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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SANTA CECILIA IN TRASTEVERE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 22 novembre 1984

 

Ti farò mia sposa per sempre / ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto / nella benevolenza e nell’amore!”.

1. Con queste parole, il profeta Osea esprime l’amore che Dio porta verso Israele, il popolo della promessa; giustamente la liturgia le applica a santa Cecilia, per indicare in sintesi la sua vita di vergine e martire di Cristo.

Sono lieto di poter celebrare la santa messa in questa insigne basilica dedicata alla celebre martire romana, onorata in tutta la Chiesa, e colgo volentieri l’occasione per rivolgere dall’altare un saluto particolarmente affettuoso a tutti gli abitanti di Trastevere, questo luogo tanto rinomato fin dai tempi antichi, per la sua schietta romanità, per i tanti e prestigiosi ricordi storici e letterari, e soprattutto per i diversi ambienti religiosi e assistenziali che lo rendono tipico e suggestivo. Desidero pure esprimere il mio apprezzamento per le varie iniziative di preghiera e di formazione che qui si svolgono.

Ci troviamo in un luogo denso di memorie sante e di intensa spiritualità. Sappiamo infatti che, sulla casa della martire, fin dal terzo secolo sorse un luogo di culto, che venne poi rinnovato da papa Pasquale I nell’anno 821 per custodire il corpo di santa Cecilia, ritrovato nelle catacombe. Fin dai primi tempi, pertanto, questo tempio è stato luogo di adorazione, di preghiera, di pellegrinaggi. Infatti, il nome della martire Cecilia è glorioso e venerato fin dal periodo delle persecuzioni, è stato incluso nel Canone romano della santa messa, è ricordato in molteplici documenti e repertori che riguardano la storia, l’arte, l’architettura, la liturgia, la leggenda, tra cui il poetico e commovente racconto di Jacopo da Varagine nella “Leggenda aurea”. Cecilia è dunque una santa tutta romana e nello stesso tempo anche universale e noi, in questo secolo ventesimo, vogliamo continuare a venerarla, pregarla, ascoltando il suo messaggio di fede e di amore, e trasmettendolo alle generazioni venture.

2. Nei tempi burrascosi della persecuzione Cecilia, consacratasi totalmente a Cristo, fu “testimone” della fede, tanto da convertire - come narra la “Passio” primitiva - anche il giovane pagano Valeriano e il fratello di questi, Massimo. “Testimonianza in greco si dice "martirio" - affermava sant’Agostino - parola che noi usiamo ordinariamente in vece del corrispondente termine latino. Tanto è vero che, volendo designare coloro che affrontarono umiliazioni e tormenti per rendere testimonianza a Cristo e lottarono fino alla morte in difesa della verità, noi li chiamiamo "martiri"” (S. Augustini, Enarr. in Ps. 118, sermo 9,2). Tale fu infatti santa Cecilia, che affrontò con coraggio e serenità la morte, perché profondamente convinta della verità in cui credeva, partecipe così dell’opera redentrice del primo martire, Gesù. Così sant’Agostino continuava il suo commento: “I prìncipi si assidono e decretano di sbarazzarsi dei martiri di Cristo; i martiri con il loro soffrire decretano di riscattare i nemici ormai perduti. Gli uni rendono il male per il bene; gli altri il bene per il male” (Ivi, sermo 9,3).

Gesù morì in croce per la verità ma anche per salvare l’umanità dal male; egli fu vittima di espiazione: “In questo sta l’amore - scrive l’apostolo Giovanni - : non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4, 10). Essere martire significa accettare di morire con Cristo e per Cristo, per testimoniare l’autenticità della sua morte redentrice e per partecipare alla sua opera di salvezza. Il martire accetta con coraggio la prova che si abbatte misteriosamente su di lui e si abbandona fiducioso all’amore dell’Altissimo, per il bene dei fratelli. “I martiri - diceva il cardinale Newman - non sono vittime accidentali, prese a caso; ma prescelti, eletti come un sacrificio bene accetto a Dio, un dono prezioso, il fior fiore della Chiesa. Persone che ben sapevano che cosa dovessero attendersi dalla loro professione di fede, che avevano a portata di mano l’apostasia, ma che hanno sopportato e per amore di Cristo hanno lottato e non sono venuti meno . . . Il martirio è, all’occhio della fede, una manifestazione del potere speciale di Dio, un miracolo tanto grande quanto quelli visibilmente operati” (Card. Newman, Sermoni di Oxford, 1843). Anche Cecilia fu un miracolo di Dio, da lui scelta per confermare nella fede i fratelli.

3. Cecilia - come racconta la parabola del Vangelo odierno - fu una di quelle vergini prudenti, che hanno atteso lo Sposo celeste con la lampada accesa e con l’olio di scorta: la lampada della fede, che essa alimentava ogni giorno leggendo la Sacra Scrittura e ascoltando i ministri di Dio. Narra la “Passio” che essa custodiva il Vangelo nel suo cuore e che, colpita a morte, giacque sul fianco destro, le ginocchia piegate, le braccia tese in avanti, il capo reclinato, con tre dita della mano destra e uno della sinistra distese per indicare la sua fede nell’unità e nella Trinità di Dio. Così fu pure ritratta nella bella statua del Maderno, custodita in questa basilica.

È questo l’insegnamento fondamentale che santa Cecilia lascia a noi: dobbiamo tenere accesa la lampada della fede; dobbiamo rimanere in vigilante attesa del banchetto celeste, perché il tempo non ci appartiene e per ognuno di noi da un momento all’altro può echeggiare il grido del Vangelo: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”.

È una lampada che ci dà la forza di accettare le vicende della vita, anche dolorose e contrastanti, nella prosperità della felicità eterna con Dio, che ci attende al termine dell’esistenza. La testimonianza della verità, talvolta, urta, crea contrasti, può suscitare odi e persecuzioni. Il divin Maestro l’aveva già predetto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20); “Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno . . . per causa mia” (Mt 5, 11). La fede ci dice che Cristo ha vinto il mondo: egli è sempre con noi, ogni giorno, fino alla fine della storia. Sulla tomba della martire romana Cecilia, e di tanti altri testimoni di Cristo, eleviamo pertanto un pensiero colmo di affetto e di ammirazione per tanti nostri fratelli che soffrono attualmente per la loro fede. Noi li ricordiamo! Preghiamo per loro! Li ringraziamo perché il loro esempio coopera anche a tenere accesa la nostra fiamma.

È una lampada che deve essere costantemente alimentata dalla preghiera e dalla meditazione, perché solo da profonde convinzioni personali e dall’aiuto soprannaturale della grazia trae vigore in noi la luce della verità. Per affrontare come Cecilia le difficoltà e le avversità del mondo, è necessario che la lampada della fede sia ben accesa e la luce ben splendente, così da poter dare tutto, anche la vita!

4. Come è noto, nel Medioevo una curiosa interpretazione della “Passio” ha fatto ritenere santa Cecilia patrona degli artisti del canto e della musica. “Cantantibus organis - scrive il documento - Caecilia in corde suo soli Domino decantabat dicens: "Fiat cor et corpus meum immaculatum ut non confundar!"”. Dal secolo XV in poi l’iconografia trovò grande ispirazione nel rappresentare santa Cecilia con uno strumento musicale. Ma nel 1516 Raffaello, con il suo genio creativo, in un celebre dipinto sintetizzò mirabilmente la “passione” antica e l’interpretazione tardiva, rappresentando Cecilia con gli strumenti della musica terrena abbandonati ai suoi piedi e tutta tesa all’ascolto delle celesti armonie.

Con il vivo auspicio che, per l’intercessione di santa Cecilia, anche la musica strumentale e il canto corale continuino a dar gloria a Dio, elevando gli animi e ispirando sentimenti di fraternità e di devozione, chiediamo alla martire romana la grazia di percepire e di gustare sempre l’armonia divina della verità rivelata da Cristo.

Amen!



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