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[ IT  - LA ]

BENEDETTO XV

BOLLA CHE PROCLAMA
SANTA LA BEATA GIOVANNA D'ARCO

DIVINA DISPONENTE

16 maggio 1920

Il Vescovo Benedetto,
servo dei servi di Dio.

A perpetua memoria.

 

Per disposizione della divina clemenza, dopo lungo periodo di tempo, mentre la terribile guerra produceva tanti mali, offrirono un nuovo segno della giustizia e della misericordia di Dio quei miracoli che, operati per intercessione della Pulzella d’Orléans, sancivano definitivamente davanti agli uomini la sua innocenza, fede, santità e obbedienza ai voleri di Dio, per osservare i quali tutto sopportò fino a una crudele e ingiusta morte. È perciò molto opportuno che Giovanna d’Arco sia oggi iscritta nel numero dei Santi, perché, dal suo esempio, tutti i cristiani imparino che l’obbedienza ai voleri di Dio è santa e devota, e ottengano da lei la grazia di convertire i loro concittadini affinché ottengano la vita celeste.

Il 6 febbraio dell’anno 1412 dalla Redenzione, Giovanna ebbe i natali nella cittadina di Domrémy in Lorena, da Giacomo d’Arc e Isabella Romé, pii e fedeli contadini cattolici. Fin dalla prima giovinezza, per cura della mamma, pia e retta, timorata di Dio, fu sufficientemente istruita nella fede, tutta dedita ad una vita semplice e serena. Quando stava nella casa paterna, aiutava i familiari col lavoro delle sue mani: soleva filare lino e lana, e talvolta andava col padre ad arare e a custodire il bestiame.

E non soltanto compiva puntualmente il suo dovere verso i familiari, ma anche ciò che riguardava la religione e la devozione, tanto che si attirava l’ammirazione di tutti e il parroco della cittadina poteva dire di non avere mai veduto, né avuto nella sua parrocchia, una migliore di lei. Giovanna ebbe sempre come abitudine di ricevere spessissimo i divini sacramenti, osservare i digiuni prescritti, frequentare sempre la chiesa, partecipare ogni giorno al sacrosanto sacrificio della Messa, recitare ferventissime preghiere davanti alle immagini di Gesù pendente dalla croce e della Beatissima Vergine. I giorni di festa, mentre le altre ragazze prendevano riposo e si davano ai balli, ella si recava in chiesa, portando candele, che offriva alla Vergine santissima e, per singolare devozione verso di Lei, intraprendeva pellegrinaggi alla chiesa solitaria della Beata Vergine Maria di Bermont. Era inoltre trasportata da un così grande amore verso Dio e verso il culto a Lui dovuto, che la sera, anche quando era in campagna, appena sentiva la campana della chiesa, piegate le ginocchia, elevava a Dio la mente.

Si distinse per la carità verso il prossimo. Infatti ristorava gli ammalati e volentieri faceva elemosine, ospitava i poveri, ai quali di buon grado cedeva il suo lettuccio, dormendo lei stessa per terra. Dio ricolmò di gloria e di onore tali virtù così meravigliose in una fanciulla di circa 12 anni, e a lei cominciò a rivelare i suoi propositi con alcune visioni celesti, come è accertato che, per l’infinita sua sapienza, aveva agito spesse volte con altre sante vergini. Giovanna, all’età di 13 anni, nell’orto di suo padre, accanto alla chiesa, sul mezzogiorno, sentì una voce e scorse un grande splendore. Fu presa allora da timore, ma, quando l’udì per la terza volta, capì che era la voce dell’Angelo di Dio. In queste prime apparizioni, l’Angelo non spiegò a Giovanna la missione divina, ma soltanto la persuase a coltivare la devozione e a frequentare la chiesa: così Giovanna, presa dalla gioia delle cose celesti, consacrò a Dio la sua verginità.

Finalmente l’Arcangelo Michele le si rivelò e le comandò che, lasciata la casa paterna, si recasse dal Re per aiutarlo, senza nessun timore, perché santa Caterina e santa Margherita lo avrebbero sostenuto. L’umile fanciulla rispose di essere una povera figlia, del tutto incapace di cavalcare e di cose guerresche; ma tanta fu la sua fede e obbedienza che, lasciata la famiglia, si portò nel paese di Bureyle- petit, dallo zio paterno Durando Laocardo, chiedendogli di condurla a Vaucouleurs, dal duca Roberto di Baudricourt, al quale voleva dire di andare in Francia incontro al Delfino, per essere incoronato.

Pieno di ammirazione, lo zio acconsentì e, il 13 maggio 1428, condusse Giovanna a Vanucouleurs perché parlasse col duca di Baudricourt. Ma costui non prestò fede alle parole della fanciulla, anzi disse a suo zio di riportarla da suo padre e di darle dei ceffoni. Giovanna tornò alla casa paterna e si dedicò ai lavori di un tempo, avendo tuttavia ferma fiducia che al più presto sarebbe andata dal Re. E davvero, non molto tempo dopo, per disposizione divina, lo zio di Giovanna si recò al paese di Domrémy e si fece affidare Giovanna dai genitori, col pretesto di aiutare la propria moglie, ma invece tornò di nuovo a Vaucouleurs e affidò Giovanna alla pia famiglia Le Royer.

Giovanna frattanto parlava apertamete della sua missione, dicendo che bisognava che si recasse dal Delfino, perché il suo Signore, Re del Cielo, così voleva. Il duca Roberto di Baudricourt, volendo mettere alla prova lo spirito di Giovanna, che finalmente gli era stata portata davanti, comandò che il parroco la facesse giurare; cosa che ella fece, ma in seguito si rammaricò di questo giuramento. Roberto forse dubitava ancora, ma dovette cedere di fronte all’entusiasmo dei cittadini. Giovanna, ottenuto il perdono dai genitori, ai quali disse che doveva obbedire alla volontà divina, il 13 febbraio 1429, indossati abiti maschili e montata a cavallo, iniziò il viaggio per andare dal Re insieme ad alcuni cavalieri, ai quali lo stesso duca Roberto aveva affidato Giovanna. Dopo undici giorni, fra molte difficoltà, con la paura degli Inglesi e dei Borgognoni, arrivò in modo prodigioso alla città di Chinon, vicino al Re, e lì dovette affrontare altri non lievi ostacoli.

Infatti alcuni consiglieri del Re dicevano che non si doveva prestarle nessuna fiducia, ma, pochi giorni dopo, quando il Re ebbe saputo dal duca Roberto che Giovanna aveva traversato a guado molti fiumi, in modo prodigioso, fra i nemici, per poter essere condotta da lui, finalmente concesse udienza alla fanciulla. Giovanna, quando il Re si fu allontanato un po’ dalla vista degli altri, gli manifestò riverenza e gli palesò la missione celeste affidatale dal Re dei Cieli, affermando che egli sarebbe stato consacrato e incoronato nella città di Reims, e che era destinato a fare le veci del Re dei Cieli, che è il Re di Francia. Dopo molte domande, il Re disse ai presenti che Giovanna gli aveva rivelato alcuni segreti, noti solo a Dio, per la qual cosa aveva molta fiducia in lei. Ma, in una faccenda così importante, volle chiedere consiglio ad alcuni ecclesiastici e mandò la Pulzella a Poitiers, perché fosse esaminata dagli insigni dottori dell’Università. Dopo tre settimane, i dottori riferirono al Re di non aver trovato in Giovanna niente che fosse contrario alla fede cattolica, e il Re ordinò che la Pulzella avesse degli uomini addetti a lei e, come elemosiniere, fra’ Giovanni Pasquerel, dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino, il quale poi sempre la seguì.

Le furon dati un cavallo e delle armi, ma Giovanna preferì la vecchia spada, ornata di cinque croci, che aveva indicato trovarsi nel tempio di santa Caterina di Fierbois, come realmente fu trovata; volle invece un vessillo con l’immagine del Redentore, che portava sempre con sé. Interrogata perché portasse il vessillo, rispose che non voleva usare la sua spada, né uccidere nessuno. Verso la fine del mese di aprile di quell’anno, si recò nella città di Blois, dove era stato radunato un esercito di circa 12.000 soldati, che aveva preparato gli approvvigionamenti per la città di Orléans, assediata dagli Inglesi.

La prima sollecitudine di Giovanna fu che nell’esercito si conservassero i buoni costumi, per cui comandò che fossero allontanate le donne di malaffare e rimproverò severamente i bestemmiatori. Poi volle un altro vessillo con l’immagine di Cristo per radunare i preti, perché il predetto elemosiniere aveva disposto che essi, ogni giorno, mattina e sera, cantassero insieme a Giovanna le antifone e gli inni della Beata Vergine Maria. E, prima di procedere verso la città di Orléans, comandò che tutti i preti, armati, si raccogliessero sotto quel vessillo.

La Pulzella volle confermare la sua missione con un segno di pace e a questo scopo mandò a Talbot, comandante supremo dell’esercito inglese, una lettera nella quale diceva che, se gl’Inglesi non avessero sospeso l’assedio e non fossero tornati al loro regno, li avrebbe assaliti in modo tale da costringerli a ritirarsi completamente. Ma gl’Inglesi, per tutta risposta, coprirono la Pulzella di ingiurie, che ella sopportò con animo invitto. Ma i fatti confermarono la predizione; infatti, come appare dai documenti storici, a tutti noti, Giovanna, con un’azione mirabile e del tutto superiore alle forze umane, per ordine divino, liberò la città di Orléans dall’assedio inglese.

Allora tutti riconobbero che la Pulzella era stata mandata da Dio e i cittadini di Orléans dicevano che, se Giovanna non fosse venuta da parte di Dio in loro aiuto, la città sarebbe finita sotto il dominio e il potere degli avversari che l’assediavano. Entrata ad Orléans con gran gioia di tutti i cittadini, fu accolta e salutata come Angelo di Dio.

Ma Giovanna, prima di tutto, andò alla cattedrale, per offrire a Dio suo creatore i sensi della gratitudine e la debita riverenza, ed esortò tutti a sperare completamente nel Signore.

Dopo azioni particolari compiute dalla Pulzella ad Orléans e altri episodi gloriosi che seguirono contro gl’Inglesi nei castelli e in diverse città, dopo tante vittorie, i Principi di stirpe regale e i Duchi volevano che il Re partisse non per Reims, ma per la Normandia; ma Giovanna, al contrario, fu sempre dell’opinione che bisognava andare a Reims, perché il Re vi fosse incoronato e consacrato, e così la potenza dei nemici sarebbe per sempre diminuita. Alla fine tutti furono della sua opinione e il Re andò alla città di Reims, dove trovò piena obbedienza e nell’antica chiesa della città fu, con solenni cerimonie, unto con l’olio santo e incoronato con la corona regale. La Pulzella, quando vide il Re consacrato, gli si inginocchiò davanti e versò abbondanti lacrime perché la volontà di Dio era compiuta.

Dopo la consacrazione del Re, benché i consigli della Pulzella, che senz’altro avevano avuto felice esito, non avessero avuto origine né dal Re, né dai suoi cortigiani, tuttavia altre gloriose gesta furono compiute da lei, specialmente nella città di Saint-Pierre-le-Monstier e nella città di Lagny, dove risuscitò un bambino, morto prima di essere battezzato, affinché, rigenerato nel sacro fonte, potesse ottenere la vita della grazia.

Trovandosi Giovanna a Melun nel mese di aprile del 1430, per rivelazione dall’Alto conobbe che sarebbe stata fatta prigioniera prima della festa di san Giovanni Battista, benché non ne sapesse il giorno e l’ora. Ma, fedele alla sua missione e ossequientissima al Re, difese strenuamente la città di Compiègne, cinta d’assedio dal Duca di Borgogna e dagl’Inglesi. Un giorno, ascoltata la Messa in una chiesa di quella città e rifocillata alla mensa Eucaristica, predisse ai presenti che, tradita quanto prima, sarebbe stata messa a morte, per cui tutti pregassero Dio per lei. E davvero, il 24 maggio, essendo uscita dalla città per spiare i nemici e, da loro respinta, volendo tornare in città, Guglielmo Flavy, governatore di quella, invece di aiutare la Pulzella con la sua guarnigione e di farla entrare in città, chiuse le porte, cosicché, circondata dall’esercito borgognone, fu catturata con pochi altri.

L’imprigionamento di Giovanna recò all’animo degl’Inglesi la più grande gioia, e desiderarono togliere la Pulzella dalle mani dei Borgognoni per averla in proprio potere. Perché ciò avvenisse più facilmente secondo il loro desiderio, per prima cosa il Duca di Borgogna fu invitato dal Vicario Generale dell’Inquisizione e dall’Università di Parigi a consegnare la Pulzella alla giustizia ecclesiastica, come eretica. Ma poiché quello non aveva dato alcuna risposta, il Reggente inglese Duca di Bedford ricorse a Pietro Cauchon, Vescovo di Beauvais, il quale favoriva in ogni modo le parti degl’Inglesi. Il 14 luglio questi si recò dal Duca di Borgogna, dicendo che la Pulzella era stata catturata nel territorio della sua diocesi e perciò, trattandosi di materia di fede, il giudice legittimo era lui. Gli offrì anche una forte somma di denaro, cioé 10.000 franchi d’oro. Il Duca di Borgogna acconsentì e Giovanna fu venduta agl’Inglesi, i quali, il 24 ottobre di quell’anno, pagarono questo prezzo con i tributi imposti ai cittadini della Normandia.

Frattanto la Pulzella, fiduciosa nella divina Provvidenza, era sostenuta dalla viva speranza che la sua prigionia non avrebbe impedito che i disegni di Dio si compissero felicemente. Perciò con animo tranquillo, prima di essere venduta agl’Inglesi, restò per circa 4 mesi nel castello di Beaulieu; poi fu mandata nel castello di Beaurevoir: fu lì che seppe di essere stata venduta agl’Inglesi e, avendo sentito che la città di Compiègne sarebbe stata distrutta quanto prima, fece un tentativo di fuga dalla prigione, ma le andò male. Era consolata tuttavia perché voci celesti le predicevano la liberazione della città di Compiègne prima della festa di san Martino; ciò che gli eventi confermarono in tutto. In seguito fu portata nel castello di Crotoy, dove, nel mese di novembre, dal Duca di Borgogna fu consegnata agl’Inglesi. Mentre si trovava in questi castelli, tutti ammirarono la sua fede e devozione. Alla fine, nel mese di dicembre, fu portata dagli Inglesi nel castello di Rouen, dove cominciò l’iniquo processo contro di lei.

Gli Inglesi nutrivano per Giovanna un odio mortale e volevano a tutti i costi la sua morte, perché era venuta in soccorso al cristianissimo Re di Francia, e la temevano soprattutto per le vittorie ottenute per mezzo di lei; e, avendo saputo che in Francia la Pulzella era considerata come inviata da Dio, tentarono di mandarla al rogo, come strega. Poco tempo prima essi stessi avevano già condannato al rogo una povera donna, a Parigi, solo perché aveva detto che la Pulzella era santa e aveva agito per volontà di Dio. Poiché poi il processo tendeva anche a coprire d’infamia il Re di Francia, gl’Inglesi misero ogni cura perché anche Giovanna fosse colpita da infamia e fosse condannata come eretica, decretando fin dall’inizio la morte della Pulzella. Il Re inglese Enrico VI, il 3 gennaio 1431 scrisse ai giudici che, se per caso Giovanna non fosse stata condannata nel processo come eretica e strega, egli si riservava il diritto di trattenerla. E i giudici, per propria sicurezza, chiesero e ottennero una lettera di difesa dal Re d’Inghilterra.

Tutti i testimoni contemporanei, interrogati, dichiararono sinceramente che il processo era stato imbastito « per volontà e pressione degl’Inglesi », i quali tennero sempre Giovanna sotto la loro sorveglianza e non permisero che fosse custodita nelle carceri ecclesiastiche. Qualche storico, quasi contemporaneo, scrisse che la passione della Pulzella prese inizio da questo processo. Testimoni oculari riferirono che lei era in prigione, con ceppi di ferro, e chiusa in una gabbia di ferro con collo, mani e piedi legati; i custodi della sua prigione erano uomini pessimi, senza nessun rispetto e sporchi di ogni macchia di vizio.

Secondo non pochi testimoni, questo processo, che durò quattro mesi, fu non soltanto iniquo, ma anche difettoso e nullo.

In quel periodo fu davvero mirabile il modo di comportarsi della Pulzella: lei, che ancora non raggiungeva il ventesimo anno di età, se ne stava con animo così tranquillo, e rispondeva con tanta prudenza alle domande dei giudici, che tutti la guardavano meravigliati. E i testimoni, per quanto riguarda la sua fede e devozione in questo periodo, dichiararono che lei chiedeva sempre di potere ascoltare la Messa, specialmente nei giorni festivi, e di ricevere la santissima Eucaristia, e si doleva molto che le fossero negati questi conforti spirituali.

Durante lo stesso processo la Pulzella si ammalò e gl’Inglesi furono presi dal grandissimo timore che potesse morire di morte naturale, per cui le furono mandati molti medici, uno dei quali, fra le altre cose, riferisce: « Il Re l’aveva comprata a caro prezzo e non voleva che morisse se non per condanna, e che fosse bruciata ». Dopo che fu rimessa in salute, ma non ancora ripresa nelle forze, il processo fu continuato senza indugi.

Giovanna nelle sue risposte dichiarava più e più volte di volersi sottomettere in tutto al giudizio della Chiesa Cattolica Romana, ma i giudici le insinuavano che doveva sottomettersi a loro stessi, in quanto rappresentanti della Chiesa. Interrogata se voleva sottomettersi al Signor Papa, rispose di sì, ma non voleva sottomettersi ai giudici lì presenti, perché erano suoi nemici mortali. Questa risposta, che gli stessi giudici avevano prevista, fu il fondamento dell’accusa, in quanto le fu attribuito il falso significato che Giovanna non volesse sottomettersi alla Chiesa.

Altro capo di accusa fornirono ai giudici le sue visioni e rivelazioni, che essi dicevano provenire da uno spirito maligno, e specialmente quelle vesti maschili, che Giovanna aveva detto di avere indossato per comando divino. Queste accuse furono raccolte in dodici articoli, e alcuni uomini, specialmente dell’Università di Parigi, ostilissimi alla Pulzella, sebbene all’oscuro del processo, espressero un’opinione contraria a Giovanna. Non mancavano però altri, in Francia, che la difendevano con tutte le forze: anzi furono preparate in quel tempo diverse domande per la sua liberazione. Del resto però erano palesi la nullità e la malizia di questo processo tanto che, giunto alla città di Rouen dalla Normandia il celeberrimo sacerdote Giovanni Lohier, Decano degli Uditori della Romana Rota, richiesto della sua opinione sul processo della Pulzella, alla presenza del Vescovo, affermò che esso era nullo per molti motivi. In seguito altri uomini dottissimi, anche importanti per dignità ecclesiastica, dimostrarono in modo chiaro l’ingiustizia e la nullità del processo e, per amore di verità e per dar loro onore, vogliamo ricordare il Cardinale Elia de Bourdeille, Vescovo di Perigueux, Giovanni Gerson, Teodoro de Lellis, Uditore della Sacra Romana Rota, il Pontano, Avvocato del Sacro Concistoro, e altri autorevolissimi giureconsulti.

Fino alla fine del processo, e anche davanti al carnefice, la Pulzella non volle mai rinnegare le sue visioni e rivelazioni, quantunque i giudici usassero ogni astuzia perché ella le rigettasse come false. E davvero era molto importante per gl’Inglesi che ella prima di essere condannata dichiarasse false e menzognere le sue visioni e rivelazioni; infatti, se ella fosse rimasta ferma nelle sue affermazioni, sarebbe sempre rimasta nel popolo l’opinione che la sua missione era stata ricevuta da Dio. Perciò i giudici, per ottenere lo scopo desiderato, provarono, come estremo rimedio, la vista del popolo e del carnefice. E il 24 maggio dello stesso anno 1431, Giovanna fu condotta nella piazza del sepolcreto di Saint-Ouen, dove, su un palco eretto a questo scopo, stava il Vescovo con il Cardinale di Winchester, i giudici, i dottori e molti altri. La Pulzella fu collocata su di un pulpito davanti a tutti, e vedeva anche il carnefice, che era nella strada con un carro e aspettava che il corpo di Giovanna fosse dichiarato da bruciarsi.

Ma prima Nicola Loyseleur, che tradiva con perfidia la Pulzella, le disse che avrebbe evitato il pericolo di morte, se avesse fatto quanto le veniva ordinato. Mastro Guglielmo Erard fece un discorso, e contro il Re di Francia, fra le altre cose, disse questo: «O Regno di Francia, sei ritenuto e chiamato cristianissimo, e i tuoi Re e Principi cristianissimi: ma adesso per opera tua, Giovanna, anche il tuo Re che si dice Re di Francia, aderendo a te e credendo alle tue parole, è diventato eretico e scismato ». La Pulzella, nella sua umiltà, non disse niente su di sé, ma volle difendere il Re come buon cristiano; il maestro predetto impose il silenzio a Giovanna, e terminò il discorso. Ma la Pulzella affermò di non aver fatto nulla di male, che credeva nei dodici articoli di fede e nei dieci precetti del decalogo, e che voleva credere in tutto ciò che la Santa Chiesa di Dio crede; allora il Vescovo disse a Giovanna che i Vescovi erano giudici nella loro diocesi e perciò ella doveva sottomettersi a loro.

Intanto il maestro Erard porse alla Pulzella la scheda dell’abiura perché la firmasse, ma Giovanna dichiarò: « Sia esaminata questa scheda dal clero e dalla Chiesa, nelle cui mani devo essere posta e, se mi daranno il consiglio di firmarla e di fare ciò che viene detto, lo farò volentieri ». A lei il maestro Erard rispose: « Fallo subito, altrimenti oggi finirai i tuoi giorni nel fuoco ». E nello stesso tempo cominciò la lettura della sentenza di condanna. Giovanna, ormai senza più forze, atterrita dalle minacce, sbalordita da tanti consigli ed esortazioni, fu costretta a cedere, rimettendosi alla coscienza dei giudici. Allora le fu letta una piccola scheda di abiura, con la quale le si imponeva di non mettersi abiti maschili, di non portare armi e altre cose di questo genere. Se fossero state scritte altre cose, soprattutto sulle visioni e rivelazioni della Pulzella, i giudici temevano che la sua coscienza la facesse recedere dal proposito. Ma al posto della scheda che, secondo la testimonianza di Giovanni Massieu e di altri che erano presenti, riportava circa otto righe e non di più, nel processo ne fu inserita un’altra assai più lunga.

D’altronde, poiché Giovanna non sapeva scrivere, tracciò un segno rotondo con una croce, a mo’ di derisione, sulla scheda che le veniva consegnata. Poi chiese al Promotore se sarebbe stata messa nelle mani della Chiesa, come le era stato promesso; ma, al contrario, fu condannata al carcere perpetuo nello stesso castello di Rouen, sotto la medesima custodia degl’Inglesi. Allora ci fu un gran tumulto fra i presenti, e furono tirati molti sassi.

Dopo il mezzogiorno del giovedì, cioè il 24 del mese di maggio, quando la Pulzella, in abito femminile, tornò nello stesso carcere, dovette soffrire molto da parte degl’Inglesi, che la vessarono in molti modi, ed erano così adirati, anche contro i giudici, che, tre giorni dopo, essendo entrati alcuni di essi nel castello per vedere Giovanna, sfoderate le spade, furono violentemente respinti da quelli.

La Pulzella intanto si era rimessa l’abito maschile, per proteggere meglio la sua verginità; infatti fu tentata con violenza dai custodi e anche da un uomo di grande autorità; e, interrogata dai giudici sul motivo per cui si era rimesso l’abito maschile, rispose che lo aveva fatto per difendere la sua purezza. Interrogata poi se avesse avuto altre visioni, Giovanna rispose sinceramente di essere stata rimproverata dalle voci celesti a causa dell’abiura, che tuttavia dichiarò di avere emessa sotto violenza e per paura, ché anzi non l’aveva nemmeno capita. Interrogata infine se voleva rimettersi l’abito femminile, rispose di essere pronta, a patto di essere messa in un luogo sicuro.

Il 29 maggio i giudici si radunarono, e fu decretata la morte della Pulzella, come recidiva. Il giorno seguente, al mattino presto, due sacerdoti furono mandati dal Vescovo in carcere, da Giovanna, per prepararla alla morte. La povera fanciulla, sentendo che doveva essere bruciata, cominciò a piangere per la malizia degli uomini, che facevano bruciare il suo corpo inviolato. Ma subito sollevò il suo animo angosciato, riponendo ogni speranza e fiducia in Dio. Ricevuto il sacramento della Penitenza, chiese lei stessa la santissima Eucaristia, poi, circondata da circa 800 soldati inglesi, fu condotta nella piazza del mercato vecchio; sulla sua testa, in una carta, era scritto: « Eretica, strega, apostata, recidiva ». Lungo il percorso, mentre versava devote lacrime, raccomandava la sua anima a Dio e ai Santi con tanta devozione da muovere al pianto quelli che l’udivano.

C’erano in piazza tre palchi, due per i giudici e i prelati, e un terzo, dove era pronta la legna per bruciare Giovanna. Giunta sulla piazza, rivestita di una lunga tunica, come aveva chiesto, davanti a una grande moltitudine di popolo, ella ascoltò il discorso del maestro Nicolò Midi, il quale, quando ebbe terminato, disse alla Pulzella: «Va’ in pace, la Chiesa ti consegna in mano secolare ». Alcuni assessori chiedevano giustamente che le venisse letta di nuovo la formula dell’abiura, ma non ci fu verso; anzi, fu subito emessa la sentenza di condanna senza nessun parere del giudice secolare, e così, presa con gran violenza dagli Inglesi armati, fu condotta al supplizio. La Pulzella, in ginocchio, rinnovava le sue preghiere a Dio; chiese perdono a tutti, e pregò i sacerdoti che celebrassero, ciascuno una Messa per la sua anima. Chiese una piccola croce che un Inglese, che era presente, formò con un bastone; baciatala con la massima devozione, Giovanna se la ripose in seno. Ma volle avere anche la croce della Chiesa, e l’ottenne. Poi, salutati i presenti, fu spinta dal carnefice a salire la catasta di legna, che era fatta a mo’ di ambone, e il carnefice appiccò il fuoco dal di sotto.

In quest’ora suprema, la Pulzella comprese bene la predizione della sua liberazione, che aveva udito dalle voci celesti: « Sopporta tutto di buon grado: non ti preoccupare e non ti spaventare per il martirio: entrerai nel regno del Paradiso ». Comprese chiaramente che la morte le era data a causa della sua missione e, raccomandandosi con tutte le forze non soltanto alla santissima Vergine Maria, ma al beato Michele Arcangelo, alla beata Caterina e a tutti i Santi, fino all’ultimo momento della sua vita dichiarò di aver fatto tutto per volontà di Dio. Pregò il confessore di sollevare la croce del Signore, perché potesse vederla; cosa che egli fece; e Giovanna, abbracciandola mentre versava gran copia di lacrime, con gran devozione la baciava finché, invocando di continuo fra le fiamme il santissimo nome di Gesù, rese l’anima.

La santa morte della Pulzella suscitò l’ammirazione di tutti a tal punto che anche i suoi nemici ne rimasero molto spaventati, e lo stesso carnefice dichiarò che Giovanna era stata condannata a morte iniquamente e che temeva molto per sé, perché aveva bruciato una donna santa. E subito avvennero dei prodigi. Infatti da molti dei presenti fu visto il nome di Gesù scritto dentro una fiamma del fuoco dal quale veniva bruciata, e un Inglese, ostilissimo alla Pulzella, il quale aveva detto di voler essere lui ad accendere il rogo, vedendo la sua morte, rimase stupefatto e immobile e in seguito dichiarò di aver visto una colomba che volava fra le fiamme. Inoltre il cuore della Pulzella rimase illeso e pieno di sangue, cosa che il carnefice stesso confermò. Ma gli Inglesi vollero che il cuore fosse gettato nel fiume Senna insieme alle ceneri di Giovanna, perché il popolo non potesse avere sue reliquie. Infine, da Dio, vendicatore dell’innocenza e della giustizia, furono inflitte pene ai malvagi; infatti, tutti i responsabili del martirio di Giovanna morirono di morte bruttissima; inoltre, come la Pulzella aveva predetto, gli Inglesi furono cacciati dalla città di Parigi, poi dalla Normandia, dall’Aquitania e da tutta la Francia.

Sedate le lotte in Francia, quando Carlo VII fu entrato nella città di Rouen, ordinò un’inchiesta sul processo della Pulzella, mentre la madre e due fratelli della giovane presentarono alla Santa Sede una supplica su questo argomento: supplica che lo stesso Cardinal Legato Guglielmo d’Estonteville consegnò a Callisto III, Pontefice Massimo, e che l’11 giugno 1455 ottenne un benevolo rescritto, col quale fu deciso di nominare tre giudici apostolici, nelle persone dell’Arcivescovo di Reims, Giovenale Orsini, del Vescovo di Parigi, Guglielmo Chartier, e del Vescovo di Coutances, Riccardo de Longueil.

Nella patria di Giovanna, e così pure ad Orléans, a Parigi e nella città di Rouen, furono eseguite inchieste giudiziarie e furono sottoposti a interrogatorio, con giuramento religioso, 123 testimoni, di ogni età e condizione, e infine, il 7 luglio dell’anno seguente 1456, i giudici emisero sentenza di riabilitazione, con la quale vengono dichiarate l’innocenza della Pulzella e la nullità del processo di condanna, come doloso e malizioso, mentre l’abiura viene riconosciuta falsa, subdola e nulla.

Le meravigliose virtù di questa Serva di Dio, nelle quali, finché visse, sempre si esercitò, e i doni celesti, dei quali fu arricchita da Dio, le procurarono una grandissima fama di santità, ma su tutte queste cose è opportuno sorvolare, per amore di brevità. Fra gli storici contemporanei, che magnificarono con grandissime lodi la santità di Giovanna e la sua missione ricevuta da Dio, vogliamo ricordare il citato famosissimo Giovanni Gerson che, trattando delle vicende della Pulzella, nell’anno 1429 scrisse: «Dal Signore è stato fatto questo »; sant’Antonino, che nelle sue storie considerava la Pulzella « guidata dallo spirito di Dio », e Pio II, Pontefice Massimo, che scriveva: «Una fanciulla di 16 anni, di nome Giovanna, figlia di poveri contadini, nel territorio di Toul, ispirata da Dio, come le sue azioni dimostrano… che prospettavano come una qualche presenza divina… I giudici, quando seppero che la Pulzella si era rimessa abiti maschili la condannarono al rogo come recidiva. Gettarono le sue ceneri nella Senna, perché non fossero mai onorate. Così morì Giovanna, mirabile e stupenda vergine ».

La grande fama di santità, che le virtù della Serva di Dio, e i doni e i carismi celesti le avevano procurato da parte di tutti, fin da quando era su questa terra, dopo la sua morte divenne ogni giorno più luminosa, e crebbe a tal punto che ben meritatamente si può applicare a lei quel passo della Scrittura: «Non scomparirà la sua memoria e il suo nome sarà ricordato di generazione in generazione. I popoli narreranno la sua sapienza e la Chiesa proclamerà la sua lode » (Dal Libro dell’Ecclesiastico, cap. XXXIX, 13-14).

E non costituiscono argomento minore nella fama di santità di questa Serva di Dio, gli onori che le furono sempre resi e ancora oggi le vengono resi. Infatti dall’anno 1429 fino ai tempi nostri, la città di Orléans festeggia solennemente il giorno della sua liberazione, cioé l’8 maggio e, dopo la celebrazione religiosa, in Cattedrale, si recita un panegirico in onore della Pulzella, poi si fa una devota supplica, con la partecipazione del Vescovo, del Capitolo e del Clero di dodici parrocchie, nonché del Sindaco, dei Magistrati e dei Comandanti dell’esercito.

Provano la santità di Giovanna molte grazie, sia spirituali che materiali, concesse da Dio per opera sua, e guarigioni prodigiose, che sono descritte con tutti i particolari nei rispettivi processi.

Considerate tutte queste cose, molti Nostri Figli diletti Cardinali di Santa Romana Chiesa e venerabili Fratelli Vescovi di tutta la Francia, e anche molti Vescovi di altre Nazioni, Comunità religiose e Sacerdoti piissimi, chiesero alla Sede Apostolica che, come un tempo aveva rivendicato l’innocenza della Pulzella, così pronunciasse la sua sentenza e si degnasse di concederle gli onori dei Santi. Così, dopo aver raccolto molte testimonianze dalle diocesi di Orléans, Verdun e Saint-Diè, e averle consegnate alla Congregazione dei Sacri Riti, il Papa Leone XIII di felice memoria, Nostro Predecessore, il 27 gennaio 1894, dichiarò che fosse da fissarsi l’introduzione della causa.

In seguito, premessi i processi apostolici secondo il diritto, e approvata formalmente la loro validità, si trattò delle virtù eroiche della Venerabile Serva di Dio in tre adunanze della Sacra Congregazione dei Riti, fatte le quali, e avendo valutato tutto con scrupolo, il Papa Pio X di felice memoria, anch’egli Nostro Predecessore, il giorno dell’Epifania del Signore del 1904, annunciò solennemente: « Consta delle virtù teologali, Fede, Speranza e Carità verso Dio e il prossimo, e delle virtù cardinali, Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, e cose annesse, della Venerabile Serva di Dio Giovanna d’Arco, in grado eroico, nel caso e allo scopo di cui si tratta, perché si possa procedere a passi ulteriori, cioè alla discussione dei quattro miracoli ». Essendo stati proposti quattro miracoli per ottenere la Beatificazione, tre ottennero l’approvazione, cioè il primo: Guarigione istantanea e perfetta di suor Teresa di sant’Agostino da un’ulcera cronica allo stomaco; il secondo: Guarigione istantanea e perfetta di suor Giulia Gauthier di san Norberto da un’ulcera fungosa eretistica nel seno sinistro; il terzo: Guarigione istantanea e perfetta di suor Giovanna Maria Sagnier da osteo-periostite cronica tubercolare.

Il medesimo Pio X, Pontefice Massimo, la terza domenica dell’Avvento di Nostro Signor Gesù Cristo dell’anno 1908, con solenne decreto dichiarò che « constavano » questi tre miracoli, dopo che per tre volte se ne era discusso.

Il ricordato Nostro Predecessore, avendo già dispensato dal quarto miracolo, il giorno festivo della Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, cioè il 24 gennaio dell’anno seguente, decretò solennemente: « Si può procedere con sicurezza alla solenne Beatificazione della Venerabile Serva di Dio Giovanna d’Arco ».

Questa fu celebrata nella Basilica Vaticana la domenica in Albis dello stesso anno 1909, con solenni cerimonie e festosi apparati, mentre in Francia si ebbe grande gioia.

Poiché erano avvenuti nuovi miracoli, il solerte Postulatore di questa causa fece in modo che essi fossero proposti per la discussione, e lo stesso Nostro Predecessore, il 23 febbraio 1910, costituì con la sua firma la Commissione di ripresa della causa. Dopo aver completato, secondo le regole, i processi sui miracoli proposti e aver fatto anche, riguardo ad uno, il terzo processetto addizionale in questa Urbe, il 6 aprile 1918 dichiarammo solennemente: Constare due miracoli, il primo, cioé la guarigione istantanea e perfetta di Maria Antonia Mirandelle da una malattia perforante la pianta del piede; e, l’altro, la guarigione istantanea e perfetta di Teresa Belin da tubercolosi peritoneale e polmonare e da lesione organica dell’orifizio mitralico.

Poi, il 17 giugno 1919, decretammo che si poteva procedere con sicurezza alla solenne Canonizzazione della Beata Giovanna d’Arco.

Ciò premesso, e stabilito che nella solennissima cerimonia si eseguisse tutto ciò che era stato sapientemente prescritto dai Nostri Predecessori per la solennità e il decoro di essa; in primo luogo convocammo a Concistoro, per il 22 aprile di quest’anno, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, che dovevano darCi il loro parere; essi, dopo aver ascoltato il diletto figlio Virginio Iacoucci, Avvocato dell’Aula Concistoriale, che raccontava le gesta della Beata Giovanna d’Arco, Ci esortarono all’unanimità alla legittima definizione di questa causa. Nel frattempo, facemmo in modo che, con lettera della Sacra Congregazione Concistoriale, fossero avvertiti di un avvenimento tanto importante non solo i Vescovi più vicini, ma anche i più lontani, perché, nel caso avessero facoltà di dare anch’essi il loro parere, partecipassero anch’essi. Questi, venuti in buon numero da lontane regioni, dopo essersi informati accuratamente della causa, sia su quanto era stato fatto fino allora, specialmente nel Concistoro Pubblico tenuto in Nostra presenza, sia sugli atti della Sacra Congregazione dei Riti, una copia dei quali era stata data a ciascuno di loro, nel Concistoro semipubblico del 7 maggio tenuto in Nostra presenza, furono dello stesso parere dei Nostri diletti figli Cardinali di S. R. C.; i pubblici rogiti di questa decisione, redatti dai diletti figli Notai della Sede Apostolica, furono depositati nell’archivio della Sacra Congregazione dei Riti.

Stabilimmo quindi che la solenne Canonizzazione si celebrasse il 16 maggio e, frattanto, esortammo con ardore i fedeli a raddoppiare ferventi preghiere, specialmente in quelle chiese dove il Santissimo Sacramento era esposto alla pubblica adorazione secondo le prescrizioni, perché essi ricevessero frutti più abbondanti da una celebrazione così importante, e perché lo Spirito Santo assistesse benignamente Noi, in una incombenza così impegnativa del Nostro ministero.

Giunto il giorno tanto desiderato e aspettato, gli Ordini del clero sia secolare, sia regolare, i Presuli e gli Ufficiali della Curia Romana, e i Nostri diletti figli Cardinali di S. R. C. e i venerabili fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi, Abati, presenti a Roma, convennero nella Basilica Vaticana magnificamente addobbata; dietro a tutti loro, che procedevano tra solenni preghiere, anche Noi entrammo in essa. Quindi il diletto figlio Nostro Cardinale Antonio Vico, Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti e preposto alla cura di questa Canonizzazione su perorazione del diletto figlio Virginio Iacoucci, Avvocato dell’Aula Concistoriale, Ci presentò i voti e le preghiere dei Vescovi perché inserissimo la Beata Giovanna d’Arco nel numero dei Santi. Avendo ciò ripetuto una seconda e una terza volta, sempre con maggior insistenza, i medesimi Cardinale Antonio Vico e Avvocato della Nostra Aula Concistoriale, Noi, implorata fervorosamente la luce del Cielo, « In onore della Santa e Indivisibile Trinità, per l’incremento e la gloria della fede cattolica, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, con meditata decisione, col voto dei diletti figli Cardinali di S. R. C. e col consiglio dei Patriarchi, dei Primati, degli Arcivescovi e dei Vescovi, abbiamo dichiarato che la predetta Beata Giovanna d’Arco è Santa ». Abbiamo inoltre ordinato che la memoria di santa Giovanna d’Arco, da celebrarsi ogni anno il 30 maggio, sia inserita nel Martirologio Romano. Infine abbiamo reso grazie con tutto l’animo a Dio ottimo massimo per un così grande beneficio, abbiamo celebrato un solenne rito e, dopo la lettura del Vangelo, abbiamo esortato la moltitudine strabocchevole ed esultante a procurarsi la protezione della nuova Santa. Infine, abbiamo impartito con tanto affetto a tutti i presenti l’indulgenza plenaria dei peccati.

Adesso perciò gli sguardi di tutti i cristiani si volgano alla nuova Santa, la quale, per eseguire gli ordini divini, abbandonò la famiglia, lasciò le occupazioni femminili, imbracciò le armi e guidò i soldati alla battaglia: non temette poi le minacce di morte né l’ingiusta sentenza, che la condannava ad essere bruciata. Sapendo di essere innocente, e non eretica, strega, apostata e recidiva, circondata dalle fiamme, offriva preghiere e suppliche e ripeteva di aver fatto tutto per volontà di Dio, finché, trovando forza nel vedere la croce, rese lo spirito. Ma quella giustizia, che mancò nel processo per l’inconsiderata passione degli uomini, non tardò e il Sommo Pontefice ben presto poté reintegrare completamente la fama di Giovanna d’Arco, il cui esempio stia davanti agli occhi di tutti coloro che sopportano ingiuste sofferenze, perché aspettino con animo sereno la riparazione dal Giudice giusto ed eterno.

Perciò, dopo aver esaminato secondo le regole tutto ciò che si doveva guardare, con sicura consapevolezza e con la pienezza della Nostra autorità Apostolica, confermiamo tutte e singole le cose predette, le avvaloriamo e di nuovo le stabiliamo, le decretiamo e le facciamo note a tutta la Chiesa Cattolica. Ordiniamo che la presente Lettera, anche in edizioni a stampa, purché sottoscritte da qualche Notaio Apostolico e munite del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, abbia la stesa attendibilità che avrebbe questa Nostra se fosse esibita o mostrata.

Se poi qualcuno si azzarderà a negar valore o ad opporsi a questa pagina della Nostra definizione, comando, concessione e volontà, o contrastarla con ardire temerario, sappia che andrà incontro all’indignazione di Dio Onnipotente e dei suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 maggio 1920, anno sesto del Nostro Pontificato.

 

BENEDICTUS PP. XV



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