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VIAGGIO APOSTOLICO IN TOGO, COSTA D'AVORIO II, CAMERUN I,
REPUBBLICA CENTRO-AFRICANA, ZAIRE II, KENYA II, MAROCCO

VISITA DI GIOVANNI PAOLO II
AL CENTRO DELLE NAZIONI UNITE*

Nairobi (Kenya) - Domenica, 18 agosto 1985

 

Signore e Signori.

1. È sempre un onore per me rendere visita a una delle divisioni delle Nazioni Unite. La sempre crescente importanza di questa prestigiosa organizzazione diviene ogni anno più evidente. In nessun’altra precedente epoca storica vi è stato altrettanto bisogno di dialogo e di collaborazione a livello internazionale e, insieme, di uno sforzo comune di tutte le nazioni per promuovere lo sviluppo e favorire la giustizia e la pace: sono proprio queste le mete che l’organizzazione delle Nazioni Unite si propone.

Sono quindi profondamente grato per essere stato invitato oggi a questo centro, un invito che mi è stato esteso dal Dottor Mostafa K. Tolba, direttore esecutivo del Programma ambiente delle Nazioni Unite. Nel rivolgergli il mio saluto, intendo salutare anche tutto lo staff e tutti coloro che partecipano al lavoro della divisione. Rivolgo un cordiale saluto anche allo staff di Habitat, il centro per gli insediamenti umani delle Nazioni Unite, il quale anche ha sede qui a Nairobi, e al suo direttore esecutivo, il Dottor Arcot Ramachandron.

2. Da molti anni a questa parte, la Chiesa cattolica nutre un attivo interesse per le questioni che riguardano l’ambiente. Una delegazione della Santa Sede partecipò alla conferenza sull’ambiente tenutasi a Stoccolma nel 1972, un incontro che preparò il terreno per l’istituzione del Programma ambiente delle Nazioni Unite. Il mio predecessore Papa Paolo VI inviò un messaggio alla conferenza di Stoccolma nel quale affermava: “Vogliamo dire a voi e a tutti i partecipanti dell’interesse con cui seguiamo questa grande iniziativa. La cura di preservare e migliorare l’ambiente naturale, così come la nobile ambizione di incoraggiare un primo passo nella cooperazione mondiale a favore di questo bene necessario per tutti, viene incontro ad esigenze oggi profondamente avvertite da tutti i popoli” (Paolo VI, Nuntius scripto datus ad Exc. mum Virum Mauricium Strong, secretarium generalem Conventus internationalis Consociatarum Nationum de ambitu humano, Holmiae habiti, 1 giugno 1972: Insegnamenti di Paolo VI, X [1972] 606ss.).

L’impegno della Chiesa a favore della conservazione e del miglioramento del nostro ambiente è legato a un comandamento di Dio. Nelle primissime pagine della Bibbia, leggiamo come Dio creò tutte le cose e le affidò quindi alla cura degli esseri umani, essi stessi creati a sua immagine. Disse Dio ad Adamo ed Eva: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen 1, 28).

È un requisito della nostra umana dignità, e quindi una gravosa responsabilità, esercitare un dominio sul creato tale che sia davvero di giovamento alla famiglia umana. Lo sfruttamento delle ricchezze della natura deve avvenire secondo criteri che considerano non solo le presenti necessità della gente, ma anche i bisogni delle future generazioni. In questo modo il dominio sulla natura, affidato da Dio all’uomo, non sarà governato da considerazioni miopi o egoiste; ma piuttosto terrà in considerazione il fatto che tutte le cose create sono dirette al bene di tutta l’umanità. L’uso delle risorse naturali deve tendere a servire lo sviluppo globale delle presenti e delle future generazioni. I progressi nel campo dell’ecologia, e la crescente consapevolezza della necessità di proteggere e conservare determinate risorse naturali non rinnovabili, sono in armonia con le richieste di una sana gestione. Dio è glorificato quando il creato serve le necessità dello sviluppo globale dell’intera umana famiglia.

3. Con la rapida accelerazione dello sviluppo delle scienze e della tecnologia nei recenti decenni, l’ambiente è stato sottoposto a mutamenti netti come mai prima d’ora. Come risultato di ciò, molte nuove opportunità di sviluppo e di progresso umano ci sono concesse; siamo ora in grado di trasformare il nostro ambiente vitale in modo incisivo, quasi drammatico, per migliorare la qualità della vita. D’altro canto, questa nuova capacità, se non è usata con saggezza e lungimiranza, può causare danni terribili, perfino irreparabili, nelle sfere ecologica e sociale. La capacità di migliorare l’ambiente e la capacità di distruggerlo crescono enormemente di anno in anno.

Il fattore ultimo e determinante è la persona umana. Non la scienza e la tecnologia, o i crescenti mezzi di sviluppo economico e materiale, ma la persona umana, e specialmente i gruppi di persone, comunità e nazioni, che liberamente scelgono di far fronte uniti ai problemi e di costruire, con l’aiuto di Dio, il futuro. E per questo che qualunque cosa ostacoli e umili la libertà umana, come l’apartheid e tutte le forme di pregiudizio e di discriminazione, è un affronto alla vocazione dell’uomo di dar forma al proprio destino. Ed avrà infine ripercussioni in tutte le aree in cui si esercita la libertà umana, divenendo un grave ostacolo al miglioramento dell’ambiente e di tutta la società.

Le minacce all’ambiente sono oggi numerose: il disboscamento, l’inquinamento dell’acqua e dell’aria, l’erosione del suolo, la desertificazione, le piogge acide e molte altre. I problemi ecologici sono particolarmente acuti nelle regioni tropicali del mondo, e in special modo qui in Africa. Quasi tutte le nazioni afflitte da questi problemi sono nazioni in via di sviluppo che stanno, fra grandi difficoltà, affrontando un processo di industrializzazione a tappe forzate. Una grave carenza di energia e di risorse naturali frena il progresso e determina condizioni di vita dure. E i problemi sono spesso complicati dall’ambiente tropicale, che rende la gente particolarmente soggetta a gravi, endemiche malattie.

Pur essendo vero che ogni Paese ha i suoi peculiari problemi e dispone di differenti quantità di risorse naturali, è ugualmente facile vedere la differenza fra i problemi che devono affrontare le nazioni in via di sviluppo e quelli che devono affrontare le nazioni progredite. Mentre la moderna industria e la tecnologia offrono grande speranza di progresso, devono essere compiuti dei passi per assicurare che il pur così importante sviluppo economico, materiale e sociale tenga nella giusta considerazione l’impatto sull’ambiente, nell’immediato e nel futuro.

4. La Chiesa cattolica si avvicina al problema della protezione dell’ambiente dal punto di vista della persona umana. È nostra convinzione, quindi, che ogni programma ecologico debba rispettare la piena dignità e libertà di chiunque possa essere fatto oggetto di tali programmi. I problemi ambientali dovrebbero essere visti in relazione alle necessità di uomini e donne concreti, delle loro famiglie, dei loro valori, delle loro inestimabili eredità sociali e culturali. Perché lo scopo ultimo dei programmi ambientali è di elevare la qualità della vita umana, di mettere nel miglior modo possibile il creato al servizio dell’umana famiglia.

5. Forse in nessun altro luogo vediamo oggi più chiaramente l’interdipendenza del mondo come nelle questioni che riguardano l’ambiente. La crescente interdipendenza fra gli individui e fra le nazioni è chiaramente avvertita quando si tratta di fronteggiare disastri naturali come la siccità, i tifoni, le inondazioni e i terremoti. Le conseguenze di questi disastri vanno ben al di là delle regioni direttamente colpite. E la vastità e complessità di molti problemi ecologici richiede non solo una risposta concertata a livello locale e nazionale, ma anche una concreta assistenza, in uno sforzo coordinato, da parte della comunità internazionale. Come scrisse Papa Paolo VI nella sua lettera alla conferenza di Stoccolma: “L’interdipendenza deve ora tradursi in comune responsabilità; il destino comune in solidarietà”. Difficilmente si potrebbe sovrastimare la portata internazionale dei problemi ecologici, e il beneficio altrettanto generale della loro soluzione.

La risoluzione di questi problemi spesso richiede l’esperienza e l’assistenza di scienziati e tecnici dei Paesi industrializzati. Questi ultimi non potrebbero però risolvere i problemi senza un’assidua cooperazione degli scienziati e dei tecnici dei Paesi in cui si interviene. Il trasferimento delle tecnologie ai Paesi in via di sviluppo non può dare risultati duraturi se non viene fornito un adeguato training ai tecnici e agli scienziati di questi stessi Paesi. La formazione del personale locale rende possibile un adattamento delle tecnologie che rispetti pienamente il tessuto culturale e sociale delle comunità locali. Gli esperti locali possiedono i necessari legami con la propria gente, che assicurano un’equilibrata sensibilità ai valori e alle necessità loro peculiari. Essi possono giudicare sulla validità nel lungo periodo delle innovazioni tecnologiche che vengono introdotte. Soltanto nel momento in cui esiste un tale personale specializzato, formato da elementi del luogo, si può parlare di piena collaborazione fra Paesi.

6. Vorrei ora dire alcune parole a coloro che sono impegnati nel lavoro del Centro per gli insediamenti umani delle Nazioni Unite, e a tutti coloro che si sforzano di migliorare le condizioni di vita dei bisognosi e assicurano un rifugio a chi è senza casa. Quest’opera è ovviamente legata strettamente ai problemi ecologici a cui ci siamo riferiti prima. È il cuore di questi problemi. Come affermò Papa Paolo VI nel suo messaggio alla Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani, tenutasi a Vancouver nel 1976: “La casa, vale a dire il luogo caldo e accogliente in cui la famiglia è unita e i figli crescono nell’amore, deve costituire la prima preoccupazione di qualsivoglia programma relativo all’ambiente umano” (Paolo VI, Epistula ad Exc. mum Virum Berney Danson Canadensem Administrum pro Urbanis Negotiis eundemque Praesidem Conferentiae Unitarum Nationum in urbe Vancuverio instructae ad dignas hominum fovendas habitationes, 24 maggio 1976: Insegnamenti di Paolo VI, XIV [1976] 401ss.). Per questa ragione, la primaria preoccupazione della Chiesa per l’uomo nei problemi ambientali si estende ugualmente ai problemi della casa e dell’alloggio.

Coloro che credono in Cristo non possono dimenticare le sue parole: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20). Nei volti di chi non ha la casa vediamo quindi il volto di Cristo Signore. E ci sentiamo spinti, per amore di lui e per l’esempio del suo generoso sacrificio, a cercare di fare qualunque cosa è in nostro potere per aiutare coloro che vivono in condizioni indegne della loro umana dignità. Allo stesso tempo, ci uniamo con gioia a tutte le persone di buona volontà, nel lodevole sforzo di procurare un adeguato rifugio a quei milioni di persone che ancora oggi vivono in condizioni di assoluta privazione. Né possiamo rimanere passivi o indifferenti davanti ai complessi problemi abitativi e ambientali che il rapido sviluppo dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione crea. Vi assicuro quindi del grande interesse e del sostegno della Chiesa ai vostri encomiabili sforzi di provvedere alle abitazioni per i senzatetto e di salvaguardare la dimensione umana di tutti gli insediamenti.

7. Cinque anni fa, in occasione della mia prima visita pastorale in Africa, mi recai a Ouagadougou nel cuore della regione del Sahel e di lì lanciai un solenne appello a nome di tutti coloro che soffrivano le conseguenze della devastante siccità. Sull’onda di quell’appello ci fu una generosa risposta, così generosa che fu possibile avviare e formalizzare uno speciale programma per assistere i sofferenti. La fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel fu ufficialmente inaugurata nel febbraio 1984. Questa fondazione è un segno dell’amore della Chiesa per uomini, donne e bambini che sono colpiti da questa ricorrente tragedia. Anche se il progetto sembra piccolo e inadeguato di fronte alla vastità del problema, ciò nondimeno esso rappresenta un concreto sforzo per aiutare quei popoli e per contribuire in qualche misura al futuro del continente africano, un futuro che in ultima analisi appartiene ai popoli africani stessi.

Desidero cogliere quest’opportunità per rinnovare il mio solenne appello a nome dei popoli del Sahel e di altre regioni in crisi dove perdura la siccità e c’è un chiaro bisogno di assistenza e di solidarietà internazionale per procurare cibo, acqua e alloggi e per risolvere i conflitti che ostacolano gli aiuti.

Ripeto dunque quanto dissi a Ouagadougou cinque anni orsono: “Non posso tacere quando i miei fratelli e le mie sorelle sono minacciati. Divengo qui la voce di chi non ha voce, la voce degli innocenti, morti per la mancanza di acqua e di pane; la voce di padri e madri che videro i loro figli morire senza capire perché, o che vedranno sempre nei loro bambini gli effetti della fame di cui hanno sofferto; la voce delle generazioni a venire, sulla cui vita pesa questa terribile minaccia. Lancio un appello a tutti! Non aspettiamo il ritorno, terribile e devastante, della siccità! Non aspettiamo che la sabbia porti ancora la morte! Non permettiamo che il futuro di questa gente sia messo a repentaglio per sempre! (Giovanni Paolo II, Vehemens incitamentum ad homines aquarum penuria afflictos sublevandos, in urbe Uagaduguensi ante Cathedrale templum elatum, 7, 10 maggio 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/1 [1980] 1295). La solidarietà mostrata in passato ha dimostrato, con la sua estensione e la sua efficacia, che qualcosa si può realmente fare. Rispondiamo ora con ancora maggiore generosità ed efficacia.

Due tipi di aiuti sono necessari: l’assistenza che va incontro agli immediati bisogni di pane e di alloggi, e l’assistenza che renda possibile per i popoli che ora soffrono di riassumere la responsabilità della loro propria vita, di reclamare la loro terra e di renderla nuovamente adatta a favorire una vita sana e sicura. Tali programmi a lungo termine fanno sì che la gente riacquisti speranza nel futuro, e recuperi un sentimento di dignità e di stima di sé.

8. Signore e signori, mentre parlo a voi oggi mi sovvengono le parole di Paolo VI, divenute universalmente note: “Sviluppo è il nuovo nome della pace” (Paolo VI, Populorum progressio, 87). Proprio così, lo sviluppo generale è la condizione della pace, e i programmi ambientali per assicurare cibo e alloggio sono modi concreti di promuovere la pace.

Tutti coloro che si mettono al servizio dei bisogni del loro prossimo contribuiscono a edificare la pace. La pace si costruisce passo dopo passo con la buona volontà, la fiducia e la perseveranza negli sforzi. Si costruisce per mezzo delle organizzazioni internazionali e delle organizzazioni governative o non governative quando esse si impegnano in uno sforzo comune per provvedere cibo e rifugio ai bisognosi, e quando lavorano insieme per migliorare l’ambiente.

La pace la costruiscono i capi di Stato e i politici quando mettono da parte le ideologie che li dividono e cooperano in uno sforzo congiunto, scevro da pregiudizi, discriminazioni, odio e spirito di vendetta. La pace è il frutto della riconciliazione, e la pace dell’Africa dipende anche dalla riconciliazione dei popoli di ciascun singolo Paese. Essa richiede la solidarietà di tutti gli africani, come fratelli e sorelle al servizio dell’intera famiglia africana e al servizio dello sviluppo globale di tutta l’umanità.

La pace si costruisce quando i bilanci nazionali sono finalmente stornati dalla creazione di armi sempre più potenti e mortali, e sono devoluti al reperimento di cibo e materie prime per i fondamentali bisogni umani. E la pace consolida ad ogni anno che passa allorché l’uso dei vettori nucleari diviene un debole ricordo nella coscienza dell’umanità. E oggi noi rendiamo ancora grazie a Dio del fatto che quarant’anni sono passati senza che sia stato fatto uso di quelle armi che devastarono vite umane, assieme al loro ambiente di vita e alle loro case, a Hiroshima e a Nagasaki, quarant’anni di speranza e determinazione, quarant’anni di una nuova era per l’umanità.

La pace è costruita da uomini e donne che operano nei mass media quando portano all’attenzione dell’opinione pubblica le vicende di chi soffre, dei profughi e dei diseredati, quando instillano negli altri la determinazione a venire incontro con generosità a coloro che sono in stato di bisogno. Sì, “sviluppo” e “un cuore nuovo” sono i nuovi nomi della pace. E coloro che creano la pace o promuovono le condizioni per rendere possibile la pace siano in eterno chiamati figli di Dio!


*L'Osservatore Romano 20.8.1985 p.5.



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