VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI DEL GRANDUCATO DI LUSSEMBURGO
Giovedì, 16 maggio 1985
Carissimi giovani amici.
1. La lettura degli Atti degli apostoli che avete scelto parla di Pietro. Ma parla anche di voi: “Pietro si alzò in mezzo ai fratelli” (At 1, 15). Benché fossero in molti, diversi vengono chiamati per nome; sono ricordati personalmente gli apostoli, le donne con Maria, madre di Gesù, e gli altri. Anche a voi voglio parlare oggi personalmente; ognuno di voi lo considero fratello o sorella. Sono qui “in mezzo ai fratelli” e vi rivolgo la mia parola.
Riusciremo a capirci? A tale riguardo questa stessa lettura indica un’importante condizione: “Erano assidui e concordi nella preghiera” (At 1, 14). Così aspettavano il dono dello Spirito Santo. Così anche noi vogliamo incoraggiarci e rafforzarci gli uni gli altri sul comune cammino come cristiani.
Il successore di Pietro è cosciente della sua missione: “Conferma i tuoi fratelli”; “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”; Sii come una roccia per la Chiesa di Cristo e per la sua unità (cf. Lc 22, 32; Gv 21, 15 ss.; Mt 16, 18).
2. Così mi sono inginocchiato e ho pregato dinanzi alla tomba di San Willibrordo. Egli ha dato nome e fama alla città di Echternach – i cui cittadini saluto molto cordialmente – fondando nel 698 la rinomata abbazia. Lo venero qui come messaggero di fede in grandi zone dell’Europa nord-occidentale, e non ultimo come fondatore della Chiesa neerlandese, che ho potuto visitare in questi giorni. “Trascinato da fervore apostolico, si mise in marcia a trentatré anni per condurre molti popoli alla fede”. Così la liturgia loda l’opera del grande missionario (Officio di San Willibrordo).
E quanto era urgente per San Willibrordo “vedere Pietro” (Gal 1, 18) e compiere la sua missione tra i pagani in unione con il Papa nella vita di tutta la Chiesa. Due volte si reca a Roma affrontando difficili viaggi attraverso le Alpi per cercarvi consiglio e direttive per la sua missione e infine per ricevere, con la consacrazione a vescovo, la convalida della sua fondazione della Chiesa tra i frisoni. Dobbiamo quindi essere grati a Willibrordo se queste comunità del nord sono arrivate a un’unità vivente con la Chiesa madre di Roma e con l’intera tradizione apostolica.
3. Ho piacere di sapere che anche voi, cari giovani amici, amate questo grande santo, la sua basilica e la città di Echternach. Ogni anno vi riunite qui per la Pentecoste per presentare a Dio nella processione primaverile, con la preghiera del cuore e del corpo, le difficoltà e i problemi, le preoccupazioni le angosce, ma anche la profonda nostalgia, la speranza e la fede nella vostra giovane vita. A buon diritto avete scelto questo posto, che vi è familiare e caro, per il nostro incontro odierno.
Con questa scelta fate nello stesso tempo presente che il retaggio del passato non vi è indifferente. Proprio in un posto come questo, dove siamo circondati dai testimoni di pietra di un passato cristiano forte nella fede, ci diventa chiaro che possiamo costruire un avvenimento consistente solo sul fondamento delle verità basilari e dei valori durevoli, quali ci vengono tramandati nella Chiesa di generazione in generazione e sono testimoniati e ci sono d’esempio in tutti i tempi dalle grandi strutture della fede. In rappresentanza di tanti altri voi menzionate Willibrordo, Francesco d’Assisi, la religiosa sconosciuta, il missionario lontano. Sono essi che in voi tengono desto il sogno di un mondo migliore.
Nello spirito voi volete guardare negli occhi il futuro. Perché naturalmente non è il passato, ma il futuro che appartiene al vostro cuore. In verità, brilla già nella gioventù ciò che sarà domani. Ma non vi cade in grembo come un frutto maturo. Vi è affidato per essere costruito in maniera responsabile. A voi va la responsabilità di ciò che un giorno diventerà presente con voi. Di ciò che vi è oggi, il bene e il male nel nostro mondo, sono responsabili altre generazioni; ma ciò che vi sarà domani e post-domani, ciò che vi sarà nel 2000, questo dipende in misura sempre maggiore da voi. Dipenderà dalla vostra impostazione di vita e dal vostro impegno, dalla condizione della vostra coscienza morale e dalla vostra coscienza che il sogno di un mondo migliore si avveri.
4. Con i giochi e i canti e con le parole dei vostri oratori avete annunziato prima che siete decisi a mettere mano alla costruzione di un mondo migliore. Volete farlo in quell’amicizia che travalica i confini con i vostri vicini del Belgio, di Germania e di Francia, ai quali in segno di pace stendete ogni anno la mano per la processione di primavera.
Ringrazio i vostri amici dei Paesi vicini per aver voluto essere presenti a questa festa oggi. Voi tutti volete preparare insieme la via per una nuova Europa, un’Europa non solo delle merci e dei beni, ma dei valori, degli uomini e dei cuori; un’Europa che ritrova la sua anima nella fede in Dio e in Cristo e nella coscienza del suo autentico passato cristiano. A questa anima dell’Europa, la sua anima autenticamente cristiana, che ha plasmato un tempo l’uomo europeo, si addice sempre distaccarsi dalle angosciose preoccupazioni e dagli interessi propri e aprirsi al dialogo e alla condivisione fraterna in tutto il mondo, per gli uomini in altre parti della terra. È vocazione tipica dell’Europa, che ha ricevuto in misura così abbondante il seme del Vangelo da altri continenti, non tenere per sé questo dono ma trasmetterlo nella parola dell’annunzio e nei segni dell’amore che accompagnano la parola della salvezza.
5. Avete già posto oggi un tale segno. La casa che state costruendo, la casa di un miglior futuro, è fondata sulla fiducia in Dio, nostro Padre; è saldamente cementata nella solidarietà che deriva dall’amore di Cristo; culmina nella libertà che Dio ci dona. Questa casa non deve essere per noi un castello in aria; chiede una solidarietà pratica con uomini che non hanno casa, un aiuto robusto per chi abita nelle baraccopoli di Nairobi, che non hanno un tetto per ripararsi. Faccio ogni augurio per questa grandiosa iniziativa di amore cristiano per il prossimo. Mi rallegro di poter portare nel Kenya, in occasione del mio viaggio in Africa nel prossimo agosto, il vostro contributo ad una vita più a misura d’uomo, e vi ringrazio dal profondo del cuore, a nome dei destinatari, per questa prova dei vostri sentimenti autenticamente cattolici e universali.
Quando vedo e medito su tutte le cose che vivono qui in mezzo a noi, alla ricchezza della vostra gioventù e dei vostri ideali, sento crescere in me il desiderio ardente che tutto ciò possa dare il maggior frutto possibile per il regno di Dio. Per questo vorrei portare voi giovani cristiani più vicini a Gesù stesso, il Buon Pastore, il quale ha detto: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). Con il giovane del Vangelo non esitate a porre al Maestro la domanda: “Cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?” (Mt 19, 16). Cosa devo fare affinché la mia vita abbia il suo pieno valore e il suo pieno senso?
6. “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Mc 10, 17). Così parla il giovane nel Vangelo. Potremmo tradurre così: come agire affinché la mia vita abbia un senso, tutto il suo senso e tutto il suo valore? E Gesù risponde prima con un’altra domanda: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10, 18). E prosegue: “Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre” (Mc 10, 19).
Amici carissimi, nell’impegnarvi sulle vie della fiducia, della solidarietà, della libertà, avete fatto la vostra scelta: la via dei comandamenti, che è innanzitutto un cammino di vita. Non aveva forse Mosè detto al suo popolo lasciandogli in eredità il decalogo: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte... scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui” (Dt 30, 19-20)?
Infatti, come può l’uomo vivere le sue relazioni con gli altri secondo i comandamenti se non ha fiducia? Una fiducia che implica il rispetto della parola data, il rispetto della verità, il rispetto della dignità del prossimo anche nel suo corpo, il rispetto della sua identità di uomo e di donna; una fiducia che è anche fedeltà a prova di tutto nell’amore.
Come può essere concepita la vita degli individui e dei popoli se non nella solidarietà? Solidarietà che è ben diversa dalla legge del taglione (cf. Es 21, 24), che sollecita a fare più di quanto gli altri fanno per noi (cf. Mt 7, 12); una solidarietà che si basa sul comandamento stesso dell’amore (cf. Lv 19, 18; Mt 22 ,39), e che va fino alla giustizia nuova del Vangelo che ci chiede di amare i nostri nemici (cf. Mt 5, 44).
7. Mi chiederete forse: è possibile parlare dell’amore come di un comandamento? Si può vivere contemporaneamente sotto la legge e nella libertà? A prima vista ogni legge sembra essere un vincolo, fino al momento in cui viene intesa come la giusta espressione della coscienza. I comandamenti sono scritti nel cuore dell’uomo (cf. Rm 2, 14-15). Lo testimonia Paolo: questa legge esprime il desiderio più profondo del nostro essere, anche se viviamo nel fondo di noi stessi la contraddizione con l’altra legge che ci trascina al peccato. La legge di Dio, quando ce ne lasciamo modellare, ci libera dalle catene dell’uomo passionale, rivela in noi l’essere di libertà.
È qui che la parola di Gesù al giovane prende tutto il suo senso: “Nessuno è buono se non Dio solo”; perché Dio è amore. Perché l’amore ricapitola tutta la legge, in esso tutti i valori hanno la loro sorgente prima, in esso solo trovano la loro autenticità e la loro conferma decisiva (cf. Giovanni Paolo II, Epistula ad iuvenes, Internationali vertente Anno Iuventuti dicato, 4, 31 marzo 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 763).
Questo vale per i valori di cui avete affermato l’importanza. Come “osare di avere fiducia”, infatti, in un mondo instabile e fragile, pieno di menzogna? Soltanto confidando nella bontà dell’essere creato da Dio che è amore. Come raggiungere il massimo della fiducia? Camminando al seguito di Cristo che, nel momento supremo della fedeltà, ha potuto dire: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). Con Cristo affidatevi al Padre. Nella fede, gettatevi nelle braccia di Dio. Egli non vi disilluderà. La sua fedeltà non viene mai meno.
8. Saprete allora, per esperienza propria, che la fedeltà è forte, che è bella, che è possibile, che è inseparabile dall’amore. Avete detto che la fedeltà coniugale fino alla morte vi pone problemi. Troppe unioni coniugali intorno a voi si infrangono, e so quante sofferenze ne derivano. Alcuni esitano a contrarre il vincolo matrimoniale. Ma il dolore è segno che la rottura del vincolo sacro del matrimonio costituisce un disordine e sfigura l’immagine di Dio nell’uomo. Cristo ha voluto ristabilire il matrimonio in tutta la sua bellezza, nella sua primitiva integrità, nella verità dell’inizio che rivela il disegno di Dio scritto nel più profondo della natura umana (cf. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 13). Appunto perché l’uomo deve realizzare il proprio destino secondo l’immagine di un Dio totalmente fedele, e a causa della fedeltà alla parola del suo fondatore, la Chiesa deve affermare l’esigenza dell’indissolubilità del matrimonio. Non ignora che questa esigenza è sentita da molti come una sfida. Ma non è forse un rendere servizio all’uomo questo incoraggiamento che gli viene dato ad andare fino al fondo della sua capacità di amare? La Chiesa è convinta delle immense capacità di amore, di fedeltà e di perdono di un cuore rinnovato nel Battesimo, nutrito dal pane dell’Eucaristia, riconciliato con Dio, con se stesso e con gli altri nel sacramento della Penitenza. Lo Spirito diffuso dal Signore nell’uomo dà all’uomo un cuore nuovo, capace di amare come Dio ama. “E voi, mariti, amate le vostre moglie come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5, 25). Tale è la vocazione del matrimonio cristiano.
9. Voi fornite oggi una generosa testimonianza di solidarietà. Paolo vi dice quale ne è la misura: “Imitate Dio, perché voi siete dei figli che egli ama” (Ef 5, 1). L’amore di Cristo sarà la misura del vostro amore: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Qual è questa novità? L’amore che Gesù ci chiede è quello che egli stesso vive, fino al dono della sua vita. Ci viene chiesto molto: siamo umili.
Ma ci sono mille modi di dare la propria vita, di rinunciare a se stessi, di andare oltre se stessi nella generosità. Su ogni strada che prenderete, preparatevi a ispirare la vostra vita a questo amore, nella famiglia, tra di voi, al servizio degli handicappati, degli infermi, dei poveri. E se sentite la chiamata del Signore perché gli facciate dono della vostra intera esistenza, in una vita interamente consacrata a lui e ai fratelli, non esitate. L’umanità e la Chiesa hanno bisogno di uomini e di donne che, dandosi incondizionatamente al Signore, diano testimonianza dell’amore con il quale Dio ci ama in Cristo e della speranza come lui, si lasciano alle spalle i beni della ricchezza, del potere e dell’amore umano. Danno nella Chiesa la testimonianza speciale della vita religiosa “per il regno dei cieli” (Mt 19, 12).
Coloro che afferrano la grandezza di questa vocazione comprenderanno anche le ragioni del celibato sacerdotale. Chiamato a rappresentare Cristo sul piano sacramentale nella sua funzione di capo del corpo e di gran sacerdote, il sacerdote deve rendere credibile questa assimilazione a Cristo con una vita che gli sia vicina, libera da legami che non siano quelli del suo servizio.
10. Gesù ha promesso ai suoi amici: lo Spirito di Dio “vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13) e “la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32).
La vera libertà. Dei tre valori che avete proclamato, è la più fragile, la più difficile da discernere e specialmente da realizzare. Ricordiamoci della storia della liberazione d’Israele dalla schiavitù: essa cominciò quando Mosè chiese al faraone di permettere al popolo di andare nel deserto per celebrare una festa in onore del Signore (cf. Es 5, 1). Tutta la legge dell’alleanza ha come scopo finale di garantire quella libertà: la libertà di adorare il Signore, la possibilità per l’uomo di vivere in un rapporto libero con Dio e di servire i poveri e gli oppressi.
Ma quella del deserto, nell’Esodo, non era che una prefigurazione provvisoria della piena redenzione in Cristo. Con la sua croce Gesù, nostro liberatore, ci ha liberati dalla servitù sostanziale del peccato, nel quale hanno la loro radice tutti gli asservimenti e tutti gli avvilimenti dell’uomo. “Immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15), “irradiazione della sua gloria” (Eb 1, 3), Cristo è l’uomo perfetto che ristabilisce in noi la somiglianza divina alterata dal momento del primo peccato. Il paradosso della nostra libertà è questo: arriviamo ad essa lasciando che Cristo ci liberi dalla legge del peccato e della morte. È lui, morto e risorto che ci dischiude lo spazio infinito della libertà. È lui che ci rende capaci di rinunciare alla cupidigia che ci rinchiude in noi stessi, capaci di volere ciò che fa la gioia dell’“uomo nuovo creato secondo Dio” (Ef 4, 24), che diventiamo attraverso il Battesimo.
11. Ecco alcune pietre che ho voluto portare alla vostra costruzione: la costruzione del vostro progetto di vita e la costruzione di un mondo nuovo. Porto queste pietre come anziano, come testimone di Gesù Cristo, come testimone della Chiesa che ha una lunga e viva “esperienza di umanità” (cf. Paolo VI, Allocutio ad coetum Nationum Unitarum habita, 4 ottobre 1965: Insegnamenti di Paolo VI, III [1965] 507 ss.). Non ho voluto “porre un fondamento diverso da quello che già si trova, che è Gesù Cristo” (cf. 1 Cor 3, 11). Ed è ancora il Signore “la pietra angolare” (1 Pt 2, 7), “in lui ogni costruzione cresce bene ordinata” (Ef 2, 22). Così, in questo senso, amici carissimi, ben volentieri e a vostra richiesta pongo l’ultima pietra a questa costruzione che simbolizza le vostre ricerche e la vostra generosità, pregando il Signore affinché tutto ciò che inizierete riceva sempre consistenza e coesione da lui che è il capo (cf. Col 2, 19).
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