Index   Back Top Print

[ ES  - IT ]

VIAGGIO APOSTOLICO A SANTO DOMINGO

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI INDIGENI D’AMERICA

Santo Domingo (Repubblica Dominicana) - Lunedì, 12 ottobre 1992

 

Amatissimi fratelli e sorelle indigeni del Continente americano:

1. Nell’ambito della commemorazione del V Centenario dell’inizio dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo, occupano un posto privilegiato nel cuore e nell’affetto del Papa i discendenti degli uomini e delle donne che popolavano questo continente quando la croce di Cristo venne piantata quel 12 ottobre del 1492. Dalla Repubblica Dominicana, ove ho avuto la gioia di incontrare alcuni dei vostri rappresentanti, rivolgo il mio messaggio di pace e di amore a tutte le persone e ai gruppi etnici indigeni, dalla penisola dell’Alaska sino alla Terra del Fuoco. Siete i discendenti dei popoli tupi-guaraní, aymara, maya, quechua, chibca, nahualt, mixteco, araucano, yanomani, guajiro, inuit, apaches e tantissimi altri che si distinguono per la loro nobiltà di spirito, che si distinguono per i loro valori culturali autoctoni, come le civiltà azteca, inca e maya e che possono vantarsi di avere una visione della vita che riconosce la sacralità del mondo e della persona umana. La semplicità, l’umiltà, l’amore per la libertà, l’ospitalità, la solidarietà, l’attaccamento alla famiglia, la vicinanza alla terra e il sentimento di contemplazione sono altrettanti valori che la memoria indigena dell’America ha conservato fino ai nostri giorni e che costituiscono un contributo tangibile nell’animo latinoamericano.

2. Cinquecento anni fa il Vangelo di Gesù Cristo giunse ai vostri popoli. Ma già da prima, anche se non lo sapevate, il Dio vivente e autentico era presente e illuminava il vostro cammino. L’apostolo san Giovanni ci dice che il Verbo, il Figlio di Dio, che “veniva nel mondo” è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). Infatti, i “semi del Verbo” erano già presenti e illuminavano i cuori dei vostri antenati affinché potessero scorgere l’impronta del Dio Creatore in ognuna delle sue creature: il sole, la luna, la madre terra, i vulcani e le foreste, i laghi e i fiumi. Ma, alla luce della Buona Novella, essi scoprirono che tutte quelle meraviglie del creato non erano che un pallido riflesso del loro Autore e che la persona umana, essendo a immagine e somiglianza del Creatore, è molto superiore al mondo materiale ed è chiamata a un destino trascendente ed eterno. Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, con la sua morte e la sua resurrezione, ci ha liberati dal peccato, rendendoci figli adottivi di Dio e aprendoci la via verso la vita eterna. Il messaggio di Gesù Cristo vi ha fatto vedere che tutti gli uomini sono fratelli perché hanno un Padre comune: Dio. E sono tutti chiamati a far parte dell’unica Chiesa che il Signore ha fondato per mezzo del suo sangue (cf. At 20, 28).

Alla luce della rivelazione cristiana le virtù ancestrali dei vostri antenati quali l’ospitalità, la solidarietà, lo spirito di generosità, trovarono la loro pienezza nel grande comandamento dell’amore, che deve essere la legge suprema del cristiano. La convinzione che il male si identifica con la morte e il bene con la vita vi ha aperto il cuore a Gesù che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Tutto ciò che i Padri della Chiesa chiamano il “seme del Verbo”, fu purificato, approfondito e completato dal messaggio cristiano, che proclama la fratellanza universale e difende la giustizia. Gesù ha chiamò beati coloro che hanno sete di giustizia (cf. Mt 5, 6). Quale altro motivo se non quello della predicazione degli ideali evangelici spinse tanti missionari a denunciare le ingiustizie commesse contro gli Indios all’arrivo dei conquistatori? A dimostrarlo ci sono l’azione apostolica e gli scritti degli intrepidi evangelizzatori spagnoli come Bartolomé de Las Casas, Fra Antonio de Montesinos, Vasco de Quirroga, Juan del Valle, Julián Garcés, José de Anchieta, Manuel de Nóbrega e tanti altri uomini e donne che hanno dedicarono generosamente la loro vita agli indigeni. Come potrebbe la chiesa, che con i suoi religiosi, sacerdoti e vescovi é sempre stata accanto agli indigeni, dimenticare, in questo V Centenario, le sofferenze enormi inflitte agli abitanti di questo Continente durante l’epoca della Conquista e della colonizzazione? Bisogna riconoscere in tutta sincerità gli abusi commessi, dovuti alla mancanza d’amore da parte di quelle persone che non seppero vedere negli indigeni dei fratelli, figli dello stesso Dio Padre.

3. In questa commemorazione del V Centenario, desidero ripetere ciò che vi ho detto durante la mia prima visita pastorale in America Latina: “Il Papa e la Chiesa sono con voi e vi amano: amano le vostre persone, la vostra cultura, le vostre tradizioni; ammirano il vostro meraviglioso passato, vi incoraggiano nel presente e sperano tanto nel futuro” (Discorso a Cuilapan, 29 gennaio 1979, n. 5). Per questo voglio essere l’eco e il portavoce dei vostri desideri più profondi. So che volete essere rispettati come persone e come cittadini. Dal canto suo, la Chiesa fa sua questa legittima aspirazione, dal momento che la vostra dignità non è inferiore a quella di qualsiasi altra persona o razza. Tutti gli uomini e tutte le donne sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26-27). E Gesù che ha sempre dimostrato la sua predilezione per i poveri e gli abbandonati ci dice che tutto ciò che facciamo o che tralasciamo di fare “a uno solo di questi miei fratelli più piccoli”, è a lui che lo facciamo (cf. Mt 25, 40). Nessuno che si fregi del titolo di cristiano può disprezzare o discriminare per motivi di razza o di cultura. L’apostolo Paolo ci ammonisce al riguardo: “E in realtà noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi” (1 Cor 12, 13). La fede, cari fratelli e sorelle, oltrepassa le differenze fra gli uomini. La fede e il battesimo danno vita a un nuovo popolo: il popolo dei figli di Dio. Tuttavia, seppur superando le differenze, la fede non le elimina, ma le rispetta. L’unità di tutti noi in Cristo non significa dal punto di vista umano, uniformità. Al contrario, le comunità ecclesiali si sentono arricchite nell’accogliere la molteplice diversità e varietà di tutti i loro membri.

4. Per questo la Chiesa esorta gli indigeni a conservare e promuovere con legittimo orgoglio la cultura dei loro popoli: le sane tradizioni e costumi, la lingua e i valori particolari. Difendendo la vostra identità, non esercitate solo un diritto, ma adempite anche al dovere di trasmettere la vostra cultura alle generazioni future, arricchendo in tal modo tutta la società. Questa dimensione culturale, nell’ottica dell’evangelizzazione, costituirà una delle priorità della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, che si svolge a Santo Domingo e che ho avuto la gioia di inaugurare quale atto preminente del mio viaggio in occasione del V Centenario. La tutela e il rispetto delle culture, valorizzando tutto ciò che di positivo vi è in esse, non significano tuttavia che la Chiesa rinunzi alla sua missione di elevare i costumi, rifiutando tutto ciò che si oppone alla morale evangelica o la contraddice. “La Chiesa – afferma il Documento di Puebla – ha la missione di dar testimonianza al “vero Dio e unico Signore”. Perciò non si può considerare come un abuso l’evangelizzazione che invita ad abbandonare le false concezioni di Dio, i comportamenti antinaturali e le aberranti manipolazioni dell’uomo da parte dell’uomo” (nn. 405-406). Elemento centrale nelle culture indigene è l’attaccamento e la vicinanza alla madre terra. Amate la terra e volete rimanere a contatto con la natura. Unisco la mia voce a quella di quanti reclamano la messa in atto di strategie e mezzi efficaci per proteggere e conservare la natura creata da Dio. Il rispetto dovuto all’ambiente deve essere sempre tutelato al di sopra di interessi esclusivamente economici o dell’abusivo sfruttamento di risorse nelle terre o nei mari.

5. Fra i problemi che affliggono molte delle comunità indigene vi sono quelli riguardanti il possedimento della terra. Mi risulta che i pastori della Chiesa, sulla base delle esigenze del vangelo e in sintonia con il magistero sociale, hanno continuato a sostenere i vostri legittimi diritti favorendo adeguate riforme agrarie ed esortando alla solidarietà come cammino che porta alla giustizia. Sono a conoscenza anche delle difficoltà che dovete affrontare anche in temi come la sicurezza sociale, il diritto di associazione, l’abilitazione agricola, la partecipazione alla vita nazionale, la formazione integrale dei vostri figli, l’educazione, la salute, la convivenza e tante altre questioni che vi preoccupano. A tale proposito, mi tornano in mente le parole che alcuni anni fa, ho rivolto agli indios nell’indimenticabile incontro di Quetzaltenango: “La Chiesa conosce, amati figli, l’emarginazione che sopportate; le ingiustizie che soffrite; le serie difficoltà che avete nel difendere le vostre terre e i vostri diritti; la frequente mancanza di rispetto per i vostri costumi e le vostre tradizioni. Per questo, nell’adempiere al suo compito di evangelizzazione, essa vuole esservi vicina ed elevare la sua voce di condanna quando viene violata la vostra dignità di esseri umani e figli di Dio; vuole accompagnarvi pacificamente come esige il Vangelo, ma con decisione ed energia, nel raggiungimento del riconoscimento e della promozione della vostra dignità e dei vostri diritti di persone” (Discorso a Quetzaltenango, 7 marzo 1983, n. 4). Nell’ambito della missione religiosa che le è propria, la Chiesa non risparmierà gli sforzi per continuare a promuovere tutte quelle iniziative che tendono a promuovere il bene comune e lo sviluppo integrale delle vostre comunità, così come a favorire delle legislazioni che rispettino e tutelino adeguatamente gli autentici valori e diritti degli indigeni. Prova di questa ferma volontà di collaborazione e assistenza è la recente erezione da parte della Santa Sede della Fondazione “Populorum Progressio”, che dispone di un fondo di aiuti per i gruppi indigeni e le popolazioni contadine meno favorite dell’America Latina. Vi esorto, quindi, a un rinnovato impegno e ad essere anche protagonisti della vostra elevazione spirituale e umana attraverso il lavoro degno e costante, la fedeltà alle vostre migliori tradizioni, la pratica delle virtù. Per far questo contate sui genuini valori della vostra cultura, formatasi nel corso delle generazioni che vi hanno preceduti in questa terra benedetta. Ma, soprattutto, contate sulla più grande ricchezza che, per grazia di Dio, avete ricevuto: la vostra fede cattolica. Seguendo gli insegnamenti del Vangelo, otterrete che i vostri popoli, fedeli alle loro legittime tradizioni, progrediscano sia nel campo materiale che in quello spirituale. Illuminati dalla fede in Gesù Cristo, vedrete negli altri uomini, al di là di qualsiasi differenza di razza o di cultura, i vostri fratelli. La fede renderà più grandi i vostri cuori affinché entrino in essi tutti i vostri concittadini. E questa stessa fede porterà gli altri ad amarvi, a rispettare la vostra varietà e a unirsi a voi nella costruzione di un futuro in cui tutti siano parte attiva e responsabile, come si deve alla dignità cristiana.

6. Riguardo al posto che vi spetta nella Chiesa esorto tutti a sostenere quelle iniziative pastorali che favoriscano una maggiore integrazione e partecipazione delle comunità indigene alla vita ecclesiale. Per questo, bisognerà compiere un rinnovato sforzo in ciò che concerne l’inculturazione del Vangelo, poiché “una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, né totalmente pensata né fedelmente vissuta” (Discorso al mondo della cultura, Lima 15 maggio 1988). Si tratta, in definitiva, di far sì che i cattolici indigeni divengano i protagonisti della loro stessa promozione ed evangelizzazione. E ciò in tutti i campi, compresi i diversi ministeri. Che immensa gioia il giorno in cui le vostre comunità potranno essere servite da missionari e missionarie, da sacerdoti e vescovi che provengano dalle vostre stesse famiglie e vi guidino nell’adorazione di Dio “in spirito e in verità” (Gv 4, 23).

Il messaggio che oggi vi rivolgo in terra americana, nel celebrare cinque secoli di presenza del Vangelo fra voi, vuole costituire una chiamata alla speranza. La Chiesa, che per cinquecento anni vi ha accompagnato nel vostro cammino, farà quanto è nelle sue possibilità perché i discendenti degli antichi abitanti dell’America occupino nella società e nelle comunità ecclesiali il posto che spetta loro. Sono consapevole dei gravi problemi e delle difficoltà che dovete affrontare. Ma sono certo che non vi mancheranno mai l’aiuto di Dio e la protezione della sua Santissima Madre, come un giorno, sulla collina di Tepeyac è stato promesso all’indio Juan Diego, un nobile figlio del vostro stesso sangue che ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari: “Ascolta e comprendi, mio figlio più piccolo, che non è nulla ciò che ti spaventa e ti affligge; non sia turbato il tuo cuore; non temere questa malattia né nessun’altra malattia o angoscia. Non ci sono forse qui io, tua Madre? Non sei forse sotto la mia ombra? Non sono forse io la tua salvezza? Non sei forse nel mio grembo?” (Nican Mopohua).

Che nostra Signora di Guadalupe vi protegga tutti, mentre vi benedico di tutto cuore nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana