DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI MEMBRI
DELLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI
Venerdì, 17 ottobre 1986
Signori Cardinali.
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!
1. Sono lieto di accogliere in udienza particolare voi, membri della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, radunati in questi giorni a Roma per prendere parte ai lavori dell’Assemblea Plenaria. Vi ringrazio per questa visita, e vi assicuro la mia partecipazione spirituale e il mio incoraggiamento, insieme all’auspicio di ogni buon esito al vostro congresso, destinato a favorire l’opera delle vocazioni del clero indigeno, le quali trovano nel seminario il luogo privilegiato e le migliori condizioni per il loro armonico sviluppo e il loro fiorire “in spem Ecclesiae”.
Ringrazio in particolare il Card. Jozef Tomko per le cortesi espressioni, con le quali ha voluto introdurre questo incontro. Saluto gli illustri Presuli, qui presenti, i quali, alle cure del gregge nelle rispettive diocesi o alle funzioni in altri Organismi della Curia Romana, aggiungono il lavoro di membri nella Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; i Direttori delle Pontificie Opere Missionarie, di cui è noto lo zelo per la diffusione del Vangelo, mediante assidui rapporti tra i paesi di antica tradizione cristiana e quelli propriamente missionari; e, infine, i Superiori degli Istituti Missionari.
La vostra plenaria si svolge quasi alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale, che quest’anno assume un significato particolare, ricorrendo il 60° anniversario della sua istituzione. Esprimo l’auspicio che il ricordo di tale circostanza sia non solo motivo per dare uno sguardo al passato: alle fatiche compiute ed ai traguardi conseguiti, ma sia anche e soprattutto stimolo per un decisivo passo in avanti nella comprensione dei doveri missionari e nella promozione di quegli aiuti spirituali e materiali che sono indispensabili alla esistenza ed all’attività di quanti operano in campo missionario. È questo un dovere fondamentale del Popolo di Dio; è anzi il “dovere più alto e più sacro della Chiesa” (Ad Gentes, 29).
2. Ho preso conoscenza con interesse del tema specifico, prescelto per la vostra riunione: “Formazione nei seminari nelle Missioni e per le Missioni 20 anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, sotto gli aspetti: spirituale, dottrinale e disciplinare”.
Con tale scelta vi siete messi in sintonia con uno dei temi non solo del Decreto Ad Gentes, ma anche di molti altri documenti del Concilio Vaticano II, tra cui quello De Institutione Sacerdotali, che parla ex professo della formazione dei seminaristi. Come è noto, la formazione dei giovani in generale, e dei seminaristi in particolare, è stato il pensiero costante dei Padri, il loro assillo e la loro ansia pastorale: “L’educazione dei giovani - dice la Gaudium et Spes - di qualunque origine sociale, deve essere impostata in modo da suscitare . . . personalità forti, come è richiesto dal nostro tempo” (n. 31). E il Decreto Ad Gentes che è la magna charta che regola l’attività missionaria, a sua volta afferma: “Bisogna aprire ed affinare la mente degli alunni perché ben comprendano e possano valutare la loro civiltà nazionale . . . e scoprire quali rapporti intercorrano tra tradizione e religione nazionale e religione cristiana”, e soprattutto curare la loro formazione spirituale, perché conducano “una vita secondo l’ideale evangelico” e si dedichino “senza riserve al servizio del Corpo di Cristo” (Ad Gentes, 16).
Sono questi alcuni brani che indicano la premura della Chiesa del Concilio per il grave problema della formazione dei giovani. Ma quando questi giovani sono seminaristi nei territori di missione, le cure si raddoppiano e non si finisce mai di approfondire quei testi conciliari, che segnano i punti di riferimento dell’attività vocazionale.
3. L’importanza di questo argomento comporta una attenta ed appropriata verifica riguardante i seminari sia di antica che di recente costruzione nei territori dipendenti da codesto dicastero. In questo ventennio sono sorti numerosi seminari a carattere nazionale o regionale per far fronte al confortante aumento di vocazioni. È un aspetto questo che va notato, perché fa ben sperare per il futuro delle Chiese missionarie. Ma questa crescita non sempre è stata accompagnata da adeguata e aggiornata opera di formazione spirituale, dottrinale e disciplinare. Di qui la ragione di codesta provvida iniziativa che si avvale di un vasto materiale offerto dalle Conferenze Episcopali dei Paesi interessati. L’apposito questionario redatto dai Rettori dei seminari vi offre utili elementi di giudizio al fine di offrire indicazioni concrete e veramente rispondenti alle reali necessità dei vari ambienti.
Sempre nel rispetto delle sane tradizioni culturali locali, di cui parlano i testi conciliari, la formazione sacerdotale non può prescindere da alcuni requisiti assoluti che sono validi per tutti i luoghi e per tutti i tempi. Tali sono quegli aspetti spirituali che fanno del sacerdote, dovunque egli si trovi a vivere, l’apostolo, il testimone della fede, il missionario del Vangelo, il profeta della speranza cristiana, il costruttore della Chiesa di Cristo fondata su Pietro. Nessuno può essere elevato all’ordine sacerdotale se non ha ancora imparato ad amare Gesù Cristo che ha dato se stesso per noi fino alla Croce (Gal 2, 20), e ad amare il prossimo nella maniera di Cristo, facendosi il tutore degli orfani e dei piccoli, il difensore dei poveri, il consolatore dei sofferenti: il padre delle anime. Certamente non può accedere al sacerdozio chi non sente in modo urgente l’attrattiva della sequela del Cristo, il quale ha detto: “Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8, 34); chi, cioè, non sente il valore della rinuncia e del sacrificio; chi non sa preferire la vita interiore a quella esteriore; la perfezione difficile alla mediocrità facile.
4. Il seminario deve essere una palestra di allenamento a queste virtù e a questo impegno apostolico; deve essere scuola di primissimo ordine, che sia in grado di offrire ai giovani i tesori della cultura umanistica, filosofica e teologica, ma anche e soprattutto una profonda esperienza spirituale, alimentata dalla preghiera assidua e dalla contemplazione, dal raccoglimento e dallo sforzo ascetico; deve essere, in una parola, la via per un vivo incontro con Cristo.
A questo fine occorre che i giovani leviti siano debitamente assistiti, come afferma il Concilio, “da superiori e professori che abbiano viva la consapevolezza di quanto possa dipendere dal loro modo di pensare e di agire la formazione degli alunni”, siano essi perciò “scelti tra gli elementi migliori e diligentemente preparati con un corredo di soda dottrina, di conveniente esperienza pastorale e di una speciale formazione spirituale e pedagogica” (Optatam Totius, 5). Ma spetta soprattutto ai Vescovi vigilare sul buon andamento dei propri seminari, affinché fiorisca in essi uno spirito fervoroso che favorisca nei giovani un carattere forte e austero. Non sono mai troppe le premure e le sollecitudini che il pastore di una diocesi prodiga per il seminario.
Venerati fratelli, il fatto di aver privilegiato questo argomento per la vostra plenaria, è segno che a voi non sfugge quanto sia importante l’opera di sensibilizzazione in favore dei seminari nei territori di missione, e quanto sia necessaria e promettente la vostra preoccupazione di considerarne gli aspetti spirituali, dottrinali e disciplinari. Il Signore vi assista nei vostri lavori, per i quali elevo la mia preghiera, mentre di cuore imparto a voi e a quanti sono impegnati nella formazione dei seminaristi la mia Benedizione.
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