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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI CALCIATORI DELL'ATALANTA

Sabato, 16 marzo 1985

 

Cari signori!

1. La vostra visita mi è particolarmente gradita anche per un motivo del tutto speciale. Voi mi ricordate infatti la terra natale del mio grande e venerato Predecessore Giovanni XXIII, e ravvivate i sentimenti che mi animarono nel pellegrinaggio a Sotto il Monte e a Bergamo il 26 aprile 1981.

Sono tuttora vive nei miei occhi le splendide visioni dell’antica e sempre fervida fede delle operose genti bergamasche, come mi è sempre presente la dolce immagine del Pastore sapiente e lungimirante, nel cui nome Bergamo costituisce un punto di riferimento per la storia, non soltanto ecclesiastica, nel nostro secolo e nei tempi che verranno.

Sull’onda di questi richiami, vi porgo il mio cordiale benvenuto. Saluto i membri del Consiglio d’amministrazione, i giocatori, gli allenatori. Saluto parimenti coloro che hanno voluto accompagnare all’udienza la “loro” Squadra, con i qualificati esponenti della stampa locale, tra cui Monsignor Andrea Spada, veterano del giornalismo cattolico italiano.

2. L’esercizio dello sport, concepito secondo sani criteri morali, corrisponde ad aspirazioni profondamente radicate nel cuore dell’uomo, che tornano ad onore dei valori, non solo fisici, ma anche spirituali, in virtù dell’armonia che intercorre tra anima e corpo.

San Paolo scorge nell’attività agonistica un parallelismo con l’ascesi tipica della religione. Addita ad esempio le privazioni che gli atleti si impongono volontariamente per allenarsi alle competizioni. Sottolinea la fugacità delle corone di vittoria conseguite negli stadi a confronto con la perennità della gloria che si conquista nella sequela di Cristo (cf. 1 Cor 9, 24-25).

Giovanni XXIII, in uno dei suoi interventi sullo Sport, commentò il pensiero di San Paolo con attente riflessioni. “Anche nello Sport - sono parole sue - possono trovare sviluppo le vere e forti virtù cristiane, che la grazia di Dio rende, poi, stabili e fruttuose: nello spirito di disciplina si imparano e praticano l’obbedienza, l’umiltà, la rinunzia; nei rapporti di squadre e di competizioni, la carità, l’amore di fraternità, il rispetto reciproco, la magnanimità, talora anche il perdono; nelle ferme leggi del rendimento fisico, la castità, la modestia, la temperanza, la prudenza” (Giovanni XXIII, Discorsi, Messaggi, Colloqui, I, p. 280).

Il professionismo sportivo deve sempre accordarsi con questa visione, in piena armonia con gli ideali stessi dello Sport.

Vi auguro, cari Signori, che la fedeltà alle radici cattoliche, tipiche della vostra terra generosa e forte, vi sostenga nell’esercizio dell’attività agonistica, e, con tale augurio, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo ai vostri familiari.   

 

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