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VISITA PASTORALE IN ROMAGNA

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON LA COMUNIT
À BENEDETTINA

Cesena - Giovedì, 8 maggio 1986

 

Reverendo padre abate, cari monaci.

Desidero esprimervi innanzitutto la mia gioia per l’opportunità che mi è offerta di essere ospite presso il vostro monastero, così venerabile per una lunga storia di fedeltà a Cristo e alla Chiesa secondo il modello dell’ideale benedettino. Vi saluto tutti con viva effusione d’animo e vi dico un grazie di cuore!

La mia permanenza in questo luogo sacro, seppur breve, mi darà la possibilità di ammirare le sue bellezze storiche, artistiche e ambientali, le quali tutte stimolano e orientano l’animo di chi vi abita o di chi lo visita verso la considerazione delle realtà trascendenti, verso il mistero di Dio, della sua bontà, della sua sapienza e della sua pace. Qui tutto richiama, senza stonature o incoerenze, al pensiero di quelle “cose di lassù” dalle quali sole sgorga quell’operosità e quella dedizione al servizio della dignità della persona umana, delle quali l’illustre Famiglia del patriarca Benedetto ha dato tante prove - e dà tuttora - nella costruzione e nella difesa della civiltà cristiana e dell’umanesimo secondo Cristo!

Ogni monastero è un piccolo “Tabor”. San Bernardo lo chiamava “paradisus claustralis”: come l’apostolo Pietro davanti alla trasfigurazione del Signore, l’animo innamorato delle cose celesti non vorrebbe mai partirsene e considera privilegiati coloro che hanno avuto la vocazione di restarvi per tutta la vita.

Oh, so bene, cari fratelli, che non bisogna idealizzare né sopravvalutare nessun luogo - per quanto santo - del mondo di quaggiù! Sappiamo bene quanto sia ardua l’ascesi monastica e quanto aspre e dure siano le lotte interiori - e a volte anche esteriori - che il monaco deve affrontare e superare per progredire nella perfezione e restar fedele alla santa Regola. Tutti i grandi maestri ci avvertono di questo. E tuttavia, resta pur sempre vero che i religiosi, e in particolare i monaci come insegna il recente Concilio, sono chiamati in modo speciale ad essere un segno di speranza, un segno per tutta l’umanità delle realtà future: di quella nuova umanità inaugurata dalla risurrezione, alla quale Cristo risorto chiama ogni essere umano.

So che in questo monastero la sacra liturgia è curata con amore e competenza, nella fedeltà ai grandi tesori dell’arte sacra, come per esempio il canto gregoriano. Siate sempre vigili e gelosi custodi di questi tesori imperituri, perché essi sono affidati a voi in modo tutto speciale, e per il bene di tutta la Chiesa e dell’umanità.

So anche che nel vostro monastero ha sede il Centro Storico Benedettino Italiano, fondato da padre Leandro Novelli e promosso da tutte le famiglie monastiche italiane. Scopo del Centro è quello di stimolare e coordinare la ricerca storica sul monachesimo italiano dalle origini ai nostri giorni. Un programma interessante, e che può validamente contribuire alla riscoperta di tesori di spiritualità ancora fecondi per il presente e per il futuro. Auspico pertanto per questa Istituzione proficui lavori e fecondi incrementi.

Vi ringrazio fin d’ora per le preghiere con le quali mi accompagnerete in questo mio nuovo viaggio in terra di Romagna. Conto molto su di esse, perché il ministero che intendo svolgere fra queste care popolazioni possa portare tutti quei frutti che Gesù Signore si attende da me; e perché il Vangelo che seminerò porti larghi frutti alle anime che mi ascolteranno. Questo, cari fratelli, in tale circostanza, sarà il vostro contributo a illuminare le terre di Romagna: come Mosè con le mani alzate, sul monte, farete scendere anche voi, in comunione col Papa, abbondanti benedizioni dal cielo! E io pure, nel nome del Signore, vi benedico.

 

© Copyright 1986 - Libreria Editrice Vaticana

 


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