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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA AL PONTIFICIO ATENEO SANT’ANSELMO
PER IL CENTENARIO DELLA FONDAZIONE

Domenica, 1° giugno 1986

 

Reverendo abate primate,
Reverendo rettore magnifico,
Illustri professori,
Cari studenti,

1. Sono venuto volentieri su questo colle dell’Aventino, che è a Roma la sede del primo centro monastico benedettino, per questo incontro con voi, docenti e alunni dell’Ateneo che prende il nome da sant’Anselmo, monaco e dottore della Chiesa, e insieme con voi, monaci benedettini che su questo colle, seguendo le orme del vostro grande fondatore, vi esercitate quotidianamente in quella ricerca di Dio (“quaerere Deum”), che costituisce l’essenziale programma della vostra vita.

La tradizione di vita religiosa e di studio dà a questo centro un’atmosfera particolare, che favorisce sia la preghiera e la vita comunitaria, sia l’approfondimento delle scienze sacre. È con grande gioia che ho pregato insieme con voi, celebrando i Vespri, come ogni domenica voi fate. Ed è pure con grande gioia che saluto l’abate e la comunità monastica, il rettore magnifico dell’Ateneo, i docenti e gli alunni.

Mi rallegro nel rilevare che sia nel corpo accademico sia fra gli alunni numerose sono le nazioni rappresentate come anche le famiglie religiose e le stesse Chiese locali. A tutti i presenti il mio saluto più cordiale. Desidero esprimere anche il mio apprezzamento per la preziosa e ormai diuturna opera di promozione degli studi teologici che svolgete, soprattutto in campo liturgico, non solo a favore della Confederazione benedettina, che qui ha il suo centro culturale internazionale, ma altresì dell’intera Chiesa cattolica.

Sento perciò il bisogno di incoraggiare le opere e iniziative che qui fervono, come risultato della fraterna collaborazione e della feconda unità d’intenti fra studiosi provenienti da tante parti del mondo che qui sanno però coordinare e armonizzare tra loro mentalità e culture diverse, nel mantenimento e nella costruzione della istituzione.

2. Il mio pensiero si porta in questo momento a una ricorrenza particolarmente significativa nella vita dell’Ateneo. Intendo alludere al 25° anniversario della creazione in esso, per iniziativa di Papa Giovanni XXIII, dell’Istituto Liturgico a cui quel mio predecessore di venerata memoria concesse di qualificarsi “pontificio” a testimonianza sia della fiducia che intendeva accordargli sia delle attese che su di esso riponeva per una specifica collaborazione in costante sintonia con le indicazioni e con i programmi della Santa Sede.

Come sapete bene, lo scopo principale del vostro Istituto, nato poco prima dell’inizio del Concilio Vaticano II e consolidatosi durante la sua celebrazione, è quello di essere un centro di studi e di ricerca per dare una base scientifica alla riforma liturgica conciliare. Fine di primaria importanza. Il rinnovamento della liturgia infatti ha impresso “una nota caratteristica alla vita della Chiesa stessa, anzi a tutto il modo di sentire e di agire religioso del nostro tempo” (Sacrosanctum Concilium, 43). Il rinnovamento liturgico ha avuto come conseguenza che la celebrazione del culto divino si è aperta maggiormente al valore di una partecipazione più intelligente e attiva da parte di tutto il popolo di Dio. Ciò ha portato a una successiva esigenza, quella di meglio precisare nelle celebrazioni liturgiche il ruolo dei ministri e dei fedeli, affinché nell’adempimento del proprio ufficio, ciascuno svolga tutto e soltanto ciò che è di sua competenza, così che dallo stesso ordinamento della celebrazione si renda manifesta la Chiesa costituita nei suoi diversi ordini e ministeri (cf. Institutio generalis Missalis Romani, 58.) Si è avvertito inoltre il bisogno di dare una maggiore bellezza ai riti anche nel loro svolgimento cerimoniale. Le cerimonie, se svolte con la dovuta diligenza e partecipazione interiore, sono la via, come l’esperienza insegna, per manifestare la ricchezza dei divini misteri e comunicarla con maggior frutto agli animi ben disposti.

3. La realizzazione di questi compiti ben si addice a voi, cari fratelli, che, come figli di san Benedetto, avete ricevuto dal vostro fondatore il precetto “nihil operi Dei praeponatur” (nulla si deve preferire al culto di Dio: Regula 43,3). Questa prescrizione lapidaria è stata interpretata e vissuta diversamente nel corso dei secoli passati, ma essa ha certamente molto contribuito alla formazione dell’Europa cristiana. Ultimamente la restaurazione del monachesimo benedettino con alcune fondazioni, come quelle di Solesmes e Beuron, è stata contrassegnata da un’attenzione preferenziale alla liturgia. Questo fatto è oggi riconosciuto come il punto di partenza per quello che sarebbe stato chiamato poi il movimento liturgico contemporaneo.

Tale prescrizione della Regola tuttavia non può lasciare indifferenti gli altri cristiani che dalla fede sono indotti a vedere nel culto di Dio il vertice più alto di ogni umano impegno. Per questo opportunamente l’Istituto ha aperto le sue porte anche a professori e ad alunni non benedettini, favorendo con ciò sia l’afflusso a questo Centro di nuove e valide energie, sia un suo influsso più esteso e incisivo sulle comunità ecclesiali sparse nel mondo.

Il dovere del culto a Dio resta comunque primariamente impegnativo per voi, figli di san Benedetto, che dalla sua generosa e fedele attuazione potrete trarre slancio per la vita delle vostre comunità monastiche e per il loro irradiamento sulla comunità cristiana. La vostra vita nascosta in Dio non deve essere forse interamente modellata sul paradigma della vita ecclesiale-liturgica così come è descritta dalla costituzione Sacrosanctum Concilium (Sacrosanctum Concilium, 2): “nello stesso tempo umana e divina, visibile ma ricca di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina”.

Nell’ambito delle vostre attività statutarie, non posso qui che ribadire l’utilità e l’importanza del servizio teso a preparare esperti nella teologia e nella pastorale liturgiche, in grado di svolgere un’opera di sussidio e consulenza a favore delle diocesi e in genere di tutte le comunità cristiane, nonché insegnanti qualificati nella formazione liturgica del clero, dei religiosi, delle religiose e in genere di tutti i cristiani desiderosi di maturare nell’approfondimento della vita liturgica, “fonte e culmine” di tutta la vita della Chiesa.

Un compito che, a tal proposito, richiede un’ulteriore ricerca e studio è quello che si potrebbe definire l’“inculturazione” della liturgia, vale a dire la prudente attuazione che le Conferenze episcopali nazionali, in comunione con la Santa Sede, possono fare dei modi e delle forme più opportuni di esprimere il culto cattolico, sostanzialmente unico sempre e dappertutto, in accordo con quanto di valido può essere assunto presso le tradizioni religiose dei vari popoli e culture. Maestri e modelli di questo metodo pastorale sono stati i santi Cirillo e Metodio, dei quali ho parlato nella recente enciclica Slavorum Apostoli.

Anche lo scambio ecumenico può essere utile ad arricchire il patrimonio liturgico. A tal riguardo, vorrei limitarmi soltanto a ricordarvi l’importanza di un contatto vitale e fecondo, pur nel mantenimento della propria identità, tra la tradizione liturgica europea occidentale, che sottolinea maggiormente l’aspetto comunitario e di partecipazione del culto, e quella orientale, più sensibile agli aspetti mistici e sacrali.

Confido che questo Istituto liturgico continui nel suo servizio alla Chiesa con sempre maggiore vitalità, traendo nuovo slancio dalla celebrazione del 25° di fondazione, nella piena fedeltà alla tradizione liturgica e allo spirito autentico della riforma operata dal Concilio Vaticano II.

4. Una parola, voglio pure riservare a un’altra ricorrenza ormai prossima: il centenario di fondazione dell’Ateneo. Come l’Istituto liturgico, così la vostra Università fu voluta da un Papa, l’indimenticabile Leone XIII, il quale la creò come centro culturale e spirituale per tutta la Confederazione benedettina. Vicina alla Sede di Pietro, essa sia anche oggi pienamente consapevole di questa sua funzione, che è una responsabilità, prima che essere un vanto. In tale sua missione, essa merita certamente l’appoggio, sia morale che materiale, da parte di tutta la Famiglia benedettina, che essa ha lo scopo di servire e di degnamente rappresentare nella compagine della Chiesa, nonché della stessa società e della cultura. Il santo patrono al quale sono dedicati questa Abbazia e questo Ateneo, il grande dottore Anselmo d’Aosta, arcivescovo di Canterbury, sia ancora per voi oggi, più che mai, un maestro di vita spirituale soprattutto nella sete ardente che egli aveva della contemplazione di Dio e nell’ansia di indagare, con “umile sapienza”, come egli diceva, gli abissi ineffabili del suo Mistero di bontà e di bellezza.

Sant’Anselmo è ancor oggi maestro del metodo teologico, vale a dire di quell’uso retto e sobrio della ragione, per il quale essa, partendo dai principi della fede, ossia dai dati della rivelazione, contribuisce a illuminarli mediante opportuni argomenti di convenienza e ad approfondirli nella loro inesauribile intelligibilità. Così va inteso lo scopo che egli si prefisse nel famoso “Proslogion”: “Utrum probari possit id, quod de Deo creditur et praedicatur”. Non si tratta di ridurre le verità di fede nei limiti della razionalità, perché con ciò stesso esse sarebbero distrutte; si tratta invece, per la ragione, di lasciarsi illuminare e condurre da quelle verità, e di metterne in luce il valore e l’incidenza nella vita concreta. Così facendo la ragione, pur restando nei suoi limiti naturali, afferma più che mai se stessa e con ciò la dignità dell’uomo.

Il Dottore benedettino riprese l’aforisma agostiniano “Credo ut intelligam”, che era già stato alla base di tutto il lavoro teologico dei santi Padri; e lo rivisse in modo nuovo, perfezionando l’intelligenza della fede mediante le risorse della dialettica e della metafisica. Egli così inaugurò il metodo proprio della teologia speculativa o scolastica, che tanto sviluppo avrebbe avuto in seguito, soprattutto con san Tommaso d’Aquino, fino ai nostri giorni.

Sant’Anselmo ricorda a tutti, ma specialmente a quanti - come voi, docenti e studenti - applicano le loro energie intellettuali nello studio della teologia, che la conoscenza dei misteri divini non è tanto conquista del genio umano, quanto piuttosto dono che Dio fa agli umili e ai credenti.

5. Auspico che possiate anche voi, sulle orme di questo illustre e santo maestro del pensiero cristiano, dare agli uomini del nostro tempo questo gusto delle realtà divine e il desiderio di penetrarle mediante una conoscenza illuminata dalla fede, poiché se è vero che già la ragione naturale di per sé può conoscere qualcosa dell’esistenza di Dio, resta sempre vero che l’esperienza autentica del suo ineffabile mistero ci è consentita soltanto dall’ascolto, con fede, della sua Parola, sicché solo credendo, alla fin fine, possiamo avere una piena intelligenza della realtà divina. Con questi pensieri e questi auspici, invoco per voi dallo Spirito Santo - auspice sant’Anselmo - l’abbondanza dei suoi doni e imparto a tutti di cuore la mia benedizione.

 

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