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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALL'ISTITUTO DI PATROLOGIA
«AUGUSTINIANUM»

Venerdì, 7 maggio 1982

 

Illustri Professori e figli carissimi!

1. Sono lieto e ringrazio di cuore il Signore per aver potuto soddisfare il mio desiderio, che so essere stato anche vostro, di venire in mezzo a voi in questo Istituto Patristico, che prende nome dal grande Agostino, maestro insigne di verità e fulgido esempio di autentica vita cristiana. A lui ispirandosi, il vostro Istituto, da quando fu inaugurato dal mio venerato predecessore Paolo VI, ha percorso un cammino non ancora lungo nel tempo, ma, come abbiamo sentito or ora dalla voce del Preside, già fecondo di frutti.

Saluto i professori e gli alunni, in particolare il Priore Generale dell’Ordine, Moderatore dell’Istituto, il reverendo Preside che tanto nobilmente ha interpretato i comuni sentimenti, gli studiosi dell’antichità cristiana che celebrano il loro undicesimo incontro, tutti i membri - religiosi e religiose - della famiglia agostiniana e i presenti in quest’aula.

Desidero confermare con la mia benedizione la fervida attività del vostro Istituto, che “risponde in pieno - come disse Paolo VI nel discorso inaugurale - ai bisogni attuali della Chiesa”, perché “fa parte di quella risalita alle origini cristiane senza la quale non sarebbe possibile attuare il rinnovamento . . . auspicato dal Concilio Ecumenico Vaticano II” (Paolo VI, Allocutio ad sodales Ordinis Sancti Augustini, cum Institutum Patristicum Augustinianum praesens inauguravit, die 4 maii 1970: Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 437).

E considero con grande stima le iniziative culturali, qui in atto. Prima di tutto: i corsi di teologia e di patrologia. So che li tengono professori di provata competenza, ecclesiastici e laici e tra quelli, oltre gli agostiniani, membri di diverse famiglie religiose; e che li seguono con interesse numerosi giovani, appartenenti anch’essi, come i professori, al mondo internazionale, segno anche questo dell’universalità della Chiesa. E mi è motivo di gioia apprendere che vi sono anche alunni provenienti dalla Polonia.

Poi gli incontri di studiosi dell’antichità cristiana, nei quali i cultori delle scienze patristiche, italiani ed esteri, spinti dall’amore per la verità, s’impegnano, con le risorse storiche e filologiche, che sono loro proprie, ad approfondire i grandi temi di quell’epoca lontana e vicina della vita della Chiesa. È da auspicare che dal loro assiduo lavoro la conoscenza della tradizione derivata dagli Apostoli tragga un grande profitto. La Chiesa è grata per questi studi e per l’impegno con cui i loro cultori li portano avanti.

Anche i Seminari di perfezionamento patristico meritano di essere continuati a beneficio di coloro che, impegnati già nell’insegnamento, vogliono approfondire le loro conoscenze approfittando della particolare competenza di altri loro colleghi.

C’è infine la fervida attività della Cattedra Agostiniana impegnata nell’edizione bilingue dell’“Opera omnia” di sant’Agostino, oltre che in un programma di approfondimento della filosofia e della spiritualità agostiniane, che tanta rilevanza hanno avuto ed hanno tuttora nella cultura cristiana.

2. Questo Istituto Patristico, incorporato alla Facoltà Teologica della Pontificia Università Lateranense, pur continuando direttamente, come abbiamo sentito dalle parole del suo Preside, lo studio generale romano eretto fin dagli inizi del secolo XIV presso la Chiesa di sant’Agostino e trasferito qui presso piazza san Pietro un secolo fa, si riallaccia alla lunga tradizione degli studi ecclesiastici che l’Ordine Agostiniano ha sempre coltivato lungo i secoli. I suoi membri, infatti, hanno insegnato nelle principali Università d’Europa, tra le quali anche quella di Cracovia, offrendo agli studi storici e patristici insigni maestri. Amo ricordare tra i primi Onofrio Panvinio, e Enrico Florez con i 27 volumi della “España Sagrada”: tra gli altri, in questo secolo, il Cardinale Agostino Ciasca, che si è occupato prevalentemente della patrologia orientale, e Antonio Casamassa, interessatosi soprattutto di quella occidentale.

Perciò l’impegno dell’Istituto Patristico è un importante servizio reso alla Chiesa, la quale non può fare a meno degli studi patristici, che il Concilio Vaticano II ha molto raccomandato sia parlando dell’insegnamento della teologia dogmatica (cf. Optatam Totius, 16) sia illustrando le relazioni tra Scrittura, Tradizione e Magistero (cf. Dei Verbum, 8-9).

Nella lettera apostolica Patres Ecclesiae per il XVI centenario della morte di san Basilio, io stesso ho avuto occasione di scrivere che i Padri “sono una struttura stabile della Chiesa, e per la Chiesa di tutti i secoli adempiono una funzione perenne. Cosicché ogni annuncio e magistero successivo, se vuole essere autentico, deve confrontarsi con il loro annuncio e il loro magistero; ogni carisma e ogni ministero deve attingere alla sorgente vitale della loro paternità; e ogni pietra nuova, aggiunta all’edificio santo che ogni giorno cresce e s’amplifica, deve collocarsi nelle strutture già da loro poste, e con esse saldarsi e connettersi” (Giovanni Paolo II, Patres Ecclesiae, die 2 ian. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 51-52).

3. Poiché dunque nei Padri vi sono delle costanti che costituiscono la base di ogni rinnovamento, consentitemi che mi trattenga un poco con voi sull’importanza, anzi sulla necessità di conoscere gli scritti, la personalità, l’epoca. Da essi ci vengono alcune forti lezioni, fra le quali vorrei rilevare le seguenti:

a) L’amore verso la Sacra Scrittura. I Padri hanno studiato, commentato, spiegato al popolo le Scritture facendone l’alimento della loro vita spirituale e pastorale, anzi la forma stessa del loro pensiero. Ne hanno messo in rilievo la profondità, la ricchezza, l’inerranza. “In esse tu possiedi la Parola di Dio: non cercare altro maestro”, ha scritto san Giovanni Crisostomo che per spiegare la Parola di Dio pronunciò molti splendidi discorsi (S. Giovanni Crisostomo, Comm. in Col. 9, 1: PG 11, 361). Non vi è chi non ricordi la preghiera di sant’Agostino che implora la grazia di capire le Scritture: “Siano le tue Scritture le mie caste delizie: ch’io non mi inganni su di esse, né inganni gli altri con esse” (S. Agostino, Confessiones, 11,2.3: PL 32, 810). Il principio esposto già da san Giustino, secondo il quale non ci sono antinomie nella Scrittura, e la sua disposizione a confessare piuttosto la propria ignoranza che accusare di errore le Scritture (S. Giustino, Dialogo con Trifone, 65: PG 6, 625) sono, si può dire, comuni a tutti: il Vescovo di Ippona le ripete con le note incisive parole: “. . . non ti è lecito dire: l’autore di questo libro non ha parlato secondo verità; ma: o il codice è scorretto, o la traduzione è sbagliata, o tu non capisci” (S. Agostino, Contra Faustum, 11, 5: PL 42, 249).

b) La seconda grande lezione che i Padri ci danno è l’adesione ferma alla tradizione. Il pensiero corre subito a sant’Ireneo, e giustamente. Ma egli non è se non uno dei tanti. Lo stesso principio della necessaria adesione alla Tradizione lo troviamo in Origene (Origene, De principiis, procl. 1: PG 11, 116), in Tertulliano (Tertulliano, De praescriptione haer., 21: PG 2, 33), in sant’Atanasio (S. Atanasio, Ep. IV ad Serapionem, 1, 28: PG 26, 594), in san Basilio (S. Basilio, De Spiritu Sancto, 27, 66: PG 32, 186 s). Sant’Agostino, ancora una volta, esprime lo stesso principio con parole profonde ed indimenticabili: “io non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica” (S. Agostino, Contra ep. Man., 5, 6: PL 42, 176), “la quale, fondata da Cristo e progredita per mezzo degli Apostoli, è giunta fino a noi con una serie non interrotta di successioni apostoliche” (S. Agostino, Contra Faustum, 28, 2: PL 42, 486).

c) La terza, grande lezione, è il discorso su Cristo salvatore dell’uomo. Si potrebbe pensare che i Padri, intenti ad illustrare il mistero di Cristo, e spesso a difenderlo contro deviazioni eterodosse, abbiano lasciato nell’ombra la conoscenza dell’uomo. Invece a chi guarda bene in fondo appare il contrario. Hanno guardato con intelletto d’amore al mistero di Cristo, ma nel mistero di Cristo hanno visto illuminato e risolto il mistero dell’uomo. Anzi, spesso è stata la dottrina cristiana sulla salvezza dell’uomo - l’antropologia soprannaturale -, a servire di argomento per difendere la dottrina intorno al mistero di Cristo. Come quando sant’Atanasio, nella controversia ariana, affermava con forza che, se Cristo non è Dio, non ci ha deificati (cf. S. Atanasio, De Synodis, 51: PG 26, 784); o san Gregorio Nazianzeno, nella controversia apollinarista, che se il Verbo non ha assunto tutto l’uomo, compresa l’anima razionale, non ha salvato tutto l’uomo, poiché non viene salvato ciò che non è stato assunto (S. Gregorio Nazianzeno, Ep. I ad Cledon., 101: PG 37, 186); o S. Agostino nella Città di Dio quando sostiene che se Cristo non è insieme Dio e uomo - “totus Deus et totus homo” (S. Agostino, Serm. 293, 7: PL 38, 1332) - non può essere mediatore tra Dio e gli uomini. “Bisogna cercare - scrive - un intermediario che non sia solamente uomo, ma anche Dio” (S. Agostino, De civitate Dei, 9, 15, 1: PL 41, 268).

Il Concilio Vaticano II proclama che “in realtà, solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo . . . Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo . . .” (Gaudium et Spes, 22). Queste parole, che ho ricordato anche nell’enciclica Redemptor Hominis, non sono che l’eco della dottrina dei Padri, particolarmente - non occorre dirlo - di sant’Agostino, il quale le ha illustrate e difese durante tutta la controversia pelagiana. Del resto proprio nel momento della sua conversione, come ci assicura nelle sue Confessioni, egli scoprì, leggendo san Paolo, Cristo salvatore dell’uomo, e si aggrappò a lui come il naufrago all’unica tavola di salvezza. Fu da quel momento che vide nel Cristo la soluzione dei problemi essenziali dell’uomo e dell’umanità, come esporrà, più tardi nell’Opera della Città di Dio, che è, come è stato detto, il “grande libro della speranza cristiana” (N. B. A. V/1, p. 7).

Mettersi dunque alla scuola dei Padri vuol dire imparare a conoscere meglio Cristo, e a conoscere meglio l’uomo. Questa conoscenza, scientificamente documentata e provata, aiuterà enormemente la Chiesa nella missione di predicare a tutti, come fa senza stancarsi, che solo Cristo è la salvezza dell’uomo.

4. Ma il discorso dei Padri su Cristo e sull’uomo non è mai disgiunto da quello della Chiesa, che è, per ripetere ancora una volta una felice espressione agostiniana, il “Christus totus”. Essi vivono nella Chiesa e per la Chiesa. Della Chiesa, di cui tanto ci ha parlato il Concilio Vaticano II, possiedono in grado eminente il “senso” dell’unità, della maternità, della concretezza storica. La vedono peregrinante in terra “tra le consolazioni di Dio e le persecuzioni del mondo”, come ancora dice il Concilio Vaticano II riprendendo le parole del Vescovo di Ippona, dal tempo di Abele fino alla consumazione dei secoli (S. Agostino, De civitate Dei, 18, 51, 2: PL 41, 614). Mettono in rilievo l’unità della Chiesa, perché nella cattedra dell’unità Dio ha posto la dottrina della verità (S. Agostino, Ep. 105, 16: PL 33, 403). Perciò esortano i fedeli a starsene sicuri, per quante difficoltà possano sorgere: “in Ecclesia manebo securus” (S. Agostino, De Bapt., 3, 2, 2: PL 43, 139). Le controversie, quando sorgono, devono essere risolte in seno alla Chiesa “cum sancta humilitate, cum pace catholica, cum caritate christiana” (Ivi. 2, 3, 4: PL 43, 129).

“Qualunque cosa noi siamo - dice ancora sant’Agostino ai suoi fedeli -, voi siete sicuri: voi che avete Dio per Padre e la Chiesa per Madre” (S. Agostino, Contra litt. Pet., 3, 9, 10: PL 43, 353). Ma ammonisce anche, come aveva ammonito già san Cipriano (S. Cipriano, De Cath. Eccl. unitate, 6: PL 4, 502), che nessuno può avere Dio per Padre se non ha la Chiesa per Madre (S. Agostino, In Ps 88, s. 2, 14: PL 37, 1140)

5. Questi non sono che rapidi accenni alle inesauribili ricchezze, umane e cristiane, dei Padri, che voi avete il compito e la fortuna di scoprire ed illustrare per l’utilità di tutti.

So che nel vostro Istituto viene dedicata una particolare attenzione a sant’Agostino. I miei predecessori hanno sempre raccomandato lo studio e la divulgazione delle Opere di questo grande Dottore, fin da quando, ad appena un anno dalla morte, san Celestino I lo annoverò “inter magistros optimos” (Denz.-Schön, 237). Nei tempi più vicini a noi Leone XIII, Pio XI, Paolo VI ne hanno tessuto l’elogio. “Egli sembrò - ha scritto il primo nella Aeterni Patris - togliere la palma a tutti gli altri Padri, poiché d’ingegno potentissimo e perfettamente addottrinato nelle scienze sacre e profane, ardentemente combatté, con fede somma e pari scienza, contro tutti gli errori della sua età” (Leone XIII, Aeterni Patris: Leonis XIII Acta, I, p. 270). Alla loro voce aggiungo volentieri anche la mia. Desidero ardentemente che la sua dottrina filosofica, teologica e spirituale sia studiata e diffusa, sicché egli continui, anche per mezzo vostro, il suo magistero nella Chiesa, un magistero umile e insieme luminoso che parla soprattutto di Cristo e dell’amore. Come fanno appunto, a suo giudizio, le Scritture.

Con questi voti e in pegno di sempre copiosi lumi celesti, imparto di gran cuore a voi ed ai vostri cari la benedizione apostolica.

                                  



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