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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO IN PORTOGALLO
IN OCCASIONE DELLA
XXXVII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

[2 - 6 AGOSTO 2023]

INCONTRO CON I GIOVANI UNIVERSITARI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

“Universidade Católica Portugesa” (Lisbona)
Giovedì, 3 agosto 2023

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Grazie, Signora Rettrice, per le sue parole. Obrigado! Ha detto che tutti ci sentiamo «pellegrini». È una parola bella, il cui significato merita di essere meditato; letteralmente vuol dire lasciare da parte la routine abituale e mettersi in cammino con un’intenzione, muovendosi «attraverso i campi» o «oltre i propri confini», cioè fuori dalla propria zona di comfort verso un orizzonte di senso. Nel termine “pellegrino” vediamo rispecchiata la condizione umana, perché ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno risposta, una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre. È un processo che un universitario comprende bene, perché così nasce la scienza. E così cresce pure la ricerca spirituale. Essere pellegrino è camminare verso una meta o cercando una meta. C’è sempre il pericolo di camminare in un labirinto, dove non c’è meta. E nemmeno uscita. Diffidiamo delle formule prefabbricate – sono labirintiche –, diffidiamo delle risposte che sembrano a portata di mano, di quelle risposte sfilate dalla manica come carte da gioco truccate; diffidiamo di quelle proposte che sembrano dare tutto senza chiedere nulla. Diffidiamo! Questa diffidenza è un’arma per poter andare avanti e non continuare a girare in tondo. Una delle parabole di Gesù dice che la perla di grande valore colui la cerca con intelligenza e con intraprendenza, e dà tutto, rischia tutto ciò che ha per averla (cfr Mt 13,45-46). Cercare e rischiare: ecco i due verbi del pellegrino. Cercare e rischiare.

Pessoa ha detto, in modo tormentato ma corretto, che «essere insoddisfatti è essere uomini» (Mensagem, O Quinto Império). Non dobbiamo aver paura di sentirci inquieti, di pensare che quanto facciamo non basti. Essere insoddisfatti, in questo senso e nella giusta misura, è un buon antidoto contro la presunzione di autosufficienza e contro il narcisismo. L’incompletezza caratterizza la nostra condizione di cercatori e pellegrini; come dice Gesù, “siamo nel mondo, ma non siamo del mondo” (cfr Gv 17,16). Siamo in cammino verso… Siamo chiamati a qualcosa di più, a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro, com saudade do futuro! E qui, insieme alla saudade do futuro, non dimenticatevi di mantenere viva la memoria del futuro. Non siamo malati, siamo vivi! Preoccupiamoci piuttosto quando siamo disposti a sostituire la strada da fare col fare sosta in qualsiasi punto di ristoro, purché ci dia l’illusione della comodità; quando sostituiamo i volti con gli schermi, il reale con il virtuale; quando, al posto delle domande che lacerano, preferiamo le risposte facili che anestetizzano. E le possiamo trovare in qualsiasi manuale sui rapporti sociali, su come comportarsi bene. Le risposte facili anestetizzano.

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita. Le parole della Signora Rettrice sono state per me ispiratrici, in particolare quando ha detto che «l’università non esiste per preservarsi come istituzione, ma per rispondere con coraggio alle sfide del presente e del futuro». L’autopreservazione è una tentazione, è un riflesso condizionato della paura, che fa guardare all’esistenza in modo distorto. Se i semi preservassero sé stessi, sprecherebbero completamente la loro potenza generativa e ci condannerebbero alla fame; se gli inverni preservassero sé stessi, non ci sarebbe la meraviglia della primavera. Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!

Sarebbe uno spreco pensare a un’università impegnata a formare le nuove generazioni solo per perpetuare l’attuale sistema elitario e diseguale del mondo, in cui l’istruzione superiore resta un privilegio per pochi. Se la conoscenza non viene accolta come responsabilità, diventa sterile. Se chi ha ricevuto un’istruzione superiore (che oggi, in Portogallo e nel mondo, rimane un privilegio) non si sforza di restituire ciò di cui ha beneficiato, non ha capito fino in fondo cosa gli è stato offerto. Mi piace pensare al Libro della Genesi; le prime domande che Dio pone all’uomo sono: «Dove sei?» (Gen 3,9) e «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Ci farà bene chiederci: dove sono? Me ne sto chiuso nella mia bolla o corro il rischio di uscire dalle mie sicurezze per diventare un cristiano praticante, un artigiano della giustizia, un artigiano della bellezza? E ancora: Dov’è mio fratello? Esperienze di servizio fraterno come la Missão País e molte altre che nascono in ambito accademico dovrebbero essere considerate indispensabili per chi passa da un’università. Il titolo di studio non deve infatti essere visto solo come una licenza per costruire il benessere personale, ma come un mandato per dedicarsi a una società più giusta, una società più inclusiva, cioè più progredita. Mi è stato detto che una vostra grande poetessa, Sophia de Mello Breyner Andresen, in un’intervista che è una sorta di testamento, alla domanda: «Che cosa le piacerebbe vedere realizzato in Portogallo in questo nuovo secolo?», ha risposto senza esitare: «Vorrei vedere realizzata la giustizia sociale, la riduzione del divario tra ricchi e poveri» (Entrevista de Joaci Oliveira, in Cidade Nova, nº 3/2001). Giro a voi questa domanda. Voi, cari studenti, pellegrini del sapere, cosa volete vedere realizzato in Portogallo e nel mondo? Quali cambiamenti, quali trasformazioni? E in che modo l’università, soprattutto quella cattolica, può contribuirvi?

Beatriz, Mahoor, Mariana, Tomás, vi ringrazio per le vostre testimonianze. Avevano tutte un tono di speranza, una carica di entusiasmo realista, senza lamentele ma nemmeno senza fughe in avanti idealiste. Volete essere «protagonisti, protagonisti del cambiamento», come ha detto Mariana. Ascoltandovi, ho pensato a una frase che forse vi è familiare, dello scrittore José de Almada Negreiros: «Ho sognato un Paese in cui tutti arrivavano a essere maestri» (A Invenção do Dia Claro). Anche questo anziano che vi parla – ormai sono vecchio –, sogna che la vostra generazione divenga una generazione di maestri. Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza. E maestri che difendano la vita del pianeta, minacciata in questo momento da una grave distruzione ecologica.

Come alcuni di voi hanno sottolineato, dobbiamo riconoscere l’urgenza drammatica di prenderci cura della casa comune. Tuttavia, ciò non può essere fatto senza una conversione del cuore e un cambiamento della visione antropologica alla base dell’economia e della politica. Non ci si può accontentare di semplici misure palliative o di timidi e ambigui compromessi. In questo caso «le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro» (Lett. enc. Laudato si’, 194). Non dimenticatelo: le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Si tratta invece di farsi carico di quello che purtroppo continua a venir rinviato: ossia la necessità di ridefinire ciò che chiamiamo progresso ed evoluzione. Perché, in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso. Studiate bene questo che vi dico: in nome del progresso, si è fatto strada troppo regresso. Voi siete la generazione che può vincere questa sfida: avete gli strumenti scientifici e tecnologici più avanzati ma, per favore, non cadete nella trappola di visioni parziali. Non dimenticate che abbiamo bisogno di un’ecologia integrale, abbiamo bisogno di ascoltare la sofferenza del pianeta insieme a quella dei poveri; abbiamo bisogno di mettere il dramma della desertificazione in parallelo con quello dei rifugiati; il tema delle migrazioni insieme a quello della denatalità; abbiamo bisogno di occuparci della dimensione materiale della vita all’interno di una dimensione spirituale. Non creare polarizzazioni, ma visioni d’insieme.

Grazie, Tomás, per aver detto che «non è possibile un’autentica ecologia integrale senza Dio, che non può esserci futuro in un mondo senza Dio». Vorrei dirvi: rendete la fede credibile attraverso le scelte. Perché se la fede non genera stili di vita convincenti non fa lievitare la pasta del mondo. Non basta che un cristiano sia convinto, deve essere convincente; le nostre azioni sono chiamate a riflettere la bellezza, gioiosa e insieme radicale, del Vangelo. Inoltre, il cristianesimo non può essere abitato come una fortezza circondata da mura, che alza bastioni nei confronti del mondo. Perciò ho trovato toccante la testimonianza di Beatriz, quando ha detto che proprio «a partire dal campo della cultura» si sente chiamata a vivere le Beatitudini. In ogni epoca uno dei compiti più importanti per i cristiani è recuperare il senso dell’incarnazione. Senza l’incarnazione, il cristianesimo diventa ideologia – e la tentazione delle ideologie cristiane, tra virgolette, è molto attuale. È l’incarnazione che permette di essere stupiti dalla bellezza che Cristo rivela attraverso ogni fratello e sorella, ogni uomo e donna.

A tale proposito, è interessante che nella vostra nuova cattedra dedicata all’«Economia di Francesco» abbiate aggiunto la figura di Chiara. Il contributo femminile è indispensabile. Nell’inconscio collettivo, quante volte si pensa che le donne sono di seconda categoria, sono riserve, non giocano come titolari. Questo esiste nell’inconscio collettivo. Il contributo femminile è indispensabile. Del resto, nella Bibbia si vede come l’economia della famiglia è in larga parte in mano alla donna. Lei, con la sua saggezza, è la vera “reggente” della casa, che non ha per fine esclusivamente il profitto, ma la cura, la convivenza, il benessere fisico e spirituale di tutti, e pure la condivisione con i poveri e i forestieri. È entusiasmante intraprendere gli studi economici con questa prospettiva: con l’obiettivo di restituire all’economia la dignità che le spetta, perché non sia preda del mercato selvaggio e della speculazione.

L’iniziativa del Patto Educativo Globale, e i sette principi che ne formano l’architettura, includono molti di questi temi, dalla cura della casa comune alla piena partecipazione delle donne, fino alla necessità di trovare nuove modalità d’intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso. Vi invito a studiare il Patto educativo globale e ad appassionarvene. Uno dei punti che tratta è l’educazione all’accoglienza e all’inclusione. Non possiamo fingere di non aver sentito le parole di Gesù nel capitolo 25 di Matteo: «ero straniero e mi avete accolto» (v. 35). Ho seguito con emozione la testimonianza di Mahoor, quando ha evocato cosa significa vivere con «il sentimento costante di assenza di un focolare, della famiglia, degli amici […], di essere rimasta senza casa, senza università, senza soldi […], stanca, esausta e abbattuta dal dolore e dalle perdite». Ci ha detto di aver ritrovato speranza perché qualcuno ha creduto nell’impatto trasformante della cultura dell’incontro. Ogni volta che qualcuno pratica un gesto di ospitalità, provoca una trasformazione.

Amici, sono molto contento di vedervi comunità educativa viva, aperta alla realtà, e consapevoli che il Vangelo non fa da ornamento, ma anima le parti e l’insieme. So che il vostro percorso comprende diversi ambiti: studio, amicizia, servizio sociale, responsabilità civile e politica, cura della casa comune, espressioni artistiche... Essere un’università cattolica vuol dire anzitutto questo: che ogni elemento è in relazione al tutto e che il tutto si ritrova nelle parti. Così, mentre si acquisiscono le competenze scientifiche, si matura come persone, nella conoscenza di sé e nel discernimento della propria strada. Strada sì, labirinto no. Allora, avanti! Una tradizione medievale racconta che quando i pellegrini del Cammino di Santiago si incrociavano, uno salutava l’altro esclamando «Ultreia» e l’altro rispondeva «et Suseia». Sono espressioni di incoraggiamento a continuare la ricerca e il rischio del cammino, dicendoci reciprocamente: “Dai, coraggio, vai avanti!”. Questo è ciò che auguro anch’io a tutti voi, con tutto il cuore. Grazie.



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