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VISITA PASTORALE NEL FUCINO E AD AVEZZANO

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI DURANTE LA VISITA
AL CENTRO DI TELESPAZIO

Avezzano (AQ) -  Domenica, 24 marzo 1985

 

Carissimi lavoratori della campagna, dell’industria, dell’artigianato!

1. Anche se con qualche giorno di ritardo rispetto a quanto precedentemente programmato, sono molto lieto di essere tra voi, in questa vostra terra della Marsica, una regione che, nella sua storia recente, manifesta in modo singolare quali rapidi sviluppi sociali, quali profonde trasformazioni, quali meravigliosi progressi possano ottenere gli uomini quando nel loro lavoro congiungono impegno e solidarietà, tenace volontà di promozione e perspicacia.

Vorrei testimoniarvi la simpatia, l’affetto, l’ammirazione che la Chiesa ha per voi, lavoratori, e vorrei salutarvi ad uno ad uno, con particolare intensità di sentimenti, per raccogliere direttamente da voi le espressioni del vostro animo, ma anche per assicurarvi che vi sono vicino, condividendo con voi preoccupazioni, speranze, aspirazioni e impegno per una pacifica promozione di tutti i lavoratori e per superare le ansie di un avvenire difficile o incerto.

Sono vivamente grato al Signor Ministro per le Partecipazioni statali Clelio Darida per il saluto che mi ha recato a nome del Governo Italiano e per l’efficace descrizione che ha voluto farmi dell’importante opera che, mediante l’IRI, è stata qui realizzata.

Rivolgo pure un cordiale ringraziamento al Signor Sindaco, il quale nel darmi il benvenuto ha ricordato i drammi, i dolori, ma anche le conquiste sociali e civili che riguardano la vostra comunità. Egli mi ha dato una grande gioia soprattutto asserendo la grandezza della fede delle vostre tradizioni religiose, tuttora vivaci, apprezzate e significative.

Ho ascoltato con grande attenzione e con viva partecipazione gli indirizzi pronunciati dai vostri rappresentanti, cari lavoratori, cogliendone le linee significative: la terra della Marsica è una terra provata, resa talvolta aspra da avvenimenti particolarmente tragici; una terra però che voi avete trasformato radicalmente, rendendo fertile un territorio paludoso, favorendo le comunicazioni dove i monti imponevano l’isolamento delle singole comunità, creando posti di lavoro dove l’emigrazione forzata costituiva un doloroso destino di tanti giovani.

Vorrei manifestare a ciascuno di voi la mia solidarietà nell’aspirazione che avete espresso e che muove il vostro impegno quotidiano, di voler superare quanto rende l’uomo insoddisfatto della sua condizione; denunciando con franchezza tutto ciò che sa di egoismo, di sopraffazione, di raggiro degli interessi giusti del lavoratore, e impegnandovi per un’effettiva promozione sociale, per il rispetto della dignità umana nel mondo del lavoro agricolo, industriale e artigianale. Voi avete messo bene in luce i vostri problemi. Si tratta di sconfiggere, come voi dite, le moderne schiavitù e di promuovere leggi sempre più giuste e adeguate, al fine di superare mediante l’impegno di tutti il preoccupante tasso di disoccupazione. Altrettanto urgente è il compito di riportare i frutti della terra alla loro provvidenziale destinazione, quella di sfamare l’uomo. In un mondo in cui tanta parte dell’umanità è provata dalla fame e mentre sempre più efficaci si fanno gli strumenti di conservazione e di trasporto delle derrate alimentari, è motivo di profonda amarezza che si debba ricorrere alla distruzione dei prodotti per salvare i commerci. Difendendo i frutti della terra, potrà essere incrementato quel ritorno all’agricoltura che non pochi giovani già sentono come un sano programma per il loro avvenire e per le loro esigenze culturali.

Il ministero, che mi è stato affidato e che mi ha portato qui da voi, mi spinge a farmi eco delle vostre richieste e a incoraggiare con rinnovato slancio ogni vostro proposito di impegno generoso per superare gli ostacoli che ancora vi assillano.

2. Sono qui venuto nel ricordo di San Giuseppe, patrono dei lavoratori, che raccolse il senso della quotidiana fatica dalla viva presenza di Cristo accanto al suo banco di lavoro. Egli è così diventato il modello del lavoratore cristiano. Egli ci aiuta a comprendere il senso profondo della parola di Dio sul lavoro umano: “Riempite la terra; soggiogatela e dominate su di essa” (Gen 1, 22); “Spine e cardi produrrà per te . . . Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gen 3, 18-19). Queste due affermazioni di Dio all’inizio della Bibbia, sul limitare della storia, illuminano con potenza e verità il dramma del lavoro dell’uomo. V’è indicata innanzitutto l’intenzione di Dio di affidare all’uomo il compito di realizzare se stesso, conquistando col suo lavoro una vera signoria sul mondo. V’è preannunciato anche lo scacco conseguente al peccato, che avrebbe ridotto l’uomo a dover sopportare come penso ciò che gli era stato offerto come dono. Il dramma si risolve non nella sconfitta dell’uomo, quasi il lavoro fosse per lui maledizione, ma nell’amore salvifico di Dio che tende la mano all’uomo per riprendere il progetto infranto.

È questa la realtà del lavoro che trova compimento anche nella vostra storia in una maniera che suscita ammirazione e commozione.

Ammirazione per quanto avete saputo fare voi e i vostri padri di questa terra della Marsica: per i vostri campi dove prima si stendevano le acque del lago del Fucino e su queste montagne che vi circondano; per lo sviluppo industriale che siete riusciti a darvi. Ammirazione che si fa commozione ripensando all’immane fatica e al coraggio dimostrato, lungo tanti anni della vostra storia, nei frangenti difficili, fra i quali emerge, in tempi recenti, il tremendo terremoto del 1915. Né va dimenticato il sofferto cammino dei vostri emigranti per tutte le regioni del mondo. Un’esperienza di sacrificio, di dolore e insieme di grande dignità e solidarietà.

E le tribolazioni non sono finite, se pensiamo al rischio incombente, e da taluni già in corso, della disoccupazione e sottoccupazione.

Eppure non vi siete arresi, né vi arrenderete, perché Dio è con voi. Ne avete sentito e ne sentite l’appassionata partecipazione alle vostre tribolazioni nella presenza di tanti suoi ministri che condividono la vostra vita.

Parlando di questo, il pensiero va ad una delle figure più luminose che restano nella vostra memoria dai tempi del terremoto di 70 anni fa: il Beato Luigi Orione. Quest’umile e povero prete, intrepido e instancabile, divenne per voi testimonianza viva dell’amore che Dio ha nei vostri confronti. Questo modello di santo dei poveri non è il solo a chinarsi sulle membra doloranti dell’umanità. Egli entra a far parte della lunga schiera di testimoni che con la loro condotta hanno manifestato qualcosa di più che una solidarietà semplicemente umana, addolcendo il sudore amaro della vostra fronte con parole e fatti di liberazione, di redenzione, e quindi di sicura speranza.

3. “La Chiesa è convinta che il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra”: così scrivevo nella Lettera Enciclica sul lavoro (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 4). Anche sul piano soltanto umano, sappiamo che l’uomo può essere se stesso e raggiungere il fine della sua vita, mediante l’impegno assiduo di trasformazione di sé e l’intervento operoso sul mondo che lo circonda: superare ostacoli, progettare nuove condizioni di esistenza, procurare beni necessari per il corpo e per lo spirito, il pane e la cultura. Ebbene, l’esperienza umana, soggetta a delusioni e deformazioni, riceve dalla visione cristiana un formidabile sostegno. Ci colpisce il fatto che nella Bibbia Dio si manifesti per la prima volta al mondo e agli occhi dell’uomo come creatore, come uno cioè che con saggezza e bontà costruisce il mondo. Dio stesso appare come un lavoratore, nella figura dell’architetto (Gen 1), oppure in quella dell’artigiano (Gen 2). Lungi dall’essere padrone geloso della sua creazione, Dio ne fa dono gioioso e senza riserve all’uomo, e gli affida il compito di prolungarne l’attività secondo un progresso mai chiuso. In questo modo - e non attraverso una statica e impaurita rassegnazione - l’uomo può rivelare alla sua coscienza e a quella di tutte le creature di portare in sé il sigillo di un’origine e di una destinazione divina. Il suo lavoro, ogni forma di lavoro, diventa in qualche modo prolungamento e compimento del progetto di Dio.

4. Il lavoro è una consegna che Dio fa all’uomo; esso tuttavia può riuscire difficile, e il lavoratore può non vedere il frutto delle proprie fatiche. Non di rado avviene che la penosa fatica di tanti uomini e donne non sia sufficientemente riconosciuta e giustamente rimunerata.

La dottrina sociale della Chiesa - come ben sapete - afferma con forza il diritto del lavoratore ad avere una giusta mercede e, in pari tempo, proclama il primato dell’uomo nei riguardi del lavoro. L’uomo non deve essere schiavo, ma padrone del proprio lavoro: cioè deve vedere rispettata nel lavoro la propria dignità.

Le conseguenze di questo principio sono enormi: l’uomo non può venire mai trattato come uno strumento di produzione; gli uomini che lavorano hanno diritto alla solidarietà fra loro e al sostegno da parte della società, perché sia salvaguardata la loro partecipazione alla crescita del bene sociale, il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona dei lavoratori e delle rispettive famiglie.

In questo contesto, rivolgendo poi il pensiero a tanti disoccupati, in particolare ai giovani alla ricerca del primo impiego, nella consapevolezza del bisogno di un processo culturale ed educativo per chi affronta oggi il mondo del lavoro, sempre più esposto ad alti livelli di specializzazione, non posso che scongiurare i responsabili politici e sociali, di contribuire con tutte le risorse della loro intelligenza e buona volontà per risolvere questi nodi così delicati per la dignità della persona con la partecipazione degli stessi lavoratori, con realismo, coraggio e larghezza di vedute.

5. Ma sarebbe troppo poco riconosciuta la dignità dei lavoratori e impoverita la carica di verità e di forza che possiede la rivelazione cristiana, se non vi dicessi ad alta voce che non basta il lavoro per realizzare la vocazione dell’uomo, e che esiste un altro compito che la persona assume come anima della fatica quotidiana. Proprio dentro il sistema del lavoro risuona il comando del Signore, balenato fin dagli inizi nel riposo del settimo giorno (cf. Gen 2, 1-3): “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore tuo Dio: tu non farai alcun lavoro . . . Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in esso, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha dichiarato sacro”. (Es 20, 8-11)

Con Gesù risorto nel primo giorno dopo il sabato, il giorno del Signore è diventato la domenica. È il momento prezioso in cui chi lavora, e certe volte duramente, può ritrovare il senso del suo lavoro, esprimere a Dio il grazie per la fatica delle proprie mani, condividere in modo più disteso la compagnia dei propri cari, dai quali il lavoro rischia di tenere lontani, visitare persone malate e indigenti. In particolare ogni cristiano è chiamato a partecipare ad un banchetto di festa, la Messa domenicale. Riuniti insieme a formare la comunità cristiana è dato ai lavoratori di sentire e partecipare ad una realtà che li deve confortare. Dopo avere spiegato la Parola di Dio, il celebrante alza il pane e il vino verso Dio dichiarando: “Benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (e questo vino), frutto della terra e del lavoro dell’uomo, lo presentiamo a Te, perché diventi per noi cibo di vita eterna (bevanda di salvezza)”. Dio in Gesù Cristo ci dona la grazia di cogliere il senso vero del nostro lavoro. Anche se talvolta il lavoro è unito alle tribolazioni, esso non è più una maledizione, un sudore senza frutto, ma è partecipazione al sacrificio redentore di Cristo. Come è avvenuto per Gesù, la fatica - talvolta grave - del lavoro si fa preghiera sacrificale per la liberazione dal male nel cuore proprio e altrui e insieme si trasforma in capacità di vedere nella costruzione sempre migliore della città dell’uomo un presagio, un anticipo di quello che sarà il Regno di Dio definitivo.

Nel terminare il mio colloquio con voi, cari lavoratori della Marsica, vorrei congiungere a questo invito di far diventare il vostro lavoro preghiera unita al sacrificio di Cristo, l’appello suggerito dal prossimo Convegno ecclesiale italiano che ha per tema “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”: affido a voi il compito di testimoniare nel mondo del lavoro e in quello più ampio della società la riconciliazione cristiana, dono di Dio.

Si erge accanto a noi questo grandioso centro per le telecomunicazioni, realizzato dall’IRI. Un centro che testimonia la possibilità di impiegare le più moderne tecnologie per facilitare, anche attraverso le comunicazioni spaziali, la diffusione delle conoscenze e delle informazioni.

Qui, dinanzi a Telespazio, espressione della scienza più progredita e di quanto l’uomo abbia saputo realizzare col suo lavoro, vorrei rivolgere un saluto e un augurio a tutti i lavoratori del mondo, invocando su tutti la protezione di San Giuseppe.

 

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