Dignitas infinita
				Testo di presentazione del Cardinale Prefetto
				(letta parzialmente nella Conferenza stampa)
				 
				8 aprile 2024
				 
				Il 
				documento che viene oggi presentato è una “Dichiarazione”, il che implica che 
si tratta di un testo di alto valore dottrinale. La scelta del genere letterario 
in questo caso è comprensibile perché abbiamo a che fare con un pilastro 
fondamentale dell’insegnamento cristiano. Si tratta, dunque, di un documento che 
raccoglie e consolida quanto gli ultimi Pontefici hanno detto su questo grande 
tema e sintetizza la novità offerta dal Magistero dell’attuale Papa su una 
questione strutturale del pensiero cristiano contemporaneo.
				Sono trascorsi diversi anni dalla pubblicazione di un’altra Dichiarazione, la 
				Dominus Iesus 
				(6 agosto 2000). Ma bisogna ricordare che pure 
				Fiducia 
supplicans è una Dichiarazione, anche se la questione trattata è certamente 
meno centrale. Perché? Perché in 
				Fiducia 
supplicans c’è stata 
un’innovazione magisteriale riguardo al modo in cui si intendono le benedizioni. 
Il Papa, infatti, ha voluto allargare la comprensione delle benedizioni per 
svilupparne la ricchezza pastorale.
				Ciò aiuta a capire che ci sono benedizioni che non confermano, non sanciscono, 
non consacrano né giustificano niente, ma sono solo una preghiera del ministro 
che invoca l’aiuto di Dio per continuare a vivere e per vivere meglio. Come lo 
stesso Papa Francesco ha spiegato nel suo 
				discorso tenuto in occasione della 
recente Sessione Plenaria del nostro Dicastero (26 gennaio 2024), queste 
benedizioni pastorali «fuori di ogni contesto e carattere liturgico non 
esigono una perfezione morale per essere ricevute». Quindi, se 
l’applicazione pratica alle unioni irregolari può essere differente in contesti 
diversi, ciò che siamo chiamati a sostenere comunque è che ci sono questi tipi 
di benedizioni che non hanno gli stessi requisiti delle benedizioni liturgiche.
				Ad alcuni liturgisti questo non piace, perché pensano che tutte le preghiere che 
un ministro fa sono liturgiche, e quindi tutto ciò che è benedetto deve essere 
completamente in accordo con la volontà di Dio. Ma il Papa ha voluto chiarire 
che non è così, e ci ha invitato ad allargare la nostra comprensione dei vari 
tipi di benedizione. E lui ha il diritto di farlo. Si tratta certamente di una 
questione minore, ma essa non era esplicitata nel Magistero, che d’altra parte 
ha parlato molto poco sulle benedizioni.
				Tuttavia, pur non essendo un tema molto importante, è una questione che sta nel 
cuore del Papa e che ha suscitato un significativo interesse nell’opinione 
pubblica. Basta guardare alcuni dati: 
				Fiducia 
supplicans è un documento 
che ha avuto più di 7 miliardi di visualizzazioni su Internet. È un dato 
notevole. Inoltre, in un recente sondaggio, che non è stato reso pubblico, è 
stato evidenziato, ad esempio, che in Italia, tra gli under 35, il 75% delle 
persone è d’accordo con i contenuti di 
				Fiducia 
supplicans, alcuni non 
hanno risposto e solo una percentuale molto piccola si è dimostrata contraria.
				Si auspica che il documento di oggi, che è certamente una Dichiarazione molto 
più importante di 
				Fiducia 
supplicans, possa avere questo livello di 
impatto, perché crediamo che il mondo ha bisogno di riscoprire le implicazioni 
dell’immensa dignità di ogni persona per non perdere l’orientamento. E 
soprattutto si spera di avere il vostro aiuto di giornalisti in questo senso.
				La dignità umana è una questione centrale nel pensiero cristiano. Ha avuto un 
magnifico sviluppo negli ultimi due secoli insieme alla dottrina sociale della 
Chiesa. Ed è un tema che permette un dialogo fruttuoso con la società, a 75 anni 
dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. 
				Questo non significa che si tratta di una nuova dottrina. La troviamo già nella 
Bibbia, ma non con linguaggio filosofico sebbene con un linguaggio narrativo. 
Quando, per esempio, nell’Antico Testamento si dice: «Non maledirai il sordo, e 
non porrai inciampo davanti al cieco» (Lv 19, 14), si percepisce con 
quanta tenerezza queste parole ci parlano della dignità del sordo e del cieco. 
Non importa se questi mi ascolta, mi veda o no, anche se le mie parole non 
possono ferirlo non lo insulto per un profondo rispetto di fronte alla sua 
dignità.
				Il rispetto della dignità umana riappare nella Bibbia quando nei Vangeli viene 
descritto come Gesù trattava i disprezzati e i dimenticati della sua società. 
C’è un bellissimo episodio evangelico in cui Gesù stava passando per una strada 
con i suoi discepoli. E c’era un povero cieco gettato sul ciglio della strada 
che gridava: «Gesù, abbi pietà di me». Gli apostoli gli dissero: «Smettila di 
disturbare, non disturbare il Maestro» (cf. Mt 20,29-34; Mc 
10,46-52; Lc 18,35-43). Quel tipo di persona non aveva alcun valore in 
quel momento, dava solo fastidio. Ma Gesù, ammutoliti i suoi discepoli, andò 
direttamente dal cieco e gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». È una 
domanda carica di umanità, un gesto che parla di dignità riconosciuta.
				Se il rispetto della persona umana nella sua unicità e nel suo carattere sacro è 
visibilmente chiaro nei gesti e nelle parole di Gesù, nondimeno, tutto ciò che 
ha a che fare con la dignità umana non sempre è stato riconosciuto dalla Chiesa 
con la stessa chiarezza, ma ha avuto una crescita nella comprensione della sua 
verità.
				Va notato, infatti, che all’interno della stessa Bibbia c’è stata una crescente 
esplicitazione. Per comprendere la portata di questa evoluzione, basta leggere 
un testo biblico tratto dal libro dell’Esodo: «Quando un uomo colpisce con il 
bastone il suo schiavo o la sua schiava e gli muore sotto le sue mani, si deve 
fare vendetta. Ma se sopravvive un giorno o due, non sarà vendicato, perché l’ha 
comprato col suo denaro» (Es 21, 20-21). Che cosa ha a che fare 
questo testo con l’immensa dignità di ogni persona umana? Niente!
				Ancora, nel 1452, con la bolla Dum Diversas, papa Niccolò V concesse al 
re del Portogallo di assoggettare i Saraceni e i pagani, riducendoli in 
schiavitù perpetua. Cito testualmente: «Con questo documento, con la Nostra Autorità Apostolica, vi concediamo il pieno 
e libero permesso di invadere, cercare, catturare e soggiogare i Saraceni e i 
pagani e gli altri infedeli e nemici di Cristo ovunque si trovino, e di ridurre 
le loro persone in schiavitù perpetua».
				Tuttavia, ottant’anni dopo, nel 1537, con la Bolla Veritas ipsa, o 
conosciuta anche come Sublimis Deus, Paolo III condannò con la scomunica 
coloro che sottoponevano gli altri alla schiavitù, “perché sono umani”. Come si 
nota, solo ottant’anni dopo, in un’epoca in cui i cambiamenti erano tanto lenti, 
un Papa dice praticamente il contrario di quanto affermato da un suo 
predecessore su un tema così importante.
				Un altro esempio: nel 1832 Papa Gregorio XVI, in Mirari 
				vos, aveva detto che è una «sentenza assurda ed erronea, o 
				meglio illusoria, che la libertà di coscienza debba essere 
				ammessa e garantita a chiunque» (MV 15). Nel Syllabus di 
				Pio IX (1864) la libertà religiosa è stata condannata come uno 
				dei principali “errori”. Ma nel secolo successivo, il Concilio 
				Vaticano II modificò sostanzialmente queste idee nella 
				Dichiarazione 
				
				Dignitatis humanae: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla 
libertà religiosa […] Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si 
fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana […] Il diritto alla 
libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della 
persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità 
perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di 
aderire ad essa» (DH 2). 
				Sono esempi, questi, che dimostrano come la comprensione della verità da parte della 
Chiesa si evolva nel corso del tempo, e che essa non cresce sempre nella stessa 
direzione, rimanendo fissa e pienamente omogenea con i documenti precedenti, 
almeno rispetto allo stesso punto concreto. Al contrario, oggi, ad alcuni sembra 
che papa Francesco non possa dire nulla di diverso da quanto detto prima, come 
se il Magistero fosse stato definitivamente chiuso con i Papi precedenti.
				È vero che i presupposti e i fondamenti della decisione del papa Paolo III erano 
già presenti nella Parola di Dio e che c’era già la convinzione del valore della 
dignità di ogni essere umano, anche se non mancavano contraddizioni e 
incongruenze nell’applicazione di questo principio. Tuttavia, è evidente che 
negli ultimi due secoli, bevendo da quel pozzo inesauribile del Vangelo, 
l’argomento ha avuto una maggiore chiarificazione e un ulteriore sviluppo 
esplicito, con una grande ricchezza espressa nel Magistero, soprattutto a 
partire da Leone XIII.
				Su determinati argomenti la Chiesa ha imparato con fatica, attraversando fasi 
difficili e secoli bui, ma ha imparato anche dialogando con il mondo. Se è vero 
che in Occidente molti valori della società provengono dal Vangelo, è vero pure 
che il Vangelo, che a volte porta frutto al di fuori della Chiesa, ci interpella 
in modi diversi che ci sorprendono.
				Questo processo evolutivo di comprensione della verità, dunque, ha attraversato 
secoli di storia, fino ad arrivare al rifiuto totale della pena di morte da 
parte di Papa Francesco. L’approvazione pontificia della modifica al testo del 
Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo alla pena capitale, avvenuta nel 
2018, costituisce il culmine della riflessione della Chiesa sull’inviolabile 
dignità umana. Ciò è da considerarsi come autentico sviluppo della dottrina 
relativa alla dignità umana, e ciò è dimostrato dalle stesse parole di papa 
Francesco quando afferma nell’Enciclica 
				Fratelli tutti: «Un fermo rifiuto 
della pena di morte mostra fino a che punto è possibile riconoscere 
l’inalienabile dignità di ogni essere umano e ammettere che abbia un suo posto 
in questo mondo. Perché se non lo nego al peggiore dei criminali, non lo 
negherò a nessuno» (Fratelli tutti, n. 269).
				È proprio questo documento, che oggi consegniamo, che chiarisce la distinzione 
tra la dignità ontologica, che esiste in ogni circostanza e non si perde mai, e 
quella che sarebbe una dignità morale, sociale o esistenziale. In questo senso, 
io posso condurre una vita indegna, ma non perdo mai l’inalienabile dignità 
umana che possiedo in virtù del fatto di essere umano. Possono sottopormi a una 
vita indegna, ma non potranno mai togliermi la immensa dignità personale che 
possiedo come essere umano. Ha la stessa dignità sia uno che sia nato in Italia 
o in Etiopia, sia che sia nato in Israele o a Gaza. È esattamente la stessa 
immensa e inalienabile dignità che si possiede.
				Ma come possiamo giustificare il fatto che alcuni bambini crescono con così 
tante possibilità e altri crescono senza il riconoscimento della loro dignità, 
cioè privati di tutto? Come possiamo spiegarlo? Per il valore supremo del libero 
mercato, delle sovranità nazionali? Se un bambino è nato al di qua del confine e 
un altro al di là, uno dei due ha meno dignità e quindi meno diritti umani? Non 
è forse vero che anche una sola persona che muore nella guerra ha questa 
altissima dignità e va persa per sempre? Come non cercare, dunque, la pace con 
tutti i mezzi, specialmente in questo preciso momento della storia in cui 
l’umanità, che è cresciuta in tanti ambiti, è incapace, poi, di evitare l’orrore 
della guerra?
				Di fronte alla verità universale della dignità umana di ogni essere umano, 
cadono tutte le maschere del presunto sviluppo delle nostre società. Al 
riguardo, papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica 
				Evangelii gaudium, 
chiede se nell’attuale modello “privatistico”, quello del successo dei forti, 
«abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno 
dotati possano farsi strada nella vita» (Evangelii gaudium, n. 209). 
Ognuno di loro ha un valore immenso, allora dobbiamo investire in loro anche se 
sono meno efficaci o meno produttivi. E, nell’Enciclica 
				Fratelli tutti 
aggiunge realisticamente: «non vale la stessa regola per una persona disabile, 
per chi è nato in una casa misera, per chi è cresciuto con un’educazione di 
bassa qualità» (Fratelli tutti, n. 109). Dunque, non è vero che tutti nascono e crescono con le stesse 
possibilità, e quindi, non è vero che a tutti viene riconosciuta la stessa 
dignità.
				Per questo motivo nell’Enciclica 
				Fratelli tutti papa Francesco ha voluto 
usare un’espressione che rafforza la convinzione dell’inalienabile dignità di 
ogni persona umana: “al di là di ogni circostanza”. Tale espressione sta a 
significare che non c’è circostanza che renda una persona di minor valore. La 
sua dignità rimane infatti immensa e inviolabile in qualsiasi circostanza, in 
qualsiasi contesto, in qualsiasi situazione. Una novità di questa Dichiarazione 
è che vuole sottolineare questo punto, trarne le conseguenze, e attorno ad esso 
organizzare il discorso su alcuni temi problematici del nostro tempo. In 
effetti, la pregnanza di significato di questa locuzione aveva orientato il 
Dicastero ad utilizzarla come titolo da dare alla Dichiarazione. Ma, ricordando 
alcune parole di san Giovanni Paolo II, che spesso papa Francesco ama citare, è 
stato scelto di attribuire alla Dichiarazione l’attuale titolo 
				Dignitas 
infinita.
				Nel corso del suo viaggio apostolico nella Repubblica Federale Tedesca, tenutosi 
nel novembre del 1980, durante l’Angelus 
domenicale pronunciato a 
Osnabrück, san Giovanni Paolo II si è trovato di fronte a un gruppo di persone 
con varie disabilità, insieme ai loro accompagnatori, e ha voluto dire in quella 
circostanza che Dio ama ciascuna di tali persone con un amore infinito, 
indipendentemente dalle loro disabilità. In quel momento, mentre guardava i 
volti di ciascuna di quelle persone piene di limiti e spesso disprezzate dagli 
altri, alla luce di questa convinzione era come volesse dire a ciascuno: “Tu hai 
un valore infinito”. 
				Nel pensiero di san Giovanni Paolo II il valore è infinito perché lo è l’amore 
di Dio verso ogni persona umana, e anche perché è un valore assoluto, che 
assolutamente in nessuna situazione possibile può essere negato. Certo che è un 
linguaggio che va colto con un minino di senso poetico e simbolico, con una 
comprensione non univoca ma analoga, ma che possiede una speciale forza 
espressiva. 
				Pertanto, nel corso di 2000 anni e con non poche difficoltà, la Chiesa ha reso 
sempre più esplicita questa convinzione che oggi è saldamente consolidata nel 
pensiero cattolico.
				Con questo documento, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha voluto rendere 
omaggio a un tema così presente non solo nel pensiero di papa Francesco, ma 
anche nei suoi atteggiamenti, cioè nel suo modo di trattare i malati, i 
dimenticati, gli ultimi, nella sua capacità di ascolto che fa percepire in chi 
gli parla di essere preso sul serio, riconoscendone, mediante lo sguardo, quel 
mistero meraviglioso di ogni essere umano, quell’infinita dignità di cui ognuno 
è dotato.
				Personalmente ricordo un episodio della mia vita, nel periodo in cui papa 
Francesco era Arcivescovo di Buenos Aires. Mi riferisco alla vicenda della mia 
nomina a Rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina: mi sembrava 
che all’improvviso tutti fossero contro di me, accaniti non perché mi odiassero, 
ma perché la mia nomina avrebbe sconvolto i loro piani e avrebbe intralciato in 
maniera evidente i loro scopi. In simili occasioni si è tentati di incolpare se 
stessi, di punirsi e di mettersi da parte: erano proprio questi i sentimenti che 
albergavo nel mio animo in quel periodo. Ma uno di quei giorni, l’Arcivescovo 
Bergoglio mi ha detto con convinzione e fermezza: «No Tucho, alza la testa e non 
lasciare che ti tolgano la dignità. Perché la tua dignità nessuno te la può 
togliere».
				Vorrei che questo messaggio fosse per ciascuno di voi, perché il messaggio 
dell’amore di Dio che ci salva è inseparabile dal messaggio sull’immensa dignità 
di ogni essere umano. Proprio a causa di questa dignità abbiamo il diritto di 
essere felici, o di cercare di esserlo. C’è un bellissimo testo biblico dove Dio 
dice: «Chi giustificherà uno che fa male a se stesso e chi onorerà colui che si 
disonora? [...] Nessuno è peggiore di chi danneggia se stesso [...] Figlio, per 
quanto ti è possibile, trattati bene [...]. Non privarti di un giorno felice, 
non ti sfugga nulla di un legittimo desiderio» (Sir 10,29; 14, 
6.11-14). Quasi a dire: «spero che tu possa riconoscere la tua dignità e 
rialzarti sempre, che tu possa andare avanti nonostante tutto. Cerca di essere 
felice quando sei con una persona cara, ma anche di goderti il tuo lavoro, o 
almeno di dilettarvi a pianificare, sognare, attendere. Sapendo sempre quanto 
vali, prendendo consapevolezza che hai un valore infinito, anche se gli altri 
non sanno riconoscerlo. Perché Dio ti ama nonostante tutto e al di là di 
qualsiasi circostanza. Per quella stessa dignità tu puoi andare sempre più in 
là, con una vita più dignitosa, con un modo di agire più bello, con sogni più 
alti e nobili, e soprattutto riconoscendo con ammirazione quanto vale tuo 
figlio, quanto vale la tua vicina di casa, quanto vale il tuo collega».
				L’ultima parte di questa Dichiarazione affronta brevemente alcuni temi che 
permettono di contemplare in modo armonico la questione della dignità umana 
nella sua interezza. Alcuni di questi temi potrebbero trovare un consenso 
maggiore, altri meno, ma essi vanno considerati tutti importanti perché si 
illuminano a vicenda. Quando, infatti, nella Chiesa si difende la vita fin dal 
concepimento, non è a causa di un fanatismo maschilista o di una mentalità 
arretrata. Ma perché cerchiamo di essere coerenti con questa convinzione della 
dignità dell’essere umano al di là di ogni circostanza: che sia uscito o meno 
dal grembo materno, la sua dignità è la stessa, non dipende dal suo sviluppo. 
Altrimenti, non ci saranno ragioni universalmente valide e sempre solide per 
difendere i diritti umani senza scuse.
				Crediamo, infatti, che tutti gli argomenti scelti, senza pretesa di esaustività, 
siano importanti per poter comprendere la tematica in modo armonico e non 
frammentato. Essi si illuminano a vicenda e fanno parte della ricchezza del 
pensiero cattolico sulla dignità umana. Ecco perché è importante leggere le 
questioni non separatamente, ma in connessione, cercando di avere una visione 
d’insieme. Porto alcuni esempi: si parla dell’aborto dopo aver trattato delle 
violenze sulle donne. Riguardo alle teorie del gender, è vero che ci sono 
almeno due ragioni per non accettare le ideologie di genere, che invece di 
aiutare il riconoscimento della dignità umana impoveriscono una visione 
umanistica in cui l’uomo e la donna fanno l’incontro più bello e fecondo nella 
più grande differenza che l’umanità contiene. In questo contesto, l’idea del 
matrimonio tra persone dello stesso sesso o l’eliminazione stessa delle 
differenze non sembrano accettabili. Ma all’inizio di questo tema si afferma che 
è contrario alla dignità umana il fatto che una persona sia perseguitata, 
torturata, imprigionata o uccisa solo per l’orientamento sessuale, cosa che 
accade anche legalmente in diverse parti del mondo. Si parla poco di questa 
violazione della dignità umana, di questo attacco ai diritti umani; anche il 
giornalismo ne parla poco ed è doloroso che anche alcuni cattolici difendano 
queste leggi inique. Il documento, dunque, su questo argomento dice entrambe le 
cose, perché oltre a sostenere una concezione della sessualità e del matrimonio, 
sostiene prima di tutto la dignità di ogni essere umano al di là di tutto, al di 
là di ogni circostanza, e la Chiesa cerca comunque tutti i cammini pastorali 
possibili perché ognuno senta Dio vicino alla sua vita col suo amore senza 
limiti.
				Víctor Card. Fernández