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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AD UN CORSO INTERNAZIONALE
DI AGGIORNAMENTO SULLE «PRELEUCEMIE UMANE»

Venerdì, 15 novembre 1985

 

Illustri professori,
egregi signori.

1. Sono particolarmente lieto di trovarmi in mezzo a voi, che da varie parti del mondo siete convenuti a Roma per questo corso internazionale di aggiornamento sulle “preleucemie umane”, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Vi saluto cordialmente tutti e ciascuno, nella consapevolezza della preziosità del servizio che la vostra opera assidua rende all’uomo e alla società oggi, e più ancora renderà nel prossimo futuro.

Il convegno corrisponde all’obiettivo primario di portare a conoscenza degli studiosi i più recenti risultati della ricerca scientifica sull’argomento, di agevolare lo scambio d’informazioni, d’individuare i Centri specializzati del settore per potervi più facilmente indirizzare i pazienti.

2. I disagi, che gli ammalati affetti da leucemia si trovano ad affrontare, sono molti, di ordine fisico e psichico, soprattutto quando lunghi diventano i periodi di degenza in ospedale, o si rende necessario l’isolamento. I disturbi sono più pesanti se i pazienti sono ragazzi o giovani, costretti a vivere per mesi o per anni sotto trattamento terapeutico, ad abbandonare gli studi, le amicizie, i normali contatti sociali, a vivere nel timore di una ripresa del male e, per le forme più acute, nell’angoscia di non poterlo superare definitivamente.

Certi trattamenti, come quelli che voi chiamate “terapie di supporto”, comportano essi stessi un cumulo di sofferenze, un gravame psicologico sia per i pazienti sia per le loro famiglie, che talora si abbandonano alla ricerca affannosa di una speranza, con viaggi e con dispendio di energie morali e finanziarie.

Voi, infatti, vi trovate ad affrontare uno dei mali più resistenti del nostro tempo, contro cui spesso le possibilità di successo appaiono estremamente ridotte, anche se la sopravvivenza oggi, rispetto al passato, è notevolmente aumentata.

3. Negli ultimi tempi, infatti, si sono realizzati considerevoli progressi, in particolare nel campo della genetica, che hanno consentito di individuare la causa di molte forme di leucemia e di attuare diagnosi più accurate, talvolta anche precoci, con possibilità d’interventi più tempestivi.

Si sono, così, aperte nuove prospettive valide a facilitare una comprensione più completa dei meccanismi, che sono alla base del processo di trasformazione maligna, a sorvegliare l’andamento della terapia, a mantenere il corretto equilibrio tra i tessuti dell’organismo.

Progressi e prospettive inducono a sottolineare i benefici che provengono dallo sviluppo della scienza quando questa, mediante la cura delle malattie, è orientata al bene della persona. Voglio riferirmi a quel tipo di medicina, che per definizione è terapeutica nel senso preciso della parola, e che, mentre respinge i fini distruttivi e manipolatori della vita umana, volge i propri sforzi alla conquista ancora possibile e pressoché inesauribile di nuove vie di guarigione.

Sono sicuro che l’opinione pubblica e le autorità in particolare si sentiranno sempre più solidali con queste conquiste e con questi obiettivi della scienza, incoraggiandola come merita e fornendo i mezzi necessari alla ricerca.

4. L’incontro odierno ci offre l’occasione di sottolineare, oltre a quello scientifico, anche l’alto valore etico dell’impegno assistenziale, che i sanitari, medici e paramedici, profondono a vantaggio di questa categoria di malati.

Il paziente leucemico dipende in gran parte da un insieme di interventi che richiedono prevalentemente un sostegno umano, fatto di specifica preparazione, di finezza di modi, di ricchezza interiore.

Voi avete ben raccolto lo spessore morale e spirituale di questo compito nelle vostre riflessioni, durante i lavori congressuali, e avete considerato l’assistenza umana come componente essenziale di sostegno delle terapie mediche più aggiornate, estendendo la vostra attenzione anche alle famiglie dei colpiti dal male. Avete opportunamente sollecitato l’interessamento delle comunità e del volontariato, affinché queste famiglie possano reggere al peso di un’assistenza talvolta molto prolungata e dispendiosa, per non omettere l’adempimento dei doveri quotidiani, che non cessano di mantenere la loro urgenza e il carattere di necessità.

Alle vostre alte riflessioni io voglio qui aggiungere l’apporto incomparabile del dono della fede, che fa scoprire la presenza del “Christus patiens” nel malato e svela il valore salvifico della sofferenza a vantaggio di tutto il corpo ecclesiale, impreziosisce la persona dei sanitari, che esercitano la missione del “Christus medicus”, espressa nella figura evangelica del buon samaritano (cf. Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 28).

Il Signore della vita, che ha promesso la ricompensa più grande a chi visita un malato, affermando che tutto quello che si fa ad uno dei più piccoli è fatto a lui stesso (Mt 25, 36-40), non mancherà di contraccambiare, con doni che superano ogni attesa, chi dedica il proprio tempo e la propria vita a esseri umani colpiti da uno dei mali più tenaci della nostra epoca.

5. Vorrei anche accennare ad alcune istanze etiche e ad alcune problematiche che si possono incontrare nella cura e nell’assistenza di questi malati.

Occorre innanzitutto richiamare il rispetto della vita e della dignità del morente quando, nonostante le cure prestate, la morte non sembra più evitabile. La presenza della sofferenza anche in fase terminale, mentre dovrà stimolare tutto l’impegno per lenire il dolore e per sostenere lo spirito del morente, non dovrà consentire mai “azioni o omissioni che per natura loro o nelle intenzioni di chi le pone abbiano come scopo quello di abbreviare la vita per risparmiare la sofferenza, al paziente o ai parenti” (Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Declaratio de Euthanasia, 5 maggio 1980, II).

Il principio della “proporzionalità delle cure” (Ivi, IV), mentre sconsiglia l’impiego di interventi puramente sperimentali o di nessuna efficacia, non dispensa dall’impegno terapeutico valido a sostenere la vita né dall’assistenza con mezzi normali di sostegno vitale. La scienza, anche quando non può guarire, può e deve curare e assistere il malato.

Se avesse cessato di lottare per la vita e d’impegnarsi per la cura delle malattie, la scienza medica non avrebbe potuto progredire, né ottenere quei successi che oggi le sono universalmente riconosciuti.

Le pratiche di eutanasia, più o meno manifestamente proclamata, segnano un momento di regresso e di abdicazione della scienza, oltreché un’offesa alla dignità del morente e alla sua persona.

Occorre poi grande rispetto del paziente nell’applicazione delle nuove terapie ancora sperimentali, come può ancora verificarsi nel caso delle leucemie con il trapianto di midollo osseo, quando queste terapie presentino ancora un’alta percentuale di rischio. Ricordiamo che “in mancanza di altri rimedi è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo studio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità” (Ivi). Tuttavia, affinché una terapia, che presenta dei rischi mortali, possa venire generalizzata, dovranno essere prese tutte le garanzie per un’attenuazione del rischio, senza lasciarsi portare dal desiderio di uno sperimentalismo a oltranza.

6. Illustri professori, ben sapendo che l’impegno degli scienziati e dei medici in genere e di voi tutti in particolare, è qualificato per il rigore scientifico e per l’alta consapevolezza morale dei compiti della medicina e del vostro servizio professionale, esprimo la mia compiacenza più viva per i risultati raggiunti, per le ricerche in atto, per l’opera assistenziale portata avanti con assidua ed esemplare presenza.

Mentre formulo gli auspici più fervidi per i programmi futuri, rivolti alla guarigione e alla cura di questi pazienti, al sostegno morale delle loro famiglie, imparto volentieri a voi, all’intera comunità universitaria ai vostri cari e ai vostri allievi, l’apostolica benedizione.



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