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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL CARDINALE LÁSZLÓ PASKAI
ALL
’EPISCOPATO E AI FEDELI CATTOLICI UNGHERESI

 

Al venerato fratello Cardinale László Paskai
all’episcopato ed ai fedeli cattolici ungheresi.

Alla fine dell’anno mariano 1988, nello stesso giorno in cui la Chiesa ricorda che “. . . la Vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo . . .”, voi, diletti fratelli e figli ungheresi, riandate con la memoria al 950° anniversario della morte di santo Stefano, fondatore della vostra nazione, ed insieme festeggiate la presenza attiva di Maria “Magna Domina” nella vostra millenaria storia. Infatti, il 15 agosto 1038 venne a morire il re Stefano, che aveva portato a compimento la cristianizzazione del vostro popolo, lasciandogli come eredità spirituale la devozione mariana.

Quest’anno, inoltre, ricorre il cinquantesimo della celebrazione del 34° Congresso eucaristico internazionale, evento ecclesiale che ebbe risonanza straordinaria non solo nella città di Budapest e nella vostra patria, ma in tutto l’orbe cattolico, nel maggio 1938. Com’è noto, ad esso fu mandato in qualità di Legato Pontificio l’allora Cardinale Segretario di Stato, Eugenio Pacelli, che l’anno successivo ascese al supremo Pontificato col nome di Pio XII.

I vostri antenati sono stati sempre consapevoli che la fede cristiana è strettamente connessa alla pietà mariana. Tale verità fu inculcata dallo zelo apostolico dei Vescovi missionari - fra i quali Adalberto e Gerardo - dei sacerdoti e dei monaci che portarono la religione di Cristo al vostro popolo.

L’accoglimento della verità evangelica, iniziato sotto il principe Géza, trovò il principale fautore in suo figlio Stefano, tanto che il Papa Silvestro II, alla fine dell’anno mille, per mezzo dell’abate Astrik-Anastasio, gli fece giungere la corona di re, riconoscendo così anche formalmente l’indipendenza sovrana dell’Ungheria.

Il santo re rispose in una maniera encomiabile alla benevolenza del Vicario di Cristo. Fondò dieci diocesi e ne costruì le chiese cattedrali; favorì il monachesimo; emanò una oculata legislazione, che fece osservare con fierezza; sviluppò con i popoli viciniori un’armoniosa convivenza, basata sul mutuo rispetto e sull’osservanza dei principi cattolici; promosse stretti rapporti con i principali centri del mondo cristiano del tempo, erigendovi “hospitia” per i pellegrini ungheresi. In una parola, trasformò la nazione in una vera “Res Publica Christiana”.

La sua vita privata e familiare offre un’immagine ugualmente esemplare. Egli fu marito premuroso della beata Gisella di Baviera, sorella dell’imperatore sant’Enrico. Uomo di profonda fede, fondò vicino al palazzo reale una abbazia per monache, allo scopo di assicurare una continua, orante intercessione per la sua famiglia e per il suo paese. Padre affettuoso e pensoso delle sorti dell’erede e del regno, educò il proprio figlio Emerico alla santità - venne canonizzato il 20 agosto 1083 - ed alla difficile arte del governo. Edificanti sono a tale proposito le raccomandazioni che egli gli diresse nel “De Institutione morum ad Emericum ducem”.

Purtroppo, le attese dinastiche di Stefano non si realizzarono: Emerico morì, come dice una cronaca, durante una battuta di caccia, il 2 settembre 1031. Pur addolorato di non avere un discendente diretto alla guida della nazione, Stefano si ancorò ancor più saldamente alla fede, ed affidò il suo popolo alla protezione della “Magna Domina Hungarorum”.

L’eredità spirituale del santo si è mostrata efficace lungo i secoli della travagliata storia del popolo magiaro; grazie alla presenza continua e protettrice di Maria, esso ha saputo conservare la propria identità e non di rado ha assolto il compito di fortezza avanzata della cristianità.

Nel corso di quest’anno, nelle varie cattedrali della vostra patria, è stata presentata alla vostra venerazione una preziosa reliquia dell’illustre diffusore della verità cattolica nella vostra nazione. La sua “Manus Dextera Sancta” è passata benedicente per le vostre contrade, suscitando emozioni sante, propositi di rinnovamento spirituale e morale. Ognuno di voi prenda occasione dal Giubileo del santo re per riflettere sulla profondità della sua fede, sull’esemplarità della sua vita pubblica e privata, e per adattarvi la propria vita ed il proprio comportamento morale e sociale.

Questo Giubileo e l’anno mariano verranno conclusi a Budapest, venerati fratelli e cari figli e figlie, con una solenne concelebrazione eucaristica il 20 agosto prossimo, nel corso della quale sarà rinnovata l’offerta che della vostra nazione effettuò alla gran Madre di Dio santo Stefano. L’Ungheria cattolica, ne siamo certi, vorrà rendere individuale questo gesto di consacrazione collegiale alla Vergine e farne un impegno di fedeltà a lei ed al suo Figlio.

Anche noi ci uniremo spiritualmente con voi. E ci sarà assai grato non solo accompagnarvi con la preghiera e la nostra benedizione apostolica, ma riterremo nostro dovere di pastore della Chiesa universale rinnovare, insieme con voi, fratelli nell’episcopato, l’affidamento della vostra patria alla “Magna Domina Hungarorum”, perché - per l’intercessione del santo re Stefano - essa la protegga e ottenga ad essa prosperità e fedeltà inconcussa a Cristo.

Dal Vaticano, il giorno 16 del mese di agosto, nell’anno 1988, decimo del mio Pontificato.

IOANNIS PAULUS PP. II

 

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