risorse economiche e di conseguenza anche professionali.

I Mass Media, possono giocare un ruolo importante ed essere uno dei mezzi più idonei per creare una comunione vera tra le varie chiese cattoliche, a partire da una fattiva collaborazione fra esse in modo che i Mass Media diventino realmente luogo di testimonianza di Gesù e dei valori cristiani

[00041-01.05] [IN018] [Testo originale: italiano]

- S. E. R. Mons. Salim SAYEGH, Vescovo titolare di Acque di Proconsolare, Vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, Vicario Patriarcale di Gerusalemme dei Latini per la Giordania (GERUSALEMME)

Tra i problemi che la Chiesa incontra in Medio Oriente, occorre citare quello delle sette, che provocano un’enorme confusione dottrinale. Il nostro tempo è caratterizzato dalle loro fantasie teologiche. In Giordania, per esempio, ci sono una cinquantina di sette, di cui cinque hanno più pastori attivi di tutte le Chiese cattoliche e ortodosse insieme. Cosa fare per conservare il deposito della fede e limitare la loro crescente influenza?

Visitare le famiglie. Ai sacerdoti e ai pastori d’anime viene richiesto con insistenza di andare a trovare le famiglie e di assumersi la propria parte di responsabilità nello spiegare, difendere, diffondere, vivere e aiutare a vivere la fede cattolica.

Occuparsi seriamente della formazione cristiana degli adulti. Molti dei nostri fedeli praticanti sono formati moralmente e sacramentalmente in modo vago. Non sono evangelizzati. Sono prede delle sette.

Sensibilizzare le scuole cattoliche alla loro missione di scuole cattoliche. Spesso i responsabili delle scuole non danno alla lezione di catechismo la stessa importanza che riservano alle altre materie. Raramente preparano i catechisti. Li scelgono molto spesso senza criterio, per tappare un buco.

Avere il coraggio di rivedere i libri di catechismo affinché espongano in modo chiaro la fede e la dottrina della Chiesa cattolica, confermate e illuminate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione apostolica e dal Magistero ecclesiale.

Concludendo, al di là delle differenze rituali e delle controversie politiche, conservare il deposito della fede è la missione primaria dei pastori della Chiesa cattolica.

[00039-01.05] [IN017] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Georges BACOUNI, Arcivescovo di Tiro dei Greco-Melkiti (LIBANO)

È vero che i genitori sono i primi catechisti dei fedeli, con il sostegno delle scuole e delle parrocchie. Ma a seguito del Vaticano II una nuova iniziativa riguardante il catechismo è emersa dai Nuovi Movimenti Ecclesiali, con la benedizione e l’incoraggiamento dei Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. È importante che oggi la Chiesa d’Oriente impari dal loro successo e tragga beneficio dalla loro iniziativa.

La maggior parte di questi movimenti ecclesiali segue un determinato approccio al catechismo e intendo riferirmi a uno di questi - le comunità Spada dello Spirito, all’interno del movimento di Rinnovamento nello Spirito - per illustrarne la pedagogia. Essa si modella sulla pedagogia catechetica del Signore con i discepoli sulla via di Emmaus, come riferito dal cap. 24 del Vangelo di Luca. Non è semplicemente mirata all’educazione della mente, piuttosto a portare il fedele a un rapporto personale con Gesù, a una riscoperta della propria vocazione e missione e a una più profonda comunione con la Chiesa. È una pedagogia che si rivolge a quei cristiani che, come i discepoli di Emmaus, sono stati educati alla fede cristiana, ma che hanno perso la speranza e “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (Lc 24, 16). Poiché molti di questi cristiani non vengono in chiesa, i membri del movimento vanno da loro e camminano con loro lungo la via come ha fatto il Signore (v. 15), li ascoltano (v.17), li ri-evangelizzano (vv. 25-27) e li portano alla comunione con il Signore (v. 30) e al desiderio della comunità (v. 29). Una volta che i loro occhi si sono aperti (v. 31) essi decidono di rimanere - o tornare - al proprio paese e alla propria chiesa (v. 33) e diventare nuovi missionari (v. 35). Ma affinché questa conversione duri, essi vengono invitati a una vita di comunità (vv. 33, 36-43), in cui ricevono ulteriore insegnamento e amicizia (vv. 44-47) per divenire testimoni e perfino martiri (v. 48), per il potere dello Spirito Santo (v. 49) e attraverso una vita di adorazione e preghiera (vv. 52-53).

Ciò che possiamo affermare e osservare tra questi nuovi movimenti non è soltanto una nuova vitalità nei confronti della preghiera e dell’evangelizzazione, ma, ancor più importante, una capacità di ispirare un gran numero di uomini e donne, giovani e non, a restare nei propri paesi come missionari, e a servire le Chiese locali con zelo e obbedienza. È quindi cruciale - perfino vitale - che vescovi e presbiteri comprendano che questi nuovi movimenti ecclesiali stanno operando nella Chiesa e per la Chiesa, e che il loro contributo non rappresenta una minaccia, bensì un arricchimento all’impegno della Chiesa nel catechizzare i fedeli e preservare la presenza cristiana nel Medio Oriente. Per questo motivo occorre in particolare che i vescovi sostengano e promuovano tali iniziative e, all’occorrenza, offrano a questi nuovi movimenti ecclesiali l’aiuto teologico e spirituale che a loro manca.

I discepoli di Emmaus sono tornati pieni di speranza, la speranza su cui si è fondata la Chiesa. Possiamo anche noi tornare alle nostre situazioni locali pieni di speranza in questa stagione in cui lo Spirito è all’opera in modo nuovo per rinnovare la Chiesa - come è stato descritto dal nostro amato Papa Benedetto nel suo saggio sul Locus dei Movimenti Ecclesiali nella Chiesa oltre 12 anni fa - e nella sua profetica convocazione di questo sinodo speciale. Cristo è lo stesso ieri, oggi e per sempre!

[00042-01.08] [IN020] [Testo originale: inglese]

- Rev. P. Mauro JÖHRI, O.F.M. Cap., Ministro Generale dell'Ordine Francescano Frati Minori Cappuccini (ITALIA)

Nel mio intervento ho ricordato le caratteristiche della presenza dei cappuccini in Medio Oriente, lungo i secoli, all'interno della vasta tradizione francescana. Mi sono soffermato in particolare sulla situazione in Turchia. Richiamando l'impegno culturale e la dedizione pastorale del cappuccino vescovo mons. Luigi Padovese, Vicario Apostolico in Anatolia, barbaramente ucciso il 3 giugno scorso, ho ricordato le gravi difficoltà cui i cristiani sono sottoposti in quella terra.

Tra gli impegni dei cappuccini, oltre alla cura pastorale dei cristiani dispersi in un territorio vastissimo, alle opere di carità e alla testimonianza evangelica, ho ricordato l'impegno a promuovere i simposi di Tarso su san Paolo e di Efeso su san Giovanni, in collaborazione con l'Istituto di Spiritualità dell' Antonianum, al fine di promuovere l'interesse per i luoghi delle origini cristiane, riscoprendo la loro importanza culturale, non solo per i cristiani. Inoltre ho ricordato anche l'impegno nella promozione del confronto e del dialogo con i musulmani mediante l'organizzazione di simposi sul dialogo interreligioso. In sintesi, l'impegno dei cappuccini, insieme a quello delle altre realtà ecclesiali, si concretizza nel voler essere testimoni nella comunione ecclesiale di Cristo come speranza di pace per tutti.

Ho infine ricordato, citando le parole del confratello ucciso, che è sempre possibile vivere questa responsabilità apostolica, anche dove a causa delle difficoltà e delle discriminazioni l'unico compito possibile “è quello di essere una presenza. Una testimonianza. Con un'attività pastorale molto ridotta [ ... ] la missione è la presenza”; solo così si può rendere giustizia alla testimonianza dei martiri che hanno versato il loro sangue su queste terre per il Vangelo di Cristo.

[00043-01.05] [IN021] [Testo originale: italiano]

- S. E. R. Mons. Jean Benjamin SLEIMAN, O.C.D., Arcivescovo di Baghdad dei Latini (IRAQ)

Il mio intervento riguarda il n. 55 dell’IL che afferma: “Sul piano delle relazioni interecclesiali tra cattolici, questa comunione è manifestata in ogni Paese dalle Assemblee dei Patriarchi e dei Vescovi, affinché la testimonianza cristiana sia più sincera, credibile e fruttuosa. Per promuovere l’unità nella diversità, occorre superare il confessionalismo in ciò che può avere di limitato e esagerato, incoraggiare lo spirito di cooperazione tra le varie comunità, coordinare l’attività pastorale e stimolare l’emulazione spirituale e non la rivalità. Si potrebbe suggerire che di tanto in tanto (ad esempio ogni cinque anni), un’assemblea riunisca l’intero episcopato in Medio Oriente.”

La comunione compare una trentina di volte nell’Instrumentum. Essa rappresenta il cuore della nostra identità ecclesiale, la dinamica dell’unità e della molteplicità delle nostre Chiese. Da essa dipendono il nostro presente e il nostro futuro, la nostra testimonianza e il nostro impegno, i nostri sforzi per arginare l’emigrazione che ci indebolisce e per esorcizzare il disincanto che ci consuma.

Ma la comunione è contraddetta soprattutto dal confessionalismo. I riti si sono trasformati in confessioni. È fondamentale anche che le nostre chiese sui iuris riscoprano le radici di questo fenomeno che risalgono alle strutture arabo-islamiche primitive. Sono invitate a liberarsi di questa eredità storica per “ritrovare il modello della comunità di Gerusalemme”.

[00044-01.04] [IN022] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Vincent LANDEL, S.C.I. di Béth., Arcivescovo di Rabat (MAROCCO)

Partendo dall’esperienza del Marocco (25.000 cattolici di 90 nazionalità su una popolazione di 33 milioni di musulmani), i cristiani sono tutti degli stranieri e non possono essere cittadini del paese, anche se esiste la “libertà di culto”. Questo fa sì che essi partecipino alla vita economica, culturale e sociale del paese, ma che non possano assolutamente intervenire nei meccanismi delle decisioni politiche nazionali o internazionali.

La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi stranieri di passaggio a capire che essi sono in prima linea nel dialogo della vita con i musulmani. Nelle aziende in cui lavorano, nelle università o nelle scuole, essi sono individui in mezzo a una moltitudine mussulmana.

- Essi sono i testimoni di un Amore più grande;

- essi sono i testimoni di questo Dio che rivolge uno “sguardo amoroso” agli uomini qualunque sia la loro cultura o la loro religione.

La loro testimonianza di vita è fondamentale per la vita della Chiesa. Un amico musulmano mi diceva un giorno “la vostra presenza, benché minima, è fondamentale per farci capire che ci sono strade diverse che conducono a Dio”.

La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi cristiani ad accettare di entrare, con i loro amici musulmani, in un’ottica di accoglienza della differenza dell’altro, di incontro in spirito di totale gratuità, di umile atteggiamento di fiducia verso la diversità dell’altro. Ciò non è sempre facilmente accettabile nel mondo dell’efficienza, ma è questo atteggiamento che ci permette di continuare a vivere in questo paese in pace e serenità anche se talvolta emergono delle tensioni.

I cristiani constatano con gioia che a contatto con l’Islam la loro fede cristiana si purifica, si approfondisce.

La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi cristiani di passaggio a capire meglio che si può vivere la propria fede cristiana con gioia e passione, in una società totalmente musulmana. Questo li aiuterà a tornare nel proprio paese con uno sguardo nuovo nei confronti dei musulmani che incontreranno e ad abbattere degli “apriorismi” che rischiano di far marcire il mondo.

La nostra responsabilità come Chiesa è quella di aiutare questi cristiani a capire di essere dei “segni” e, come ci ha ricordato Papa Giovanni Paolo II in occasione di una visita ad limina, “non viene chiesto a un segno di fare numero ma di significare qualcosa”.

La nostra Chiesa è “segno” per la comunione che cerchiamo di vivere, nonostante la diversità delle nostre culture e delle nostre nazionalità. Benché i cristiani originari del Medio Oriente siano pochi, il nostro “segno” sarebbe ancora più forte se avessimo nel nostro presbiterio uno o due sacerdoti arabi. Una simile presenza, lungi da ogni proselitismo, sarebbe un grande arricchimento per la Chiesa.

[00045-01.05] [IN023] [Testo originale: francese]

- S. E. R. Mons. Giorgio BERTIN, O.F.M., Vescovo di Gibuti (GIBUTI)

I "beni da condividere", a cui voglio riferirmi, per rafforzare la nostra testimonianza del Vangelo e annunciarlo ai mussulmani, sono "i sacerdoti". Ci possono essere situazioni di emergenza, come nella Chiesa che rappresento, dove non ci sono sacerdoti "propri" o improvvisamente diventano insufficienti. Perché allora, a livello del Medio Oriente o della Chiesa intera, non "condividere" i sacerdoti che abbiamo? Questo potrebbe essere uno sviluppo e adattamento alle situazioni odierne della "Fidei donum" e potrebbe anche dare una "boccata di ossigeno" sia alle Chiese del Medio Oriente sia ad altre Chiese per vivere e sviluppare la dimensione missionaria.

Suggerisco allora che si crei una "banca di sacerdoti disponibili"; vale a dire, che da tutte le Chiese e le congregazioni religiose un numero di sacerdoti si renda disponibile per un tempo determinato: 3 mesi, 6 mesi, 9 mesi ... Essi potrebbero offrire il loro servizio, prendendolo come un periodo sabbatico oppure come un sacrificio fatto con generosità a favore di una Chiesa o di un gruppo di cattolici che chiedono la presenza di sacerdoti per conservarsi nella fede e per testimoniarla con umiltà e coraggio. Questo sarebbe un modo concreto di vivere la "comunione" tra le nostre Chiese. Potremmo chiamare questa "banca di sacerdoti" anche "Sacerdoti senza frontiera" perché pronti ad essere inviati e ricevuti in brevissimo tempo. Per questo forse occorrerà istituire un ufficio di coordinamento.

[00046-01.04] [IN024] [Testo originale: italiano]

- Archimandrita Robert L. STERN, Segretario Generale della "Catholic Near East Welfare Association" (C.N.E.W.A.) (STATI UNITI D'AMERICA)

“Chiesa” ha vari significati. Il mistero della Chiesa può essere descritto usando “modelli”, nessuno dei quali è adeguato a descriverla. Noi ci serviamo di “modelli”, che ne siamo consapevoli o meno. La Chiesa delle origini vedeva l’unità in termini di “pax et communio”. La Chiesa è tenuta insieme dallo Spirito Santo e dai legami personali tra i suoi membri, nutriti dalla comunicazione. Questo modello trova un’eco in internet. La Chiesa come “communio” è una rete di comunicazioni personali nello Spirito. I modelli condizionano le decisioni: la limitazione della giurisdizione dei capi delle Chiese d’Oriente “al di fuori” dei propri paesi di origine presume un modello geografico; se la “rete” è personale, non va bene. Se il modello è la rete, molte Chiese in uno stesso territorio sono una cosa normale e le rivalità e i tentativi di proselitismo o di dominio sono inappropriati. Il diritto canonico favorisce una nozione geografica di Chiesa, anche se le persone vivono “in” parrocchia, in centri urbani che scelgono come propri. Lo stesso vale per l’emigrazione: dal punto di vista geografico vediamo che la popolazione cristiana tradizionale diminuisce, ma secondo la prospettiva personale noi celebriamo i cristiani ovunque decidano di stabilirsi. La “communio” aumenta con l’incremento e l’approfondimento della comunicazione personale, così come avviene per i rapporti interreligiosi.

[00047-01.04] [IN025] [Testo originale: inglese]

- S. E. R. Mons. Vartan Waldir BOGHOSSIAN, S.D.B., Vescovo di San Gregorio di Narek in Buenos Aires degli Armeni, Esarca Apostolico per i fedeli di rito armeno residenti in America Latina e Messico (AMERICA LATINA E MESSICO)

La grande mobilità umana, con le sue numerose cause, ha spostato quantità espressive di fedeli fuori del territorio patriarcale. Le numerose Comunità della Diaspora non sono state sempre accompagnate dal punto di vista pastorale. Ancor oggi è necessaria questa preoccupazione "ad gentes"; ci sono delle Chiese che hanno oggi la più gran parte dei loro fedeli nella Diaspora. Non mancano difficoltà per concretare questa attenzione; le difficoltà provengono, specialmente nel passato, alla difficoltà, da parte della Chiesa ("sui iuris") Latina, di accettare nel suo territorio la giurisdizione piena di un Ordinario orientale.

Mi riferisco al concetto di territorio, stabilito come limite per le attività delle Chiese Orientali Cattoliche, e presenti in tutto il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

È difficile capire perché le attività dei Patriarchi, dei Vescovi e dei Sinodi delle Chiese Orientali, vengono limitate alloro territorio. Fra le ventitré Chiese di diritto proprio che formano oggi la Chiesa Cattolica, solo una, la Latina non ha questa limitazione. Con difficoltà le ventidue Chiese Orientali, riescono a mantenere la loro identità e crescita, specialmente in Occidente, anche se il Concilio Vaticano II, esprime il desiderio che le Chiese Orientali "fioriscano e assolvano con nuovo vigor apostolico la missione loro affidata". Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali afferma che i Patriarchi sono Padri e Capi della loro Chiesa. (Can, 55). Questa paternità e giurisdizione non dovrebbero essere limitate ad un territorio. Limitare ai suoi fedeli è più che logico! Ma non lo è limitarle ad un territorio, anche se in esso non sono più presenti membri della sua Chiesa!

Anche dal punto di vista ecumenico, la giurisdizione piena sui propri fedeli in tutti i continenti sarebbe per i Fratelli separati un anticipo concreto di una situazione di comunione piena.

Finalmente i Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, per la loro identità di Padri e Capi di Chiese "sui iuris" che compongono la cattolicità della Chiesa Cattolica, dovrebbero essere,membri, ipso facto, del Collegio che elegge il Sommo Pontefice, senza necessità di ricevere il titolo latino di Cardinale. Per lo stesso motivo, dovrebbero anche avere la precedenza su di loro.

[00048-01.04] [IN026] [Testo originale: italiano]

- S. E. R. Mons. Paul Youssef MATAR, Arcivescovo di Beirut dei Maroniti (LIBANO)

In riferimento all’Instrumentum Laboris che parla delle sfide che i cristiani d’Oriente affrontano e dei rapporti con i musulmani, al fine di orientare la situazione attuale verso prospettive future, occorre individuare quattro responsabilità che devono concorrere tutte al successo di questa opera storica per il Medio Oriente e per il mondo.

La responsabilità dei cristiani d’Oriente stessi: Figli di questa terra da sempre, questi cristiani devono sentire che non devono costruire un destino proprio, bensì un destino comune con gli altri abitanti. Il loro inserimento nel mondo arabo, auspicato da Papa Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica per il Libano, non dovrebbe far perdere loro né i propri diritti, né le proprie libertà, ma piuttosto confermarli nei comuni diritti e nelle comuni libertà della cittadinanza condivisa.

La responsabilità dei musulmani della regione: Questi concittadini in maggioranza numerica dovrebbero lasciare spazio ai concittadini cristiani. Non si tratterà di una presenza solo all’interno della società ma nell’elaborazione del progetto comune di questa società e della sua governabilità. Così, i cristiani che hanno contribuito alla nascita della cultura e delle società arabe nel passato, vi contribuiranno anche in futuro e vivranno tutti insieme la partecipazione, l’uguaglianza e la piena libertà, con i loro concittadini.

La responsabilità delle potenze occidentali: Esse hanno commesso ingiustizie e errori storici contro il Medio Oriente. Dovranno anche risarcire eliminando le ingiustizie che subiscono popoli interi, soprattutto il popolo palestinese. I cristiani di questa regione che erano ingiustamente identificati con loro, beneficerebbero di questi risarcimenti grazie a una coesione con i loro fratelli, senza più ostacoli.

La responsabilità dei cristiani occidentali e del mondo: Solidali con i loro fratelli del Medio Oriente, i cristiani d’Occidente e del mondo devono conoscere maggiormente i loro fratelli del Medio Oriente per essere più solidali con le loro cause. Essi devono anche esercitare una pressione sull’opinione pubblica e sui governanti per ristabilire la giustizia nelle relazioni con il Medio Oriente e l’Islam e aiutare a liberare il mondo dal fondamentalismo e condurlo alla moderazione.

[00049-01.04] [IN027] [Testo originale: francese]

- S. Em. R. Card. Stanisław RYŁKO, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici (CITTÀ DEL VATICANO)

La sfida più grande che la Chiesa oggi deve affrontare è la formazione di un laicato maturo nella fede, consapevole della propria vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. È necessario formare identità cristiane forti e convinte, risvegliare l'audacia di una presenza visibile ed incisiva dei fedeli laici nella vita pubblica, una presenza che operi secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa.

Nell'ambito della formazione del laicato si apre un vasto spazio di azione per le diocesi e le parrocchie, ma anche per le scuole e le università cattoliche, chiamate a ricercare le vie e i metodi educativi sempre più rispondenti alle reali esigenze dei fedeli, seguendo gli insegnamenti della Christifideles laici, magna charta del laicato cattolico. In un mondo segnato da una secolarizzazione dilagante, la fede non può più essere data per scontata, perfino tra i battezzati. Bisogna, dunque, partire dalle fondamenta, cioè, promuovere con urgenza itinerari concreti di una vera e propria iniziazione cristiana post-battesimale, considerando che - come scrive il Papa - “all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est n. 1).

Nella nostra epoca, uno dei grandi segni di speranza per la Chiesa è la “nuova stagione aggregativa dei fedeli” (Christifideles laici n. 29), che, dopo il Concilio Vaticano II, vede la nascita di tanti movimenti ecclesiali e nuove comunità. Un vero dono dello Spirito Santo! Questi nuovi carismi danno origine ad itinerari pedagogici di straordinaria efficacia per la formazione umana e cristiana dei giovani e degli adulti, e sprigionano in loro uno stupefacente slancio missionario di cui la Chiesa oggi ha particolarmente bisogno. Queste nuove comunità non sono, ovviamente, un'alternativa alla parrocchia, ma piuttosto un sostegno prezioso e indispensabile nella sua missione. In spirito di comunione ecclesiale, aiutano e stimolano le comunità cristiane a passare da una logica di mera conservazione ad una logica missionaria. Papa Benedetto XVI, in continuità con il servo di Dio Giovanni Paolo II, non si stanca di sollecitare una sempre maggiore apertura dei Pastori a queste nuove realtà ecclesiali. Nel 2006, il Papa, rivolgendosi ai vescovi in visita ad limina, ha affermato: “Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore. Qua e là devono essere corretti, inseriti nell'insieme della parrocchia o della diocesi. Dobbiamo però rispettare lo specifico carattere dei loro carismi ed essere lieti che nascano forme di fede in cui la parola di Dio diventa vita” (L'Osservatore Romano, 19 novembre 2006).

È, dunque, davvero auspicabile che le Chiese del Medio Oriente si aprano con crescente fiducia a queste nuove realtà aggregative. Non dobbiamo aver paura di quella novità di metodo e di stile di annuncio che portano: è una "provocazione" salutare che aiuta a vincere la routine pastorale che è sempre in agguato e rischia di compromettere la nostra missione (cfr. Instrumentum laboris n. 61). Il futuro della Chiesa in questa regione del mondo dipende proprio dalla nostra capacità di dare un ascolto docile a ciò che lo Spirito dice alla Chiesa oggi, anche mediante queste nuove realtà aggregative.

[00050-01.04] [IN028] [Testo originale: italiano]

- Rev. P. Ab. Semaan ABOU ABDOU, O.M.M., Superiore Generale dell'Ordine Maronita Mariamita (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)

I motivi dell’emigrazione sono politici ed ecumenici, a cui vanno anche aggiunte ragioni di sicurezza e di stabilità. E ciò influenzerà l’aspetto sociale. Tutto dipende dal conflitto israelo-palestinese in Terra Santa, dalla situazione sociale in Iraq e dall’instabilità politica del Libano. Spesso le principali vittime di tutto ciò sono i cristiani.

Più importante di tutto è operare per stabilire pace e democrazia con particolare attenzione alla cittadinanza con tutti i suoi obblighi e i suoi diritti garantiti.

Trattenere i cristiani nelle rispettive patrie dipende da fattori ecclesiali e politici nel mondo arabo. Ciò che unisce noi, cristiani e musulmani, è:

1. La famiglia, che genera e difende i valori e in quanto prima cellula della società e della Chiesa. Da essa dipende il futuro e quindi occorre potenziare il suo ruolo e proteggerne la vita.

2. La figura della Vergine Maria è presente nella Bibbia e nel Corano. Dio l’ha scelta sopra tutte le donne del mondo. Lei è la donna della riconciliazione e dell’unità. È la Regina della Pace. E in Libano si è iniziata a celebrare una festa comune a tutti i libanesi il 25 marzo, che è la festa dell’Annunciazione.

3. I valori umani, nazionali e religiosi sono alla base del dialogo e del riconoscimento degli altri.

4. Impegni educativi vanno presi nelle scuole e nelle università per formare le generazioni future nella democrazia, nella non-violenza e nella costruzione della cultura della pace.

Infine occorre che in questo Sinodo ci si appelli all’eroismo, alla santità e ai santi, e si offra alle nostre società una testimonianza cristiana gioiosa e attraente.

[00051-01.05] [IN029] [Testo originale: inglese]

AVVISI

- CONFERENZE STAMPA

CONFERENZE STAMPA

La seconda Conferenza Stampa sui lavori sinodali (con la traduzione simultanea in italiano, inglese, francese e arabo) si terrà nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede lunedì 18 ottobre 2010 (dopo la Relatio post disceptationem), alle ore 12.45 orientativamente. Interverranno:

- S. Em. R. Card. Leonardo SANDRI, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali (CITTÀ DEL VATICANO), Presidente Delegato
- S. B. Ignace Youssif III YOUNAN, Patriarca di Antiochia dei Siri (LIBANO), Presidente Delegato
- S. Em .R. Card. John Patrick FOLEY, Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (CITTÀ DEL VATICANO), Presidente della Commissione per l’Informazione
- Rev. P. Federico LOMBARDI, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede (CITTÀ DEL VATICANO), Segretario Ex officio della Commissione per l’Informazione

La terza Conferenza Stampa sui lavori sinodali (con la traduzione simultanea in italiano, inglese, francese e arabo) si terrà nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede sabato 23 ottobre 2010 (dopo il Nuntius e l’Elenchus finalis propositionum), alle ore 12.45 orientativamente.
Interverranno:

- S. B. Antonios NAGUIB, Patriarca di Alessandria dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO), Relatore Generale
- S. E. R. Mons. Joseph SOUEIF, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti (CIPRO), Segretario Speciale
- S. E. R. Mons. Cyrille Salim BUSTROS, S.M.S.P., Arcivescovo di Newton dei Greco-Melkiti (STATI UNITI D'AMERICA), Presidente della Commissione per il Messaggio
- Rev. P. Federico LOMBARDI, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede (CITTÀ DEL VATICANO), Segretario Ex-Officio della Commissione per l’Informazione

I Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporter sono pregati di rivolgersi per il permesso di accesso al Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.


A
vviso ai lettori

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