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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEGLI STATI UNITI D’AMERICA

 

Venerabili e cari Fratelli Vescovi degli Stati Uniti
“Guai al mondo per gli scandali!”
(Mt 18, 7)

Negli ultimi mesi sono venuto a conoscenza di quanto voi, Pastori della Chiesa negli Stati Uniti, insieme a tutti i fedeli, state soffrendo a causa di alcuni scandali provocati da membri del clero. Durante le visite “ad limina”, spesso la conversazione ha riguardato il problema di come i peccati degli ecclesiastici abbiano urtato la sensibilità morale di molti e siano divenuti un’occasione di peccato per altri. La parola evangelica “guai!” ha un significato particolare, in special modo quando Cristo la usa nei casi di scandalo, e soprattutto di scandalo “dei piccoli” (cf. Mt 18, 6). Quanto sono severe le parole di Cristo quando parla di tale scandalo, quanto grande deve essere quel male se “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (cf. Mt 18, 6).

La maggior parte dei vescovi e dei sacerdoti sono devoti seguaci di Cristo, ferventi operai nella sua vigna, e uomini profondamente sensibili ai bisogni dei loro fratelli e delle loro sorelle. È questo il motivo per cui io, come voi, sono profondamente addolorato, quando sembra che le parole di Cristo possano essere applicate ad alcuni ministri dell’altare. Poiché Cristo li chiama suoi “amici” (cf. Gv 15, 15), il loro peccato – il peccato di scandalizzare gli innocenti – addolora particolarmente il Suo cuore. Per questo, condivido pienamente la vostra tristezza, la vostra preoccupazione, in particolare la vostra sofferenza per le vittime così gravemente colpite da questi misfatti.

Ogni peccatore che segue la via del pentimento, della conversione e del perdono può invocare la misericordia di Dio, e voi in particolare dovete incoraggiare e assistere coloro che si sono smarriti, affinché si riconcilino e trovino la pace della coscienza. Esiste anche il problema degli strumenti umani per affrontare questo male. Le pene canoniche previste per certe offese e che danno espressione sociale alla disapprovazione per il male sono pienamente giustificate. Esse contribuiscono a mantenere chiara la distinzione fra bene e male, e promuovono il comportamento morale così come il formarsi di una giusta consapevolezza della gravità del male. Come sapete è già stata istituita una commissione di esperti della Santa Sede e della Conferenza Episcopale al fine di studiare come applicare le norme canoniche universali alla situazione particolare degli Stati Uniti nel miglior modo possibile.

Vorrei richiamare la vostra attenzione su un altro aspetto dell’intera questione. Pur riconoscendo il diritto alla dovuta libertà di informazione, non bisogna consentire che il male morale divenga occasione di sensazionalismo. L’opinione pubblica spesso si nutre di sensazionalismo e in questo i mezzi di comunicazione sociale rivestono un ruolo particolare. Infatti, la ricerca del sensazionale conduce alla perdita di qualcosa che è essenziale per la moralità della società. Viene leso il diritto fondamentale degli individui a non essere facilmente esposti all’irrisione dell’opinione pubblica; inoltre, si crea un’immagine distorta della vita umana. Rendendo l’offesa morale oggetto di sensazionalismo, senza preoccuparsi della dignità della coscienza umana, si agisce in modo radicalmente opposto alla ricerca del bene morale. Vi sono sufficienti prove del fatto che il prevalere della violenza e della scorrettezza nei mezzi di comunicazione sociale è divenuto sorgente di scandalo. Il male può essere sensazionale, ma il sensazionalismo che lo circonda è sempre pericoloso per la condotta morale.

Per questo, le parole di Cristo circa lo scandalo sono dirette a tutte quelle persone ed istituzioni, spesso anonime, che attraverso il sensazionalismo, in vari modi, aprono le porte al male nella coscienza e nel comportamento di ampi settori della società, soprattutto tra i giovani, che sono particolarmente vulnerabili. “Guai al mondo per gli scandali!” Guai alle società in cui lo scandalo diventa un fatto quotidiano.

Così dunque, Venerabili Fratelli, vi trovate di fronte a una duplice grave responsabilità: verso gli ecclesiastici da cui proviene lo scandalo e le loro vittime innocenti, ma anche verso l’intera società sistematicamente minacciata da scandali e responsabile di essi. È necessario compiere un grande sforzo per fermare la banalizzazione delle grandi opere di Dio e dell’uomo.

Vi esorto a riflettere insieme ai sacerdoti, che sono i vostri collaboratori, e ai laici, e a reagire con tutti i mezzi che sono a vostra disposizione. Fra questi strumenti, il primo e il più importante è la preghiera: ardente, umile, fiduciosa preghiera.

Questa triste situazione deve essere collocata in un contesto che non è esclusivamente umano; deve essere liberata dal venir considerata luogo comune; la preghiera ci rende consapevoli del fatto che tutto – anche il male – trova il suo principale e definitivo punto di riferimento in Dio. In Lui ogni peccatore può risollevarsi. In tal modo il peccato non diventerà un’infausta causa di sensazionalismo, ma piuttosto l’occasione per una chiamata interiore, poiché Cristo ha detto: “Convertitevi” (Mt 4, 17). “Il Signore è vicino” (Fil 4, 5).

Sì, cari fratelli, l’America ha bisogno di pregare di più – per non perdere le propria anima. Noi siamo uniti in questa preghiera, ricordando le parole del Redentore: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione” (Mc 14, 38). Cristo, il Buon Pastore, ci esorta ad avere questo atteggiamento quando dice: “abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33). Unito a voi nella ferma convinzione che il nostro Salvatore è sempre fedele nel prendersi cura del suo popolo e non mancherà di darvi la forza per adempiere al vostro ministero pastorale, affido il clero, i religiosi e i laici impegnati delle vostre diocesi all’amorevole intercessione della Sua Madre Immacolata, Maria. Con affetto fraterno in Gesù Cristo, imparto la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 11 giugno 1993.

IOANNES PAULUS PP. II

 

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