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VISITA PASTORALE IN ROMAGNA

DISCORSO

DI GIOVANNI PAOLO II
AI LAVORATORI NELLO STABILIMENTO DELL
ANIC

Ravenna - Sabato, 10 maggio 1986

 

Carissimi.

1. Mi avete dato il benvenuto fra voi e io l’ho gradito, perché viene dal mondo del lavoro, al quale mi sento di appartenere da sempre. Sono molto lieto di incontrarvi e vorrei salutarvi ad uno ad uno, quasi chiamandovi per nome, come si fa tra familiari. Sarà un incontro purtroppo breve: presto ognuno riprenderà il suo posto, ma avremo passato insieme un’ora della nostra esistenza, conoscendoci, anzi riconoscendoci fratelli, figli dello stesso Padre.

Molto significativo è il fatto che questo nostro incontro sia posto all’inizio della mia visita alla città di Ravenna, quasi una primizia dunque; e che si svolga qui, in questo stabilimento che, insieme con lo sviluppo del Porto, ha determinato la trasformazione industriale della Romagna.

Ho saputo com’era la vita in Romagna anni fa, al tempo dell’arginatura dei fiumi: gli anni della dura fatica degli “scariolanti”. Se nel giro di pochi decenni questa terra ha potuto compiere passi così significativi nella via dello sviluppo sociale ed economico, se città e paesi hanno potuto rinascere e le famiglie ricuperare un livello di vita degna di uomini, lo si deve alla capacità di iniziativa e alla laboriosità che accomuna tutti voi che siete impegnati sul vasto fronte del lavoro: lavoratori, imprenditori, dirigenti e tecnici, dei vari settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, dell’artigianato, della cooperazione, del turismo.

Voglio qui riunire in un’unica attestazione di stima e in una medesima parola di fiducia e di incoraggiamento coloro che operano nei grandi complessi, come questo stabilimento dell’ANIC; nella vasta rete di aziende di minori dimensioni, ma non meno necessarie e importanti; nelle molte attività commerciali e artigiane, in larga misura legate al turismo, nelle quali trovano peculiare espressione quelle doti di cordialità, schiettezza, comunicativa che hanno reso giustamente famosa la gente romagnola.

2. Ma io so che quanti siete qui stasera, imprenditori e lavoratori, avete in cuore l’identica preoccupazione, per la crisi che ha investito il mondo del lavoro: aziende che chiudono e braccia senza lavoro, aziende che vacillano e lavoratori in stato di tensione. Due sono le conseguenze più manifeste: ricompaiono aree di povertà e si blocca l’accesso dei giovani al lavoro. Riemerge così quel fenomeno della disoccupazione che, “quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale”, sì da far temere per la tenuta delle stesse istituzioni (Laborem Exercens, 18).

Non vi fate meraviglia se il Papa insiste su questo tema. Sono venuto in Romagna, su invito dei vostri vescovi, per aiutare le comunità cristiane a prepararsi al terzo millennio. Ora, questo, del rapporto tra sviluppo economico e lavoro, si presenta già come il problema dominante dei prossimi decenni; e si rivelerà sempre più di importanza mondiale. Basta pensare che ad esso è collegata la vittoria sulla fame e la liberazione umana di interi continenti. Tutto ciò richiederà un immenso sforzo comune di tutti: economisti, ricercatori, poteri pubblici, imprenditori e lavoratori con le loro rappresentanze sindacali. Ciò vuol dire anche quando la Chiesa, di fronte alla realtà della disoccupazione, riflette sui rapporti tra lo sviluppo tecnico-economico e i principi morali che ne stanno alla base, non deborda dal suo campo, né si perde in astrattezze: l’accelerazione della storia sta già dimostrando la rilevanza sociale dei principi morali.

3. Tornando alla Romagna, è noto che a determinare la crisi del lavoro ha contribuito notevolmente l’introduzione dell’automazione in molti campi della produzione: e tutti, lavoratori e imprenditori, siamo consapevoli delle difficoltà e dei problemi che tali trasformazioni portano con sé. Tuttavia il nostro atteggiamento di fronte ai progressi della tecnologia non può essere il rifiuto o il timore. “La tecnica è indubbiamente un’alleata dell’uomo. Essa gli facilita il lavoro, lo perfeziona, lo accelera e lo moltiplica” (Laborem Exercens, 15). Possiamo aggiungere, citando la recente “Nota pastorale” dei vostri vescovi, che le nuove tecnologie “possono esaltare la creatività delle persone nel processo di sviluppo, liberando l’uomo dei suoi aspetti più alienanti e ripetitivi”.

La tecnica e le macchine anche più sofisticate sono dunque frutto e strumento del lavoro umano; ma il vero soggetto del lavoro rimane sempre e soltanto l’uomo. Lo strumento non può essere eretto a protagonista e venir posto al di sopra dell’uomo lavoratore senza un capovolgimento dell’ordine della realtà e una funesta inversione tra i mezzi e il fine. L’esperienza di questi anni conferma che la tecnica, se il suo impiego non è guidato e illuminato da un superiore criterio morale, può trasformarsi da alleata quasi in avversaria dell’uomo, come quando la meccanizzazione del lavoro “soppianta” l’uomo, sottrae l’occupazione a molti lavoratori o, mediante l’esaltazione della macchina, riduce l’uomo a esserne servo (cf. Laborem Exercens, 5).

Siamo chiamati a dominare il cambiamento e non a esserne dominati. Ma ciò potrà avvenire solo nella misura in cui riusciremo a superare quella frattura fra l’etica e l’economia che ha impedito alle grandi conquiste dell’epoca moderna di tornare pienamente a vantaggio dell’uomo.

4. Nel contributo a ricomporre una simile frattura, vorrei collocare anche il senso della mia venuta tra voi, lavoratori e imprenditori di Romagna. Voi sapete che, mentre in passato si tendeva a presentare il lavoro come l’unica fonte e l’unica misura del valore dell’uomo, ora emergono prospettive dette “funzionali”, secondo le quali il lavoro avrebbe senso soltanto come occupazione in vista del guadagno. Proprio per questo, diventa più che mai necessario recuperare la convinzione che “il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra”, a condizione però di non porsi come fine ultimo, ma di subordinarsi a quel fine che è l’uomo (Laborem Exercens, 4.6).

5. Da questa verità, carissimi lavoratori e imprenditori, sale a tutti voi un appello pressante: l’appello della solidarietà. Da sempre gli uomini, per vivere e crescere insieme, hanno avuto bisogno di trovare le vie dell’intesa, dell’aiuto reciproco, della collaborazione. La solidarietà ha le sue leggi: essa richiede che nessuno ambisca a un ruolo egemonico, ma sia invece disposto a riconoscere le funzioni di altre forze e componenti e ad accogliere in maniera costruttiva i loro contributi. Ciò vale all’interno della singola azienda come nell’intero processo produttivo e più ampiamente nella vita sociale.

6. Collocati nella prospettiva della solidarietà, acquistano maggiore e più autentico significato i ruoli, diversi ma complementari, di ogni categoria impegnata nel lavoro e nella produzione. Agli imprenditori e ai dirigenti andrà riconosciuta la funzione di dare unità decisionale, coordinamento e dinamismo all’attività aziendale.

I lavoratori autonomi, assumendo continuamente in proprio responsabilità, impegni e rischi del lavoro, danno elasticità all’intero sistema produttivo e vanno opportunamente sostenuti sulla base del principio di sussidiarietà, per il quale né lo Stato, né alcuna società devono sostituirsi all’iniziativa dei singoli e delle comunità intermedie negli spazi in cui questi possono agire. (Libertatis Conscientia, 73)

A loro volta i lavoratori dipendenti hanno non solo il diritto a una giusta retribuzione, tale da consentire ad essi e alle loro famiglie un adeguato tenore di vita, ma sono anche chiamati a partecipare corresponsabilmente alle iniziative e alle decisioni che riguardano la vita delle aziende, e quindi anche il proprio futuro. Devono inoltre poter operare in condizioni tali che siano tutelati, insieme con la salute fisica, la dignità e gli spazi di creatività del lavoro umano: così essi potranno sentirsi autenticamente “comproprietari” del grande banco del lavoro (cf. Laborem Exercens, 14-15).

Carissimi lavoratori e imprenditori, vi è ben noto come ogni diritto porti con sé un preciso dovere: questo principio di giustizia e di equità regola non soltanto i nostri rapporti reciproci, ma parimenti il contributo che ciascuno è chiamato a dare al bene comune. Se vogliamo una società più giusta, una migliore qualità della vita, dobbiamo tutti saper guardare al di là del nostro vantaggio particolare e immediato ed essere disposti a portare con lealtà la nostra parte degli oneri collettivi.

7. Vorrei ancora invitarvi ad allargare lo sguardo, al di là dell’ambito dei vostri diretti impegni di lavoro, in due direzioni, una più vicina e l’altra più lontana.

La prima si riferisce ai rapporti umani all’interno dell’azienda. Il mondo del lavoro non è tutto nel contratto di lavoro, è anche nell’accordo di amicizia. Pienamente umano esso diventa solo quando, oltre la zona dell’utile, compare la fraternità, quella comunione degli animi che è ingrandimento della vita di ognuno nella partecipazione alla vita degli altri. Vi raccomando i giovani al primo contatto con il nuovo mondo, fate attenzione alla prima loro accoglienza: essi potranno riceverne un grande e significativo orientamento. Ricordatevi poi dei vostri impegni sociali. Mi riferisco in particolare al vostro rapporto con la famiglia: la solidità dei legami familiari ha costituito nel passato per la gente di Romagna un grande serbatoio di energie morali, con influssi largamente positivi in fatto di laboriosità e di rettitudine di comportamento. Oggi proprio la crisi della famiglia, che traspare dalle piaghe del divorzio e dell’aborto, dalla bassa natalità e dalla stessa riluttanza a contrarre il vincolo matrimoniale, potrebbe condurre a una perdita di significati e di valori, con conseguenze imprevedibili anche sul piano dell’impegno e della fedeltà al lavoro.

L’altra direzione, verso la quale desidero esortarvi a guardare, abbraccia lo spazio immenso dell’umanità sofferente e minacciata: dagli immigrati che cercano presso di voi un lavoro e un pane, fino alle moltitudini innumerevoli dei popoli della fame, passando attraverso tutti coloro che subiscono la tragedia della guerra, del terrorismo, della privazione dei diritti fondamentali, a cominciare da quello della libertà religiosa. (Ioannis Pauli PP. II Allocutio Laureti in Piceno ad Italiae Episcopos, quosdamque presbyteros et laicos simul congregatos habita, 8, die 11 apr. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 1 [1985] 1004)

8. Ravenna è un antico faro di civiltà, che ha proiettato la propria luce tra oriente e occidente, tra popoli antichi e popoli nuovi. Ora anche attraverso il vostro lavoro, essa sappia contribuire alla realizzazione di una solidarietà universale che sia costruttrice di pace.

Questa mia visita allo stabilimento dell’ANIC vuol essere per tutti voi, lavoratori e imprenditori di Romagna, il segno dell’attenzione e della fraterna partecipazione della Chiesa alla vostra vita, ai vostri problemi, al vostro progresso spirituale e materiale. I vostri vescovi e le vostre diocesi hanno assunto l’impegno di sviluppare “un’organica pastorale sociale, che dia voce ai lavoratori e ai loro problemi nelle comunità ecclesiali, a livello parrocchiale, vicariale e diocesano, promuova e organizzi la presenza dei sacerdoti e dei laici cristiani negli ambienti di lavoro, assuma e condivida fraternamente le difficoltà dei disoccupati e delle loro famiglie, dando ragioni di speranza e di fiducia, anche attraverso iniziative di solidarietà volte a creare occasioni di lavoro”. (Nota pastorale, n. 17: L’Osservatore Romano, die 20 febr. 1986) E io so che tali iniziative sono già state attuate nella vostra Romagna con esiti promettenti e soddisfazione diffusa.

Il Signore benedica questi sforzi e questi propositi. Il mondo del lavoro, che spesso ha sofferto per primo di quel distacco tra fede e vita che ha condizionato negativamente le vicende della storia moderna e ha prodotto effetti contrari all’uomo, possa ora beneficiare di un rinnovato incontro con Cristo, redentore dell’uomo.

Con questo auspicio, che viene dal profondo del mio cuore, imparto a tutti e alle vostre famiglie la mia benedizione.

 

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