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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO A LOURDES

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PELLEGRINI MALATI

Lourdes (Francia), 15 agosto 1983

Carissimi ammalati, membra sofferenti del Signore Gesù.

1. È necessario ricordarvi che Gesù di Nazaret - prima di salire a Gerusalemme per consumare, nell’abbandono quasi totale dei suoi, il misterioso sacrificio della Redenzione universale - durante gli anni della sua predicazione itinerante, ha concesso priorità alle persone afflitte dalla sofferenza sia fisica che morale? E la storia del Cristianesimo, spesso in modo luminoso, non fa che mettere in luce questo servizio ai malati e ai più poveri, inaugurato dal suo divino Fondatore. Da parte sua, la vostra Nazione francese ha visto nascere molte congregazioni ospedaliere. Come non ricordare le Figlie della Carità, istituite da san Vincenzo de’ Paoli, nato nelle Lande, regione qui vicina? Come dimenticare che Bernardetta Soubirous entrò nella congregazione delle Suore della Carità e dell’Istruzione cristiana di Nevers, fondata nel XVII secolo per le piccole scuole, la visita dei poveri e dei malati e il servizio negli ospedali? E la città di Lourdes non è luogo per eccellenza dove i malati si trovano veramente a casa loro, allo stesso titolo delle persone sane, con i servizi e gli organismi pienamente funzionali a loro?

2. La sofferenza è sempre una realtà, una realtà dai mille volti. Penso alle indigenze provocate da certi fenomeni geologici abbastanza imprevedibili, alle miserie morali che si moltiplicano in una società che credeva di sconfiggerle. Penso a tutte le infermità e le malattie: alcune guaribili a scadenza, altre purtroppo ancora incurabili. La sofferenza è certamente oggettiva; ma essa è ancor più soggettiva, unica nel senso che ogni persona, afflitta o malata, davanti alla stessa malattia, reagisce in modo diverso, talvolta in modo molto diverso. È il mistero della sensibilità di ognuno, che è imponderabile. Nell’ambito segreto delle coscienze, si arriva addirittura al punto che alcune persone soffrono inquietudini e rimorsi senza reale fondamento.

3. Di fronte ad ogni sofferenza, le persone sane hanno un primo dovere: il rispetto; anzi, talvolta il silenzio. Non era il Cardinale Pierre Veuillot, Arcivescovo di Parigi, rapidamente stroncato da una implacabile malattia una quindicina di anni fa, che chiedeva ai preti che lo visitavano di parlare con molta prudenza della malattia? Si voglia o non si voglia, la sofferenza, nonostante parziali spiegazioni, rimane difficile da comprendere e difficile da accettare anche da coloro che hanno fede. La fede infatti non elimina il dolore. Essa lo unisce invisibilmente a quello di Cristo Redentore, l’Agnello senza macchia, che si è come immerso nel peccato e nella miseria del mondo, per essere totalmente solidale, per donargli un altro significato, per santificare in anticipo tutte le prove e la morte stessa che stringevano la carne e il cuore degli uomini suoi fratelli . . .

“Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte che al di fuori del suo Vangelo ci opprime”. Questa affermazione è riportata dalla meravigliosa costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et Spes, 22). Il profeta Isaia, letto poco fa, aveva ragione di dire alla gente del suo tempo: “Coraggio! Non temete! Ecco il vostro Dio . . . Egli viene a salvarvi” (Is 35, 4). E Gesù ha potuto affermare con certezza: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò (Mt 11, 28).

4. Cari ammalati, vorrei lasciare nel vostro ricordo e nel vostro cuore tre piccole luci che mi sembrano preziose.

Prima di tutto, qualunque sia la vostra sofferenza, fisica o morale, personale o familiare, apostolica e perfino ecclesiale, è necessario che voi ne prendiate lucidamente coscienza, senza minimizzarla e senza esagerarla, con tutti i turbamenti che essa genera nella vostra sensibilità umana: scacco, inutilità della vostra vita, ecc.

Poi, è indispensabile procedere sulla via dell’accettazione. Sì, accettare che sia così non con rassegnazione più o meno cieca, ma perché la fede ci assicura che il Signore può e vuole ricavare il bene dal male. Quanti qui presenti potrebbero testimoniare che la prova, accettata con fede, ha fatto rinascere in loro la serenità e la speranza . . . Se vuole trarre il bene dal male, il Signore vi invita ad essere voi stessi attivi, per quanto vi è possibile, nonostante la malattia, e se siete handicappati a responsabilizzare voi stessi, con le forze e i talenti che disponete, nonostante l’infermità. Coloro che vi assistono con il loro affetto e con il loro aiuto, e anche le Associazioni di cui fate parte, come le Fraternità dei malati, cercano giustamente di farvi amare la vita e di svilupparla anche in voi, per quanto è possibile, come un dono di Dio.

Infine, rimane ancora da compiere il gesto più bello: l’oblazione. L’offerta, effettuata per amore del Signore e dei fratelli, permette di raggiungere un grado talvolta molto elevato di carità teologale, e cioè di abbandonarsi all’amore di Cristo e della Santissima Trinità per l’umanità. Queste tre tappe vissute da ciascun sofferente secondo il suo ritmo e la sua grazia, gli recano una meravigliosa liberazione interiore. Non è questo il paradossale insegnamento riferito dagli evangelisti: “. . . colui che perde la sua vita per causa mia, la ritroverà” (Mt 16, 25)? Non è questo l’atto evangelico di abbandono, provato così intimamente da Bernardetta di Lourdes e da Teresa di Lisieux, malate per quasi tutta la loro vita? Cari fratelli e sorelle sofferenti, partite di qui fortificati e rinnovati per la vostra “missione speciale”! Voi siete i preziosi cooperatori di Cristo nell’applicazione nel tempo e nello spazio della Redenzione, che egli ha realizzato una volta per sempre e a beneficio dell’intera umanità con i misteri storici dell’Incarnazione, della Passione e della Risurrezione. E Maria, sua e vostra Madre, sarà sempre a voi vicina!

5. Permettete infine che a nome vostro e anche della Chiesa, io ringrazi e incoraggi l’“Hospitalité” di Lourdes, come pure le “Hospitalités” diocesane di Francia e delle altre Nazioni qui rappresentate. Comprendo e valuto il lavoro evangelico e i meriti dei laici e dei sacerdoti impegnati nel servizio dei pellegrini malati. Alcuni, lo so, sacrificano anche una parte o addirittura tutte le loro ferie annuali per essere completamente e cordialmente a vostra disposizione. Cari cappellani, religiosi e religiose, medici e infermiere, “brancardiers” e altre persone ausiliarie, ringraziate per la chiamata che un giorno avete udito di offrire la vostra vita per coloro che soffrono. Nei vostri incontri diocesani o regionali approfondite con continuità la spiritualità e la prassi della vostra missione nella Chiesa. Proponete a molti giovani di unirsi a voi. Rimanete sempre uniti tra di voi, con le Fraternità cattoliche dei malati, che esistono in quasi tutte le diocesi, e naturalmente con i vostri Vescovi.

Assicuro a voi tutti la mia particolare stima e invoco copiose grazie derivanti dal vostro stato per tutti i membri delle “Hospitalités” di Lourdes, della Francia e del mondo!

Tra qualche momento, il Signore stesso verrà a benedire i malati, nel Santissimo Sacramento, che rende presente il suo sacrificio, il dono della sua vita e tutto il suo amore!

 

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