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MESSA PER GLI STUDENTI UNIVERSITARI ROMANI 
IN PREPARAZIONE ALLA PASQUA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Martedì, 30 marzo 1982 

 

1. Gloria a te, Verbo di Dio!

Questo saluto si ripete quotidianamente nella liturgia della Quaresima. Esso precede la lettura del Vangelo, e testimonia che il tempo della Quaresima è nella vita della Chiesa un periodo di particolare concentrazione sul Verbo di Dio. Tale concentrazione era collegata – specialmente nei primi secoli – alla preparazione al Battesimo nella notte di Pasqua, al quale si predisponevano i Catecumeni con crescente intensità.

Però, non solo in considerazione del Battesimo e del catecumenato la Quaresima stimola ad una così intensa concentrazione sulla Parola di Dio. Il bisogno scaturisce dalla natura stessa del periodo liturgico, cioè dalla profondità del Mistero, nel quale la Chiesa entra sin dall’inizio della Quaresima.

Il mistero di Dio raggiunge le menti e i cuori innanzitutto mediante la Parola di Dio. Ci troviamo, infatti, nel periodo della “iniziazione” alla Pasqua, che è il mistero centrale di Cristo, oltreché della fede e della vita di coloro che lo confessano.

Sono lieto che in questo periodo, anche quest’anno, mi è dato di portare il mio personale contributo alla pastorale dell’ambiente universitario di Roma. Do il mio cordiale benvenuto a tutti i presenti: Professori, Studenti e ospiti che vengono da fuori Roma.

Desidero ricordare, in questa occasione, che i problemi riguardanti la presenza della Chiesa nel mondo universitario della nostra Città, i problemi della specifica pastorale accademica sono stati quest’anno il tema dell’incontro del clero della diocesi di Roma all’inizio della Quaresima. Insieme con i miei fratelli nell’Episcopato e nel presbiterato, che condividono con me la sollecitudine pastorale per i tre milioni di cittadini della Roma degli anni ottanta, ho potuto ascoltare diverse voci di professori, di studenti, di rappresentanti dei singoli ambienti accademici e movimenti, come pure dei loro assistenti ecclesiastici, i quali hanno illustrato numerosi problemi riguardanti l’importante compito della Chiesa di Roma in questo settore.

Spero che questo compito potrà essere svolto in modo sempre più maturo e fruttuoso.

2. Lode a te, Verbo di Dio!

Questa parola nella Liturgia della penultima Settimana di Quaresima diventa particolarmente intensa e, direi, particolarmente drammatica. Lo mettono in risalto in modo speciale le letture tratte dal Vangelo di san Giovanni.

Cristo, conversando con i Farisei, sempre più chiaramente dice Chi è, Chi l’ha mandato, e le sue parole non trovano accoglienza. E sempre più, mediante la crescente tensione delle domande e delle risposte, si delinea anche il termine di questo processo: la morte del profeta di Nazaret.

“Tu chi sei?” (Gv 8,25), domandano a lui come una volta domandavano a Giovanni Battista.

Questo interrogativo porta con sé quell’eterna inquietudine messianica, alla quale Israele partecipava da generazioni, e che nella generazione di quel tempo pareva ancora accresciuta in potenza.

– Tu chi sei?

– “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete...” (Gv 8,28).

3. Sembra che il concetto-chiave dell’odierna Liturgia della Parola di Dio sia quello di “elevazione”.

Durante la peregrinazione di Israele attraverso il deserto, Mosè “fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta” (Nm 21,9). Lo fece per ordine del Signore, quando il suo popolo veniva morso dai serpenti velenosi “e un gran numero di Israeliti morì” (Nm 21,6). Quando Mosè mise il serpente di rame sopra l’asta, chiunque fosse stato morso dai serpenti, nel guardarlo, “restava in vita” (Nm 21,9).

Quel serpente di rame è divenuto la figura di Cristo “innalzato” sulla croce. Gli esegeti vedono in esso l’annuncio simbolico del fatto che l’uomo, il quale con fede guarda la croce di Cristo, “resta in vita”. Rimane in vita...: e la vita significa la vittoria sul peccato e lo stato di grazia nell’animo umano.

4. Cristo dice: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete...”: conoscerete, troverete la risposta a questo interrogativo che ora ponete a me, non fidandovi delle parole che vi dico.

“L’innalzare” mediante la Croce costituisce in un certo qual senso la chiave per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava. La Croce è la soglia, attraverso la quale sarà concesso all’uomo di avvicinarsi a questa realtà che Cristo rivela. Rivelare vuol dire “rendere noto”, “rendere presente”.

Cristo rivela il Padre. Mediante lui il Padre diventa presente nel mondo umano.

“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28).

Cristo si richiama al Padre come all’ultima fonte della verità che annunzia: “Colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui” (Gv 8,26).

Ed infine:
“Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29).

In queste parole si svela davanti a noi quella illimitata solitudine, che Cristo deve sperimentare sulla Croce, nella sua “elevazione”. Questa solitudine inizierà durante la preghiera nel Getsemani – la quale deve essere stata una vera agonia spirituale – e si compirà nella crocifissione. Allora Cristo griderà: “Elì, Elì, lemà sabactàni”, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).

Ora, invece, come se anticipasse quelle ore di tremenda solitudine, Cristo dice: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo...”. Come se volesse dire, in primo luogo: anche in questo supremo abbandono non sarò solo! adempirò allora ciò che “Gli è gradito”, ciò che è la Volontà del Padre! e non sarò solo!

– E, inoltre: il Padre non mi lascerà in mano alla morte, poiché nella Croce c’è l’inizio della risurrezione. Proprio per questo, “la crocifissione” diventerà in definitiva la “elevazione”: “Allora saprete che Io sono”. Allora, pure, conoscerete che “io dico al mondo le cose che ho udito da lui”.

5. La crocifissione diventa veramente l’elevazione di Cristo. Nella Croce c’è l’inizio della risurrezione.

Perciò la Croce diventa la misura definitiva di tutte le cose, che stanno tra Dio e l’uomo. Cristo le misura proprio con questo metro.

Nell’odierno Vangelo ascoltiamo che cosa dice:
“Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo” (Gv 18,23).

La dimensione del mondo viene, in un certo senso, contrapposta alla dimensione di Dio. Nel colloquio con Pilato Cristo dirà anche: “Il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18,36).

La dimensione del mondo s’incontra con la dimensione di Dio proprio nella Croce: nella Croce e nella risurrezione.

Per questo la croce diventa quell’ultimo metro, col quale Cristo misura. Diventa il punto centrale di riferimento. La dimensione del mondo viene in essa riferita definitivamente alla dimensione del Dio Vivente. E il Dio Vivente si incontra col mondo nella Croce. S’incontra mediante la morte di Cristo.

Questo incontro è totalmente per l’uomo.

Perché – a volte ci chiediamo – quell’incontro del Dio Vivente con l’uomo si è compiuto sulla Croce?... perché doveva compiersi così?

Cristo, nell’odierno colloquio, ne dà la risposta: “Se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati” (Gv 18,24).

Sopra la dimensione del mondo si mette la dimensione del peccato... Proprio per questo l’incontro di Dio col mondo si compie nella croce.

C’è bisogno della Croce e della morte, affinché l’uomo “non muoia nei propri peccati”.

C’è bisogno della Croce e della risurrezione, affinché l’uomo creda a Cristo, perché accetti questo “mondo” che lui rivela per mezzo di sé.

In Cristo è rivelato all’uomo il Dio Vivente. Dio Padre.

Non solo: in Cristo è rivelato all’uomo – è rivelato fino in fondo – il mistero dell’uomo stesso.

6. Bisogna imparare a misurare i problemi del mondo, e soprattutto i problemi dell’uomo, col metro della Croce e della Risurrezione di Cristo.

Essere cristiani vuol dire vivere nella luce del mistero pasquale di Cristo. E trovare in esso un punto fisso di riferimento per ciò che è nell’uomo, per ciò che è tra gli uomini, ciò che compone la storia dell’umanità e del mondo.

L’uomo, guardando in se stesso, scopre anche – come Cristo dice nel dialogo con i Farisei – ciò che è “di quaggiù” e ciò che è “di lassù”. L’uomo scopre dentro di sé (è questa un’esperienza perenne) l’uomo “di lassù” e l’uomo “di quaggiù”: non due uomini, ma quasi due dimensioni dello stesso uomo; dell’uomo, che è ognuno di noi: io, tu, lui, lei...

E ognuno di noi – se guarda dentro di sé attentamente, in modo autocritico, se cerca di vedere se stesso nella verità – saprà dire che cosa in lui appartiene all’uomo “di quaggiù”, e che cosa all’uomo “di lassù”. Saprà chiamarlo per nome. Saprà confessarlo.

Ed infine: in ognuno di noi c’è un certo spontaneo tendere dall’uomo “di quaggiù” verso quello “di lassù”. È questa un’aspirazione naturale. A meno che non la soffochiamo, non la calpestiamo in noi.

È un’aspirazione. Se con essa cooperiamo, questa aspirazione si sviluppa e diventa il motore della nostra vita.

Cristo ci insegna come cooperare con essa. Come sviluppare ed approfondire ciò che nell’uomo è “di lassù”, e come indebolire e vincere ciò che è “di quaggiù”.

Cristo ce lo insegna col suo Vangelo e col suo personale esempio.

La Croce diventa qui una misura viva. Diventa il punto di riferimento, attraverso il quale la vita di milioni di uomini passa da ciò che nell’uomo è “di quaggiù” a ciò che è “di lassù”.

La Croce e la risurrezione: il mistero pasquale di Cristo.

7. Il primo, elementare metodo di questo passaggio è la preghiera.

Quando l’uomo prega, in un certo senso spontaneamente si rivolge verso Colui che gli offre la dimensione “di lassù”. Con ciò stesso prende le distanze da ciò che, in se stesso, è “di quaggiù”. La preghiera è un movimento interiore. È un movimento che decide dello sviluppo di tutta la personalità umana. Dell’indirizzo della vita.

Con quale chiarezza dà espressione a questo tema il Salmo dell’odierna Liturgia!:

“Signore, ascolta la mia preghiera, / a te giunga il mio grido. / Non nascondermi il tuo volto; / nel giorno della mia angoscia / piega verso di me l’orecchio. / Quando ti invoco: presto, rispondimi” (Sal 102 [101],1-3).

L’uomo vive nella ricerca del “volto di Dio”, che è nascosto davanti a lui nelle tenebre “del mondo”. Eppure, nello stesso “mondo” può scoprire le impronte di Dio. Bisogna solo che inizi a pregare. Che preghi. Che passi da ciò che è “di quaggiù” verso ciò che è “di lassù”. Che insieme alla preghiera scopra in se stesso la via che va dall’uomo “di quaggiù” a quello “di lassù”.

Mei diletti! Nel nome del Crocifisso e del Risorto vi chiedo: pregate! amate la preghiera!

8. Gloria a te, Verbo di Dio!

Che l’amore della preghiera diventi in ognuno di noi il frutto dell’ascolto della Parola di Dio.

“Il seme è la Parola di Dio, il seminatore invece, Cristo; ognuno che lo troverà durerà in eterno”, proclama un testo liturgico.

Il seme è il germe di vita. Esso racchiude in sé tutta la pianta. Nasconde la spiga per la mietitura e il futuro pane.

Il Verbo di Dio è tale seme per le anime umane. Il seminatore ne è Cristo.

Preghiamo che dal seme della parola di Cristo nasca in noi di nuovo questa Vita, alla quale l’uomo è chiamato in Cristo. Chiamato “da lassù”.

Questa vita nasce nei sacramenti della fede. Nasce prima nel Battesimo e poi nel sacramento della Riconciliazione.

Cristo è non soltanto Colui che annunzia la Parola di Dio. È Colui che in questa Parola dà la Vita.

Una nuova Vita.

Tale è la potenza delle parole: “Io ti battezzo”.

Tale è pure la potenza delle parole: “Io ti assolvo... vai in pace”. Vai! Nella direzione da ciò che è in te “di quaggiù” verso ciò che è “di lassù”. Ancora una volta, vai!


E infine la potenza delle parole eucaristiche: “Mangiate e bevetene tutti”. Chi mangia... vivrà. Vivrà in eterno.

Guardiamo, cari fratelli e sorelle, “l’elevazione” di Cristo. Guardiamo attraverso il prisma della Croce e della risurrezione la nostra umanità. Accettiamo l’invito che si racchiude nel mistero pasquale di Cristo. Accettiamo la Parola e la Vita. Amen.

 

 

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