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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI
NELLA CAPPELLA DEL SEMINARIO DI S. IRENEO

Lione (Francia), 6 ottobre 1986

 

Cari confratelli nell’episcopato.

1. Sono molto sensibile alle parole che mi ha appena rivolto mons. Vilnet a nome di tutti voi, introducendo così l’incontro che sono lieto d’avere questa sera con voi. Vorrei anche esprimervi la mia gratitudine per l’invito a celebrare con voi il bicentenario di san Giovanni-Maria Vianney, e per la cura che avete posto nell’organizzare questo viaggio. Non potendovi nominare tutti, permettetemi di rendere un omaggio particolare al card. Decourtray e agli altri vescovi che mi accolgono calorosamente nelle loro diocesi. Nel corso di questo nuovo pellegrinaggio in mezzo al popolo di Dio in Francia, è stata mia gioia procedere, qui a Lione, alla beatificazione di padre Antonio Chevrier che si aggiunge ai numerosi operai del Vangelo la cui santità s’irradia al di là delle vostre frontiere, come un riflesso prezioso della luce di Cristo.

Il nostro incontro prelude alle visite “ad limina” in cui ben presto potremo riflettere insieme sulle questioni che vi preoccupano. Questa sera vorrei restare nell’ambito di questo pellegrinaggio presso i santi del vostro paese. Tra coloro che contrassegnano questa regione, due figure di vescovi possono ispirarci. Ritornerò altrove sul messaggio teologico e pastorale di primo piano che ci ha lasciato sant’Ireneo, secondo vescovo di Lione. Per questa sera, ho scelto di fermarmi qualche istante su san Francesco di Sales, prima di andare a venerare la sua tomba e incontrare la Chiesa di Annecy.

Sulla soglia dei tempi moderni, egli rappresenta per noi una figura esemplare. Ricordo che il mio predecessore Giovanni XXIII aveva annotato nel suo Diario dell’anima (p. 208): “Che bella figura d’uomo, di sacerdote, di vescovo!”. E aggiunge che desidera imitarlo: “Un amore grande, ardente, per Gesù Cristo e la sua Chiesa; una tranquillità di spirito inalterabile; una dolcezza incomparabile col prossimo, ecco tutto!”. Non ci potrebbe essere miglior invito a metterci alla scuola del santo di Annecy, lui che ricordava la sua ordinazione episcopale in questi termini: “Dio mi aveva tolto a me stesso per prendermi a sé e darmi al popolo, vale a dire che mi aveva trasformato da ciò che ero per me in ciò che sarei stato per loro” (Lettera DCCCXXXI).

2. Se guardiamo vivere Francesco di Sales nella sua diocesi, ad Annecy o nel corso delle sue visite, lo vediamo in effetti interamente disponibile a tutto il suo popolo. Un testimone gli attribuiva questa annotazione: “La casa di un vescovo deve essere come una fontana pubblica alla quale i poveri e i ricchi hanno pari diritto di avvicinarsi e attingere acqua” (secondo processo, tomo II, p. 1295). Egli trova incessantemente la forza di accogliere, in un amore del prossimo senza riserve. È impressionante sentirlo esprimere la sua ammirazione per i fedeli in una specie di atto di fede: Dio, “io l’ho incontrato . . . tra le nostre più alte e aspre montagne dove molte anime semplici lo tenevano per caro e lo adoravano in tutta verità e sincerità . . .” (Lettera a Madame de Chantal, ottobre 1606).

Predicatore instancabile, catechista, guida spirituale, egli fonda la propria azione su alcune convinzioni che rimangono nostre, al di là delle grandi differenze nel tessuto sociale. Il Vangelo, Francesco di Sales lo proclama a indirizzo di tutti, senza distinzione di origine, di professione o di compito. Egli crede che tutti, sin dall’infanzia e lungo tutta la vita, debbano essere illuminati, al fine di formare una comunità, come al tempo degli apostoli, animata da una fede viva, spontaneamente praticante un’efficace carità reciproca.

È stata spesso sottolineata la sua preoccupazione di formare cristiani di élite che prendano a cuore tutta l’esigenza del Vangelo. In realtà, lavora molto a condurli su questa strada, senza volerli distaccare da tutto il popolo né allontanarli dai loro doveri familiari e sociali. Sapeva adattare il suo linguaggio al tipo di cultura di questi fedeli. Quando scriveva, era “sempre guardando la gente che vive nella morsa del mondo”. Quando li raggruppava in “confraternite”, era per creare focolari irradianti in un popolo cristiano la cui vita sociale non deve distaccarsi dalla fede e dalla vita ecclesiale.

Bisogna anche ricordare quanto questo vescovo ha sofferto per la divisione dei cristiani. Con passione ha lavorato a ristabilire l’unità del popolo di Dio. Per quanto dipendeva da lui, la sua azione era contrassegnata dalla ricerca della verità in un dialogo impregnato di ardente carità fraterna.

3. Considerando che il sacerdote è uno col suo vescovo, Francesco di Sales accordava un posto privilegiato ai suoi rapporti col clero. Le difficoltà che incontrava sono segnate dalle condizioni di un’altra epoca. Ma era anche un tempo di cambiamenti, il tempo di un necessario ritorno all’essenziale. Preoccupato della fedeltà dei sacerdoti ai loro impegni, al loro dedicarsi a tutti i cristiani, egli è fraterno con loro, vicino nella preghiera, ma anche capace di dire nettamente che cosa gli sembra debba essere corretto nella loro azione. Tiene alla concertazione nelle assemblee annuali del clero. Desidera l’unità della diocesi innanzitutto attraverso i sacerdoti. Ricorderò due punti significativi su cui insisteva.

Nei limiti troppo ristretti, ai suoi occhi, dei suoi mezzi, egli compie grandi sforzi per la formazione intellettuale e spirituale del clero. Una sana dottrina fondata sulla Scrittura e i Padri è indispensabile a coloro che devono rispondere a una domanda crescente, in un’epoca in cui le correnti culturali divergenti e le condizioni di vita scuotono la coesione del popolo cristiano. Francesco di Sales è stato in prima linea, egli stesso fedele allo studio. Prendeva conoscenza di ciò che proponevano i teologi e le scuole spirituali. Ed era pronto a comunicare ai suoi confratelli il frutto di una assimilazione illuminata e meditativa della Tradizione. Si pensi qui allo sforzo teologico che nella sua epoca aveva compiuto il vescovo Ireneo.

Altra preoccupazione costante di Francesco di Sales: che i sacramenti fossero degnamente celebrati. Egli dà l’esempio di un grande rispetto della liturgia. Promuove l’accesso all’Eucaristia. Incoraggia i sacerdoti a divenire buoni confessori: nel suo “Memoriale ai confessori” li chiama a rendere vicina l’infinita misericordia di Dio che perdona, con cuore paterno, senza stancarsi di assistere i penitenti “in tutto ciò di cui avranno bisogno da voi per la salvezza delle loro anime”.

In una parola ricorderò l’importanza che il fondatore della Visitazione accordava alla vita religiosa: luogo di perfezione evangelica, testimonianza trascinante che egli desiderava vicina all’insieme dei cristiani. Se non è riuscito a portare a termine la riforma dei monasteri “in commenda”, ha aperto una strada che ci è familiare grazie a un’amichevole vicinanza ai cistercensi e a una frequente collaborazione in particolare con gli ordini mendicanti.

Queste poche annotazioni non ricoprono tutte le forme della collaborazione che portate avanti coi sacerdoti, i religiosi e le religiose, né di tutto l’appoggio che date loro. Che san Francesco di Sales vi ispiri in questa funzione fondamentale del vostro ministero!

4. Vescovo, Francesco di Sales ha spesso manifestato un’attiva solidarietà coi suoi confratelli nell’episcopato, vivamente consapevole del fatto che gli scambi tra di loro non potevano che servire la missione di tutta la Chiesa. Alla sua epoca, e secondo i suoi carismi, questo assumeva la forma di rapporti amichevoli, di scambi di idee e di emulazione spirituale. A modo suo, egli prefigurò la collaborazione intensa che voi portate avanti, in modo strutturato, nei vostri incontri regionali e nazionali.

Con una problematica diversa da oggi, dibattiti senza fine avevano allora luogo sul ruolo e sull’autorità del vescovo di Roma. Ricorderò il punto cui giunge Francesco di Sales quando conclude la sua analisi del problema: bisogna che si predichino in modo tranquillo - lui dice “con dolcezza” - “questi due punti: l’unità ecclesiastica e cristiana, l’amore e la dedizione alla Santa Sede, legame di questa unione e comunione ecclesiastica” (Lettera a mons. Germonio, marzo 1612). Permettetemi di dire soltanto che il nostro incontro questa sera, nel corso del mio pellegrinaggio nel vostro paese, è un lieto segno di questa unione e di questa comunione.

5. Agli inizi del XVII secolo, un vescovo si trovava coinvolto nella vita della città in modo del tutto diverso da oggi, e in funzione di concezioni giuridiche in gran parte diverse. Tuttavia, in Francesco di Sales, la maniera d’agire e i veri centri di interesse rimangono ancora esemplari.

Si potrebbe bene applicargli il titolo di “esperto in umanità” che Paolo VI rivendicava per la Chiesa. Infatti, nell’effervescenza intellettuale del suo tempo che osservava con partecipazione, Francesco di Sales sapeva operare un lucido discernimento: egli è permeato innanzitutto del rispetto dell’uomo e della sua libertà. Di conseguenza, si interessa a un’educazione equilibrata per ragazzi e ragazze.

Quale che fosse il dibattito o il negoziato in cui era coinvolto, si trovava in lui un libero conciliatore di ogni spirito partigiano, un uomo di pace. Quando il suo popolo soffre violenza, egli sa alzare la voce e prendere le sue difese. Poco gli importava di incorrere in critiche, dal momento che poneva senza ambiguità le sue parole e i suoi atti nell’ordine evangelico della carità.

Possiamo noi oggi, di fronte all’inquietudine e alla violenza, di fronte a troppi attentati alla vita e alla dignità umana, meritare al nostro servizio episcopale il titolo che semplici fedeli davano a Francesco di Sales: “Autore di pace”!

6. Cari confratelli nell’episcopato, nel terminare l’evocazione di alcuni tratti che mi sembrano suggestivi in Francesco di Sales, ricorderò anche la confessione che talvolta faceva: il compito era gravoso, la moltitudine dei problemi da affrontare gli pesava, la stanchezza si faceva sentire. Scriveva un giorno a un amico, non senza humour: “La mia anima è quasi tutta scucita da tanti scossoni che ha patito . . . compie allora un ritiro per "ridar carica all’orologio . . . e farlo suonare più preciso"”. Al termine di uno di questi periodi di ripresa spirituale, confida alla madre de Chantal: “Sento al fondo del mio cuore una nuova fiducia di meglio servire Dio "in santità e giustizia tutti i giorni" della mia vita” (Lettera MCCV).

È un bene per noi avere come esempio e come intercessore questo vescovo che aveva raggiunto un ammirevole equilibrio nella santità. Egli univa armoniosamente il rigore di uno spirito giusto, la necessaria autorità del pastore, una prudenza riflessiva, l’umiltà del servitore di Dio e dei suoi fratelli, il calore amichevole nel dialogo, l’entusiasmo comunicativo di un cuore conquistato dall’amore di Dio.

Nella sua riflessione sull’amore di Dio, Francesco di Sales riconosceva in Maria l’unica perfezione in questo amore. Le aveva dedicato la propria opera. Disse un giorno: “Il grande bene per noi è l’essere figli, benché indegni, di questa gloriosa Madre”.

Insieme a voi, chiedo alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, di intercedere per voi e per tutti i vostri diocesani, e prego Dio di colmarvi dei suoi doni e delle sue benedizioni.



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