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VIAGGIO APOSTOLICO NEGLI STATI UNITI E IN CANADA

SANTA MESSA PER I FEDELI DELL'ARCIDIOCESI DI SAN ANTONIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

 San Antonio (Texas) - Domenica, 13 settembre 1987

 

Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome” (Sal 103, 1).

Cari fratelli e sorelle,
cari amici, cittadini di San Antonio e dello Stato del Texas.

1. E un’immensa gioia per me essere con voi in questa domenica e invocare la benedizione di Dio su questo grande stato e sulla Chiesa intera di questa regione.

Texas! Questo nome riporta immediatamente alla mia memoria la ricca storia e lo sviluppo culturale di questa parte degli Stati Uniti. In questo meraviglioso scenario, di fronte alla Città di San Antonio, non posso fare a meno di ricordare il Padre Massanet, francescano, il quale, il 13 giugno 1691, giorno della festa di san’Antonio di Padova, celebrò la santa Messa lungo le rive del fiume San Antonio per i componenti di una delle prime spedizioni spagnole e per un gruppo di indiani del luogo.

Da allora, gente di origini diverse è arrivata qui, così che oggi la vostra è una società pluriculturale, che cerca di raggiungere una piena armonia e collaborazione con tutti. Esprimo la mia cordiale gratitudine ai rappresentanti dello Stato del Texas e della Città di San Antonio che hanno voluto prendere parte a questo incontro di preghiera. Saluto anche i membri delle varie Comunità cristiane che si sono uniti a noi nel nome di nostro Signore Gesù Cristo. Uno speciale ringraziamento va all’arcivescovo Flores e a tutti i vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e a tutti i fedeli cattolici del Texas. La pace del Signore sia con tutti voi!

2. Oggi è domenica, il giorno del Signore. Oggi è il “settimo giorno”, del quale il Libro della Genesi dice “cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” (Gen 2, 2). Avendo completato l’opera della creazione, si “riposò”. Dio si è compiaciuto della sua opera: “vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1, 31). “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (Gen 2, 3).

In questo giorno siamo chiamati a riflettere più profondamente sul mistero della creazione, e quindi sulla nostra vita. Siamo chiamati a “riposare” in Dio, il Creatore dell’universo. Nostro dovere è lodarlo: “Benedici il Signore, anima mia . . . non dimenticare tanti suoi benefici” (Sal 103, 1-2). Ecco il compito di ogni uomo. Solo la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, è capace di innalzare un inno di lode e ringraziamento al Creatore. La terra, con tutte le sue creature, e tutto l’universo, invitano l’uomo a essere la loro voce. Solo la persona umana è capace di innalzare dal profondo del proprio essere quell’inno di lode, proclamato senza parole da tutto il creato: “Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome” (Sal 103, 1).

3. Qual è il messaggio della liturgia di oggi? A noi che siamo qui riuniti a San Antonio, nello Stato del Texas, e che partecipiamo al sacrificio eucaristico del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, san Paolo rivolge queste parole: “Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14, 7-8).

Queste parole sono brevi, ma piene di un messaggio toccante. “Noi viviamo” e “noi moriamo”. Noi viviamo in questo mondo materiale che ci circonda, limitati dai confini del nostro pellegrinaggio terreno attraverso il tempo. Noi viviamo in questo mondo, con l’inevitabile prospettiva della morte, fin dal concepimento e dalla nascita. Ma ora, dobbiamo guardare al di là dell’aspetto materiale della nostra esistenza terrena. Certamente la morte del corpo è un passaggio necessario per tutti noi; ma è anche vero che ciò che fin dall’inizio portava in se stesso l’immagine e la somiglianza con Dio non può essere restituito alla materia corruttibile dell’universo. Questa è la verità fondamentale e l’atteggiamento della nostra fede cristiana. Con le parole di san Paolo: “perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore”. Noi viviamo per il Signore, e anche la nostra morte è vita nel Signore.

Oggi, in questo giorno del Signore, desidero invitare tutti coloro che stanno ascoltando le mie parole, a non dimenticare il nostro destino immortale: la vita dopo la morte - la felicità eterna nei cieli, o la terribile possibilità della punizione eterna, eterna separazione da Dio, in ciò che la tradizione cristiana ha chiamato inferno (cf. Mt 25, 41; 22, 13; 25, 30). Non può esistere una vera vita cristiana senza che ci sia un’apertura a questa dimensione trascendente della nostra vita. “Sia che viviamo, sia che moriamo siamo dunque del Signore” (Rm 14, 8).

4. L’Eucaristia che noi celebriamo costantemente conferma il nostro vivere e morire “nel Signore”. Morendo distruggete la morte, risorgendo restaurate la vita. Infatti san Paolo scrive: “Siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi” (Rm 14, 8-9). Sì, Cristo è il Signore!

Il mistero pasquale ha trasformato la nostra esistenza umana, così che essa non è più sotto il dominio della morte. In Gesù Cristo, nostro Redentore, “noi viviamo per il Signore” e “moriamo per il Signore”. Per mezzo di lui, con lui e in lui, noi apparteniamo a Dio nella vita e nella morte. Noi non esistiamo solo “per la morte” ma “per Dio”. Per questa ragione, in questo giorno “fatto dal Signore” (Sal 118, 24), la Chiesa in tutto il mondo effonde la sua benedizione dal più profondo del mistero pasquale di Cristo: “Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici . . . non dimenticare tanti suoi benefici” (Sal 103, 1-2).

Non dimenticare”! La lettura del Vangelo di oggi secondo san Matteo ci fornisce un esempio di un uomo che ha dimenticato (cf. Mt 18, 21-35). Ha dimenticato i favori ricevuti dal suo padrone e di conseguenza si è mostrato crudele e senza cuore nei confronti del suo simile. In questo modo la liturgia ci introduce all’esperienza del peccato così come si è sviluppato dall’inizio della storia dell’uomo insieme all’esperienza della morte.

Noi moriamo nel corpo quando tutte le energie della vita sono esaurite. Noi moriamo per mezzo del peccato quando l’amore muore in noi. Al di fuori dell’Amore non c’è Vita. Se l’uomo contrasta l’amore e vive senza amore, la morte si radica nella sua anima e ci esce. Per questa ragione Cristo dice: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Il grido per l’amore è il grido per la vita, per il trionfo dell’anima sul peccato e sulla morte. La fonte di questa vittoria è la croce di Gesù Cristo; la sua morte e la sua risurrezione.

5. Ancora, nell’Eucaristia, le nostre vite sono toccate dalla radicale vittoria di Cristo sul peccato - peccato che è la morte dell’anima, e - in definitiva - è la ragione della morte del corpo. “Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi” (cf. Rm 14, 9), per poter dare la vita a coloro che sono morti nel peccato o a causa di esso.

È per questo che l’Eucaristia inizia con la liturgia penitenziale. Confessiamo i nostri peccati per poter ottenere il perdono per mezzo della croce di Cristo, e avere così parte nella sua risurrezione dai morti. Ma se la nostra coscienza ci rimprovera un peccato mortale, la nostra partecipazione alla Messa potrà dare pienamente frutto solo se precedentemente avremo ricevuto l’assoluzione nel sacramento della Penitenza.

Il ministero della Riconciliazione è una parte fondamentale della vita e della missione della Chiesa. Senza trascurare nessuno dei molteplici modi in cui la vittoria di Cristo sul peccato diventa una realtà nella vita della Chiesa e del mondo, ritengo importante sottolineare che soprattutto nei sacramenti del perdono e della riconciliazione il potere redentivo del sangue di Cristo diventa effettivo nelle nostre vite personali.

6. In diverse parti del mondo si trascura molto spesso il sacramento della Penitenza. Questo è a volte legato a un oscuramento della coscienza morale e religiosa, a una perdita del senso del peccato, o a una mancanza di un’istruzione adeguata sull’importanza di questo sacramento nella vita della Chiesa di Cristo. A volte la trascuratezza esiste perché non prendiamo seriamente la nostra mancanza di amore e di giustizia, e la corrispondente offerta da parte di Dio di misericordia riconciliante. A volte c’è una certa esitazione o un rifiuto ad accettare con maturità e responsabilità le conseguenze delle oggettive verità di fede. Per queste ragioni è necessario sottolineare ancora una volta che “circa la sostanza del sacramento è rimasta sempre solida e immutata nella coscienza della Chiesa la certezza che, per volontà di Cristo, il perdono è offerto a ogni individuo nell’assoluzione sacramentale, dai ministri della Penitenza” (Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et Paenitentia, 30).

Chiedo nuovamente a tutti i miei fratelli vescovi e sacerdoti di fare tutto il possibile per fare dell’amministrazione di questo sacramento un aspetto primario del loro servizio al popolo di Dio. Niente può sostituire gli strumenti della grazia che Cristo stesso ha posto nelle nostre mani. Il Concilio Vaticano II non ha mai voluto che questo sacramento della Penitenza fosse praticato con minor frequenza; ciò che il Concilio ha richiesto, piuttosto era che il fedele comprendesse più i segni, apprendesse più facilmente i segni sacramentali e si accostasse con maggiore desiderio e frequenza ai sacramenti (cf. Sacrosanctum Concilium, 59). E proprio perché il peccato colpisce profondamente la coscienza individuale, si capisce perché l’assoluzione dei peccati debba essere individuale e non collettiva, eccetto circostanze particolari approvate dalla Chiesa.

Vi chiedo, cari fratelli e sorelle cattolici, di non considerare la Confessione come un semplice tentativo di liberazione psicologica - anche se questo sarebbe legittimo - ma di vederlo come un sacramento, un atto liturgico. La Confessione è un atto di onestà e di coraggio; un atto di affidamento di noi stessi, oltre il peccato, alla misericordia di un Dio che ama e perdona. È un atto del figlio prodigo che ritorna da suo padre ed è accolto da lui con il bacio della pace. È facile, quindi, capire perché “ogni confessionale è uno spazio privilegiato e benedetto, dal quale, cancellate le divisioni, nasce nuovo e incontaminato un uomo riconciliato - un mondo riconciliato!” (Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et Paenitentia, 31, V; cf. III).

Il potenziale di un autentico e vibrante rinnovamento della Chiesa cattolica intera per mezzo di un accostamento più frequente al sacramento della Penitenza è incommensurabile. Esso deriva direttamente dal cuore amorevole di Dio stesso! Questa è una certezza di fede che io offro a ognuno di voi e all’intera Chiesa degli Stati Uniti.

A coloro che si sono allontanati dal sacramento della Riconciliazione e dell’amore misericordioso faccio questo appello: tornate a questa fonte di grazia; non abbiate paura! Cristo stesso vi sta aspettando. Egli vi guarirà, e voi sarete in pace con Dio!

A tutti i giovani della Chiesa, rivolgo un invito particolare a ricevere il perdono di Cristo e la sua forza nel sacramento della Penitenza. È un segno di forza essere capaci di dire: ho fatto uno sbaglio; ho peccato, Padre; ti ho offeso, mio Dio; mi dispiace; ti chiedo perdono; proverò ancora, perché ho fiducia nella tua forza e credo nel tuo perdono. E so che il potere del mistero pasquale del tuo Figlio - la morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo - è più grande delle mie debolezze e di tutti i peccati del mondo. Verrò e confesserò i miei peccati e sarò guarito, e vivrò nel tuo amore!

7. In Gesù Cristo il mondo ha veramente conosciuto il mistero del perdono, della misericordia e della riconciliazione, proclamata con la parola di Dio in questo giorno. Allo stesso tempo, l’inesauribile misericordia di Dio verso di noi ci obbliga a riconciliarci tra di noi. Questo richiede atteggiamenti concreti da parte della Chiesa in Texas e nel Sud-Ovest degli Stati Uniti. Significa portare speranza e amore dovunque ci sia divisione e alienazione.

La vostra storia è caratterizzata da un incontro di culture, indigene o di paesi stranieri, a volte segnata da tensioni e conflitti, ancora costantemente in cammino verso la riconciliazione e l’armonia. Popoli di razze, lingue, colore e costumi diversi sono venuti in questa terra per costruirvi la loro casa. Insieme alle popolazioni indigene di questi territori, ci sono i discendenti di coloro che vennero da quasi tutti i Paesi europei: Spagna, Francia, Germania, Belgio, Italia, Ungheria, Cecoslovacchia, Irlanda, Inghilterra e Scozia. E anche dalla mia patria, la Polonia; fu attraverso il Texas, e Panna Maria, che i primi emigrati polacchi vennero negli Stati Uniti. Ci sono i discendenti di coloro che vennero in catene dall’Africa; dal Libano, dalle Filippine e dal Vietnam, e da ogni Paese latinoamericano, specialmente dal Messico.

Questa terra è un crocevia, trovandosi al confine tra due grandi nazioni, e sperimentando sia l’arricchimento che le complicazioni che derivano da questa situazione. Voi siete così un simbolo e una sorta di laboratorio dove verificare l’impegno dell’America nella ricerca dei principi morali e dei valori umani. Questi principi e valori vengono ora riaffermati dall’America in quanto essa celebra il bicentenario della sua costituzione e parla ancora una volta di giustizia e libertà, dell’accettazione della diversità all’interno di un’unità fondamentale, unità che sorge da una visione comune della dignità di ogni persona umana, e da una responsabilità comune per il benessere di tutti, specialmente dei bisognosi e dei perseguitati.

8. In questo contesto si può parlare di un fenomeno attuale - qui e dovunque - di movimento dei popoli verso il nord, non solo dal Messico ma dagli altri Paesi meridionali vicini agli Stati Uniti. Anche a questo proposito si deve compiere un’opera di riconciliazione Ci sono tra voi persone di grande coraggio e generosità che hanno fatto molto per i fratelli e le sorelle sofferenti provenienti dal sud. Essi hanno cercato di avere compassione per le complesse realtà umane, sociali e politiche. Qui i bisogni umani, sia spirituali che materiali, continuano a richiamare l’attenzione della Chiesa con migliaia di voci, e la Chiesa tutta deve rispondere con la proclamazione della parola di Dio e con un servizio disinteressato. Anche qui c’è ampio spazio per continuare e far crescere la collaborazione tra i membri delle varie Comunità cristiane.

In questo contesto, la comunità spagnola deve far fronte alla più grande sfida. Quanti tra voi hanno una discendenza spagnola - così numerosi, presenti in questa terra da tanto tempo e ben preparati - sono chiamati ad ascoltare la parola di Cristo e a conservarla nel proprio cuore “Vi è un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). E Gesù specifica che questo amore abbraccia tutto il campo delle necessità umane, dalle più piccole alle più grandi: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli . . . in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10, 42). La comunità spagnola deve anche rispondere alle proprie necessità, e mostrare una generosa ed efficace solidarietà tra i suoi membri. Vi esorto quindi a preservare la vostra fede cristiana e le vostre tradizioni, specialmente per ciò che riguarda la difesa della famiglia. Prego affinché il Signore vi dia un maggior numero di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa tra i vostri giovani.

Possiate voi che tanto avete ricevuto da Dio, sentire la sua chiamata al rinnovamento della vita cristiana e alla fedeltà alla fede dei vostri padri. Possiate rispondere con lo spirito di Maria, la Vergine Madre che la Chiesa vede “maternamente presente e partecipe nei molteplici e complessi problemi che accompagnano oggi la vita dei singoli, delle famiglie e delle nazioni; la vede soccorritrice del popolo cristiano nell’incessante lotta tra il bene e il male, perché “non cada” o caduto “risorga” (Ioannis Pauli PP. II, Redemptoris Mater, 52).

9. La liturgia di oggi ci aiuta a riflettere profondamente sulla vita e sulla morte, sulla vittoria della vita sulla morte. Su questa terra, nel mondo visibile della creazione, l’uomo esiste “per la morte”; ma, in Cristo, egli è chiamato in comunione con Dio, con il Dio vivente che “dà la vita”. Egli è chiamato a questa comunione precisamente per mezzo della morte di Cristo, la morte che “dà la vita”.

Oggi in tutto il mondo, moltissime persone - di molti paesi e continenti, lingue e razze - condividono in modo sacramentale la morte di Cristo. Noi, qui in Texas, camminiamo al loro fianco, verso il compimento del mistero pasquale nella vita. Noi camminiamo, coscienti di essere peccatori, coscienti di essere mortali. Ma camminiamo nella speranza, in unione con il sacrificio di Cristo, per mezzo della comunione eucaristica con lui e con amore reciproco. Noi viviamo per il Signore! Noi moriamo per il Signore! Noi siamo del Signore: Vieni Signore Gesù! (cf. Ap 22, 20). Amen.

 

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