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La prospettiva e il concetto di verità in Deus caritas est

Gerard Müller

Pontificia Università Lateranense
19 novembre 2015

 

“I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4,23). Ecco parole con le quali Cristo esprime la sua missione in un riferimento pneumatologico di grande portata, ragione per cui precedono la sua stessa rivelazione dinanzi alla Samaritana in quello che, per lei, fu un incontro salvifico con Cristo.

Il mistero evocato è annunciato nel binomio che si stabilisce tra "spirito e verità" dove i termini sono complementari e tendono ad una unità originaria nella quale esso si offre come rivelazione. Il primo parallelismo sta nel finale del prologo di San Giovanni in cui il binomio "grazia e verità" offre il quadro di comprensione di ciò che significa la rivelazione di Cristo nel disegno divino. Da un lato, nel v.14 San Giovanni lo usa per spiegare “la gloria del Figlio Unigenito” partendo da un particolare πρλέρωμα divino che viene comunicato agli uomini (cfr. v. 16); dall’altro, nel v. 17, lo propone come rivelazione definitiva che porta a pienezza la legge data da Mosè.

Tutto indica che ci troviamo dinanzi alla traduzione giovannea del binomio “misericordia e lealtà” (חסד ואמת, ḥesed w´emeth)[1], cruciale per la comprensione della presenza divina del popolo eletto e della conoscenza di quest'ultimo del proprio Dio. Il binomio misericordia-verità è, pertanto, il riferimento ultimo dell’autorivelazione di Dio in Cristo.

Questo ci aiuta a riconoscere la validità della citazione iniziale poiché è proprio la misericordia di Dio nei confronti della Samaritana che spiega la rivelazione della verità del suo messianismo (cfr. Gv 4,25-26) che la salverà. La misericordia è dunque legata proprio alla sponsalità di Cristo che deve redimere il cammino sbagliato della Samaritana, persa nella sua ricerca di Dio ed incapace di adorare secondo verità.

A tal proposito, è rilevante l’esegesi di questo brano compiuta da Sant’Agostino: egli interpreta il “marito” come l’intelletto, mediazione necessaria affinché la Samaritana possa riconoscere Cristo come verità[2]. Il vescovo di Ippona ribadisce che questo è il primo passo per poter comprendere la verità dello spirito di cui parla Cristo: “chiama – le dice - tuo marito. Ecco perché tu non capisci ciò che dico, perché il tuo intelletto non è presente; io parlo secondo lo spirito, e tu ascolti secondo la carne”[3]. I cinque mariti sarebbero dunque i cinque sensi, incapaci di raggiungere questa verità di Cristo ma capaci di imprigionare l’anima[4]. L’interpretazione riprende la grande forza veritativa dell’incontro salvifico con la Samaritana, senza trascurare l’amore sponsale che avvolge la scena e che considera Cristo come referente con una rilevazione ultima del suo messianismo a cui va accordata la giusta considerazione. È quindi essenziale, nella fattispecie, che la ragione naturale dell’uomo sia parte integrante della comprensione della verità, anche quando essa si manifesta a partire dall’amore in una comunicazione nella quale la fede e la grazia sono determinanti. In nessun modo è possibile individuare qui una dialettica amore-verità, quanto piuttosto una profonda integrazione in cui ogni uomo si trova coinvolto.

Siamo partiti da questa piccola introduzione di un testo basilare su Cristo per mostrare come, da qui, emerga naturalmente il binomio fede e ragione a cui ci ha condotti l’incontro con la Samaritana. La questione della verità appare continuamente come un richiamo urgente ed imperioso per la vita del cristiano. Come correttamente spiegato da De la Potterie[5], è impossibile avvicinarsi ai testi giovannei senza una comprensione profonda del termine άλήθεια, nel suo duplice senso dialogico di manifestazione e di ricezione trasformativa dell’uomo. La verità che presenta agisce da legame tra fede e ragione: queste ultime hanno in Cristo la loro pienezza e hanno rappresentato gli elementi chiave essenziali del dialogo tra il primo cristianesimo e la cultura ellenica circostante. Papa Benedetto XVI, in tutto il suo magistero ed in particolare nel discorso tenuto presso l’Università di Ratisbona, mentre affermava con chiarezza che “non agire secondo ragione, („σὺν λόγω”), è contrario alla natura di Dio”[6], ha sottolineato con precisione come il dialogo fede-ragione inizialmente compiuto con l’ellenismo, sia normativo per il cristianesimo. Leggiamo le sue parole: “il patrimonio greco, criticamente purificato, [è] una parte integrante della fede cristiana”[7]. Ciò significa che il pensiero cristiano ha sempre preso le distanze da una qualsiasi considerazione labile della verità che la potesse diluire in una ermeneutica storica sempre relativa all’evoluzione dei tempi.

La nostra prima affermazione è che l’enciclica Deus caritas est obbedisce all’intenzione profonda di questo dialogo che deve sempre guidare il cammino della Chiesa e nel quale la verità va messa in gioco. Come correttamente indicato da Papa Benedetto nel discorso di cui sopra, l’abbandono della ragione (λόγος) nell’anelito di verità è una dialettica di potere che lascia grande spazio all’arbitrarietà e alla violenza[8]. Si tratta di una questione che il Pontefice volle approfondire anche nel suo discorso al Reichstag, parlando della ragione come fonte di diritto[9].

Un avvicinamento alla lettura di Deus caritas est come proposta di epistemologia teologica

La grandezza celata nella prima enciclica del Papa tedesco consiste nel cogliere la grande sfida di proporre l’essenza del cristianesimo nell’amore, per scoprire in essa il posto centrale della verità proprio come luce dell’amore. È impossibile dimenticare il discorso di presentazione di questa enciclica dinanzi all’assemblea plenaria Cor Unum, che parte da una sorprendente proposta circa il valore conoscitivo dell’amore: “Luce e amore sono una sola cosa”[10].

Analizziamo brevemente la portata di tale affermazione, così immensamente coraggiosa. La sua proposta contiene una forza epistemologica di estrema rilevanza[11] poiché significa, nel contempo, il superamento di due proposte conoscitive insufficienti, nonché la spiegazione della fallacia della pretesa post-cristiana che include, nei suoi presupposti, un atteggiamento diverso rispetto alla verità.

Per quanto riguarda il primo elemento, il testo pontificio prende in considerazione due deficienze epistemologiche che, in quanto tali, sono contrapposte ma che, nella loro coincidenza, rappresentano il maggior ostacolo all’evangelizzazione. La profonda intuizione del Papa consiste precisamente nel rilevare che entrambe derivano da una mancanza di conoscenza della natura conoscitiva dell’amore. Mi riferisco al razionalismo e all’emotivismo. Il primo, rifiutò l’amore come fonte di conoscenza relegandolo alla posizione di affetto soggettivo e privato. Il secondo, apparso inizialmente con il romanticismo, fece emergere l’importanza degli affetti ma da una prospettiva irrazionalista come reazione all’enorme carenza affettiva che l’Illuminismo aveva proiettato nei rapporti umani.

Il rifiuto del razionalismo come comprensione riduttiva della ragione, con l’implicita riduzione della verità alla sola certezza[12] è un principio attualmente assunto dalla teologia, che ha dovuto subire le limitazioni nelle quali racchiude questa prospettiva che separa radicalmente dalla contemplazione del mistero forzando il dinamismo specifico della fede[13]. Di contro, rimane ancora da approfondire il senso dell’emotivismo in quanto assunzione irrazionale degli affetti come guida per l’esistenza. Dobbiamo a MacIntyre la scoperta della sua presenza e la denuncia dei suoi effetti devastanti[14]. La perspicacia delle sue analisi è stata l’elemento scatenante di una abbondante letteratura sugli affetti, di cui Goleman è stato il maggior esponente[15]. Essa si è concentrata sul rivendicare in particolare il ruolo conoscitivo dell’amore[16], spesso con evidenti carenze, aprendo però un cammino nel quale la tradizione cristiana offre una luce inconfondibile.

L’emotivizzazione della fede e della coscienza sono, al giorno d’oggi, i fenomeni più estesi che riversano sull’esperienza religiosa un vago irrazionalismo. La fragilità del soggetto emotivo, invece, lo rende molto ricettivo a qualsiasi argomento che tratti degli affetti. È proprio questo l’aspetto rilevante della nostra enciclica che è in grado di affrontarli partendo da una prospettiva nella quale la verità è presente come luce.

In tal modo, cade l’accusa che pesava sul cristianesimo a partire da Feuerbach il quale, ponendo come essenza del cristianesimo l’amore universale, concludeva affermando che la fede era un ostacolo alla sua realizzazione e che, di conseguenza, bisognava dichiarare obsoleta la proposta cristiana[17].

Indubbiamente, un seppur minimo avvicinamento all’amore cristiano fa emergere i grandi limiti del filosofo tedesco circa l’amore che ha compreso soltanto come altruismo e che ignora come comunicazione nel bene partendo da una trascendenza di Dio[18].

Per questa ragione, l’indubbio valore metafisico che scaturisce dall’identità tra “luce e amore”, radicato in una visione cosmica dell’amore non è soltanto la risposta fondamentale a questa accusa, ma è innanzitutto la proposta cristiana capace di presentare una provocazione radicale nel pensiero contemporaneo. Questa percezione che nasce dall’unità intrinseca tra creazione-rivelazione-redenzione, ci spinge a considerare la verità dell’amore come un aspetto fondamentale della nuova evangelizzazione, solo marginalmente raccolto dagli ambienti teologici, nonostante i dieci anni trascorsi dalla promulgazione dell’enciclica.

L’unità radicale di una esperienza veritativa

Dopo aver chiarito l’intenzione primigenia dell’enciclica, possiamo vedere meglio come questo aspetto veritativo dell’amore sia utile per spiegarne la struttura sia nell’insieme che nel dettaglio. Tutta l’enciclica ha come base fondamentale la verità dell’amore come luce. Solo se si adotta questa prospettiva si può comprendere la reale portata delle sue affermazioni. A questo ci invita la sua stessa introduzione, nella quale il Papa emerito, invece di citare Dio è amore come si usa fare riprendendo la formula che appare per la prima volta nella Scrittura, ossia il v.8 della Prima Lettera di San Giovanni, sceglie il versetto 16, più esteso: “Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1 Gv 4,16)[19]. L’intento di questa scelta è di stabilire la connessione con la frase giovannea completa che introduce immediatamente la fede: “Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto” (1 Gv 4,16)[20].

Ecco dunque due delle maggiori affermazioni del cristianesimo in cui è coinvolto l’amore: la conoscenza di Dio nel profondo e il modo amorevole di conoscenza di questo mistero da parte dell’uomo. L’interrelazione tra amore e fede è tanto grande da poter dire, riprendendo le parole di Spicq che “per San Giovanni, l’oggetto specifico della fede è la carità divina”[21].

In particolare, non possiamo esimerci dal menzionare l’inclusione del “rimanere” (manei/n), così tipico di San Giovanni, nella frase iniziale dell’enciclica. In fondo, con questa affermazione, il Papa sta tracciando sinteticamente la struttura duale del documento. Questa è stata normalmente spiegata partendo dalla lettera di Benedetto XVI a Famiglia cristiana, in base alle due domande che pone: una rispetto all’amore per Dio e l’altra rispetto all’amore nei confronti del prossimo[22]. In questo modo, si adotta la visione pratica dell’amore legata alla legge nuova di Cristo che trova il proprio fondamento nella carità e che richiede la testimonianza cristiana per diventare credibile[23]. Questa è sicuramente una ragione presente nella divisione, ma non raccoglie sufficientemente il contenuto della frase iniziale: in essa, ci appare come principio l’unità tra il “conoscere-credere” e il “rimanere”, tra un’attività essenzialmente contemplativa ed una realtà vitale fonte di tutta la vita cristiana. Da qui scaturisce piuttosto l’unità radicale dell’enciclica che si stabilisce a partire dell’unica verità dell’amore che è, nel contempo, contemplativa e pratica, e che si colloca pertanto ad un livello precedente rispetto alla divisione presentata.

Così, le due parti dell’enciclica che corrispondono all’amore per Dio e per il prossimo vanno interpretate anche come spiegazione di due dimensioni interne all’amore: quella contemplativa e quella operativa. Non è sorprendente che l’enciclica tratti questo tema in modo esplicito mediante il riferimento a San Gregorio Magno e alla sua Regula pastoralis, poiché egli riafferma con decisione entrambi gli elementi dal punto di vista squisitamente pastorale. Ricordiamo tale testo fondamentale: “Il pastore buono, egli dice, deve essere radicato nella contemplazione. Soltanto in questo modo, infatti, gli sarà possibile accogliere le necessità degli altri nel suo intimo, cosicché diventino sue: «per pietatis viscera in se infirmitatem caeterorum transferat»”[24]. L’azione pastorale stessa della Chiesa, il cui aspetto caritativo organizzato è uno dei contenuti fondamentali della seconda parte, poggia e nasce da una contemplazione amorevole di Dio, analizzata nella prima parte.

La fonte gregoriana è un elemento illuminante poiché nella sua dottrina sulla carità si affermano i due principi contemplativo ed operativo in modo esemplare, nella convinzione che la loro unica origine stia nell’amore poiché è conoscitivo e fonte di ogni azione umana. Non possiamo fare a meno di menzionare le due frasi nelle quali questo concetto viene enunciato, lasciandoci sorprendere dalla loro forza: da un lato “L’amore è conoscenza”[25] e, dall’altro, “L’amore di Dio non è mai ozioso; quando c’è, produce grandi cose; se si rifiuta di essere fattivo, non è vero amore”[26]. Il fatto che la prima frase sia stata poi ripresa nell’enciclica Lumen fidei sta ad indicare l’importanza di questo aspetto conoscitivo, spesse volte dimenticato, tanto da essere definito come una “logica nuova”[27]. In sintesi, in modo molto semplice e con un riferimento pastorale si sta indicando l’inseparabilità tra la conoscenza teologica di Dio e l’attività pastorale della Chiesa. Si tratta di una dimensione assolutamente essenziale al giorno d’oggi, giacché l’assunzione acritica di una cosiddetta “creatività” della prassi offusca questa unità originaria. È bene, dunque, ripetere le parole di Papa Benedetto quando ammonisce dicendo: “Occorre rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive”[28]. Ecco perché l’intenzione del Santo Padre nello scrivere l’enciclica è eminentemente evangelizzatrice, come si evince dalle sue stesse parole: “Vivere l'amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica.”[29].

D’altro canto, il riferimento alla Regula con la menzione della scala di Giacobbe e dell’unità di una dinamica discendente e ascendente, consente al Pontefice di superare la dicotomia di Nygren circa i due amori, quello divino e quello umano, che non si mescolano mai[30].

La ragione che adduce è chiara e, allo stesso tempo, manifesta la sua intenzione di fondo: aprire la via della rivelazione di Dio mediante l’amore. Ecco come lo spiega: “Se si volesse portare all'estremo questa antitesi, l'essenza del cristianesimo risulterebbe disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell'esistere umano e costituirebbe un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente tagliato fuori dal complesso dell'esistenza umana”[31]. L’unità di dinamismo su cui si basa[32], che fa parte dell’esperienza dell’amore e della sua capacità conoscitiva, si proietta ora sulla tensione fede-ragione da cui abbiamo iniziato la nostra disamina; solo partendo dalla categoria della verità essa possiede una luce e il suo referente principale è il principio antropologico che risponde all’interrogativo di Feuerbach, l’autentica concezione dell’immagine di Dio: “Questa novità della fede biblica si manifesta soprattutto in due punti, che meritano di essere sottolineati: l'immagine di Dio e l'immagine dell'uomo”[33].

La verità dell’amore come struttura interna della prima parte dell’enciclica

Dobbiamo dunque considerare il valore conoscitivo dell’amore come il filo conduttore dell’enciclica e come elemento essenziale per la comprensione dell’amore cristiano. Per la sua interpretazione ci vengono in grandissimo aiuto le indicazioni date dall’enciclica Lumen fidei di Papa Francesco, in molti punti della quale possiamo riconoscere la penna di Benedetto. Il compito che si presenta a noi è così vasto che possiamo soltanto limitarci a considerare alcuni elementi iniziali, non senza rammarico per un certo oblio della Deus caritas est che spiega la ragione per cui questa sintesi così necessaria non è stata ancora portata avanti seriamente.

Nella nostra disamina possiamo, inoltre, mantenere il riferimento ultimo all’incontro con la Samaritana poiché in esso ci appare chiaramente la valenza di salvezza tipica del dialogo. Di fatto, la seconda enciclica di Papa Benedetto, Spe salvi è, innanzitutto, un sapiente avvicinamento al significato reale della salvezza cristiana[34], molto difficile da comprendere nell’ambiente culturale contemporaneo, con tutto ciò che questo comporta come ostacolo rilevante all’evangelizzazione.

La forza di una fede nell’amore è quindi il cammino da seguire nella nostra trattazione. Bisogna partire dalla ragionevolezza che tale fede esige e a cui soltanto l’amore può dare una risposta. Ecco un’argomentazione messa in evidenza da Balthasar che la considera come un rinnovamento necessario dell’apologetica, ma che, nel nostro testo, individua una nuova prospettiva che dobbiamo approfondire[35].

Come ben sappiamo, l’interpretazione che è stata data dell’enciclica si è concentrata sul binomio eros-agape con il quale si sviluppa l’argomentazione della prima parte[36]; tuttavia, non è stato adeguatamente analizzato il modo concreto in cui si porta avanti, ossia la relazione tra fede e ragione che abbiamo messo in evidenza poc’anzi. Ecco perché, questo modo di analizzare il suddetto binomio è preso più dalla storia della salvezza che dalla storia del pensiero. Lo si evince già dal modo in cui Papa Ratzinger descrive l'eros, poiché lo collega direttamente alla relazione uomo-donna, separandola dalla trascendenza per avvicinarla alla bellezza, che è il quadro di interpretazione greco, dove l'integrazione con il valore del corpo è altamente problematica[37]. Nell'enciclica, questa argomentazione prende consistenza in una analogia dell'esperienza umana in cui, invece, la corporeità è essenziale: “All'amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s'impone all'essere umano, l'antica Grecia ha dato il nome di eros.”[38]. Presenta l’eros come un'esperienza umana basilare, tendente ad una perfezione che non può raggiungere da sola, quindi bisognosa di una purificazione per poter scoprire tutta la sua verità. Sono le stesse caratteristiche di cui parlava Papa Benedetto nel suo discorso di Ratisbona, alludendo alla ragione che ha il proprio valore, ma che deve essere purificata per essere più ampia[39]. Nella fattispecie, si accentua il valore del corpo e la realtà affettiva che presuppone, che non possono essere "dominate dalla ragione" ma che hanno il loro specifico valore.

L'enciclica, quindi, abbandona il pensiero greco per introdursi direttamente nella modalità di rivelazione propriamente divina in un amore corporeo[40]. In ogni momento, essa dà per scontato che lo stesso amore in sé, in quanto conoscenza, è una rivelazione in cui si scopre la persona amata nella sua autentica identità. È su questo concetto di comunicazione personale che si basa per introdurre l’agape come modo specifico di amare in cui si manifesta la persona[41]. Questo era già presente nell’eros, ma serviva un riferimento che lo collegasse ad una rivelazione dell'Amore divino creativo, un’apertura radicale che non poggiasse sulla speculazione greca: è proprio qui che si supera in ogni punto il pensiero greco e l'apparizione dell'agape diviene imprescindibile anche come rivelazione del suo amore per l'uomo[42].

Tale argomentazione circa il necessario riferimento ad un Amore creativo di per sé, la ritroviamo esplicitamente espressa anche successivamente, con la terminologia dell'esistenza di un “amore originario” nella Lumen fidei, nel senso di dare un significato all'esistenza umana: “La fede nasce dall’incontro con l’amore originario di Dio in cui appare il senso e la bontà della nostra vita; questa viene illuminata nella misura in cui entra nel dinamismo aperto da quest’amore, in quanto diventa cioè cammino e pratica verso la pienezza dell’amore”[43]. A partire dalla relazione qui stabilita con l'amore creativo unico di Dio, si può configurare una nuova analogia amoris, fondamentale per la conoscenza teologica e che deve andare al di là di quella presentata da Balthasar[44].

Il modo di condurre il ragionamento passa attraverso il momento sponsale, in cui il dono del corpo acquisisce le proprie caratteristiche a cui solo la fede può rispondere. Così, vediamo che il testo dà ragione della struttura di tutta questa sezione dell'enciclica: “Fa parte degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività –«solo quest'unica persona»- e nel senso del «per sempre»”[45]. Da un lato, emergono le caratteristiche legate all'amore sponsale[46], amore corporeo; dall'altro, si vive nella tensione verso una manifestazione definitiva che presuppone il fatto che l'amore abbia senso in una storia, la cui ragione profonda, che conferisce unità al suo tempo, è radicata nell'amore[47].

In questo contesto si inserisce l'affermazione più significativa dell'enciclica, quella che spiega la caratteristica fondamentale della specificità della rivelazione biblica. Il Papa offre così un contenuto che unisce l'uomo a Dio nell'Alleanza e spiega la ragione del cammino scelto per la sua autorivelazione: “All'immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l'icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell'amore umano”[48].

Su di essa poggia tutta la spiegazione che offre della “una caro” (Gén 2,24) nella valenza di verità definitiva nell'uomo, dove si gioca la sua identità, in riferimento ad una vocazione d'amore[49], ovvero, ad una pienezza umana. Ma c'è di più: per chiarire maggiormente la valenza personale, si pone in opposizione al mito dell'androgino che presenta un falso ideale di fusione[50]. Tutto ciò appare già in relazione con la pienezza della rivelazione nella carne di Cristo, dove la verità dell'amore si manifesta in modo definitivo.

Tale affermazione è già anticipata, in virtù del significato che la verità dell'amore attribuisce al dono del corpo rispetto al senso della vita. “«Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Lc 17, 33), dice Gesù – una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr. Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere”[51]. La prima citazione biblica è quella che introduce il Concilio Vaticano II al numero 24 della Costituzione pastorale Gaudium et spes per spiegare il contenuto del “dono di sé”[52].

Questa spiegazione cristologica appare quindi in correlazione con la logica del dono che nasce dall'amore originario e che deve guidare il senso della vita dell'uomo e delle sue azioni. Contiene una verità unica che unisce l’autorivelazione di Dio al dono dell'uomo, una verità percepita solo mediante questa offerta gratuita per amore.

La verità dell'amore ci introduce nel profondo della logica della salvezza in una unione dinamica tra il momento creativo, quello storico e la definitività dell'evento cristologico. Il significato specifico della verità, intrinseco all'autorivelazione divina, è legato all’incondizionalità del dono divino offerto in Cristo, pertanto, si tratta di una verità che l'uomo non domina ma che è dominata da questa, ed egli deve affidarsi ad essa per poterla ricevere. Ecco perché soltanto a partire dall'Amore di carità, che realizza la sua Alleanza con Dio, è in grado di vivere. L'insegnamento che si evince da tutto questo è molto chiaro: “è doveroso tenere a mente, in primo luogo, che il cammino verso la verità piena impegna anche l’intero essere umano: è un cammino dell’intelligenza e dell’amore, della ragione e della fede. Non possiamo avanzare nella conoscenza di qualcosa se non ci muove l’amore, e neppure possiamo amare qualcosa nella quale non vediamo razionalità (…) In secondo luogo, occorre considerare che la stessa verità è sempre più alta dei nostri traguardi. Possiamo cercarla ed avvicinarci ad essa, però non possiamo possederla totalmente, o meglio è essa che ci possiede e che ci motiva”[53].

In Cristo, la verità personale che ci interroga e la verità dell'uomo che Egli realizza di persona sono inseparabili, tanto da racchiudere un contenuto insuperabile. Si riconosce così il valore assoluto di questa rivelazione che si estende a tutto ciò che riguarda direttamente l'unione con Dio. È la professione circa il fatto che ciò che è definitivo della rivelazione divina si è prodotto in Cristo e rimane per sempre come senso della vita di ogni uomo. Seguendo la dichiarazione Dominus Iesus possiamo affermare che: “Solo la rivelazione di Gesù Cristo, quindi, «immette nella nostra storia una verità universale e ultima, che provoca la mente dell'uomo a non fermarsi mai»”[54] e che continua nella Chiesa mediante l'azione dello Spirito Santo, che ci garantisce l'accesso alla pienezza di questa verità. “La verità su Dio non viene abolita o ridotta perché è detta in linguaggio umano. Essa, invece, resta unica, piena e completa perché chi parla e agisce è il Figlio di Dio incarnato. Per questo la fede esige che si professi che il Verbo fatto carne, in tutto il suo mistero, che va dall'incarnazione alla glorificazione, è la fonte, partecipata, ma reale, e il compimento di ogni rivelazione salvifica di Dio all'umanità [14], e che lo Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo, insegnerà agli Apostoli, e, tramite essi, all'intera Chiesa di tutti i tempi, questa «verità tutta intera» (Gv 16,13)”[55].

La verità dell’amore, la difesa dell’uomo

In definitiva, la struttura, la redazione e i punti chiave dell'enciclica si basano su una profonda intellezione della verità dell'amore in quanto aspetto essenziale del cristianesimo che è, nel contempo, il grande contributo offerto alla dignità umana. In altri termini: “la miglior difesa di Dio e dell'uomo consiste proprio nell'amore”[56].

Una volta giunti all'aspetto cristocentrico di questo amore, appare del tutto chiara la spiegazione del rapporto tra verità e amore, il cui sviluppo esplicito è contenuto nell’enciclica Caritas in veritate. Molti sono stati i commenti in merito[57] ma, di fatto, solo raramente è stata tenuta in considerazione nel quadro teologico che abbiamo identificato. In questo documento troviamo già una prima spiegazione pratica circa la portata di questa prospettiva di verità che il Papa aveva disegnato con tratti decisi nella sua prima enciclica. L'ambito di comprensione ora è molto importante, perché si tratta della realtà pratica dell'amore sociale. Non la presenta mai come una deduzione da principi astratti ma piuttosto come derivante dalla realtà dell'amore in quanto guida delle azioni umane; tanto è vero che modifica la citazione di San Paolo: operare “secondo verità nella carità” (Ef 4,15)[58] con “operare la carità nella verità” per spiegare la supremazia operativa del dono divino[59]. Si tratta certamente di un'espressione forte dell'unità tra la verità contemplata e la verità vissuta che avevamo in Deus caritas est e che ora si estende nel suo aspetto sociale e comunitario come dialogo: “Perché piena di verità, la carità può essere dall'uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è «lógos» che crea «diá-logos» e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell'amore: è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità”[60].

Tutto questo ci aiuta a comprendere meglio come la sua espressione dell'unione intrinseca di entrambe le dimensioni si separi da un equilibrio tra poli diversi; essa si muove piuttosto in una integrazione profonda in cui l'incontro con Cristo è il referente primigenio di verità. E’ proprio in questa prospettiva che dobbiamo intendere le affermazioni più chiare di questa enciclica: “Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità”[61]. La sua visione si muove nell’ambito di una luce eminentemente teologica della rivelazione di Dio, tanto da poter concludere dicendo: “Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme «Agápe» e «Lógos»: Carità e Verità, Amore e Parola”[62].

Tutto questo è quanto viene riaffermato da Papa Francesco nell'enciclica Lumen fidei, partendo dal senso dinamico della fede come risposta umana personale. Si riprende così il rapporto inseparabile che abbiamo identificato tra persona-amore-vocazione, che è essenziale per comprendere tutta la dinamica dell'azione umana. Il fondamento è l'insegnamento della vocazione all'amore proposta da San Giovanni Paolo II[63]. Lo vediamo anche in Caritas in veritate quando dice: “Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo”[64]. Si tratta di una realtà inerente all'esistenza umana, il cui fulcro è l'incontro con Cristo: “L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità”[65].

Con la categoria della vocazione come risposta alla verità della propria identità, si chiarisce il valore personale che si mette in gioco e che vede nella testimonianza di vita l'espressione più specifica, tanto che, come affermava l'allora Cardinale Ratzinger: “Così proprio i martiri ci indicano anche ad un tempo la strada per capire Cristo e per capire che cosa significhi essere uomini”[66]. La risposta umana è preceduta, illuminata e guidata dalla chiamata di Dio, nel senso performativo del linguaggio che include l'azione[67]. La fede in Abramo è inseparabile dal suo camminare. Come afferma la Lumen fidei: “La visione che la fede darà ad Abramo sarà sempre congiunta a questo passo in avanti da compiere: la fede «vede» nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola di Dio”[68].

Quanto detto può essere riassunto in questa frase di Benedetto XVI: una sintesi della sua posizione circa il modo in cui l’autorivelazione di Dio in Cristo ci offre, mediante la fede, un nuovo accesso alla verità legata all'amore:

“La fede permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana: è un «sàpere», cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali, capaci di amare, vincendo la solitudine che rende tristi. Questa conoscenza di Dio attraverso la fede non è perciò solo intellettuale, ma vitale. E’ la conoscenza di Dio-Amore, grazie al suo stesso amore. L’amore di Dio poi fa vedere, apre gli occhi, permette di conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze. La conoscenza di Dio è perciò esperienza di fede e implica, nel contempo, un cammino intellettuale e morale: toccati nel profondo dalla presenza dello Spirito di Gesù in noi, superiamo gli orizzonti dei nostri egoismi e ci apriamo ai veri valori dell’esistenza”[69].

Un’applicazione pastorale: misericordia e verità

Ci rimane da compiere un ultimo passo: la proiezione di tutto questo sulla seconda parte dell'enciclica che, questa volta, si struttura in base alla relazione che esiste tra “carità e giustizia”, binomio, anche questo, dal grande contenuto epistemologico[70]. Il testo di Caritas in veritate parla a malapena di misericordia ma, di contro, considera la parabola del Buon Samaritano come il cardine che collega le due parti[71]. In altri termini, adotta una prospettiva narrativa della misericordia, tipica della Sacra Scrittura, che è presente in tutto il suo contenuto.

Di conseguenza, la relazione precedente tra amore e giustizia è una luce importantissima gettata sul tema della misericordia, essenziale per l'attualità teologica. È importante assumerla nella sua radicalità, innanzitutto per evitare l'errore di separare la misericordia dalla dinamica amorosa umana, altrimenti la trasformeremmo in un'azione divina sradicata da qualsiasi connessione con l'uomo e cadremmo nell'errore di Nygren che, per via delle sue fonti luterane, considera un amore che non giustifica il fedele[72].

Benedetto XVI affronta invece il tema partendo dall’epistemologia amorosa sviluppata in precedenza, che si muove nella dinamica di unità nella differenza, ben diversa dalla dialettica degli opposti con cui la si suole presentare. In questo modo, la giustizia, senza perdere il proprio oggetto con tutta la sua oggettività, si inserisce in un dinamismo amoroso più ampio che permette la più grande delle giustizie: l'unione con Dio.

Il significato principale della giustizia nella Bibbia scaturisce dall'Alleanza ed è questo l'ambito reale nel quale la misericordia ha senso. I profeti comprendono la misericordia di Dio come un amore che provoca la conversione dell'uomo e lo rende capace di vivere secondo le esigenze dell'Alleanza; in altri termini, convertono il peccatore in giusto. L’annuncio di una Nuova Alleanza definitiva[73] è, pertanto, la più grande promessa di misericordia che si possa fare.

Nel dibattito sulla misericordia, si usa citare San Tommaso, in particolare quando dice: “in ogni opera di Dio appare la misericordia come sua prima radice”[74]. Si dimentica però, che in una stessa questione, tratta i tre attributi che considera “operativi” e lo fa proprio dopo aver parlato dell'amore che conferisce loro il dinamismo fondamentale: giustizia, verità e misericordia. Li tratta proprio in quest’ordine[75]; è quindi la verità che si propone come cerniera tra la giustizia e la misericordia, per indicare la fonte profonda da cui scaturiscono: la verità dell'amore che abbiamo cercato. La frase precedente di San Tommaso racchiude quindi anche un senso veritativo che elimina qualsiasi arbitrarietà, poiché ha a che vedere con un ordine nel quale la creazione è sempre presente. Soltanto così si introduce la misericordia come ragione più profonda della comunicazione del bene divino che è essenziale per la comprensione di Dio[76]. L’Aquinate afferma, seguendo il Salmo 85: “è necessario affermare che in ogni opera di Dio si trovano la misericordia e la verità”[77]. Possiamo concludere che ogni lettura dialettica che affronti misericordia e verità è sempre un attacco alla misericordia che potrà essere falsata per essere ridotta ad una compassione emotiva incapace di salvare l'uomo. La logica della misericordia conferisce alla giustizia, non già una possibilità di introdurre eccezioni ad una legge eccessivamente pesante, come se si negasse la sua verità, ma offre piuttosto il senso di una sovrabbondanza che rigenera[78], in particolare il perdono che riconcilia gratuitamente la persona e la rende capace vivere in Alleanza con Dio con le sue esigenze. Di fatto, nell’escatologia, Dio stesso appare garante della giustizia umana fino alla fine: ecco un fondamento per l'escatologia intermedia di purificazione[79]. Questa unità tra verità e misericordia è stata ricordata da Papa Francesco nel suo discorso ai vescovi italiani, secondo la logica che abbiamo adottato: “annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e misericordia, non disgiungiamole. Mai! (…) Senza la verità, l’amore si risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione: e un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali, che in quanto tali non incidono sui progetti e sui processi di costruzione dello sviluppo umano”[80].

Il Buon Samaritano ci parla di un amore più che compassionevole, poiché è capace di curare e di guarire l'uomo caduto. Ha un carattere massimamente conoscitivo che gli permette di riconoscere il prossimo anche in senso operativo: “Il programma del cristiano –il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù- è « un cuore che vede ». Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”[81].

La sua lettura cristocentrica, così amata dai Padri[82], ha portato, nel Medioevo, in virtù dell'influenza agostiniana, a porre in essa il fondamento dei sacramenti[83], azioni di Dio che costruiscono la Nuova Alleanza. Con questo riferimento, riprendiamo la prima scena dell'incontro con la Samaritana: è la misericordia di Dio a concederle il dono di cui aveva bisogno per adorare in spirito e verità, e che cambia la vita come prova della sua verità[84].

La lettura “spirituale” del Vangelo di San Giovanni, lungi dall'essere allegorica, ha come fulcro la carne di Cristo con un'insistenza anti-gnostica che sorprende per la sua forza. Si deve poter considerare il senso sacramentale che ripercorre gli scritti e che ha fatto riconoscere l'esistenza del “libro dei segni”[85] di questo Vangelo come fondamento reale che dà senso alla vita cristiana come un “rimanere nell'amore”. Un libro che si apre con le nozze di Cana (Gv 2,1-11), in cui si identifica l'inizio della fede con la manifestazione di Cristo come Sposo in un riferimento testuale il cui fine sarà Cristo sulla Croce ed il suo cuore aperto. L'inizio della fede dei discepoli sta nell'intervento di Cristo in cui la misericordia ha come oggetto il matrimonio, nel senso di trasformare una carenza umana in occasione per la manifestazione della sovrabbondanza di Dio: un elemento essenziale per qualsiasi azione della Chiesa, che poggia sempre sulla misericordia rappresentata da Maria[86]. Riprendendo le parole di Papa Francesco, anche noi possiamo affermare che: “Assimilata e approfondita in famiglia, la fede diventa luce per illuminare tutti i rapporti sociali. Come esperienza della paternità di Dio e della misericordia di Dio, si dilata poi in cammino fraterno”[87].

Questa lettura è certamente una chiave dell'enciclica di Papa Benedetto, che guarda sempre alla carità come fonte ultima, dove l'uomo può “toccare” la sua verità più profonda[88], il cuore trafitto di Cristo (cfr. Gv 19,34). La contemplazione del suo amore misericordioso trasforma la profezia del “volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Zac 12,10; Gv 19,37) nel “luogo” privilegiato in cui l'uomo scopre la propria verità, quello che lo trasforma in autentico adoratore di Dio[89].


[1] Cfr. D. Muñoz León, Proclamación del Evangelio de S. Juan, Edice, Madrid 1988, 195: “La expresión ‘gracia y verdad’ en este caso corresponde al hebreo חסד ואמת, hesed we’emet de los salmos, que cantan la bondad y la fidelidad, la misericordia y la lealtad de Dios”.

[2] Cfr. S. Augustinus, In Jo., XV, 18 (CCL 36,157): “Forte enim et animae nostrae dicit: Voca virum tuum. Quaeramus et de viro animae. Cur iam non ipse Iesu vir animae verus est? Adsit intellectus, quoniam quod dicturi sumus, vix capitur nisi ab intentis; adsit ergo intellectus ut capiatur, et ipse intellectus erit fortasse virum animae”.

[3]S. Augustinus, In Jo., XV, 19 (CCL 36,157): “Voca, inquit, uirum tuum. Ideo enim nescis quod dico, quia intellectus tuum non adest; loquor ego secundum spiritum, tu audis secundum carnem”. (Traduzione italiana tratta da: NBA, XXIV/1, 361).

[4] Cfr. S. Augustinus, In Jo., XV, 21 (CCL 36,158-159): “Secundum hos quinque sensus, tamquam quinque viros, prius vivir anima, quia istis regitur”.

[5] Per il confronto con la concezione greca: cfr. I. De la Potterie, La vérité dans saint Jean, I, Biblical Institute Press, Roma 1977, 36: “Dans les écrits johanniques, la vérité est au contraire quelque chose qui descend d’auprès de Dieu, elle est un don du Verbe fait chair: c’est la parole du Père, révélée en Jésus Christ”.

[6] Benedetto XVI, Discorso tenuto presso l’Università di Ratisbona, (12-IX-2006).

[7] Benedetto XVI, Discorso tenuto presso l’Università di Ratisbona, (12-IX-2006).

[8] Cfr. Benedetto XVI, Discorso tenuto presso l’Università di Ratisbona, (12-IX-2006): “In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione”.

[9] Cfr. Benedetto XVI, Discorso al Reichstag, (22-IX-2011): “Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto – ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosofico e giuridico che si era formato sin dal secolo II a. Cr.”.

[10] Benedetto XVI, Discorso al Pontificio Consiglio “Cor Unum”, (23-I-2006). Cfr. S. Grygiel, “«L’Amor che muove il sole e l’altre stelle»: luce e amore”, in L. Melina – C. Anderson (a cura di), La via dell’amore. Riflessioni sull’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, Rai-Pontificio Istituto GP2, Roma 2006, 251-264.

[11] Come riconosciuto da: G. Angelini, “Deus caritas est. Una preziosa sollecitazione al pensiero teologico”, in Teologia 31 (2006) 3-10.

[12] Per questi passi: cfr. É. Gilson, The Unity of Philosophical Experience, Charles Scribner’s Sons, New York 1937.

[13] Come già messo in evidenza da: P. Rousselot, “Les yeux de la foi”, in Recherches des Sciences Religieuses 1 (1910) 241-259 y 444-475.

[14] Cfr. A. MacIntyre, After virtue. A Study in Moral Theory, Duckworth, London 21985, in particolare, il capitolo intitolato: “Emotivism: Social Content and Social Context”: ibidem, 23-35.

[15] Cfr. D. Goleman, Emotional Intelligence, Bantam Books, New York 1995.

[16] Ricordiamo: M.-C. Nussbaum, Love’s Knowledge. Essays on Philosophy and Literature, Oxford University Press, New York-Oxford 1990; H. G. Frankfurt, The Reasons of Love, Princeton University Press, Princeton, New Jersey 2006.

[17] Nella ben nota opera: L. Feuerbach, Das Wesen des Christentums, (1841). Quanto esposto in quest’opera pesa ancora su tutta la “teologia politica” che ne è derivata: cfr. E. Bloch, Das Prinzip Höffnung, in Gesamtausgabe, V, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1959.

[18]Come spiega: C. Fabro, L’avventura della teologia progressita, Rusconi, Milano 1974, 142: “Si opera perciò qui un divario radicale fra la concezione cristiana della persona e quella che dell’uomo ha Feuerbach”.

[19] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 1.

[20] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 1. Riprende questo argomento in: Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2013, (15-X-2012).

[21] C. Spicq, Agapè dans le Nouveau Testament, III, J. Gabalda et Cie, Paris 1959, 341.

[22] Benedetto XVI, Lettera a Famiglia cristiana: “La prima domanda è: si può davvero amare Dio? … possiamo davvero amare il prossimo anche se ci è estraneo o addirittura antipatico?”.

[23] Cfr. Benedetto XVI, Lettera a Famiglia cristiana: “Il mondo attende la testimonianza dell’amore cristiano che ci viene ispirato nella fede. Nel nostro mondo, molte volte cosí oscurato, con questo amore brilla la luce di Dio”.

[24] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 7. Che cita: San Gregorio Magno, Regula pastoralis, l. 2, c. 5 (SCh 381,196).

[25] San Gregorio Magno, XL Homiliarum in Evangelio libri duo, l. 2, h. 27, 4 (CCL 141,232): “Dum enim audita supercaelestia amamus, amata iam nouimus, quia amor ipse notitia est”.

[26] San Gregorio Magno, XL Homiliarum In Evang., l. 2, h. 30, 2 (CCL 141,257): “Numquam est Dei amor otiosus. Operatur etenim magna, si est; si uero operari renuit, amor non est”.

[27] Francesco, L.Enc. Lumen fidei, n. 27.

[28] Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, (29-I-2010), in cui parla del rapporto tra carità e giustizia.

[29] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 39.

[30] Sebbene il Pontefice non parli esplicitamente del pastore svedese, si riferisce certamente a lui quando dice: Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 7: “ Le due concezioni vengono spesso contrapposte come amore « ascendente » e amore « discendente » (…) tipicamente cristiano sarebbe l'amore discendente, oblativo, l'agape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto quella greca, sarebbe caratterizzata dall'amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè dall'eros”. Si riferisce al’opera di: A. Nygren, Eros und agape. Vestaltwandlungen der christlichen Liebe, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1955, l’originale svedese è del: 1930-37.

[31] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 7.

[32] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 8: “ in fondo l'« amore » è un'unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l'una o l'altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l'una dall'altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell'amore”.

[33] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 8.

[34] Cfr. H. U. von Balthasar, Glaubhaft ist nur Liebe, Johannes Verlag, Einsiedeln 1963; cfr. R. Fisichella, “Rileggendo Hans Urs von Balthasar”, in Gregorianum 71 (1990) 511-546.

[35] Come si evince dal suo basarsi su Ef 2,8-10, come spiega in: Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2013, (15-X-2012): “A proposito del rapporto tra fede e opere di carità, un’espressione della Lettera di san Paolo agli Efesini riassume forse nel modo migliore la loro correlazione: «Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (2, 8-10). Si percepisce qui che tutta l'iniziativa salvifica viene da Dio, dalla sua Grazia, dal suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della carità”. Cfr. Francesco, L.Enc. Lumen fidei, n. 19: “L’inizio della salvezza è l’apertura a qualcosa che precede, a un dono originario che afferma la vita e custodisce nell’esistenza. Solo nell’aprirci a quest’origine e nel riconoscerla è possibile essere trasformati, lasciando che la salvezza operi in noi e renda la vita feconda, piena di frutti buoni. La salvezza attraverso la fede consiste nel riconoscere il primato del dono di Dio, come riassume san Paolo: « Per grazia infatti siete stati salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio » (Ef 2,8s)”.

[36] Cfr. G. Angelini, Eros e agape. Oltre l’alternativa, Glossa, Milano 2006; A. Scola, Benedetto XVI, Deus caritas est. Introduzione e commento, Cantagalli, Siena 2006; G. Salmeri, “Eros: l’ambiguità e il dramma dell’amore”, in L. Melina –C. Anderson (a cura di), La via dell’amore. Riflessioni sull’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, Rai-Pontificio Istituto GP2, Roma 2006, 59-68; R. Frattallone, “Eros e amore: le dimensioni morali. La teologia morale fondamentale e generale alla luce dell’agape”, in G. Russo (a cura di), Deus caritas est. Riflessioni sull’Enciclica di Benedetto XVI, Editrice Coop.S.Tom., Messina 2006, 55-73; G. Dalla Torre, L’archetipo dell’amore fra gli uomini. Deus caritas est: riflessione a più voci sull’Enciclica di Benedetto XVI, Edizioni Studium, Roma 2007; G. Tejerina Arias, “Estructura y método de la Encíclica”, in J. R. Flecha (Coord.), Dios es amor. Comentarios a la Encíclica de Benedetto XVI Deus caritas est, Universidad Pontificia de Salamanca, Salamanca 2007, 25-43; G. del Pozo Abejón, “Dios es amor y el amor, salir de sí a la comunión. La primera encíclica de Benedetto XVI a la luz de su teología anterior”, in E. Toraño – J. Prades (eds.), Dios es amor. Extensión universitaria, Publicaciones «San Dámaso», Madrid 2009, 13-38.

[37] Cfr. Per questo punto: J. M. Rist, Eros e Psyche. Studi sulla filosofia di Platone, Plotino e Origene, Vita e Pensiero, Milano 1995; G. Reale, Eros demone mediatore. Una lettera del Simposio di Platone, Rizzoli, Milano 1996; U. Curi, La cognizione dell’amore. Eros e filosofia, Feltrinelli, Milano 1997.

[38] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 3.

[39] Cfr. Benedetto XVI, Discorso presso l’Università di Ratisbona, (12-IX-2006): “Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa”.

[40] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 5: “ Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell'essere umano, che è composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità ”.

[41] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 3: “ La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell'amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore ”.

[42] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 9: “ Certamente, l'idea di una creazione esiste anche altrove, ma solo qui risulta assolutamente chiaro che non un dio qualsiasi, ma l'unico vero Dio, Egli stesso, è l'autore dell'intera realtà essa proviene dalla potenza della sua Parola creatrice. Ciò significa che questa sua creatura gli è cara, perché appunto da Lui stesso è stata voluta, da Lui « fatta ». E così appare ora il secondo elemento importante: questo Dio ama l'uomo”.

[43]Francesco, L.Enc. Lumen fidei, n. 51. Cfr. J. Larrú, “La fe genera vida”, in J. Granados –J. Larrú (eds.), En torno a la encíclica Lumen fidei del Papa Francesco, Monte Carmelo, Burgos 2014, 119-133.

[44] Cfr. L. Melina, “Analogia dell’amore”, in E. Molina –T. Trigo (eds.), Matrimonio, familia, vida. Homenaje al Prof. Dr. Augusto Sarmiento, EUNSA, Pamplona 2011, 69-76. Rispetto a: M. Lochbrunner, Analogia caritatis. Darstellung und Deutung der Theologie Hans Urs von Balthasars, Herder, Freiburg 1981.

[45] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 6.

[46] È ancora un punto di riferimento: L. Alonso Schökle, Símbolos matrimoniales en la Biblia, Verbo Divino, Estella 1997.

[47] Cfr. J. Granados, La teología del tiempo, Sígueme, Salamanca 2012, 44-48.

[48] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 11. Cfr. A. Staglianò, “«All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico». La bellezza difficile del cristianesimo nel tempo della società liquida”, in J. J. Pérez-Soba (a cura di), Misericordia, verità pastorale, Cantagalli, Siena 2014, 105-121.

[49] Cfr. J. Granados (a cura di), Una caro. Il linguaggio del corpo e l’unione coniugale, Cantagalli, Siena 2014.

[50] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 6. L’argomento è sviluppato in particolare in: A. Scola, Il mistero nuziale, 1. Uomo-donna, PUL –Mursia, Roma 1998.

[51] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 6.

[52]Concilio Vaticano II, Cost.Pas. Gaudium et spes, n. 24: “l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Per la sua assunzione come fondamento della verità morale: cfr. B. Kiely, “L’atto morale nell’enciclica «Veritatis Splendor»”, in VERITATIS SPLENDOR. Atti del Convegno dei Pontifici Atenei Romani. 29-30 ottobre 1993, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, 109: “L’idea del fare dono-di-se-stessi torna almeno nove volte nel testo (nn. 15, 17, 20, 21, 48, 85, 87, 89, 120) e pertanto sembra una delle chiave dell’enciclica”.

[53] Benedetto XVI, Discorso a giovani docenti universitari, (San Lorenzo del Escorial, 19-VIII-2011).

[54] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dec. Dominus Iesus, n. 5, che cita: Giovanni Paolo II, L.Enc. Fides et ratio, n. 14.

[55] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dec. Dominus Iesus, n. 6.

[56] Benedetto XVI, L.Enc. Deus caritas est, n. 31.

[57] Cfr. M. Cozzoli, “Caritas in veritate. Il nesso tra carità e verità”, in Studia Moralia 47 (2009/2) 459-472; M. Toso, Il realismo dell’amore di Cristo: la Caritas in veritate prospettiva pastorale e impegno del laicato, Studium, Roma 2010; J. Costa, “«Amor en la verdad», principio clave de la doctrina social de la Iglesia”, in D. Melé –J. Mª Castellà (Eds.), El desarrollo humano integral: Comentarios interdisciplinares a la encíclica Caritas in veritate de Benedetto XVI, ITER, Barcelona 2010, 53-70; A. Greco, “Cristo misura dell’amore nella verità”, in A. Panico (a cura di), La via per un sviluppo integrale. Commento alla Caritas in veritate, Edizioni Viverein, Roma 2010, 29-50; L. B. Irizar, “Verdad, caridad y desarrollo”, in Id. (ed.), Humanización de la vida sociopolítica según “Cáritas in veritate”, Universidad Sergio Arboleda, San Pablo, Bogotá 2011, 25-43.

[58] «αληθεύοντες δε εν αγάπη».

[59] Cfr. Benedetto XVI, L.Enc. Caritas in veritate, n. 2: “Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della « veritas in caritate » (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della « caritas in veritate »”.

[60]Benedetto XVI, L.Enc. Caritas in veritate, n. 4.

[61]Benedetto XVI, L.Enc. Caritas in veritate, n. 3.

[62]Benedetto XVI, L.Enc. Caritas in veritate, n. 3.

[63] Cfr. Giovanni Paolo II, L.Enc. Redemptor hominis, n. 10; Id., Es.Ap. Familiaris consortio, n. 11. Come studio: cfr. M. T. Cid Vázquez, Persona, amor y vocación. Dar un nombre al amor o la luz del sí, Edicep, Valencia 2009.

[64] Benedetto XVI, L.Enc. Caritas in veritate, n. 1. Il termine vocazione appare come uno degli elementi chiave dell’intera enciclica: cfr. ibidem, 1, 7, 9, 12, 16-19, 48, 52, 69.

[65] Francesco, L.Enc. Lumen fidei, n. 53.

[66] La frase completa è: J. Ratzinger, “Il rinnovamento della teologia morale: prospettive del Vaticano II e di Veritatis splendor”, in L. Melina – J. Noriega (a cura di), Camminare nella Luce. Prospettive della teologia morale a partire da Veritatis splendor, Lateran University Press, Roma 2004, 45: “Lungo tutta la storia umana i martiri rappresentano la vera apologia dell’uomo e dimostrano che la creatura umana non è un fallimento del Creatore, ma che, pur con tutti gli aspetti negativi verificatisi nella storia, essa è realmente illuminata dal Creatore. Nella testimonianza fino alla morte, si dimostra la forza della vita e dell’amore divino. Così proprio i martiri ci indicano anche ad un tempo la strada per capire Cristo e per capire che cosa significhi essere uomini. Cfr. J. Prades López, Dar testimonio. La presencia de los cristianos en la sociedad actual, BAC, Madrid 2015.

[67] Cfr. Benedetto XIV, L.Enc. Spe salvi, n. 4: « performativo », vale a dire se possa trasformare la nostra vita così da farci sentire redenti”. Significa che: “per il fatto stesso di essere pronunciato diventa realtà”: cfr. J. L. Austin, How to Do Things with Words, Clarendon Press, Oxford 1962.

[68] Francesco, L.Enc. Lumen fidei, n. 9.

[69] Benedetto XVI, Udienza generale, (21-XI-2012).

[70] Cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, nn. 26-29. Come studi: cfr. C. A. Anderson, “Giustizia e carità nell’enciclica Deus caritas est”, in L. Melina –C. Anderson (a cura di), La via dell’amore. Riflessioni sull’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, Rai-Pontificio Istituto GP2, Roma 2006, 287-295; G. Savagnone, “Amore, giustizia e bene comune”, in G. Dalla Torre, L’archetipo dell’amore fra gli uomini. Deus caritas est: riflessione a più voci sull’Enciclica di Benedetto XVI, Edizioni Studium, Roma 2007, 107-121; R. Blázquez Pérez, “Compromiso por la justicia y servicio de la caridad según la Encíclica Deus caritas est”, in José Román Flecha (Coord.), Dios es amor. Comentarios a la Encíclica de Benedetto XVI Deus caritas est, Universidad Pontificia de Salamanca, Salamanca 2007, 13-24.

[71] Il Buon Samaritano appare citato in: Benedetto XIV, L.Enc. Deus caritas est, n. 15, 25, 31 a e b. Cfr. R. Tremblay, “La figura del buon Samaritano, porta d’ingresso nell’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est”, in Studia Moralia 44 (2006) 395-411.

[72]Cfr. D. Dietz, The Christian Meaning of Love. A Study of the Thought of Anders Nygren, Pontificia Universitas S. Thomae de Urbe, San Antonio, Texas 1976.

[73] Cfr. C. Granados García, La nueva alianza como recreación: estudio exegético de Ez 36,16-38, Analecta Biblica, Roma 2010.

[74]San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 21, a. 4: “Et sic in quolibet opere Dei apparet misericordia, quantum ad primam radicem eius”. Citato in: W. Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo- Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2012, 151. Poi in: W. Kasper, Il Vangelo della famiglia, Queriniana, Brescia 2014, 66.

[75] La struttura della q. 21 della Prima pars è: a. 1, la giustizia; a. 2, la verità; a. 3, la misericordia; a. 4, relazione tra misericordia e giustizia. La q. 20 tratta De amore Dei.

[76] Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, IV Sent., d. 46, q. 2, a. 1, qla. 2: “misericordia, proprie loquendo, pertinet ad providentiam divinam, qua bona sua communicat creaturis rationalibus”. Emerge l’importanza di questa dinamica comunicativa del bene sempre legata alla creazione: Francesco, Es.Ap. Evangelii gaudium, n. 9: “Il bene tende sempre a comunicarsi”; pertanto il fedele: ibid., n. 24: “Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva”.

[77] SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 21, a. 4: “necesse est quod in quolibet opere Dei misericordia et veritas inveniantur”. Il Sal 85,11: recita in latino: “misericordia et veritas obviaverunt sibi” che spiega l’Aquinate: SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 21, a. 2, s.c.: “et ponitur ibi veritas pro iustitia”. Cfr. il libro classico: A. M. Ciappi, De divina misericordia ut prima causa operum Dei, Pontificio Instituto Internazionali “Angelicum”, Romae 1935.

[78] Cfr. SANTOMMASOD’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 21, a. 4: “Et propter hoc etiam ea quae alicui creaturae debentur, Deus, ex abundantia suae bonitatis, largius dispensat quam exigat proportio rei. Minus enim est quod sufficeret ad conservandum ordinem iustitiae, quam quod divina bonitas confert, quae omnem proportionem creaturae excedit”.

[79] Tale argomentazione appare in: Benedetto XVI, L. Enc. Spe salvi, n. 42.

[80] Francesco, Discorso ai Vescovi italiani, (19-V-2014).

[81]Benedetto, L.Enc. Deus caritas est, n. 31 b.

[82] Cfr. San Ireneo di Lione, Adversus Haereses, III, 17, 3 (SC 211,336); cfr. A. Orbe, Parábolas evangélicas de San Ireneo, I, BAC, Madrid 1972, 123-141.

[83] Cfr. San Agostino, Sermo 131, 6 (PL 38,732); Pietro Lombardo, Sent. IV, d. I, c. I (ed. Quaracchi, 745).

[84] È proprio l’opposto della “teologia del fallimento” che propugna: E. Schockenhoff, Chancen zur Versöhnung? Die Kirche und die wiederverheiratet Geschiedenen, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 2011.

[85] Secondo la divisione che compie: R. E. Brown, The Gospel according to John, I, Ancor Bible, Garden City, New York 1966.

[86] Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, In Io., c. 2, lec. 1 (n. 345): “Quia ergo virgo beata misericordia plena erat, defectus aliorum sublevare volebat”.

[87] Francesco, L.Enc. Lumen fidei, n. 54.

[88] Cfr. J. Ratzinger, Schauen auf den Durchbohrten. Versuche zu einer spirituellen Christologie, Johannes Verlag, Einsiedeln 1984, 47. Ricordiamo i riferimenti a “toccare” di: Francesco, L.Enc. Lumen fidei, nn. 31, 36, 40, 42, 60.

[89] Oltre al libro precedente di Ratzinger: cfr. J. Larrú, “L’originaria fonte dell’amore: il Cuore traffitto”, in L. Melina –C. Anderson (a cura di), La via dell’amore. Riflessioni sull’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, Rai-Pontificio Istituto GP2, Roma 2006, 179-191 ). Per le implicazioni cristologiche: R. Tremblay, L’«innalzamento» del Figlio, fulcro della vita morale, PUL, Roma 2001.

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