VIAGGIO APOSTOLICO IN COREA, PAPUA NUOVA GUINEA,
ISOLE SALOMONE E THAILANDIA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CLERO E AI RELIGIOSI
Seoul (Corea)
Sabato, 5 maggio 1984
Diletti fratelli e sorelle in Cristo.
1. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 10). La verità di queste parole del nostro Salvatore, la verità delle beatitudini, è resa manifesta nella testimonianza eroica dei martiri coreani. Questi santi uomini, donne e bambini che subirono una crudele persecuzione e la morte, sono veramente beati. Sono segno della potenza di Dio che trasforma i timidi e i deboli in testimoni coraggiosi di Cristo. Poiché furono pronti a morire per il Vangelo, hanno ricevuto una grande ricompensa in cielo e sono onorati dalla Chiesa in tutto il mondo. Alla presenza del Redentore, sono ora nella gioia, perché “ritenuti degni di soffrire per il nome di Gesù” (cf. At 5, 41).
La verità delle beatitudini si manifesta anche nel sacerdozio e nella vita religiosa, perché queste sono una particolare incarnazione delle beatitudini. Come sacerdoti e religiosi voi date testimonianza di ciò che significa essere benedetti da Dio. Nel vostro celibato o nella vostra castità consacrata, abbracciata per amore di Cristo, manifestate la vostra fiducia nelle sue parole: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8). Con la vostra povertà evangelica vissuta nel servizio generoso agli altri, voi proclamate di nuovo la prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi e il regno dei cieli” (Mt 5, 3). In tanti modi diversi, isolatamente e in unione con altri, voi cercate di incarnare le beatitudini, di vivere una vita che è prova convincente che le beatitudini sono realmente vere, che sono la via sicura alla santità.
2. Voglio rivolgere per un momento le mie parole ai miei fratelli sacerdoti. Una delle mie più grandi gioie nel venire in Corea è di poter canonizzare in questo Paese i vostri martiri. Vi sono dei sacerdoti tra di loro, e tra essi il vostro primo sacerdote coreano, padre Andrew Kim Taegon. L’evento storico della canonizzazione puntualizza il prestigioso retaggio cristiano che è il vostro. Nello stesso tempo stimola nei vostri cuori un maggior zelo per la santità, il desiderio di imitare i martiri nel vostro modo particolare.
Ricordate, fratelli carissimi, che santità sacerdotale significa somiglianza a Cristo: significa conformità alla volontà del Padre; significa esercizio fedele del vostro ministero pastorale. Siete chiamati a “vivere nella fede del Figlio di Dio” (Gal 2, 20), e amare la parola di Dio. Voi nutrite ogni giorno la vostra mente e il vostro cuore alla mensa della parola così riccamente imbandita dalla Chiesa nella celebrazione dell’Eucaristia e nella liturgia delle Ore. Questa parola di Dio vi esorta a lodare il nome di Dio con cuore gioioso e ad ubbidire ai suoi comandi e ai suoi consigli. Vi sprona a rendere un servizio ancora più generoso al vostro popolo, proclamando il Vangelo di salvezza e guidando i fedeli nella preghiera.
Pur riservando la sollecitudine del pastore alla parte del gregge di Dio che vi è stata affidata, dovete dedicare un amore speciale ai poveri e agli emarginati, a coloro che sono dimenticati, a coloro che sono infermi o oberati dai loro peccati. Siete chiamati a riservare una parte abbondante del vostro tempo alla celebrazione del sacramento della Penitenza e all’istruzione del vostro popolo sul suo valore e la sua importanza per la vita cristiana. Non abbiate mai dubbi sull’efficacia del ministero della Confessione. Attraverso di voi il signore Gesù stesso riconcilia i cuori a sé ed effonde la sua misericordia e il suo amore. E anche voi siete chiamati a sperimentare la misericordia e l’amore di Cristo e a dare testimonianza della vostra fede con la vostra partecipazione personale a questo grande sacramento.
È soprattutto all’Eucaristia che sono indirizzate tutte le vostre attività pastorali, e da essa si effondono i doni più ricchi di Dio. Il Concilio Vaticano II ci dà la magnifica certezza che “nel mistero del sacrificio eucaristico, in cui i sacerdoti svolgono la loro funzione principale, viene esercitata ininterrottamente l’opera della nostra redenzione” (Presbyterorum ordinis, 13).
3. Voglio rivolgermi ora ai religiosi e alle religiose della Corea, a voi nei cui riguardi Dio nutre un amore particolare e la Chiesa una stima speciale. Fratelli e sorelle carissimi, come religiosi voi partecipate in una maniera particolare alla missione di Cristo. Con la vostra preghiera personale e liturgica e con i carismi specifici dei vostri istituti, svolgete un ruolo importante e unico nella Chiesa. Ma soprattutto vi è stato affidato il compito di dare testimonianza di Gesù Cristo, che è stato sempre obbediente al Padre e che si fece povero affinché potessimo diventare ricchi.
Alcuni di voi sono stati chiamati alla forma contemplativa della vita religiosa nella quale, attraverso la preghiera e la penitenza come vostro ruolo specifico, cercate una comunione ancora più intima con Dio nella carità. Attraverso il vostro esempio la Chiesa appare come la sposa di Cristo senza macchia, e le vostre vite stesse, vissute in unione con Gesù, assumono il potere di un atto continuo d’intercessione per il popolo di Dio. Altri di voi sono chiamati a dedicarsi in maniera non meno zelante alle varie opere dell’apostolato. Negli ospedali e nelle scuole, nelle parrocchie e in campi specializzati di servizio, date testimonianza di Cristo e, insieme ai laici e al clero, collaborate all’unica missione della Chiesa. Quale che sia il tipo di vita religiosa al quale il Signore Gesù vi ha chiamati con la vostra consacrazione religiosa, partecipate alla sua passione, morte e risurrezione in un modo particolare.
Gesù ha detto: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). La vita religiosa, come il martirio, è un invito speciale di Dio a diventare questo chicco di grano, a essere certi che morire in Cristo produce frutti abbondanti e porta alla vita eterna. Insieme a tutti i battezzati, ma in modo più pieno in virtù della vostra consacrazione religiosa, partecipate alla croce del nostro Salvatore. Mentre cercate di accettare gioiosamente le prove giornaliere della vita e le difficoltà che sorgono dal lavoro umano e dalle relazioni sociali, abbiate fiducia che la croce, quando viene abbracciata per amore di Cristo, è sempre un albero di nuova vita. Il grande carisma della vita religiosa è l’amore generoso, l’amore generoso di Cristo e dei membri del suo corpo. Questo amore si esprime attraverso il servizio e si consuma nel sacrificio. Siete disposti a dare nella misura in cui amate, e quando l’amore è perfetto, il sacrificio è completo.
4. Vi invito tutti a unirvi a me nell’esprimere gratitudine a Dio e nel lodarlo per le numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa che hanno caratterizzato la Chiesa di Corea in questi ultimi anni. Questo e un segno della vitalità della vostra fede; ed è anche un segno della potenza del mistero pasquale di Cristo e dell’efficacia del suo prezioso sangue. Non si riuscirebbe neanche a immaginare la Chiesa in questo Paese senza la vostra presenza insostituibile nelle parrocchie, nelle scuole, negli ospedali e in altri campi di impegno apostolico. Il vostro servizio offre grandi speranze per il futuro, non soltanto per la Chiesa nel vostro Paese ma anche per altri Paesi i quali riceveranno missionari dalla Corea. La Chiesa universale conta sul vostro contributo missionario.
Vi incoraggio a pregare affinché vi siano più vocazioni, e a cercare instancabilmente di suscitarle tra coloro che servite. Chiedete ai martiri coreani d’intercedere per questa speciale intenzione, che è di tanta importanza per il futuro della Chiesa. Possano le vostre vite, che sono incarnazione delle beatitudini, essere segni eloquenti della presenza di Gesù Cristo nel mondo.
5. In una parola, carissimi sacerdoti e religiosi, milioni di vostri fratelli in Corea, tra i quali innumerevoli non cristiani, vi parlano con le parole rivolte allora all’apostolo Filippo a Gerusalemme: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12, 21). Sì, fratelli e sorelle, voi dovete far vedere Gesù al vostro popolo; dovete condividere Gesù con il vostro popolo; il Gesù che prega, il Gesù delle beatitudini, il Gesù che, in voi, vuol essere obbediente e povero, mite, umile e misericordioso, puro, pacifico, paziente e giusto. È questo il Gesù che voi rappresentate: l’eterno Figlio del Padre che si è incarnato nel seno della vergine Maria e che vuole essere visibile in voi. Il Gesù del mistero pasquale, che nel potere dello Spirito e con la cooperazione della sua Chiesa, desidera ardentemente condurre tutti gli uomini al Padre.
Questa è la sfida solenne delle vostre vite: mostrare Gesù al mondo; condividere Gesù con il mondo.
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