GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 29 novembre 1978
1. Anche se il tempo liturgico dell’Avvento inizia solo domenica prossima, desidero fin da oggi parlare di questo ciclo.
Siamo ormai abituati al termine “avvento”; sappiamo che cosa esso significa, ma proprio per il fatto che ci siamo così familiarizzati con esso, non arriviamo forse a comprendere tutta la ricchezza che tale concetto racchiude.
Avvento significa “venuta”.
Dobbiamo quindi domandarci: chi è che viene? e per chi viene? A questa domanda troviamo subito la risposta. Anche i bambini sanno che è Gesù che viene, per loro e per tutti gli uomini. Viene una notte a Betlemme, nasce in una grotta, che serviva da stalla per il bestiame.
Questo sanno i bambini, lo sanno pure gli adulti che partecipano alla gioia dei bambini, e che la notte di Natale sembrano diventare bambini anch’essi. Tuttavia molte sono le domande che vengono fatte. L’uomo ha il diritto, e perfino il dovere, di interrogare per sapere. Vi sono anche coloro che dubitano e, benché partecipino alla gioia del Natale, sembrano estranei alla verità che esso contiene.
Proprio per questo abbiamo il tempo dell’Avvento, in modo che ogni anno di nuovo possiamo penetrare in questa verità essenziale del cristianesimo.
2. La verità del cristianesimo corrisponde a due realtà fondamentali che non possiamo mai perdere di vista. Tutte e due sono fra loro strettamente connesse. È proprio questo legame, così intimo che una realtà sembra spiegare l’altra, è la nota caratteristica del cristianesimo. La prima realtà si chiama “Dio”, la seconda “l’uomo”. Il cristianesimo sorge da una particolare relazione reciproca fra Dio e l’uomo. Negli ultimi tempi – specialmente durante il Concilio Vaticano II – si discuteva a lungo, se tale relazione fosse teocentrica oppure antropocentrica. Non si avrà mai una risposta soddisfacente a questa domanda, se continueremo a considerare separatamente i due termini della questione. Infatti il cristianesimo è antropocentrico proprio perché è pienamente teocentrico; e contemporaneamente è teocentrico grazie al suo singolare antropocentrismo.
Ma è proprio il mistero dell’Incarnazione che, da se stesso, spiega questa relazione.
Ed è per questo che il cristianesimo non è soltanto una “religione di avvento”, ma l’Avvento stesso.
Il cristianesimo vive il mistero della venuta reale di Dio verso l’uomo, e di questa realtà palpita e pulsa costantemente. Essa è semplicemente la vita stessa del cristianesimo. Si tratta di una realtà profonda e semplice insieme, che è vicina alla comprensione e alla sensibilità di ogni uomo e soprattutto di chi, in occasione della notte di Natale, sa farsi bambino.
Non invano disse Gesù una volta: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).
3. Per comprendere fino in fondo questa duplice realtà di cui ogni giorno palpita e pulsa il cristianesimo, occorre risalire fino agli inizi stessi della Rivelazione, anzi quasi agli inizi del pensare umano.
Agli inizi del pensare umano possono stare concezioni diverse; il pensare di ciascun individuo ha la propria storia nella sua vita, sin dall’infanzia. Tuttavia parlando dell’“inizio” non intendiamo tanto trattare della storia del pensiero. Vogliamo invece costatare che alle basi stesse del pensare, cioè alle sue sorgenti, si trova il concetto di “Dio” e il concetto di “uomo”. Talvolta essi sono ricoperti da uno strato di molti altri concetti diversi (in particolare nell’odierna civiltà di “cosificazione materialista” e anche “tecnocratica”), ma ciò non significa che quei concetti non esistano o che non stiano alle basi del nostro pensare. Anche il più elaborato sistema ateo ha un senso solo se si presuppone che esso conosca il significato dell’idea di “Theos”, cioè Dio. A questo proposito giustamente c’insegna la Costituzione pastorale del Vaticano II, che molte forme di ateismo derivano dalla mancanza di un adeguato rapporto con questo concetto di Dio. Esse sono dunque, o almeno possono essere, negazioni di qualche cosa o piuttosto di Qualcun altro che non corrisponde al Dio vero.
4. L’Avvento – come tempo liturgico dell’anno ecclesiale – ci riporta agli inizi della Rivelazione. E proprio agli inizi c’incontriamo subito col legame fondamentale di queste due realtà: Dio e l’uomo.
Prendendo in mano il primo libro della Sacra Scrittura, cioè la Genesi, cominciamo la lettura delle parole: “Beresit bara!: In principio creò...”. Segue poi il nome di Dio, che in questo testo biblico suona “Elohim”. In principio creò, e colui che creò è Dio. Queste tre parole costituiscono quasi la soglia della Rivelazione. Dio all’inizio del libro della Genesi non è definito soltanto col nome “Elohim”; altre parti di questo libro adopereranno anche il nome “Jahvè”. Più chiaramente ancora parla di lui il verbo “creò”. Questo verbo di fatto rivela Dio, chi è Dio. Esprime la sua sostanza non tanto in se stessa, quanto in rapporto con il mondo, cioè con l’insieme delle creature soggette alle leggi del tempo e dello spazio. Il complemento circostanziale “in principio” indica Dio come Colui che è prima di questo principio, che non è limitato né dal tempo né dallo spazio, e che “crea”, cioè che “dà inizio” a tutto ciò che non è Dio, ciò che costituisce il mondo visibile e invisibile (secondo la Genesi: il cielo e la terra). In questo contesto il verbo “creò” dice di Dio anzitutto che lui stesso esiste, che è, che lui è la pienezza dell’essere, che tale pienezza si manifesta come Onnipotenza, e che questa Onnipotenza è insieme Sapienza e Amore. Tanto ci dice su Dio la prima frase della Sacra Scrittura. In tale modo si forma nel nostro intelletto il concetto di “Dio”, se ci riferiamo agli inizi della Rivelazione.
Sarebbe significativo esaminare in quale rapporto sta il concetto di “Dio”, così come lo troviamo agli inizi della Rivelazione, con quello che troviamo alle basi del pensare umano (perfino nel caso della negazione di Dio, cioè dell’ateismo). Oggi però non intendiamo sviluppare questo argomento.
5. Vogliamo invece costatare che agli inizi della Rivelazione – nello stesso libro della Genesi – e questo già nel primo capitolo, troviamo la fondamentale verità sull’uomo, che Dio (“Elohim”) crea a sua “immagine e somiglianza”. Vi leggiamo infatti: “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gen 1,26), e in seguito: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1,27).
Sul problema dell’uomo ritorneremo mercoledì prossimo. Ma già oggi dobbiamo segnalare questa relazione particolare tra Dio e la sua immagine, cioè l’uomo.
Questa relazione ci illumina sulle basi stesse del cristianesimo. Ci permette pure di dare una risposta fondamentale a due domande: prima, che cosa significa l’“Avvento”, seconda, perché proprio l’“Avvento” fa parte della sostanza stessa del cristianesimo?
Queste domande le lascio alla vostra riflessione. Torneremo su di esse nelle nostre future meditazioni e più di una volta. La realtà dell’Avvento è piena della più profonda verità su Dio e sull’uomo.
Ai malati
Ora voglio rivolgere un saluto particolare agli ammalati. Con sincera benevolenza di padre e di pastore vi invito a rinnovare la vostra adesione totale a Cristo crocifisso, dalle cui sofferenze tutti noi in quanto cristiani traiamo la realtà della nostra salvezza. La Chiesa perciò conta anche su di voi. Che il Signore vi aiuti a tener ferma la vostra fede e la vostra speranza, perché si compia la sua volontà sia nel dolore che nella guarigione.
Ai giovani sposi
Poiché è pure presente un numeroso gruppo di giovani sposi, intendo salutare anche loro con particolare affetto. Il Signore vi conceda un mutuo amore indefettibile, che il tempo non consumi mai, e lo renda fecondo sia con la reciproca maturazione di fronte alla vita sia con la responsabile procreazione di figli buoni e sani. Il Signore vi sostenga con la sua grazia e la mia Benedizione vi accompagni sempre.
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