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VIAGGIO APOSTOLICO IN CANADA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CONFERENZA EPISCOPALE CANADESE

Cappella del Convento delle Suore della Carità (Ottawa)
 Giovedì, 20 settembre 1984

 

Cari fratelli nell’episcopato.

1. Eccoci quasi al termine della mia visita pastorale. Voi avete desiderato questa visita e l’avete attivamente organizzata; avete preparato ad essa il vostro popolo cristiano. Nelle varie tappe del viaggio ho trovato non solo il vescovo locale, ma molti altri che desideravano raggiungerci, non potendo io andare nelle loro diocesi. A tutti loro sono profondamente grato.

E ora siamo insieme riuniti per riflettere, sotto lo sguardo di Dio e con la luce dello Spirito Santo che abbiamo invocato, sulla grazia e sul ruolo che ci è stato assegnato come successori degli apostoli. Questa grazia e questo ruolo sono stati magnificamente riespressi nei testi del Concilio Vaticano II, soprattutto nella costituzione Lumen Gentium e nel decreto Christus Dominus. Questi sono i testi che guideranno la nostra riflessione, poiché essi ci permettono di ravvivare in noi stessi la consapevolezza della nostra missione apostolica.

Nella Lumen Gentium (Lumen Gentium, n. 21) leggiamo: “Nei vescovi, assistiti dai presbiteri, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Per mezzo del loro ministero esimio egli predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede . . . per la loro sapienza e prudenza, dirige e conduce il popolo del Nuovo Testamento nel suo pellegrinare verso l’eterna beatitudine. Questi pastori, eletti per pascere il gregge del Signore, sono i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio, ai quali è stata affidata la testimonianza del Vangelo della grazia di Dio e il servizio dello Spirito e della giustizia nella gloria”.

“Questo è il significato del nostro ministero episcopale, che include principalmente il compito di insegnare, di santificare e di governare. Questi compiti sono esercitati nella comunione gerarchica con il capo del collegio dei vescovi e con i membri di questo collegio. In altre parole, per esprimerci ancora con il testo del Concilio: “I vescovi, in modo eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua persona” (Ivi).

2. Questa missione è sublime e formidabile. Essa suppone che, come fece Pietro, noi ripetiamo a Cristo la pienezza della nostra fede (cf. Mt 16, 16) e del nostro amore (cf. Gv 21, 15-17). Per adempiere a questa missione come gli apostoli fecero, abbiamo ricevuto con la consacrazione episcopale una speciale effusione dello Spirito Santo (cf. Lumen Gentium, 21). Egli rimane con noi e noi dobbiamo metterci costantemente a sua disposizione per compiere l’opera sua e non la nostra.

In tutti i casi, è una questione di servizio, del servizio del Dio pastore che dà la sua vita per le sue pecore. Questo umile e generoso servizio richiede necessariamente coraggio e autorità: “I vescovi reggono le chiese particolari a loro affidate come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità” (Lumen Gentium, 27). E voi sapete bene che, come il Concilio dice più avanti, la potestà di ciascun vescovo - che rimane integrale all’interno della conferenza episcopale è “affermata, corroborata e rivendicata” dalla suprema e universale potestà del successore di Pietro (Lumen Gentium, 27).

3. Indicando come principale funzione dei vescovi la predicazione del Vangelo, il Concilio specificava che essi sono “gli araldi della fede . . . i dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, che illustrano questa fede alla luce dello Spirito Santo . . . vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano” (Lumen Gentium, 25).

Tutte le riflessioni di ordine etico e le domande che possiamo e dobbiamo sollevare come pastori davanti ai problemi umani, sociali e culturali del nostro tempo - dei quali parleremo - sono subordinati alla proclamazione della salvezza in Gesù Cristo.

In questo senso, cari fratelli, guidate il vostro popolo cristiano ad attingere a colui che è la stessa acqua viva. Parlategli da una prospettiva teocentrica e teologica. Solo nella parola di Dio si trova la chiave della nostra esistenza e la luce che rischiara il nostro cammino. È per questo che, nelle mie omelie, ho cercato di mettere i fedeli di fronte a questa rivelazione divina, per condurli a contemplare la gloria di Dio, che desidera per l’uomo la pienezza della vita, ma in un modo che trascende le esperienze e i desideri umani. La redenzione ci colloca davanti alla “giustizia” di Dio, davanti al peccato dell’uomo e all’amore di Dio che lo ha riscattato. L’uomo ha bisogno di questo Redentore per essere pienamente uomo.

L’umanesimo - che vogliamo promuovere in collaborazione con i nostri fratelli e sorelle di altre religioni e con i non-credenti di buona volontà - dipende, per noi cristiani, da Dio, creatore e redentore. “Nisi Dominus aedificaverit domum . . .”. La secolarizzazione, intesa nel senso di voler realizzare nella vita pratica un umanesimo senza riferimento a Dio, sarebbe un negazione della fede cristiana. Questa è la ragione per cui dobbiamo proclamare la buona novella in ogni occasione opportuna e non opportuna, in tutta la sua forza e originalità; dobbiamo proclamare tutta la fede che la Chiesa esprime, a cominciare dal primo kerigma. E, come dicevo ad uno dei vostri gruppi durante la visita “ad limina(23 settembre 1983), è necessario chiamare e incoraggiare i fedeli alla conversione. Se il mondo non osa più parlare di Dio, esso attende dalla Chiesa, e specialmente dai vescovi, e dai sacerdoti, una parola che dia testimonianza di Dio con forza e convinzione, in un linguaggio persuasivo e comprensibile, senza mai ridurre la grandezza del messaggio alle attese di coloro che ascoltano. Ho notato che questo è stato uno dei temi affrontati dalla vostra commissione teologica. Qui convergono, in concreto, tutti i problemi della iniziazione della fede, o del suo approfondimento, per gli adulti, i giovani e i fanciulli, problemi intorno ai quali abbiamo parlato in occasione delle visite “ad limina”.

4. Come araldi della fede, noi siamo necessariamente guida delle coscienze, come Mosè che condusse il suo popolo a incontrarsi con il Dio dell’alleanza e a ricevere i Comandamenti connessi con l’alleanza. Il Concilio dice bene a questo proposito: la fede deve dirigere il pensiero e la condotta di ciascuno.

So quanto vi siete adoperati per aiutare i vostri contemporanei a diventare sensibili a certi atteggiamenti morali conformi allo spirito cristiano. In questa linea, avete pubblicato una serie di documenti. I valori dell’onestà, della giustizia, la dignità dell’uomo e della donna, il lavoro, l’aiuto reciproco, la carità, l’amore sociale e la solidarietà verso i poveri e i diseredati di fronte alle nuove situazioni economiche e culturali richiamano in particolare la vostra attenzione. Al tempo stesso, voi cercate di rispondere nella fede alle nuove questioni poste dalle scienze, dalla tecnologia, e dagli sviluppi talvolta sconcertanti della biologia umana. Comprendo e approvo questa preoccupazione. Voi desiderate evitare una frattura tra l’insegnamento cristiano e la vita, tra il Vangelo e la cultura, tra la fede e la giustizia. In realtà, che sorta di fede sarebbe quella che non cercasse di incarnarsi nella condotta quotidiana? E quale credibilità avrebbe in un mondo che in certi momenti dubita dell’esistenza di Dio? Le lettere di san Paolo, dopo aver esposto il mistero cristiano, passano a concrete esortazioni sulle conseguenze che ne derivano. Penso qui a due altre esigenze del Vangelo. Anzitutto, la dignità della vita familiare. “Beati i puri di cuore” (Mt 5, 8). Voi osservate lo sfacelo della famiglia e la crisi del matrimonio. Quanti figli e quanti genitori soffrono per le loro famiglie infrante, per le separazioni, i divorzi! Voi stessi d’altronde avete cercato di migliorare la legislazione su questo punto. Voi vedete anche le numerose “unioni libere” che rifiutano o rimandano un impegno totale ed esclusivo dei due partner nel sacramento del matrimonio. Sapete che l’aborto è molto diffuso. E molti fanno ricorso ai mezzi anticoncezionali invece di rispettare, con l’autocontrollo e uno sforzo vicendevolmente concordato, la duplice finalità dell’atto coniugale: l’amore e l’apertura alla vita. Tra le cause di questi mali c’è una generalizzata tendenza all’edonismo; c’è una dimenticanza di Dio; c’è senza dubbio un’ignoranza della teologia del corpo, del magnifico piano di Dio riguardo all’unione coniugale, della necessità di un’ascesi allo scopo di approfondire un amore che sia veramente degno dell’uomo e della donna e che corrisponda alla vita dello Spirito Santo presente nella coppia. L’educazione sessuale, la preparazione dei giovani al matrimonio e al sostegno alla vita familiare dovrebbero essere qui assolutamente prioritari. Nonostante le opinioni contrarie, spesso fortemente emotive, ci si attende dalla Chiesa l’aiuto a salvare l’amore umano e il rispetto per la vita.

D’altra parte, la società dei consumi, la seduzione di bisogni artificiali, la situazione degli straricchi, e una generale corsa al profitto rendono più difficile la pratica tanto importante della beatitudine: “Beati i poveri in spirito” (Mt 5, 3). Come si può educare, nonostante tutto, alla povertà e semplicità di vita, per mantenere il cuore libero, aperto al regno di Dio e al prossimo? Non sarà necessario, fra le altre cose, aprire gli occhi di ciascuno alle immense regioni del mondo dove molti vivono in totale povertà?

In questo campo, come in molti altri, noi dobbiamo incessantemente ricordare l’invito di san Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo” (Rm 12, 2). E non dimentichiamo il coraggio pastorale di san Giovanni Crisostomo, che abbiamo onorato a Moncton.

5. I nostri fedeli devono lottare per conservare la fede e la morale cristiana, in parte perché non hanno scoperto il senso della preghiera, o perché non si sforzano più di pregare. Vorrei parlare di quella preghiera che cerca, in dialogo con Dio o preferibilmente nell’ascolto di Dio, la contemplazione del suo amore e la conformità con la sua volontà. Le grazie del rinnovamento e della conversione saranno date solo a una Chiesa che prega. Gesù chiese agli apostoli di vegliare e pregare (cf. Mt 26, 41). Con i nostri sacerdoti, con i nostri religiosi e con molti dei nostri laici che hanno riscoperto la preghiera, nella gioia dello Spirito Santo, facciamoci maestri di preghiera.

La preghiera è inseparabile dai sacramenti. A questo riguardo, il Concilio così si esprime circa il ruolo dei vescovi: “Con i sacramenti, dei quali con la loro autorità organizzano la regolare e fruttuosa distribuzione, santificano i fedeli” (Lumen Gentium, 26). Menzionerò solo due aspetti particolarmente importanti. Primo, l’assemblea eucaristica domenicale. Come può trascurarla un popolo che vuole essere cristiano? Le cause sono molte, ma in ogni caso, noi pastori dobbiamo fare tutto il possibile per ripristinare il significato del giorno del Signore e dell’Eucaristia, e far sì che le nostre liturgie siano accuratamente preparate e caratterizzate dall’attiva partecipazione dei fedeli e dalla dignità della preghiera.

Facilmente comprenderete perché sottolineo un altro punto importante della pratica pastorale sacramentale: quello del sacramento della Penitenza o Riconciliazione. La ricezione frequente di questo sacramento dà testimonianza al fatto che crediamo nella Chiesa come comunione di santità, e nell’azione di Cristo per l’edificazione di questa comunione. L’intero rinnovamento della Chiesa dipende dalla conversione personale che è sigillata in un incontro personale con Cristo. Favorire questo significa contribuire efficacemente a quel totale rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II e promosso dalle riforme postconciliari; senza di questo, tutta la nostra impostazione pastorale soffre di una grave lacuna, e l’efficacia di tutta l’attività della Chiesa ne risente negativamente. La nostra comunione con la Chiesa richiedere che la disciplina di tutta la Chiesa sia rispettata secondo come è stata definita dalla Congregazione per la dottrina della fede, che ha sottolineato il suo legame con un precetto divino (16 giugno 1972). L’ultimo Sinodo, al quale molti di voi hanno partecipato, ha dato uno speciale rilievo all’assoluta necessità della Penitenza: lo spirito di penitenza, un senso del peccato, e la richiesta di perdono nel sacramento della Penitenza con un’accusa personale dei propri peccati a un sacerdote.

Voi sapete che, da alcuni anni, questa pratica plurisecolare della Chiesa è stata trascurata. Certo, si sono fatti lodevoli sforzi per mettere in luce l’aspetto comunitario della penitenza, per far prendere coscienza all’insieme dei fedeli del bisogno di conversione e condurli a celebrare insieme la misericordia di Dio e la grazia della riconciliazione. Ma questo rinnovamento comunitario non deve mai far abbandonare l’atto personale del penitente e l’assoluzione personale. È diritto di ciascun penitente, e si può anzi dire che è diritto di Cristo nei riguardi di ciascun uomo che egli ha riscattato, potergli dire tramite il suo mistero: “I tuoi peccati ti sono rimessi” (cf. Ioannis Pauli PP. II, Redemptor Hominis, 20).

Cari fratelli nell’episcopato, aiutiamo i sacerdoti a dare una priorità a questo ministero, dopo quello dell’Eucaristia, ma molto prima di altre attività meno importanti. Aiutiamoli a convincersi che in questo modo essi collaborano meravigliosamente all’opera del Redentore, come dispensatori della sua grazia. Posta questa convinzione, il problema pratico potrà trovare delle soluzioni, anche con sacerdoti meno numerosi. Se mai i nostri fedeli perdessero il senso del peccato e di questo perdono personale, se non trovassero più sufficientemente sacerdoti disponibili per questo ministero essenziale, verrebbe a mancare una dimensione capitale all’autenticità della loro vita cristiana. E anche la frequenza dell’Eucaristia, che sembra essersi mantenuta viva, lascerebbe perplessi sulla coscienza delle esigenze che comporta per i membri del corpo di Cristo la comunione con colui che ne è il capo: “Cristo, che invita al banchetto eucaristico, è sempre lo stesso Cristo che esorta alla penitenza, che ripete "Convertitevi"” (cf. Ibid. , 20).

Mi sono permesso di insistere a lungo su questo punto, ma so che molti di voi, pur apprezzando il beneficio di una preparazione comunitaria, hanno già cercato nel corso di questo anno come reagire a questa crisi della domanda personale del perdono.

6. Accennavo al ministero dei sacerdoti. So quanto voi siete loro vicini, come altrettanti padri, e come li incoraggiate in questo periodo difficile nel quale alcuni di loro sono un po’ disorientati perché i loro fedeli sono meno numerosi nella pratica, perché il loro ruolo sociale sembra ad essi meno definito, e perché non è sempre facile trovare un nuovo stile della necessaria collaborazione con i laici. In questo periodo di mutamento culturale e di adattamento postconciliare, i vostri sacerdoti, come nella maggior parte dei Paesi, hanno soprattutto bisogno di essere fortificati in una teologia ben equilibrata, e in orientamenti pastorali molto chiari, conformemente con il nuovo diritto canonico.

Viene naturale qui pensare alle nuove leve. E su questo punto mi unisco alle vostre preoccupazioni. Il 23 settembre 1983 ho parlato lungamente con molti di voi delle vocazioni. Una nuova speranza si annuncia nei seminari di molte delle vostre diocesi, ma occorre risolutamente continuare su questa strada della chiamata e di una solida formazione spirituale e teologica; soprattutto le vocazioni alla vita religiosa si fanno rare. La pastorale delle vocazioni esige un’azione presso le famiglie cristiane e presso i giovani; essa suppone sempre la preghiera esplicita per questa intenzione. Sì, facciamo molto pregare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.

7. Noi siamo coloro che adunano l’insieme del popolo di Dio. È la missione dei vescovi e, con essi, dei sacerdoti. Il Concilio precisa: “In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto il ministero sacro del vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza” (Lumen Gentium, 26). Noi facciamo convergere verso lo stesso Signore tutti quei gruppi di credenti o di apostoli cristiani che lavorano ciascuno nel loro ambiente o secondo il loro carisma. E come il Buon Pastore, dobbiamo, per quanto è possibile, fare in modo che tutte le pecore stiano al passo, senza che alcune si sentano abbandonate o non apprezzate perché trovano più difficoltà a comprendere il ritmo delle riforme. Noi siamo i custodi dell’unità, i promotori dell’accoglienza fraterna, gli educatori della tolleranza tra sensibilità diverse, i testimoni della misericordia per i fratelli più sensibili allo scandalo, e talvolta non senza ragione (cf. 1 Cor 8, 12).

La Chiesa in Canada ha fatto un meraviglioso sforzo per aiutare i laici a prendere le loro piene responsabilità di battezzati, di confermati. Sì, non temiamo - noi vescovi e sacerdoti - di dar loro fiducia. Spetta a loro, a condizione certo che abbiano una buona formazione, di portare in mezzo al mondo la testimonianza che, senza di loro, mancherebbe alla Chiesa; essi sono anzi capaci di aiutare i sacerdoti a rinnovare il loro zelo sacerdotale. Ho spesso parlato durante questo viaggio dei servizi che essi possono ognor più assumere, uomini e donne, all’interno delle comunità cristiane, nel rispetto s’intende di ciò che appartiene esclusivamente ai ministeri ordinati, e soprattutto ho parlato dell’apostolato che appartiene loro in proprio nel campo familiare, nella loro vita di lavoro, nelle iniziative sociali, nei compiti dell’istruzione, nelle responsabilità degli affari pubblici. È ai laici e alle loro associazioni che compete l’incarico di far passare nella vita della società i principi della dottrina sociale della Chiesa che i vostri documenti sottolineano.

8. Ho notato altri settori nei quali si sviluppa il vostro impegno pastorale, per esempio il settore importante dell’ecumenismo, di cui abbiamo parlato nel corso di questo viaggio.

Su di un altro piano, la Chiesa di cui voi siete i Pastori può dare un prezioso contributo alla vita fraterna nel vostro Paese. Il Canada - ne ho preso meglio coscienza - presenta una ricchezza inaudita, non solo di beni materiali, ma di tradizioni culturali e linguistiche: le componenti francofone e anglofone prendono il rilievo maggiore, senza contare gli Amerindi e gli Inuit; ma tutte le regioni hanno accolto gruppi numerosi di immigranti che adottano il Canada come loro Paese. In queste condizioni, mi sembra che la Chiesa abbia la missione di favorire l’accoglienza, la stima, il riconoscimento reciproco, la partecipazione di tutti alla vita sociale, aiutando gli uni e gli altri a superare ogni sciovinismo o sentimento nazionalistico esacerbato; sentimenti, questi, che non devono esser confusi con la fierezza legittima delle proprie origini e del proprio patrimonio culturale, né con la complementarietà benefica delle diversità.

9. Ma la vostra responsabilità di vescovi si estende ben al di là del vostro Paese. Il Concilio ha insistito su questo punto, sviluppando le conseguenze della dottrina sulla collegialità: “In quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, i singoli vescovi sono tenuti, per istituzione e precetto di Cristo, ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non esercitata con atto di giurisdizione, sommamente contribuisce tuttavia al bene della Chiesa universale (Lumen Gentium, 23).

Naturalmente, l’interesse o lo scambievole aiuto manifestato da una Chiesa particolare verso un’altra Chiesa particolare deve sempre avvenire in quello spirito collegiale, fraterno, che rispetta pienamente la responsabilità dei vescovi dell’altro Paese e della loro conferenza episcopale, affidandosi alla percezione che essi hanno dei bisogni spirituali del popolo e degli orientamenti da prendere nella loro situazione.

In tutti i casi, si tratta di rinsaldare i legami della pace, dell’amore, della solidarietà, in un’apertura sempre più grande alla Chiesa universale.

Un modo di vivere questa solidarietà è già il fatto di “promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa” (Ibid., 23). Una Chiesa particolare non deve cercare di risolvere i suoi problemi al di fuori di questa prospettiva.

Ma occorre anche “formare i fedeli all’amore di tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia” (Ibid., 23).

Questo ci porta a una delle vostre preoccupazioni: contribuire incessantemente ad aprire agli occhi, il cuore e le mani dei vostri cristiani - nell’insieme abbastanza favoriti dalla natura e dal progresso tecnico - nei riguardi dei Paesi meno favoriti, diciamo piuttosto nei riguardi dei popoli che mancano del minimo vitale, del pane, delle cure assistenziali, della libertà. Molte forme di aiuto sono possibili, nel dovuto rispetto verso questi popoli fratelli, del Terzo mondo o del “Sud”, i quali d’altronde ci aiutano, in cambio, a ristabilire la gerarchia dei valori. Voi preparate anche i vostri compatrioti a partecipare a livello internazionale alla soluzione dei problemi della pace, della sicurezza, dell’ecologia, dello sviluppo.

10. I bisogni spirituali dei nostri fratelli delle altre Chiese devono tenere un posto primordiale nella nostra carità universale. “La cura di annunziare in ogni parte della terra il Vangelo appartiene al corpo dei pastori . . . Con tutte le forze essi devono fornire alle missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti spirituali e materiali” e specialmente prestarsi “nella universale comunione della carità, a fornire un aiuto fraterno alle altre chiese, specialmente alle più vicine e più povere” (Lumen Gentium, 23). Tutti sanno che l’impegno missionario di tanti canadesi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici, in America Latina, in Africa, in Asia, nella maggior parte del Grande Nord canadese, è stato ammirevole. Non lasciamo inaridire la sorgente delle vocazioni missionarie! Non permettiamo che perda vigore la convinzione dell’urgenza della missione universale, anche se essa prende altre forme di solidarietà.

11. Infine, c’è un campo nel quale la solidarietà e la testimonianza comune dei vescovi e delle loro Chiese dovrebbe manifestarsi molto di più. Noi siamo sensibili all’ingiustizia, alla difettosa distribuzione dei beni materiali. Lo siamo sufficientemente ai danni causati allo spirito umano, alla coscienza, alle convinzioni religiose? Questa libertà fondamentale della pratica della propria fede è fatta ogni giorno oggetto di soprusi in vaste regioni; si tratta di una violazione molto grave, che disonora l’umanità, e che tocca più nel vivo noi credenti. A Lourdes, l’anno scorso, ho voluto denunciare la sofferenza dei nostri fratelli perseguitati, perché su questo punto c’è come una cospirazione del silenzio che dev’essere spezzata. Chiedo a voi, miei fratelli pastori, di farlo per me. Vi chiedo di sensibilizzare a ciò i vostri fedeli, di far pregare per questi fratelli. Il loro coraggio nella fede aiuta misteriosamente tutta la Chiesa. Essa stimola il risveglio dei cristiani addormentati in una vita facile, nella quale godono di tutte le libertà, e talvolta troppo preoccupati di problemi in fin dei conti relativi in rapporto a questo che è essenziale.

12. Cari fratelli nell’episcopato, vi ringrazio in modo generale di tutto ciò che fate, o farete, per partecipare in una collegialità affettiva ed effettiva, alla missione della Chiesa universale, in comunione con il successore di Pietro - “cum Petro et sub Petro” (cf. Ad Gentes, 38) - e in collaborazione con gli organismi della Santa Sede.

Sì, davanti al Signore, voi portate l’onere delle vostre Chiese particolari, ma in ciascuna di esse è presente la Chiesa universale, perché “vi è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica” (Lumen Gentium, 26).

Cristo, il Buon Pastore, conceda a ciascuno il coraggio pastorale necessario alla vostra sublime missione! Lo Spirito Santo vi dia la luce e la forza di guidare il popolo cristiano sulle strade del Dio vivo, affinché esso sia santificato per santificare il mondo! Dio Padre vi mantenga nella speranza e nella pace!

Continuerò a portare nella mia preghiera tutte le vostre intenzioni pastorali, come voi pregherete per me. Noi affidiamo queste intenzioni al cuore materno di Maria. Dio onnipotente, Padre, Figlio, Spirito Santo, ci benedica!

 

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