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SOLENNE CONCELEBRAZIONE IN ONORE DEI SANTI CIRILLO E METODIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cappella Paolina - Domenica, 7 luglio 1985

 

Caro signor cardinale, cari fratelli nel servizio episcopale, amati fratelli e sorelle!
“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”
(Mt 28, 18).

Queste parole udirono già gli apostoli dalla bocca del Cristo risorto dopo averlo visto sulla montagna in Galilea e dopo averlo adorato. Muniti di questo potere, Cristo li manda in tutte le parti del mondo, a tutti i popoli, per conquistarli a Cristo, per battezzarli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: per aprire i loro cuori alla verità del Vangelo, per procurar loro la vita divina, per renderli partecipi alla vita della santissima Trinità.

Con questa buona novella e con il potere concesso agli apostoli e ai loro successori sulla montagna in Galilea, i santi Cirillo e Metodio si recarono dai nostri antenati, insegnando loro a osservare tutto ciò che Gesù aveva comandato (cf. Mt 28, 20). Insegnavano ad amare il nostro Signore e Salvatore, avendo loro stessi provato e vissuto il fatto che colui che sa amare, anzi, come esige il comandamento più grande, colui che ama con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (cf. Mt 22, 37) riesce a conoscere e a penetrare più profondamente di chiunque altro l’ineffabile mistero del Figlio di Dio, che per la nostra salvezza si è fatto uomo.

È caratteristico il fatto che San Cirillo quando si prepara, insieme con Metodio, alla sua missione nella Grande Moravia, comincia a tradurre, in primo luogo, il Vangelo secondo San Giovanni. In tal modo la prima proposizione scritta nella lingua slava fu la seguente: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1, 1). Gli apostoli degli slavi non esitarono ad insegnare ai nostri antenati le verità più profonde. Si fidavano del potere di quell’amore che riesce a conoscere anche ciò che risulta inesprimibile con le parole, come pure della grazia e della bontà del Padre, Signore del cielo e della terra, che ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le rivelate ai piccoli (cf. Mt 11, 25).

Lo conferma pure la piccola croce di piombo della seconda metà del secolo IX d.C., trovata nella località di Sady, presso Uherské Hradisté, dove probabilmente nei tempi dei santi Cirillo e Metodio esisteva un monastero o una scuola. L’iscrizione greca è: “Gesù Cristo, luce, vita, vittoria”. Questa potrebbe essere una sintesi delle prediche di Cirillo e di Metodio, di ciò che essi con insistenza trasmettevano spesso ai loro discepoli e ai nostri avi. Essa potrebbe essere una risonanza di quella profonda fede che viene dal prologo del Vangelo secondo San Giovanni, che diventa, in questo modo, l’inizio delle letterature slave.

Gesù Cristo: luce . . . vita.

Colui che portava quella piccola croce di piombo confessava ciò in cui credeva. Predicava agli altri che la vedevano, e forse anche baciavano, che “in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). I santi Cirillo e Metodio vennero ad aprire ai nostri avi l’accesso verso la vita che è la luce, vennero a rendere testimonianza di quella luce, perché presi da Gesù che aveva detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

Gesù Cristo: luce, vita, vittoria. Come luce vinse le tenebre, come vita sconfisse la morte con tutto ciò che ad essa conduce.

I santi fratelli di Tessalonica portarono ai nostri antenati la luce della fede. Ma la fede vince il mondo. “E questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1 Gv 5, 4-5). Possiamo aggiungere con l’apostolo Paolo: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato . . . Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 15, 55-57).

Da qui parte anche l’incoraggiamento dell’apostolo: “Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore!” (1 Cor 15, 58). Prodigarsi nell’opera del Signore significa continuare l’opera iniziata dai nostri apostoli. E continuare l’opera del Signore significa quindi predicare il messaggio di Cristo, il messaggio di perdono e di salvezza, diffondendolo come la luce per ogni epoca, per ogni generazione, anche per la nostra. Ciò vuol dire seminare il buon seme in ogni terra, seminarlo sempre di nuovo consolidando così la Chiesa di Cristo nelle anime, e in ogni campo e, insieme ad essa, la vita nella grazia e nel regno dell’amore. Continuare l’opera del Signore significa illuminare con la luce di Cristo ogni popolo e ogni lingua, ogni cultura e ogni manifestazione di vita. Così, in Gesù Cristo, tutti possiamo e dobbiamo incontrarci, essendo soltanto lui la via, la verità e la vita per l’uomo, per ciascun uomo (cf. Gv 14, 6). In tal modo Cristo diventa anche la nostra vittoria e noi vinciamo con lui.

Carissimi fratelli e sorelle!

Ci siamo radunati qui oggi proprio nel momento in cui le folle dei fedeli stanno radunandosi a Velehrad per ricordare insieme e dignitosamente il 1100° anniversario, nella cattedrale della diocesi. Anche i fedeli slovacchi in Canada festeggiano oggi lo stesso anniversario, nella cattedrale della diocesi greco-cattolica dei santi Cirillo e Metodio a Unionville presso Toronto. Tutti noi siamo spiritualmente uniti con loro. Sono unito spiritualmente anche con tutti i fedeli cechi e slovacchi che non solo ricordano, festeggiano l’anniversario della morte di San Metodio, ma che pure cercano nell’eredità spirituale di questi apostoli slavi e nella loro opera la via e l’incoraggiamento per la loro vita quotidiana. Il mio cuore trabocca di amore verso tutti voi e del desiderio di incontrare, di salutare e incoraggiare ciascuno di voi personalmente.

Questo nostro incontro odierno è quasi un segno di ciò a cui anela il cuore, ma che finora non riesce a raggiungere pienamente, anzi, nemmeno riesce a pronunciare perfettamente. Perciò le parole passano nella preghiera, giacché quello che non è possibile agli uomini è possibile a Dio. Concludo le mie parole con una parte della preghiera nella quale sbocca anche la recente enciclica Slavorum Apostoli.

“O Dio grande, uno nella Trinità, io ti affido il retaggio della fede delle nazioni slave: conserva e benedici questa tua opera!

Ricorda, o Padre onnipotente, il momento nel quale, secondo la tua volontà, giunse per questi popoli e per queste nazioni la “pienezza dei tempi” e i santi missionari di Salonicco adempirono fedelmente il comando che il tuo Figlio Gesù Cristo aveva rivolto ai suoi discepoli; seguendo le loro orme e quelle dei loro successori, essi recarono nelle terre abitate dagli slavi la luce del Vangelo, la buona novella della salvezza . . .

Esaudisci, o Padre, ciò che da te implora oggi tutta la Chiesa e fa’ che gli uomini e le nazioni che, grazie alla missione apostolica dei santi fratelli di Salonicco, conobbero e accolsero te, Dio vero, e mediante il Battesimo entrarono nella santa comunità dei tuoi figli, possano continuare ancora, senza ostacoli, ad accogliere con entusiasmo e con fiducia questo programma evangelico e a realizzare tutte le proprie possibilità umane sul fondamento dei loro insegnamenti.

Possano essi seguire, in conformità alla propria coscienza, la voce della tua chiamata, lungo le vie indicate per la prima volta undici secoli or sono!

La loro appartenenza al regno del tuo Figlio non possa esser considerata da nessuno in contrasto col bene della patria terrena!

Possano rendere a te la lode dovuta nella vita privata e in quella pubblica! Possano vivere nella verità, nella carità, nella giustizia e nel godimento della pace messianica, che abbraccia i cuori umani, le comunità, la terra e l’intero cosmo!

Consci della loro dignità di uomini e di figli di Dio, possano avere la forza di superare ogni odio e di vincere il male col bene!” (Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 30).

Amen! Amen!

 

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