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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
A GIOVANI MILITARI ITALIANI

Venerdì, 19 aprile 1985

 

1. Desidero esprimere innanzitutto la mia gioia per questo incontro con una così numerosa rappresentanza di militari delle diverse Armi, qui convenuti da vari presidi di Roma e da altre località della Regione Militare Centrale. A tutti porgo il mio cordiale saluto, rivolgendo uno speciale pensiero all’Ordinario Militare Monsignor Bonicelli, alle Autorità rappresentate nelle persone dei Generali Comandanti, ai militari di ogni grado, corpo e specialità e in particolare a voi giovani in servizio di leva qui presenti insieme ai vostri familiari. So che molti di voi hanno preso parte anche al recente incontro mondiale, con cui s’è voluto celebrare solennemente a Roma e nella Chiesa l’Anno Internazionale della Gioventù. E mi fa piacere che anche in Piazza San Giovanni, come in Piazza San Pietro, siate venuti come giovani e come militari, onorati di portare la vostra divisa che attesta pubblicamente la vostra devozione alla Patria, ciò che per il cristiano costituisce un modo di servire i fratelli.

“La pace e i giovani camminano insieme”. Il motto del Messaggio di inizio d’anno per la Giornata Mondiale della Pace, io voglio ripetere anche oggi, in particolare per voi. Il vostro servizio, infatti, non trova spiegazione più propria che quella della difesa e della promozione della pace, interna e internazionale. Lo dice con chiarezza la costituzione che sta alla base dell’unità della nazione; lo afferma senza equivoci il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo” (cf. Gaudium et spes, 79).

2. L’udienza di oggi, nelle vostre intenzioni, vuole essere quasi la continuazione del Pellegrinaggio Militare Internazionale che ha fatto confluire a Roma, proprio un anno fa, rappresentanze militari di venti Paesi del mondo. Uno spettacolo indimenticabile di unità e di fraternità, di gioia e di impegno, che aveva come punto di riferimento e come base la fede cristiana, pienamente vissuta o almeno desiderata e cercata.

L’Anno santo è finito, ma Cristo continua a proporci la sua Pasqua come evento storico che dà rilievo, consistenza, spiegazione definitiva anche alla nostra vita di oggi. La Pasqua è la festa dell’Alleluia, cioè della gioia che scaturisce dalla libera e cosciente accettazione del mistero di Dio, il quale ci ha voluto tanto bene da mandare Cristo Gesù a prendere su di sé le nostre colpe, a liberarci nel nostro intimo per consentirci, a nostra volta, di contribuire veramente a un processo di liberazione che investe anche le strutture sociali. Quanti fallimenti si devono all’illusione dell’uomo di poter migliorare la società senza migliorare se stesso.

C’è chi ritiene che la fede sia un di più che non incide nella vita, specialmente in questo momento così tormentato ed esaltante della storia. Io invece mi rivolgo a voi giovani, come ho fatto nella lettera pasquale a voi dedicata, mi rivolgo a voi con le parole dell’Apostolo San Giovanni che vedeva nelle nuove generazioni cristiane la forza e la speranza del mondo. Occorre gente forte, ben radicata in Dio, capace cioè di andare oltre gli slogan del consumismo e del tornaconto individuale, pronta a impegnarsi a fondo e a dare testimonianza non solo verbale di autentica solidarietà a favore dell’uomo.

3. È vero: il periodo di vita militare comporta spesso il sacrificio di restare lontani da casa e da radicate consuetudini; esso però consente anche di far la conoscenza di altre persone, di altre tradizioni, altri modelli, altre esigenze, dilatando in tal modo non solo le cognizioni, ma il gusto dell’emulazione e dell’arricchimento interiore. Il Vangelo parla in effetti di un modo di essere e di vivere che deve costituire un arricchimento per tutti. Il Signore Gesù aveva presente anche noi, anche voi, quando diceva che il cristiano dev’essere sale e lievito. Se tanti angoli della vita sono bui, vuol dire che mancano i portatori di luce; se tante realtà sono appiattite e senza sapore, significa che il cristiano non fa il suo dovere. Prima di lamentarsi per certe situazioni sociali ingiuste, è opportuno che ciascuno pensi se in esse egli non abbia avuto qualche parte, se non del male che si compie, almeno del bene che non si realizza come occorrerebbe.

4. Questi semplici richiami a valorizzare pienamente questa stagione della vostra giovinezza, suscitano forse in molti l’interrogativo che già ho avuto modo di cogliere nel Pellegrinaggio del 1984, la domanda cioè circa l’identità cristiana del militare. Non può essere una soluzione intelligente quella di considerare la vita militare come una parentesi, accettata magari fastidiosamente, da dimenticare il più presto possibile. Per un cristiano non ci possono essere spazi o periodi privi di senso.

Non basta nemmeno vedere l’esperienza militare soltanto sotto l’angolatura della responsabilità e della crescita personale. Sono gli stessi obiettivi sociali della vita militare che vanno guardati con l’occhio di chi sa di dover essere un costruttore di pace, anche quando si trova a salvaguardarla scoraggiando ogni ingiustizia e aggressione.

Ripeto qui quello che dissi un anno fa: “La moralità della vostra professione, cari Militari, è legata a questo ideale di servizio alla pace nelle singole comunità nazionali e più ancora nel contesto universale. La logica del servizio, cioè dell’impegno per gli altri, è fondamentale nella visione cristiana della vita. Ricondursi a questa sorgente significa scoprire la motivazione profonda della vostra condizione, che comporta disponibilità, sacrificio, spirito di solidarietà al di là dei pur legittimi interessi personali e familiari”.

5. La pace come pienezza di vita, cioè di verità, di giustizia, di libertà, resta il termine più alto dell’anelito e dell’impegno di ogni uomo e di tutti i popoli. La Chiesa serve la causa della pace predicando il messaggio delle beatitudini e dell’amore evangelico, proponendo criteri sempre più rigorosi di rispetto dei valori umani, indicando anche, come ha fatto nel Concilio Vaticano II, strade concrete di internazionalizzazione dell’autorità per ridurre le tensioni e quindi gli armamenti. E nessuno più di chi mette a repentaglio la propria vita, può essere sensibile e grato di questa passione per la causa della pace.

Possa questo incontro col Papa restare non solo come un momento di letizia, ma anche di impegno a realizzare ogni giorno la vostra vocazione di uomini liberi e di cristiani convinti. Non abbiate paura di essere e di apparire cristiani. Cristo non è venuto a toglierci qualcosa. Al contrario. Con la grazia che ci viene dalla sua Croce e dalla sua Risurrezione, egli ci dà la forza morale di vincere ogni difficoltà e la certezza che operando nella sua luce noi costruiamo la città degli uomini e insieme il Regno di Dio.

Con questi pensieri e auspici, imparto a tutti di cuore una larga e affettuosa Benedizione, che intendo estendere ai commilitoni assenti e ai vostri parenti lontani.

 

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